Cerca nel blog

31/12/12

30/12/12

24/12/12

16/12/12

"Le ultime volontà di B. BRECHT"


Vorrei che Helli predisponesse quanto segue:
1) che la morte sia accertata,
2) che la bara sia di acciaio o ferro,
3) che la bara non sia esposta aperta,
4) che, se proprio deve essere esposta, lo sia nella sala delle prove,
5) che non si parli né di fronte alla bara né di fronte alla tomba, al più si legga la poesia A coloro che verranno,
6) che la veglia funebre, se la si desidera, sia tenuta solo da attori,
7) che non si suoni nessuna musica,
8) che la tomba venga posta nel giardino di Buckow o nel cimitero vicino al mio appartamento nella  Chausseestraße e che rechi solo il nome Brecht su una pietra.
Grazie, Helli!
brecht
novembre 1953
Berlino

Di seguito il testo originale del testamento di BB:

Ich bitte Helli, folgendes zu veranlassen:
1) daß der Tod sichergestellt wird,
2) daß der Sarg aus Stahl oder Eisen ist,
3) daß der Sarg nicht offen ausgestellt wird,
4) daß er, wenn er ausgestellt werden soll, im Probenhaus ausgestellt wird,
5) daß weder am Sarg noch am Grab gesprochen, höchstens das Gedicht An die Nachgeborenen verlesen wird,
6) daß die Totenwache, wenn eine solche gewünscht wird, nur von Schauspielern gehalten wird,
7) daß keine Musik gespielt wird,
8) daß das Grab im Garten in Buckow oder im Friedhof neben meiner Wohnung in der Chausseestraße liegt und nur den Namen Brecht auf einem Stein hat.
Danke, Helli!
brecht
November 1953
Berlin
Fonte: CESIM - Centro Studi e Iniziative di Marineo

09/12/12

Medicine


Ecco a mia mi piaci cuntari i cosi e se non lo facissi di certo mi sintissi male e alli voti però capita che è accussì e spesso lo so perchè succede e altre no invece che so solo che improvvisamente avissi sulu vogghia di chiuririmi nella mia stanzuzza e assittarimi cullocchi chiusi a non fari nenti. E poi certo non la fazzu questa cosa che la vita è quello che è e uno non può decidere di arritirarisi mancu su fa leremita in mezzo ai boschi.
Ecco dicevo a volte non lo so di come mi sento ed è come se un robotti come quello dei giocattoli si muvissi al posto mio e tutte le azioni e tutte le cose in realtà non fussi io a farle ma quello con i suoi passetti ridicoli e le parole ca nesciuno a scatti comu i pinseri.
Amato quando ce le cuntavo queste cose diceva che questa si chiamava depressione e che limportante era solo di non considerarla a quella cosa tinta che allora uno poteva anche finire male. E se io ci chiedevo una medicina per farmela passare lui marrispunneva che non ce laveva la ricetta e che lunica cosa poteva essere lamore che a volte questo funzionava.
Io certo non lo sapevo se potevo fidarmi di unu che scriveva poesie ma però non ci potevo dare torto che quando ti arriva una fimmina nella vita ti cangia tutto e questo lo potevo dire che era vero. Insomma Amato diceva che lui per fare passare questi momenti ciavevano detto di scrivere e lui laveva iniziata a fare questa cosa e cera anche piaciuta assai che da quel momento i problemi veri erano quanto non aveva vogghia di fare nemmeno quello.
Io invece non ce la faccio a scrivere. Cioè u sacciu cosa è una pinna e un fogghiu e quattro minchiate alleggiu alleggiu li so mettere in fila macari ca su tutti storti e niuri ma scrivere lo so che non è questo.
Io pozzu cuntari storie e viriri la gente nella faccia e immaginare cose che non ho visto e ridere delle minchiate e farimi scappari na lacrima macari o un pirutu che tutte queste cose fanno parte delluomo.
Io non li so mettere dentro alla carta le cose che penso. E poi le cose che cuntu iu non celanno una fine che forse non sono capace io ma forse è che la vita è accussi. Che le cose iniziano da cose che sono già iniziate e poi diventano altre cose che una fine non ce lhanno. Mai.

