I buffi miei sensi di te altro
non sapranno che antiche e cortesi parole.
Sempre rimani quel dolce vento
che guida alla rada.
Ciao Giuliano.
"La poesia è scritta da qualcuno che non è lo scrittore a qualcuno che non è il lettore" - Paul Valéry -
I buffi miei sensi di te altro
non sapranno che antiche e cortesi parole.
Sempre rimani quel dolce vento
che guida alla rada.
Ciao Giuliano.
Era la prima volta che andavano verso il mare. Il nonno lo aveva svegliato di prima mattina e nel farlo aveva usato una leggerezza che Antonio non conosceva. Sembrava emozionato.
Anche lui lo era. Gliene avevano parlato tanto del mare, i vecchi. Di quest’acqua che copriva ogni cosa, ma lui non aveva proprio idea di cosa, di come, potesse essere. Il nonno, invece, di sicuro lo aveva visto il mare, anche se proprio con lui non ne aveva mai fatto parola.
Antonio lo immaginava dai suoi occhi, dalle dita nervose che stringevano il bastone e lo guidavano mentre si allontanavano nel bosco, dal silenzio tra di loro: quel silenzio che li aveva accompagnati tutta la mattina.
Si erano fermati solo dopo parecchie ore di cammino. Il vecchio aveva estratto del pane nero dalla cesta che aveva con se, tagliato una fetta per passarla al ragazzo e poi riposto ogni cosa.
“E tu, non mangi nonno?” aveva chiesto Antonio un po’ sorpreso, mordicchiando contento. Si erano fermati vicini a un piccolo rivolo. Sulle sponde nessuna traccia di vita. Solo uno scoiattolo li osservava curioso da un ramo poco lontano, aveva due buffe code ritorte che sembravano come pennacchi sulla sua testa e anche lui mangiava qualcosa, ma Antonio non riuscì a capire cosa fosse. Il nonno non aveva risposto. Si era seduto su una roccia coperta di muschio e aveva continuato a fissarlo in silenzio.
“Tu lo hai visto, vero?”
“Sì”
“E come è?”
“Non lo so più Antonio come sia”
“Sì, ma com’era? Ai tuoi tempi dico”
Il vecchio finalmente aveva sorriso.
“Ai miei tempi?” aveva risposto divertito “ma come ti permetti?”
“Dai nonno, lo so che sei ancora il più forte del villaggio”
“No, hai ragione. Hai proprio ragione” il nonno era ora pensoso “Beh... ai miei tempi lo vedevo spesso il mare. Avevo circa la tua età la prima volta che me ne ricordo bene, ma mio padre mi raccontava spesso che c’eravamo sempre andati anche prima. Mi ripeteva che sin da piccolo gli sembravo un piccolo pesce”
“Pesci? Vivono nell'acqua?” Antonio era sorpreso, nessuno gliene aveva mai parlato e non riusciva nemmeno a immaginarsele quelle creature. Saranno stati simili a quei piccoli sgorbi che nuotavano nella pozza della sorgente? Al villaggio tutti ne avevano timore anche se i ragazzi amavano stuzzicarle con dei lunghi rami fin quando quelle non sparivano nascondendosi sotto la terra.
“Sono come quelli della sorgente?” chiese.
“No Antonio, quelli hanno forme diverse e luccicano al sole come le pietre di luce e alcuni si possono anche mangiare, altri sono enormi e ti ingoierebbero in un sol boccone e poi alcuni sono coloratissimi e insomma sono proprio diversi da quelli che conosci tu”
“E tu li hai mai visti questi pesci?”
“Sì, sì. Ma ora poche chiacchiere, andiamo”
Il nonno era ridiventato silenzioso e Antonio seguendolo aveva così sempre più fatto caso al mutare del paesaggio. Il bosco diventava meno fitto e ogni tanto uno spazio di terra bruciata si affacciava tra il verde. Il nonno stava sempre ben attento a non passarci troppo vicino e, a volte, allungavano vistosamente il cammino per evitare di avvicinarsi troppo a quelle macchie. Erano spazi brulli dello stesso colore delle pietre che aveva visto un giorno indossare da sua nonna. “Cosa sono queste?” le aveva chiesto, ma lei aveva subito nascosto tutto ed evitato di rispondergli.
