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08/09/15

nuovi occhiali per il poeta

ho occhiali nuovi con cui vedere il mondo
i vecchi sono ancora lì, ora
hanno una custodia nuova
per il loro riposo

erano le lenti ad essere invecchiate,
incise dal tempo, graffiate
per negligenza, forse
o solo troppo adoperate

ho occhiali nuovi con cui vedere il mondo
i vecchi sono ancora lì, sperano
in un ripensamento, in un incidente
per tornare a vivere

06/09/15

Garybaldi, Bianca e Hare Krishna


Quando ritorna si trascina dietro un carrello.
“Ho fatto tutto, così non devo tornare di là”
“Dai iniziamo”
Le penne con le zucchine hanno un odore e un sapore che Michele non conosceva. Tutto gli appare nuovo anche quella musica, anche quel compagno che gli si siede di fronte, anche quel vino che finisce in fretta.
“Ti piace? Era la mia ricetta preferita quando la cucinava mia madre. Semplice e unta quanto basta”
Salvatore ride e subito dopo riempie i bicchieri fino all’orlo.
“Dai bevi, che questo fa bene alla salute. Altro che birra! Non ti ho mai visto da queste parti, sei in vacanza?”
“No, no vivo qui, ci sono nato qui”
“Ah! Non mi sembrava. Io invece qui ci sono venuto da piccolo. I miei hanno trovato lavoro qui. E poi è finita che ci sono cresciuto, ci ho studiato anche. Insomma, sono rimasto anche se loro sono tornati a casa”
Michele è già a mezzo piatto.
“Buoni, ma questo posto… era una stalla prima?”
“Non lo so. Credo di sì. Io l’ho trovato già cosi. Prima era di uno di qui, è morto qualche anno fa. Una brava persona, io ci venivo sempre a mangiare e poi… e poi gli eredi hanno venduto a me”
“Ti sei sistemato allora”
Salvatore lo guarda sorridendo.
“Io vivo con la mia pensione”
“Pensione?”
“Già!”
Michele non chiede più nulla, si concentra sulle ultime penne girandole sul piatto con la forchetta a raccogliere olio e zucchine. Salvatore invece ha già finito, aspetta che l’altro faccia lo stesso e poi si alza per togliere i piatti e mettere i nuovi.
“Lo senti questo pezzo?”
“Sì, chi sono?”
“Si chiamavano Garybaldi. Ci suonava Bambi Fossati. Il pezzo invece è Maya Desnuda. Se avessi qui l’album ti farei vedere la copertina, una cosa spettacolare. C’è Bianca di Crepax.”
Michele si rende conto di fare fatica a seguirlo e poi di Crepax conosce solo Valentina e qualche disegno visto su Tumblr. Chi è quella Bianca? Anche quella musica. Gli sembra un po’ una copia di Hendrix anche se fatta benissimo, comunque non ha voglia di discutere di questo.
“E’ strano” si lascia sfuggire.
“Cosa è strano?”
“È strano questo posto. È strana la musica che ascolti. Non ti seccare ma anche tu sei un po’ strano”
Salvatore lo guarda divertito.
“Hai ragione ed è la cosa più bella che avresti potuto dirmi, certo insieme al lodare i miei piatti”
Michele ha già iniziato a pulire e gustare i gamberetti. Si interrompe, pulisce le dita, prende del vino e continua:
“E’ come se questo posto ci fosse e non ci fosse più. Non so se riesco a spiegarmi, ma insomma anche questa posizione, questa piccolo vicolo che lo protegge dalla strada…”
“Sì, era quello che cercavo e poi la strada è sempre lì. Puoi tuffarti e rientrare quando vuoi”
“Già, senti ma questi invece chi sono?”
“Gli Aktuala, ti piacciono?”
“Sì, che anno siamo?”
“’73, oppure ora se vuoi”   
“Ma non è che ora, invece, viene fuori un Hare Krishna?”
Michele vuole essere divertente, ma Salvatore non sembra cogliere la battuta.
“Sei mai stato in un loro tempio?”
“No”
“Mi dispiace per te… e i concerti?”
“Di musica dici? Beh sì certo”
“Seduto su una poltrona o rinchiuso in qualche posto bloccato da un cancello suppongo”
“Cioè?”
“Nulla, scusami. È che a volte è più forte di me e mi faccio trasportare anche io dal prima e dal dopo, dal pensare e dire -ai miei tempi- come se non sapessi che non vale nulla”
“Nulla?”
“Cosa vuoi che valga il tempo aldilà dell’attimo in cui lo vivi? Il passato, il futuro possono essere solo strani, lo hai detto anche tu poco fa, e se diventano veri qualcosa non va.”
“Ma noi lo stiamo ascoltando ora il passato”
“Sì, ma non è più quello che ho ascoltato io in un parco, non è quello inciso sul disco e tra poco non sarà più quello che stiamo sentendo qui”
“Li hai visti?”
“Questi gruppi? Giravo parecchio, era semplice”
“E poi?”
“E poi ho fatto altro. Fumi?”
“No”
“Esco fuori, allora”
Salvatore si avvicina al banco e da un cassetto tira fuori una scatola di latta della Amarelli; ne estrae cartine, cartoncino e fumo per poi, con perizia e velocità, rollare una canna.
“Peccato” dice guardando con un sorriso negli occhi Michele, quindi esce fuori a fumare.