Fonte immagine: Fabio D'Angelo

05/12/12

03/12/12

01/12/12

Telephone Surveys


Io è che sono contento quando mi telefonano quelli che poi mi fanno le domande.
Io ce lo dico prima appena alzo la cornetta che loro non hanno il tempo di dire pio:
"Taliassi che io non cinnaiu soddi. Pecciò se mi deve vendere qualche cosa può chiudere che tanto non ci pigghia nenti"
Molte volte non mi capiscono che mi dicono:
"Cosa? Può ripetere per favore?" ma quasi tutti poi ci arrivano subito che quelli che vanno avanti sono pochi e io nel frattempo li ho lasciati parlare che anche loro hanno bisogno.
Insomma a mia mi piace quannu invece ci sono le indagini i sondaggi che mi fanno mille domande che io la maggior parte delle volte non ci capisco molto però mi informo e loro mi spiegano e ripetono tante volte che accussì sacciu le ultime novità: i partiti ca nasciunu la gente che diventa importante e i programmi della televisione o della radio e i viaggi e le partite e anche le cose che la gente mangia oppure accatta per la famigghia.
A volte non mi vogliono che non ciò letà giusta oppure cercano una fimmina però credo che loro lo sentono che mi dispiace che subito dopo mi arriva quasi sempre una seconda telefonata che io penso che di sicuro loro cianno chiesto a qualche loro collega di chiamarmi. E io ci voglio bene per questo.

Fonte immagine: Aldo Bahamonde

29/11/12

«Dimmi come ti chiami e ti dirò chi sei»

https://mail-attachment.googleusercontent.com/attachment/u/0/?ui=2&ik=117baf2802&view=att&th=13b4c64c109b180f&attid=0.1&disp=inline&safe=1&zw&saduie=AG9B_P-n8s1nGBrr_Dq-PUw1uNAd&sadet=1354219014694&sads=XIbB44tava4vcxinOcqcob6Elvs

Se tutti abbiamo un nome, vuol dire che, davanti al Nome, siamo tutti uguali? Nemmeno per sogno!
 I nomi classificano e identificano, i nomi discriminano, i nomi raccontano, dicono chi sei e da dove vieni.
«*Dimmi come ti chiami e ti dirò chi sei*» è il titolo provocatorio per una riflessione collettiva sull'onomastica personale.
Nel corso dell'incontro si analizzeranno le diverse forme della denominazione personale e la loro reciproca articolazione, si parlerà della nascita e della formazione dei cognomi, si discuterà di come cambiano i nomi propri in relazione al sesso dei neonati ed in relazione alle condizioni sociali, culturali ed economiche dei genitori.
Si vedrà in che modo le vicende culturali e religiose influenzano i nomi ed in che modo tradizione ed innovazione intervengono sul patrimonio simbolico.
La nostra identità si costruisce nella differenza rispetto agli altri.
Un modo, un altro ancora, se ce ne fosse bisogno, per capire che rifiutare l'omologazione culturale e accogliere la diversità non è “buono”, ma necessario. E che le radici più profonde dell'uguaglianza stanno nel riconoscere il diverso come un altro se stesso.
L'incontro si terrà mercoledì 5 dicembre alle ore 18.00, presso il Teatro Coppola - Teatro dei cittadini, via del Vecchio Bastione 9, Catania.

21/11/12

"Posso credere solo in un dio danzante"


Nei minuti che c'erano stati prima, nelle ore, nei giorni, nelle settimane che c'erano state prima, nei mesi, negli anni, nei secoli che c'erano stati prima fummo solo un refolo di vento.
Nei minuti che c'erano stati prima, nelle ore, nei giorni, nelle settimane che c'erano state prima, nei mesi, negli anni, nei secoli che c'erano stati prima incontrammo la terra e l'acqua incontrammo e divenimmo corpo, fuoco nei minuti che c'erano stati prima, nelle ore, nei giorni, nelle settimane che c'erano state prima, nei mesi, negli anni, nei secoli che c'erano stati prima.
Nei minuti che c'erano stati prima, nelle ore, nei giorni, nelle settimane che c'erano state prima, nei mesi, negli anni, nei secoli che c'erano stati prima morimmo milioni di volte e milioni di volte rinascemmo, per ricordare e dimenticare tutto ciò che era avvenuto, che avevamo sognato, che avevamo solo vissuto nei minuti che c'erano stati prima, nelle ore, nei giorni, nelle settimane che c'erano state prima, nei mesi, negli anni, nei secoli che c'erano stati prima.

Fonte Immagine: "La Dance" (1910), Henri Matisse, Hermitage Museum.

16/11/12

13/11/12

Anemoni

I bimbi contenti mi donano fiori;
sorrido,
lo faccio sempre in questi giorni d'autunno.
Silente apro le mani ed accetto,
contento,
quel dono d'affetto, sicuro 
di vederli di lì a poco tornare
ai loro giochi, all'eterna allegria.
Immobile, poi,
 rimango in preghiera ad attendere l'ora.
"I fiori, sapete, se soffi volano via"
mi piacerebbe sussurrare
"e non puoi neanche star lì a cercarli con gli occhi,
le dita,
perché hai imparato che ne soffriresti,
che in ogni caso,
in ogni caso non avranno più vita.
I fiori se soffi volano via, sapete..."
e vorrei continuare,
invece mi avvio,
mi stiro un po' stanco,
riprendo sostanza,
con fare deciso li chiamo:
"Ragazzi è tardi, forse è meglio rientrare."