Prima di uscire definitivamente dal bosco il nonno si era fermato.
“Ecco, dormiremo qui stanotte”
“Ma siamo ancora lontani?”
“Sei stanco?”
“No, no. Solo un poco”
“Ancora un giorno e saremo arrivati”
“E poi?”
“E poi cosa?”
“Perché stiamo andando lì nonno? Nessuno di noi ragazzi è mai uscito dal villaggio”
“E’ ora che succeda Antonio”
“Si, ma perché?”
“Lo scoprirai, dormiamo ora”
Il nonno aveva raccolto in giro rami e foglie per farne giaciglio. Solo allora, da solo, Antonio sembrava essersi reso conto del silenzio che lo avvolgeva. Il rumore dei loro passi, lo scricchiolio degli alberi, le poche parole scambiate, lo avevano distratto, ma ora tutto era silenzio e buio.
Aveva voglia di tornare a casa, anche se non lo avrebbe mai confessato. Di tornare indietro.
Il lungo cammino lo aveva, però, stancato e non ci mise tanto ad addormentarsi quando tutto fu pronto. Nella notte vennero a trovarlo Anna che lo aveva salutato, come per la partenza, con un bacio sulla guancia e la nonna che lo aveva abbracciato in silenzio. “Stai bene nonna? Mi hanno detto che sei morta” aveva fatto in tempo a dirle, ma quella era svanita nello stesso istante in cui il nonno lo scuoteva per riprendere il cammino.
“Ho sognato la nonna” furono le prime cose che disse.
Il vecchio lo aveva guardato fisso negli occhi.
“Ti ha detto qualcosa?”
“No, nulla. Mi ha solo abbracciato, ma lei è morta nonno? Dico, è veramente morta?”
“Guarda quel riccio Antonio”
Il nonno si era portato il dito alle labbra a chiedergli silenzio, poi, con gli occhi, aveva indicato qualcosa che si muoveva proprio davanti a loro.
Antonio già conosceva quegli animaletti, ma vederne uno ora lo liberava quasi dal disagio che sembrava averlo preso.
Avevano mangiato insieme un'altra fetta di pane per poi riprendere a camminare, come prima quasi sempre in silenzio.
Dopo il bosco era come fosse scomparsa ogni cosa. Il nonno gli aveva fatto indossare, prima di ripartire, un cappello dalle larghe falde che faceva ombra al viso, dei guanti e una leggera sciarpa a coprire il collo.
“Lo so che queste cose sono scomode, ma cerca di resistere. Sei un uomo ormai”
Con un sorriso e una pacca lo aveva poi invitato a seguirlo.
Era passato molto tempo così. Ad Antonio sembrava di aver camminato sempre in linea retta, ma il loro era solo un lungo susseguirsi di ripide e brevi salite e di discese che preannunciavano un nuovo arrampicarsi. La macchia verde del bosco alle loro spalle si faceva lontana e davanti a lui solo un riverbero di luce che pareva, a volte, accecarlo. Quando già il sole aveva da tempo abbandonato il suo zenit il nonno iniziò a deviare, era come se cercasse qualcosa. Antonio lo vide tirar fuori più volte dalla tasca uno strano oggetto tondo e fissarlo con attenzione, prima di decidere come proseguire. Al crepuscolo Antonio si ritrovò a un centinaio di metri da una roccia altissima dalla strana forma, gli ricordava quella di un uovo sepolto per metà al suolo.
“Ecco ci siamo” disse il vecchio proseguendo.
Sembrava più rilassato, quasi contento. Poco dopo Antonio inizio a intravedere anche una casa ai piedi di quello che ora gli appariva un monte altissimo. Ci passarono accanto e Antonio riuscì a notare, accanto alla porta d’ingresso, un grande pezzo di legno con dei disegni. Si avvicinò ad esso e non gli ci volle molto a capire che doveva essere una specie di mappa di montagna anche se faticava a capirne il senso e le indicazioni: “Pietra di Bism…”, gli sembrò di leggere in alto. Il nonno alle sue spalle, nonostante si sforzasse, non riuscì a trattenere una lacrima.
“Cos'hai nonno? Che succede?”