«Maya

Sei già spogliata, sei sul mio letto
sei tutta, nuda
Dolce visione, dolce passione
tu sei sempre, nuda

Maya Desnuda

Passan le ore, esce il sudore
tu mi travolgi, nuda
Dolce passione, dolce visione
tu sei sempre, nuda

Si, nuda
Vieni su... su con me... si, su!
Sempre più su!

Hei bambina sono stufo di te
non mi fai neanche, bere un caffè
cerca pure, intanto io
sto correndo come Superman

Hei bambina cosa credi che sia
un ultra-fai-l'amore superstar
hei bambina prova a andare da
James Brown, e la sua Sex Machine

Sai bambina cosa credo di fare
di sparire, in mezzo al mare
hei bambina forse tu
non lo sai, sono guai

Vieni su, insieme a me

Va bene così.

Ora sei pronta, vieni su!
Corriamo insieme!»

05/09/15

Sorrenti, musicassette e vino


“Ciao!”
Una voce decisa lo saluta, ma Michele non riesce a vedere subito chi ne sia il proprietario. Solo quando è vicino al bancone si accorge dell’uomo che, quasi inginocchiato, traffica con la radio dietro quel rifugio.
“Non riesco più a togliere questa maledetta musicassetta, mi daresti una mano?”
“Musicassetta?”
“Sì dai, sai quelle vecchie cose rettangolari di plastica con un nastro dentro che si riavvolgeva con un tappo della penna, con una matita?”
“Sì. Lo so cosa sono le musicassette”
“Questo dannato coso non vuole più aprirsi. Dai, dammi una mano”
Michele gira attorno al banco, ma non sa proprio come potrebbe essere d’aiuto.
“Guarda, tienilo solo fermo. Non voglio che cada”
L’uomo prende un coltello e armeggia sullo sportellino fino a riuscire ad aprirlo.
“Eccoti qui cazzo! A volte succede, ma non mi va di cambiarlo”
Estrae la cassetta e la ripone nella sua custodia, poi la deposita nel piccolo spazio da cui probabilmente l’aveva estratta, uno dei tanti scomparti di una bacheca in legno segnata dagli anni, e ne prende una nuova.
“Ti piace Sorrenti?”   
“Sorrenti?”
“Sorrenti, sì. Alan Sorrenti. Sai i figli delle stelle che la notte gli gira intorno? Mortacci sua che canzone di merda”
Sorride e nel farlo si volta verso Michele come a cercarne l’assenso. E’ stempiato e con i capelli lunghi fino alle spalle.
“Sì, sì. Ricordo”
“Bene, vuoi mangiare?”
“Sì, in effetti sì”
“Siediti dove vuoi, arrivo subito”
Michele non sta molto a pensarci, si siede al primo tavolo con due posti che vede e aspetta. E’ già partita la musicassetta con un pezzo che non conosceva e poco dopo arriva anche l’oste. Michele lo osserva meglio, ma gli unici particolari che riesce a cogliere sono lo stomaco prominente ed una lunga cicatrice sul braccio sinistro.
“Cosa ti porto?”
“Cosa c’è?”
“Ah scusa, ho dimenticato il menù. Comunque, se ti fidi, oggi ho una buona pasta con zucchine e dei gamberetti eccezionali, ti vanno?”
“Ok”
“Da bere?”
“Birra, c’è artigianale?”
“Birra? Vuoi del vino?”
Michele lo guarda sorpreso, poi si limita ad assentire con il capo.
“Bene, allora ci penso io. Se vuoi lì ci sono degli antipasti, ti porto subito acqua e vino.
Michele guarda verso la porta. La poca gente che passa sulla strada e lontana, al caldo, mentre lì, anche senza aria condizionata, si sta bene. Magari un tempo questa era una stalla, pensa, ma non riesce a trovare nulla che possa confermare la sua ipotesi. Si alza un attimo e guarda distratto gli antipasti, ma non prende nulla.
L’uomo arriva subito. Gli versa un vinello quasi trasparente anche se tendente al rosa.
“Assaggialo”
Michele ubbidisce e non si pente di avergli dato retta.
“Buono”
“Eh, eh. Lo so. Lo produco io”
“Sì?”
“Sì, poche bottiglie. In collina.”
“Senta, perché non mi fa compagnia?”
“Perché no? Tanto oggi… però solo se la pianti di darmi del lei. Mi fai sentire vecchio.”
“Va bene, provo.”
“Preparo tutto e arrivo allora. Prima però cambiamo cassetta. Alan non va bene per un pasto in compagnia. Metterò una raccolta. Preferisci qualcosa?”
“No, no. Faccia lei… fai tu, intendevo”
“Bene, così va meglio. Ah! A proposito… io sono Salvatore”
“Io Michele”
“Bene Michele! Torno subito”
Salvatore interrompe la musica e inserisce una nuova cassetta.
“Progressive italiano, va bene?” Chiede a Michele.
“Sì, sì. Non ti preoccupare”
L’uomo non risponde, è già scomparso nel retro del locale, tra i fornelli.