11/11/12

29/10/12

Quello di Genova


Alla radio e alla televisione dicono che ha vinto quello di Genova. Il comico nuotatore. Io non lo so come andrà a finire che poi ormai sono emigrante e non putissi mancu parrari. Però so solo che come sempre arrivunu nella mia terra e fanno le rivoluzioni. Rivoluzioni di cartapesta. Che tutto abbrucia e scalda subito prima che il gelo prende per anni e anni.  Quelle rivoluzioni che ci sono sempre state che qualcuna lho vista anch'io. Che se le rivoluzioni fossero vere allora sarebbe un guaio serio per chi comanda.
E' accussì da sempre. Io sarò ignorante ma ammia me le hanno raccontate le cose i nanni e con la loro voce i nanni dei nanni.
Io lo so che quando arrivo Garibaldi che tutto doveva cambiare i siciliani ci provarono a prenderlo sul serio a quelluomo. Fu accussì che a Bronte pigghianu le pallottole dei liberatori e gli alberi furono chini di vuci.
Poi ci furono i fasci che tutti quelli delle campagne non ne potevano chiù e pensavano "Pigghiamula questa terra. Che è nostra. Che noi ci lavoriamo!" E allora arrivanu le cannonate che quello era socialismo e di socialismo in Italia non si doveva parlare.
Dopo lultima guerra che nella prima senera andata una generazione e prima e dopo ne era emigrata unaltra tutto pareva diverso. Aveva vinto la libertà dicevano lamericani. Solo che i puvirazzi e i sindacalisti forse non lo sapevano. Che a loro ci toccava ancora morte e miseria più di prima.  Fu accussì che tutto si sistemò per tanti anni.
Quando arrivò il mafioso di Milano tutti erano lì a sognare di diventare ricchi che quello era uno di successo e locchi non virevano e il cuore non sentiva. Insomma chistu puttava i soddi. Chivvaleva soffrire per i propri diritti?
Oggi cè il nuovo liberatore. Il messia di giornata. E tutto diventerà pulito. E tutto sarà scordato.
No sacciu come finirà che ora è ancora presto ma forse ci sarà un giorno per questo popolo. Un giorno in cui ci si accorgerà che è megghiu moriri ca ristari incatenati. Un giorno dove locchi saranno liberi e le orecchie e la bocca e le mani e i pinseri soprattutto. E il cuore.    

21/10/12

Plaisir d'amour

 
 
E lunghe ore a ingannarci così
a dire lui e lei,  sempre gli altri
e i palliativi son sempre tanti
per non ammettere che siamo qui.
E Charlie Brown e Mafalda e la scuola
storie un pò vere a volte inventate
nei pomeriggi d'inverno e d'estate
di strani voli su di una parola.
Quando cantavo Plaisir D'amour
tu mi guardavi e ridevi più forte
non lo capivi che ti facevo la corte
o forse capivi e la furba eri tu
e mi hai sospeso su un filo di lana
e mi ci terrai ancora per molto
giovane amore, fiore non colto
o forse sì; ma da un'altra mano.
E chi lo sa se anche tu mi vuoi bene
a volte credo di esserne certo
a volte invece sembra tutto uno scherzo
fuggono gli occhi come falene
amica mia sorella speranza
quello che vuoi io non ti dirò
quelle voglio io non sentirò
quello che c'è dietro l'indifferenza.
E tutto è morto e tutto è ancor vivo
e solamente tutto è cambiato
quello che provo l'ho sempre provato
e credo ancora in ciò in cui credevo
e il fiocco nero è l'unica cosa
che mi è rimasta con la malinconia
ma insieme a questa stanca anarchia
vorrei anche te, amica mia.
Ma dimmi tu non è meglio così?
Immaginare ed illudersi sempre
qui ad aspettare qualcosa o niente
qui ad aspettare un no o un si
che in ogni caso sarebbero fine
di tutto questo che almeno è un ricordo
così studiato giorno per giorno
fatto di tanti cristalli di brina.
 
Brano tratto da  Il lungo addio, albo n. 74 della serie a fumetti Dylan Dog, ideata da Tiziano Sclavi ed edito dalla Sergio Bonelli Editore. L'albo è uscito in edicola nel novembre 1992, scritto da Mauro Marcheselli (soggetto) e Tiziano Sclavi (sceneggiatura), disegnato da Carlo Ambrosini, con copertina di Angelo Stano.