Il vecchio si asciugò il volto con il braccio, gli prese la mano e lo invitò in silenzio a seguirlo.
Erano arrivati su un sentiero segnato da delle pietre che sembravano essere state messe lì apposta, a fare da pavimento. “Che strano” pensò il ragazzo. I sentieri dei boschi che lui conosceva erano quelli tracciati dai suoi passi o da quelli degli altri abitanti del villaggio, nessuna pietra a segnarli o conservarli.
Salirono ancora alcune centinaia di metri verso la cima, prima di fermarsi. Antonio notò come il nonno gli fosse improvvisamente sembrato più vecchio. Non tanto nell'aspetto, che in quel buio era difficile vedere, quanto nei gesti. Erano più lenti, anche se più rilassati. Anche il suo atteggiamento era cambiato. Quando finalmente gli diede da mangiare, dopo quella lunghissima camminata, non riuscì a evitare di accompagnare il cibo a una piccola carezza su quel viso così diverso dal proprio e chiese e si fece anche raccontare di Anna scoprendo di quel bacio. Antonio ne fu felice, era successo poche volte. In genere era stata sempre la nonna ad ascoltare tutti i suoi segreti.
Si addormentò quasi subito, ma nessun sogno venne questa volta a trovarlo, forse anche perché quando il nonno lo svegliò era ancora notte.
“Dobbiamo già andare?”
“Sì, è importante” gli rispose quello con una voce dolcissima.
Antonio si ritrovò a inerpicarsi senza riuscire a vedere bene neanche dove si trovasse. Poi improvvisamente la salita finì. Era ancora buio. Il nonno lo prese per mano e gli fece fare ancora una decina di passi poi gli chiese di sedersi, prese il pane, ne tagliò un'ultima fetta e la coprì con qualcosa di ambrato e dolce che aveva estratto da una scatola di coccio.
“Questo è miele” disse, con aria complice, ad Antonio.
Finalmente la notte iniziava a ritirarsi. Antonio non riusciva ancora a vedere bene l’orizzonte. Gli sembrava, quasi, di essere sopra una nuvola. Quando la luce ebbe finalmente il sopravvento un blu pieno di luci iniziò a lottare con il cielo a vista d‘occhio.
Antonio rimase senza parole, mentre il nonno iniziava lentamente a raccontare.
Stamattina leggevo alcuni commenti entusiasti ai versi di un poeta riconosciuto post mortem – “sempre amato lui!”, ma sempre quando, quando faceva la fame e non se lo cagava nessuno? – e pensavo che un poeta che non è ancora arrivato al successo non è considerato “poeta” da nessuno, nemmeno quando scrive o legge i suoi versi. E se lo dice con troppa convinzione che scrive poesie, al massimo si vedrà rispondere quel certo sorrisino di chi ti compatisce o sfotte. Però un bel giorno, se il poeta arriva al successo, generalmente post mortem, vince questo premio: gli viene tolta la pelle della sua vita precedente. Nessuno più che dica che è stato maestro o impiegato o commesso o operaio ecc. Gli viene tolto l’unto del lavoro quotidiano. La poesia, che fino al giorno prima era un lusso per i poveri, diventa l’unica occupazione di una vita. E il lavoro, a meno che tu non possa romanzarlo nella sua bio, sembra quasi sia stato un blando incidente di percorso. Magicamente, sulle pagine web o nei manuali scolastici non si capisce più di che mangiava questo poeta, cosa ha dovuto subire dai suoi capi, gli vengono tolte l’occupazione, la casa, la famiglia, i piatti preferiti, le sue insonnie. Restano soltanto gli amori, meglio se clandestini, qualche litigio letterario, e la bruciante e passione per i versi. Tutto, insomma, si riduce a ben poco, al minimo indispensabile. Così l’uomo che stava dentro il poeta muore e finisce, e il poeta che stava dentro l’uomo diventa una bella copia dell’originale, ma una copia non proprio esatta, diversa, e mai completamente intera. Pronta e lucidata per essere da “sempre amata”.
Fonte: la bella copia
Il vento è la più semplice delle metafore e si trasforma e vive quasi fosse la tua anima. Alfredo oggi vorrebbe solo che sparisse, che non facesse volare così senza meta i suoi pensieri, che tornasse morbidamente a cullarlo.