«Vorrei incontrarti
fuori i cancelli di una fabbrica.
Vorrei incontrarti
lungo le strade che portano in India
Vorrei incontrarti
ma non so cosa farei
Forse di gioia io di colpo piangerei.
Vorrei trovarti
mentre tu dormi in un mare d'erba
e poi portarti nella mia casa sulla scogliera
Mostrarti i ricordi di quello che io sono stato
Mostrarti la statua di quello che io sono adesso.
Vorrei conoscerti
ma non so come chiamarti
Vorrei seguirti
ma la gente ti sommerge
Io ti aspettavo
quando di fuori pioveva
e la mia stanza era piena
di silenzio per te.
Vorrei incontrarti
fuori i cancelli di una fabbrica
Vorrei incontrarti
lungo le strade che portano in India
Vorrei incontrarti
ma non so cosa farei
Forse di gioia io di colpo piangerei.
Vorrei incontrarti
proprio sul punto di cadere
tra mille volti il tuo riconoscerei
Canta la tua canzone
cantala per me
Forse un giorno
io canterò per te.»

04/09/15

Loy & Altomare, anfe e caleidoscopi




Quando era ragazzino amava farsi di anfetamine. Con quelle in corpo camminava nella notte con gli amici, da solo spesso. Parlava per ore, si masturbava senza sosta rientrando a casa, amava, beveva. Tutto in quelle ore procedeva velocemente come se già ogni cosa non andasse avanti a velocità folli a sedici anni. Il fatto è che già allora Michele non amava correre e quei momenti, senza che lui realmente lo sapesse, gli servivano al contempo da conferma e da smentita al suo essere. Tutto avrebbe potuto essere diverso, ma ne valeva davvero la pena? Valeva davvero correre? Lui negli anni successivi aveva continuato con i suoi tempi, con le lunghe pause. Chissà perché gli venivano in testa questi pensieri.
“Sarà quest’acqua calda” pensa Michele “sarà quest’afa che non vuol lasciare la presa”.
E’ indeciso se prepararsi qualcosa o uscire, ma non ha voglia di pentole e fornelli e neanche di lavare, dopo. Mette qualcosa addosso e la decisione è presa. L’aria è ferma. Inizia a sudare già fuori dal portone senza ancora aver fatto un passo in strada. Decide allora di anticipare i tempi. Si sposterà verso il locale da visitare e magari cercherà qualcosa lì vicino per mangiare.
Oggi è una giornata da 8. Deve attraversare quasi tutta la città per raggiungere la periferia storica. Quella parte della città che ora è quasi centro. Gli viene in mente che lì c’è un parco minuscolo, un vecchio giardino capace di resistere al tempo e agli uomini. Sull’autobus un po’ più di gente, ma lui non ha voglia di incrociare nessun sguardo. Si concentra così su un particolare, una stretta porzione di spazio tra il sedile che precede il suo e la piccola piattaforma su cui è sistemata la macchina obliteratrice. Se ne serve come sfondo   per i pensieri, le immagini che gli passano in testa. Quali siano non lo sa bene neanche lui, si susseguono veloci e imprevedibili: un caleidoscopio.
Ecco, il tempo di mettere a fuoco una vecchia foto e via a cercare il punctum per poi ruotare il cilindro fino a formare l’immagine successiva. Magari non c’è nulla che leghi i due momenti, magari è solo una parola, una frase, che è affiorata con la prima e che confonde, forma, i riflessi dei piccoli frammenti di vetro della seconda, ma tutto questo non ha grande importanza. Non c’è regola in questo giocare.
Manca poco alla sua fermata quando smette. Alza gli occhi e si accorge che l’autobus si è quasi svuotato. Gran parte delle persone che erano a bordo è scesa lungo le fermate del centro e la prossima, invece, è la sua.
Le case del quartiere sono sezioni stratigrafiche su cui misurare il tempo. Lavoro fatto di risparmi, di emigrazione, di fierezza e approssimazione. E’ il caos e la pulizia la loro bellezza, così come sono l’abbandono e la rovina la loro pena.
Michele si perde a guardare, a trovare le finestre e i balconi, i piccoli tetti addossati alle mura delle case vicine senza nessuna separazione, senza nessun ordine. Una insegna lo porta dentro un piccolo vicolo. “Osteria dell’attesa” annuncia, quasi uno scherzo del caso. Oltre la porta d’ingresso le note di Loy & Altomare.