18/10/12

Sylvia Kristel (Utrecht 28-09-1952 – Parigi 17-10-2012)



Oggi mossi Emmanuelle. Lho sentito alla radio che diceva che si chiamava Silvia e che era olandese anche se per me io lho sempre saputo il suo nome e che era francisi.
Insomma questa signora ca mossi ciaveva sessantanni e un cancro alla gola anche ma ammia mi scappau una lacrimuzza come se fosse stata una mia parente o una che conoscevo veramente.
Il fatto è che io quel manifesto dove cera lei assittata che era il suo primo filmi io quel manifesto me lo sognavo la notte e immaginavo cose che mi inventavo nella mia testa che tutti me lo dicevano che quella era una fimmina speciale.
Io a quel tempo ero ancora nicuzzo che mi accontentavo di cercare le mutande delle modelle che cerano sopra a Postalmarket oppure di leggere le storie in bianco e nero di Isabella e di Iolanda con gli amici dopo la partita di pallone. Epperò quella era una fimmina viva e la curiosità era tanta.
Insomma sognavo di taliarmelo questo filmi e poi dopo quando accuminciano le trasmissioni alla televisione che di notte uno doveva girare i canali per due minne a nura o una doccia della Fenech per un sacco di tempo ci sperai di vederlo veramente ma non ci fu fortuna e accussì me lo scordai dopo un po' di tempo che già ciavevo le prime fidanzatine e le mani che avvulavano mentre ora invece passau tanto tempo e sugnu vicinu ai sessantanni macari iu ormai.

14/10/12

Gli altri inverni

Hai tardato ad arrivare,
non fosse stata la geografia
sarebbe stato il censo
a dividerci
o altra inutile parola:
finchè gli dei non avessero deciso.


Ogni carezza, ogni pensiero
diviene, tra noi, necessaria
fobia.
Non due volte 
nello stesso fiume, 
ma neppure una volta sola.


In questo diradarci
è l'istante che verrà,
è il pungente
profumo dell'assenza,
l'unico possibile oggi.

12/10/12

"Le 24 ore settimanali: sfogo insolitamente lungo" di Anna Rita Vizzari

In genere non scrivo qua articoli di opinione o perorazioni: segnalo le risorse tecnologiche in modo rapido e stop. Ma ieri ci hanno ventilato - come soluzione ai mali dell'Italia - la reificazione di un timore e voglio parlarne.
La proposta è quella di portare da 18 a 24 l'orario di lezione settimanale degli insegnanti della scuola secondaria (di primo e di secondo grado). Ovviamente il peso morto da tagliare è costituito come sempre dagli insegnanti... chissà che cosa ne direbbe Freud.
Parliamo delle ore settimanali di un insegnante della secondaria.
Attualmente, un docente della scuola secondaria fa, in classe, 18 ore. Sottolineo: in classe.
Poi ci sono le ore degli incontri pomeridiani: consigli di classe, collegi docenti, riunioni di dipartimento, GLH, colloqui con i genitori et alia.
E infine c'è il lavoro sommerso effettuato a casa.
Suddetto lavoro sommerso ha le seguenti caratteristiche:
- un ambiente della casa adibito a studio piuttosto che ad altro (che so, camera per gli ospiti),
- un computer acquistato privatamente, senza possibilità di scaricarlo come fanno i professionisti,
- uso di stampante, carta e inchiostro di casa,
- uso della corrente domestica,
- utilizzo della connessione domestica.
Un lavoro svolto circondati da familiari (consorti e figli) che non riescono a capacitarsi che il loro caro ci sia e allo stesso tempo non ci sia. Come si può lavorare nelle ore che invece dovrebbero essere dedicate alla vita privata? Ma non è tempo libero, dico sempre ai miei cari, sono ore che per me è doveroso dedicare alla scuola.
Per questo ho sempre detto: 18 ore settimanali (più riunioni pomeridiane) vi sembrano poche? Bene, fatecene fare altre 20 a scuola per lavori d'ufficio, poiché di pomeriggio noi siamo tenuti a svolgere svariati lavori a casa:
- redazione di programmazioni e relazioni,
- predisposizione dei materiali,
- preparazione e correzione delle verifiche scritte,
- comunicazioni epistolar-telematiche con gli alunni per sempre più diffusi progetti tecnologici particolari,
- doveroso aggiornamento contenutistico e metodologico.
Ho detto lavori d'ufficio, non di classe.
Ossia, dateci un ufficio - tecnologicamente attrezzato - a scuola.
Non basta la sala professori, quello stanzino con una decina di sedie e senza la minima strumentazione. Intendo un ufficio ogni 3-4 professori, come avviene per qualsiasi altro impiegato della pubblica amministrazione.
Fa comodo non darci quelle ore, vero? Fa comodo che connessione, stampe e fotocopie le facciamo direttamente da casa, con scontrini e bollette a nostro carico. Il mancato riconoscimento delle ore extra dell'insegnante significa far risparmiare allo Stato cifre insospettabili.