"Forse è giunta solo l'ora" dice a se stesso, ma sa già che quella frase è rimbalzata così tante volte nei suoi disadorni pensieri, in tutti quegli ultimi mesi fatti di silenzio, che stenta ancora a credere sia vera, ad accettarla.
Il vento non si cura di queste sciocchezze, continua a correre come fosse ancora quel giovane ragazzo che anche Alfredo è stato e scorrazza e abbraccia e impudico si insinua fin dove può, fin dove vuole.
Sul prato piccole onde si infrangono su quel che resta dei sogni.
Ora piove appena, prima gli alberi ancora tremavano e dalla terra si alzava un dolce lamento. Sembrava che quelli quasi avessero paura e Alfredo, sorpreso in strada da quel primo acquazzone, poteva solo osservarli di fretta. Del resto anche i suoi pensieri pareva bagnassero la strada. Scorrevano rapidi, fitti. Grigie perle che lo abbandonavano pur avendo di lui ancora possesso.
Se avesse potuto sarebbe piaciuto molto ad Alfredo abbracciare uno di quei tronchi intimiditi, qualcuno di quei suoi compagni. Sentirne forte la presenza, comunicare loro la propria, ma era già inzuppato e iniziava a sentire freddo. La casa, poi, era ancora lontana. Troppo per la sua età e i suoi acciacchi.
"Tornerò da voi appena posso e ci racconteremo anche questa avventura, vedrete che ne rideremo o solo la ricorderemo con malinconia" pensò Alfredo tentando di andare ancora più veloce. Un lampo vicinissimo e un forte boato parvero rispondergli. Sulla terra lacrime e pioggia scorrevano veloci.
“Perché si scrive è una domanda a cui posso rispondere facilmente, dato che me lo sono chiesto così spesso. Penso che un autore scriva perché ha bisogno di creare un mondo in cui poter vivere. Io non potrei mai vivere in nessuno dei mondi che mi sono stati offerti: il mondo dei miei genitori, il mondo della guerra, il mondo della politica. Dovevo crearne uno tutto mio, come un luogo, una regione, un'atmosfera in cui poter respirare, regnare e ricrearmi quando ero spossata dalla vita. Questa, credo, è la ragione di ogni opera d'arte. L'artista è l'unico a sapere che il mondo è una creazione individuale, che c'è una scelta da fare, una selezione. E se anche riesce a raggiungere questa seconda fase, l'artista continua tuttavia coraggiosamente a tentare. Pochi momenti di comunicazione con il mondo valgono la pena, perché è un mondo per altri, un'eredità per altri, un dono. Ma scriviamo anche per accrescere la nostra consapevolezza della vita. Scriviamo per lusingare e incantare e consolare altri. Scriviamo per fare una serenata ai nostri amanti. Scriviamo per gustare la vita due volte, nell'istante presente e nel ricordo. Scriviamo, come Proust, per rendere tutto eterno, e per convincere noi stessi che è eterno. Scriviamo per poter trascendere la nostra vita, per arrivare al di là di essa. Scriviamo per insegnare a noi stessi a parlare con gli altri, per testimoniare il viaggio nel labirinto. Scriviamo per ampliare il nostro mondo quando ci sentiamo soffocati, o limitati, o soli. Scriviamo come gli uccelli cantano, come il selvaggio danza i suoi rituali. Se nella scrittura non respiri, se non piangi, se non canti, allora non scrivere, perché la nostra cultura non contempla alcuna utilità per la scrittura. Quando non scrivo, sento che il mio mondo si restringe. È come se fossi in prigione. Sento che ho perso il mio fuoco e il mio colore. Deve essere una necessità, come il mare ha bisogno di incresparsi, e io questo lo chiamo respirare”.
"Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a se stesso"Come un Don Chisciotte, Alfredo si sposta e cammina ma non trova giganti tra le vie e Aldonza è solo uno specchio spezzato, una fanciulla che si riflette in mille forme prima di svanire.
"Essa combatte in me, in me riporta vittoria; ed io vivo e respiro in lei, e da lei mi viene vigore ed assistenza."