«E la vita scorre liscia e piatta
come il vento sopra l'acqua,
come roccia non si spacca,
come il fumo poi se ne va...
E se pensi di restar lassù, se ci credi,
là puoi vincere o morire,
ma puoi perdere e campare,
ma questo si sa, questo è proprio vero,
in quest'universo qua, in questo cielo,
ma stappa il tuo vino,
troverai me, bevi,
resta ancora un po' con me,
che mi sento sincero,
sincero come non mai...

Dov'è ch'è andata quell'altra là,
su quale stella?
In una notte senza luna la cercheremo,
la chiameremo,
ma prova il mio vino,
troverai me, bevi...
Quando diceva che sarebbe andata com'era vero,
e ora dorme in qualche grotta
al sicuro, al riparo proprio da noi...

Ma una notte troppo disperata
lascia sempre la sua traccia,
la respiri nei polmoni,
te la leggi sulla faccia,
e non pensare di dormirci su,
sarebbe bello...
Devi attendere e pagare
per quell'attimo d'amore,
che poi se ne va,
e se non torna bevi,
fino all'ultimo secondo sei lì che speri,
poi stappi il tuo vino,
saluti tutti e bevi...
ma ogni sera vuol dire morire,
vuol dire godere,
vuol dire rischiare,
ma come si fa?
Che se non torna bevi...
Fino all'ultimo secondo sei lì che speri,
poi stappi il tuo vino,
saluti tutti e bevi...
Ma ogni sera vuol dire morire,
vuol dire godere,
vuol dire rischiare,
ma come si fa?
Come si fa?»

02/09/15

Slipknot, corpi e incubi



“Ciao”
La donna lo guarda e sorride. Seduta, completamente nuda, sul bordo del letto ha sulle ginocchia un taccuino aperto percorso da linee e ghirigori.  Nella mano destra una penna e tra i capelli un fiore. Michele la osserva ma non ne è sorpreso. Sa di conoscere bene quel corpo. Di chiunque essa sia. 
Anche lui è nudo e mostra una evidente erezione. “Dovrei coprirmi” pensa, ma non riesce a muoversi come se ogni gesto gli costasse inutile fatica. Anche le parole non escono dalla sua bocca, si limita a salutarla muovendo gli occhi.
“Non ti preoccupare, passerà. E’ normale trovarsi così, senza nessuna possibilità di movimento. E’ il nostro corpo che prende il sopravvento, che si ribella al suo presunto padrone. E’ semplice. Quasi banale. Non pensi?”
La donna si ferma e lo guarda. Incrocia i suoi occhi, carezza dolcemente il suo corpo. 
“Cosa ti eccita? Il mio essere nuda? Gli occhi? Le mie labbra? Il corpo non si pone queste sciocche domande. Non credi anche tu?”
Michele sposta gli occhi a negare ma non può fare a meno di pensare che sì, sarebbe tutto più semplice se riuscisse almeno a calmare quell’erezione. La donna riprende a tracciare linee sul taccuino, ma con la sinistra inizia lentamente a masturbarlo fino a farlo venire.
“Ti è piaciuto? Ti è piaciuto Michele?”
La voce lentamente muta. Diviene più cupa, più maschile. Anche lei ora inizia ad apparirgli leggermente diversa. Quando si solleva mostrandosi completamente al suo sguardo Michele dapprima ne scopre le gambe villose, il pene enorme, poi ne risale con gli occhi il corpo fino a scoprirne il viso. E’ quello dello gnomo. E’ lo stesso di quell’uomo.
“Sorpreso?” gli chiede quello e nel farlo ride. Ha una risata fredda, studiata, falsa.
Michele inizia ad averne paura, ma non può far nulla per reagire se non continuare a cercare di parlare con gli occhi. Lo gnomo si sdraia sopra di lui e lentamente con tutto il corpo penetra nel suo. 
Michele ne sente prima il peso. Insopportabile. Angosciante. Poi inizia a perdere il controllo degli arti, del bacino, la testa è l’ultima a cedere prima di chiudere gli occhi, prima di risvegliarsi da quell’incubo.
Il sole è già alto. Michele fa partire la radio. C’è Vermillion Pt.2 degli Slipknot.