Tra la laurea e il concorso a cattedre ordinario ho lavorato in un ipermercato come cassiera part-time. Facevo 24 ore settimanali, poi passate a 23 con lo stesso stipendio (un gradito regalo). Un lavoro massacrante (provate ad avere a che fare con clienti inferociti per cose che non dipendono da voi), tanto che quando ci spaccavamo la schiena per caricare scatoloni dal magazzino ci rilassavamo perché con la mente potevamo dedicarci ad altro. Era un lavoro inadeguato per una laureata, ma tornavo a casa e staccavo totalmente.
Con la scuola questo non avviene, non si stacca mai. Uno non fa l'insegnante, uno è insegnante. Per questo anche a distanza di decenni gli ex alunni ci chiamano ancora "Prof.".
Come mamma insegnante posso dire che il meglio dal punto di vista educativo lo riservo ai miei alunni, perché quando torno a casa ho bisogno del mio angolo di silenzio (dopo ore e ore in classi sempre più numerose), per cui con mio figlio che mi cerca perdo subito la pazienza che invece in classe mantengo fino allo spasimo.
E ricordo che mia madre, anche lei prof. di Lettere alle "medie", quando tornava a casa veniva assalita da noi figlie che ci sentivamo rispondere "Lasciatemi sola, mi rintrona la testa, ho bisogno di silenzio".
Facendo 24 ore settimanali inevitabilmente si ridurrebbero il tempo e l'energia da dedicare al lavoro sommerso (quello svolto a casa a nostre spese) per preparare materiali, correggere verifiche e tutto quello che ho elencato sopra. Perché, se lo Stato ci considera dei pesi morti che fanno lo stretto indispensabile, io inizio a fare lo stretto indispensabile, a livello di tempo domestico e anche di impiego di materiali acquistati personalmente. Questo giova alla qualità della formazione dei ragazzi?
Parliamo anche delle 24 ore in cui abbiamo la totale responsabilità su una trentina di minorenni, che non si possono assolutamente lasciare soli neppure per le motivazioni più sacrosante come l'andare in bagno per un bisogno fisiologico impellente o per cambiare il Tampax (un'insegnante può dire "Tampax" o deve dare l'idea del robot asessuato?). Non esistono necessità fisiologiche da assecondare: l'insegnante non può abbandonare la classe per cose così frivole come andare alla toilette. Un tempo si contava sui collaboratori, ma con i tagli inferti anche a quella categoria dobbiamo imparare a trattenere all'inverosimile.
E la qualità della didattica? La personalizzazione dei percorsi?
Ah però c'è lo spauracchio della valutazione Invalsi. Dobbiamo lavorare in funzione di quello... quindi quelle 24 ore settimanali le dedicheremo soltanto all'addestramento Invalsi, per avere capra e cavoli?
Sono stata farraginosa e incompleta, ma dovevo sfogarmi ed esprimere il mio punto di vista di insegnante appassionata prima di entrare a scuola. Perché oggi, a scuola, entro alle 10, con buona pace di chi odia la mia categoria.
FONTE: Una lavagnata al giorno

Oilproject

Oilproject è una scuola gratuita online gestita da studenti. Migliaia di video, testi ed esercizi sulle materie più disparate.
Chiunque può proporre contenuti. Il sogno è che entro dieci anni tutte le lezioni tenute nelle scuole e nelle università pubbliche vengano condivise online a beneficio, ad esempio, di chi vive in zone con una scarsa offerta didattica, combattendo così il digital divide culturale italiano. La qualità delle lezioni è giudicata dal pubblico attraverso votazioni e meccanismi di valutazione fra pari.
Oilproject, con più di 250.000 italiani che nell'ultimo anno hanno guardato almeno una lezione, è la più grande scuola online in Italia.

Il manifesto

La scuola che sogniamo noi non costa nulla.
Puoi entrarci sia da Torino, sia da Enna. Anche alle tre del mattino.
È una scuola che corre alla tua velocità perché sei tu a decidere di cosa parlare. A rispondere alle domande non sono solo i docenti, ma anche i compagni di banco.
Nella scuola che abbiamo in mente noi non contano i titoli di studio: chiunque può insegnare se in tanti lo vogliono ascoltare.
La nostra scuola è una condizione mentale. È una creatura in divenire.
La nostra scuola è di tutti.

La comunità

Nel 2004 un gruppo di ragazzi si incontra in un forum online di tecnologia. Ad uno mancano i soldi per iscriversi a un corso di programmazione in una scuola milanese, un altro non vede l'ora di insegnare a usare programmi di fotoritocco, un terzo è esperto di sistemi Linux, l'ultimo crea siti web. E allora decidono di farsi da soli una scuola non convenzionale in cui ognuno, semplicemente, può raccontare quello che sa a chi lo vuol star ad ascoltare.
La comunità è composta da migliaia di utenti di tutte le età decisi a condividere le proprie conoscenze e imparare dalle esperienze altrui sfruttando le tecnologie più dinamiche. I docenti di una lezione sono anche gli studenti di un'altra: non c'è netta distinzione tra chi insegna e chi impara. Chiunque può rivolgere domande in diretta web e votare quelle altrui.
Oggi gli insegnanti hanno dai 14 ai 75 anni. A volte sono perfetti sconosciuti, a volte sono intellettuali, imprenditori, esponenti politici, scrittori o scienziati. Tutti uniti per sperimentare la formula del Liberi di imparare, liberi di insegnare.
Ed è con questo spirito che ogni sera centinaia di utenti accedono alle lezioni, si scambiano dritte e consigli, scherzano, imparano ed a volte vengono richiamati all'ordine se troppo esuberanti.

09/10/12

Guerrieri del caos


ORE 05.17
L'Oulerio ha sfraccato il centrale. Non era mai successo! Ho subito cercato di dare la notizia al Commodoro, ma le comunicazioni si erano stranamente interrotte proprio nell'esatto momento dell'evento. Non so se ci sia una correlazione tra le due cose, anche se lo ritengo altamente probabile. Era una reazione attesa da molti. Io personalmente non credevo potesse succedere. Ho cercato nella cassetta degli attrezzi di Carla, pensavo di aver capito l'origine del guasto, ma non ho trovato altro che un dissalatore e la morsa di plastica del bimbo dei vicini.

ORE 07.21
Da più di due ore avverto una strana sensazione di vomito. Un'ora fa ho preparato la colazione per gli altri e preso una tazza di caffè. Esco per andare a lavoro senza aver potuto condividere la mia emozione. Le linee sono ancora mute e l'Oulerio ha ceduto parte della sua massa atomica.

ORE 11.43
I colleghi mi sono sembrati strani. In effetti oggi erano improvvisamente tutti calvi, anche le donne, anche le chiome più belle erano scomparse sostituite da fazzoletti di tela, di cotone, di seta. Però nessuno sembrava lamentarsene, anzi... mi sorridevano tutti come si sorride a un'alba.
"Buongiorno" ho detto loro, e poi mi sono rinchiuso nella mia cella. Speravo di poter comunicare dal mio gate di emergenza, di sentire qualcuno, di parlare.

ORE 12.05
Tutti i miei tentativi si sono rivelati infruttuosi, mi sento sempre più senza forze. Carla mi ha chiamato per chiedermi se mi andava di andare al cinema stasera. Ho risposto di sì e poi messo giù la cornetta, quindi ho chiuso gli occhi.
Quando li ho riaperti tutto aveva iniziato a liquefarsi.

ORE 15.01
Questo è il mio ultimo messaggio prima di abbandonare l'ufficio. Sono scomparsi tutti.   

ORE 17.55

Lo fisso da ore. L'Oulerio pare possedere forma umana. Forse è solo una mia fantasia, forse non sono pronto.

ORE 17.55
E' arrivato un segnale. Il Commodoro, finalmente. Lui sa, lui mi dirà ogni cosa! L'Oulerio ha ripreso massicciamente la propria attività. Lo sento nei miei pensieri, dentro il mio corpo.

ORE 18.


Questo racconto partecipa all'EDS 27 spousev paura! proposto da LaDonnaCamèl, insieme a:
0.10.35 - MaiMaturo
Vite malatelillina
WonderwallLa linea d'Hombre
Il collegaPendolante
La guardiana di ocheMelusina
CimiciHombre
Morgue - Melusina
Il prescelto - MaiMaturo
Gatto neroLaDonnaCamèl
Racconto banale
Pendolante


Fonte immagine:   http://theowlbear.blogspot.it/

01/10/12

Eric Hobsbawm (Alessandria d'Egitto, 9 Giugno 1917 – Londra, 1 Ottobre 2012)