«She seemed dressed in all of me, stretched across my shame.
All the torment and the pain
Leaked through and covered me
I'd do anything to have her to myself
Just to have her for myself
Now I don't know what to do, I don't know what to do when she makes me sad.

She is everything to me
The unrequited dream
A song that no one sings
The unattainable, Shes a myth that I have to believe in
All I need to make it real is one more reason
I don't know what to do, I don't know what to do when she makes me sad.

But I won't let this build up inside of me
I won't let this build up inside of me
I won't let this build up inside of me
I won't let this build up inside of me

A catch in my throat choke
Torn into pieces
I won't, no!
I don't wanna be this...

But I won't let this build up inside of me
I won't let this build up inside of me
I won't let this build up inside of me
I won't let this build up inside of me

She isn't real
I can't make her real
She isn't real
I can't make her real »

01/09/15

Holiday, maledizioni e suicidi


Quando si sveglia ogni cosa gli appare circondata da una debole luce crepuscolare. Michele mette  Billie Holiday, torna a sdraiarsi e lascia che il buio lo avvolga.
Ascoltando Gloomy Sunday, l’ungherese maledetta, non può fare a meno di pensare al suo autore, al destino di quelle parole, alla loro fortuna.  Aveva conosciuto per caso quella storia e però ne era stato affascinato fino a ricercare il testo originale e la musica di Rezsö Seress, fino a indagare su quelle strani morti e sulle interpretazioni succedutesi nel tempo. Certo la voce della Holiday era di un altro pianeta e lui dopo pochi affanni aveva archiviato tutto pensando a quello che era l’Europa, il mondo intero in quel periodo.
Il giorno in cui si erano baciati con Giulia era anche quella una domenica. Avevano lasciato gli amici nel locale ed erano fuggiti fuori sotto una fitta pioggia. Lui ancora fumava e lei aveva voluto fargli compagnia. Avevano parlato e riso tutto il tempo quella sera. Lui appena usciti, sotto una corta tettoia di plastica battuta dal vento e dall’acqua, non aveva neppure fatto finta di prendere una sigaretta. Aveva invece messo le mani sui suoi fianchi baciandola timidamente. Quando aveva staccato le labbra dalle sue ne aveva trovato gli occhi. Illuminati, splendidi. Era allora che si era innamorato? Sono solo le nostre ricostruzioni a creare il passato? Dreaming, I was only dreaming I wake and I find you asleep In the deep of my heart here



«Sunday is gloomy,
My hours are slumberless
Dearest the shadows
I live with are numberless
Little white flowers
Will never awaken you
Not where the black coaches
Sorrow has taken you
Angels have no thoughts
Of ever returning you
Wouldn’t they be angry
If I thought of joining you?

Gloomy sunday

Gloomy is sunday,
With shadows I spend it all
My heart and I
Have decided to end it all
Soon there’ll be candles
And prayers that are said I know
But let them not weep
Let them know that I’m glad to go
Death is no dream
For in death I’m caressin’ you
With the last breath of my soul
I’ll be blessin’ you

Gloomy sunday

Dreaming, I was only dreaming
I wake and I find you asleep
In the deep of my heart here
Darling I hope
That my dream never haunted you
My heart is tellin’ you
How much I wanted you
Gloomy sunday» 
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