Per chi, come chi scrive, ha cominciato a riflettere sulla storia, a pensare la storia e a pensare di fare della storia una professione avendo tra i propri riferimenti intellettuali principali quello di Eric Hobsbawm, lo storico britannico scomparso oggi a 95 anni, la morte di questi oggi a Londra lascia un senso di vuoto anche umano, oltre che scientifico e professionale.
Occidentale ma non occidentalista, aveva studiato l’Occidente nel tempo nel quale questo è stato al centro del mondo, motore del progresso, sociale, politico, tecnologico, economico. Irriducibilmente marxista e anti-colonialista aveva sempre percepito (anche nel suo lavoro sul Novecento come l’età degli estremi, tradotto solo in italiano come “secolo breve[1]”, il più noto ma non il più importante) la centralità di questo come un fenomeno storico, non un destino.
La storia per lui aveva continuato ad essere quella che aveva insegnato dalla fine degli anni ’40: una lotta tra il capitalismo e gli esclusi da questo. Una storiografia quella di Hobsbawm, che condivise con EP Thompson, Hill, Raymond Williams e altri storici marxisti, riconducibile alla cosiddetta “people’s history”, traducibile come “storia dal basso” nel contesto della “storia sociale”, che si imponeva in quegli anni come alternativa alla storiografia tradizionale e classista dei cosiddetti “grandi uomini”.
Contrariamente a quanto stanno battendo i giornali, ascrivendolo alla categoria di storico del Novecento, citando sempre e solo la sua opera più nota, Eric Hobsbawm è stato soprattutto un grande studioso dell’800. Aveva spiegato quello che per lui era il “lungo Ottocento”, dalla rivoluzione francese alla prima guerra mondiale, in una trilogia[2] ponderosa, tuttora illuminante nello spiegare la genesi della società di massa, del capitalismo moderno, dell’imperialismo, del nazionalismo e soprattutto il ruolo predominante della borghesia. Resta quello il suo contributo fondamentale, anche se l’individuazione del concetto di “invenzione della tradizione[3]” è tuttora chiave nel rinnovamento della storiografia contemporanea e nel demistificare i processi di costruzione della legittimità delle classi dirigenti e della storia ufficiale. In opinione di chi scrive è quello il più sovversivo dei contributi di Hobsbawm. Più sovversivo di quando ha scritto di banditi e rivoluzionari[4]. Bella penna, quella di Hobsbawm, preziosa per gli specialisti, illuminante e di piacevole leggibilità per il pubblico più vasto.
Di origine ebraica, come il suo coetaneo e omologo per prestigio e autorevolezza George Mosse, lasciò la Germania all’avvento del nazismo. Nato in Egitto poche settimane prima della Rivoluzione d’ottobre da padre inglese d’origine polacca e madre austriaca, dei quali rimase orfano ancora bambino, non aveva 14 anni ed era già iscritto al partito comunista.
In Gran Bretagna ebbe una lunga carriera accademica, tra Cambridge e il Birkbeck College di Londra, bloccata però per ben 23 anni al gradino iniziale di “lecturer”. Fin dal dottorato lavorò sulle origini della storia del movimento operaio. Militò tutta la vita nel piccolo partito comunista britannico nel quale rimase fino all’89. Non eluse le polemiche sul ruolo e sui crimini dell’URSS ma non soddisfece mai i suoi detrattori che avrebbero preteso abiure complete. Negli anni ’70 si schierò sulla linea degli eurocomunisti e resta celebre la sua intervista del 1977 a Giorgio Napolitano.
Già padre nobile della sinistra intellettuale britannica dopo l’89, nella notte oscura del thatcherismo provò disperatamente a tenere il partito laburista ancorato alla sua storia socialdemocratica. Appoggiò Neil Kinnock, del quale era uno dei principali consiglieri, ma fu infine sopraffatto dalla liquidazione totale blairiana. Memorabile fu la sua critica di Ronald Reagan e del reaganismo. La sua vita sarebbe però stata ancora lunga e continuò fino all’ultimo ad essere –insolito per un marxista- uno degli intellettuali britannici più ascoltati e riconosciuti. Non ho mai conosciuto personalmente l’autore de Il trionfo della borghesia (dovendo sceglierne solo uno non avrei dubbi) ma, tra i grandi storici del XX secolo, è sicuramente con lui che mi sarebbe piaciuto sedere al caminetto a discutere di rivoluzioni e capitalismo, borghesia e socialismo, colonialismo e imperi.


[1] The Age of Extremes: the short twentieth century, 1914–1991, Londra, Michel Joseph, 1994 (ed. it. Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995).
[2] The Age of Revolution: Europe 1789–1848, Londra, Abacus, 1962; The Age of Capital: 1848-1875, Londra, W&N, 1975; The Age of Empire: 1875–1914, Londra, W&N, 1987. In italiano: Le rivoluzioni borghesi. 1789-1848, Milano, Il Saggiatore, 1963; Il trionfo della borghesia. 1848-1875, Roma-Bari, Laterza, 1976; L’Età degli imperi. 1875-1914, Roma-Bari, Laterza, 1987.
[3] E. Hobsbawm, TO Rangers (Eds), The invention of tradition, New York, Cambridge University Press, 1983.
[4] Bandits, Londra, W&N, 1973; Revolutionaries: Contemporary Essays, Londra, W&N, 1973.
FONTE: Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it

30/09/12

28mila scuole in zone a rischio sismico


In Italia 27.920 edifici scolastici sono in aree potenzialmente a elevato rischio sismico. L’allarme arriva dal Consiglio nazionale dei geologi, Cng, che cita i risultati del recente studio condotto dal proprio centro studi su dati Cresme, Istat e Protezione Civile.
Ben 4.856 tra questi istituti si trovano in Sicilia, 4.608 in Campania, 3.130 in Calabria, 2.864 in Toscana e 2.521 nel Lazio. Per quanto concerne il rischio idrogeologico, cambia la graduatoria: gli edifici in aree “a rischio potenziale elevato” sono 6.122 totali, di cui 994 in Campania (il 19% del totale), 815 in Emilia Romagna (18%) e 629 in Lombardia (16%). Inoltre, come si evince anche da un rapporto di Legambiente, “molte di queste scuole sono state costruite prima del 1974, anno in cui sono entrate in vigore le norme antisismiche, e addirittura alcuni edifici sono stati costruiti prima del 1900”, afferma Gian Vito Graziano, presidente dei geologi italiani.
“Molti edifici scolastici necessiterebbero di manutenzione urgente - avverte Graziano - , e in particolare il sud e le isole hanno un patrimonio edilizio scolastico vecchio. In alcuni casi abbiamo edifici che inizialmente erano nati come abitazioni o come caserme e quasi una scuola su due non ha il certificato di agibilità. Oggi rileviamo una accresciuta attenzione nei confronti della sicurezza delle scuole, anche da parte del governo nazionale, che si sta sforzando di reperire le somme necessarie agli interventi, ma occorre anche un approccio programmato che modifichi il quadro complessivo”.
Fonte: http://www.comunivirtuosi.org

29/09/12

"Noi che ci piace scrivere" di Many

Sto cercando di scrivere una cosa per un posto che poi, se finisco di scrivere quella cosa, vi dirò che posto è. Dato che è un posto che pubblica cose particolari, ho chiesto se per caso ci fossero delle linee guida da seguire, per la cosa che sto cercando di scrivere, e la titolare del posto, che poi vi dirò che posto è se finisco di scrivere, mi ha detto così: venire a suggerire a te come scrivere mi sembrerebbe un paradosso. Ecco, a parte il complimento, che mi fa piacere e ringrazio di cuore anche se non credo di esser così bravo da dovermi prendere un complimento del genere senza spendere un euro, ma siamo brave persone e delle volte esageriamo, ma a parte il complimento, dicevo, secondo me dei paletti ci devono sempre essere, per noi che ci piace scrivere. Perché noi che ci piace scrivere, che lo si faccia bene o meno non importa, i paletti li malediciamo, ma in una parte che nascondiamo agli occhi altrui noi che ci piace scrivere i paletti li adoriamo. Quindi, per favore, piazzate dei paletti sul nostro cammino, quando noi che ci piace scrivere vi proponiamo un pezzo o voi che vi piace leggerci ce ne commissionate uno, ché quando ci troviamo davanti a un paletto, noi che ci piace scrivere diventiamo matti, e allora delle volte siamo disonesti e cerchiamo tutti i modi che conosciamo per farci lo slalom, ma delle altre volte, se siamo onesti, davvero onesti, mettiamo il paletto al centro dello sguardo, aumentiamo ben bene la velocità, e ci andiamo a sbattere contro. Nel nostro stato di grazia, quelle due o tre volte nella vita in cui ci capita, sui paletti andiamo a sbatterci davvero forte. Ci sbattiamo di schianto, col sorriso stampato, e nel fragore del legno che si spacca, con un suono gutturale di vittoria, li tiriamo giù

Fonte: http://barabba-log.blogspot.it

23/09/12

19/09/12

"Cutulisci" il corto



Quannu ancora non è iniziata la stagione che nelle spiagge cè solo il rumore di quelli che montano le cabine o puliziano la rina mi piace assittarimi supra a qualche bella pietra larga e passari il tempo a non fari nenti. Taliu il mare e le onde addiventunu pinseri arraccamati e luntano lazzurro non ciavi nè fine nè inizio. Possono passari minuti oppure ore accussì che uno non se ne accorge oppure dipende dai pinseri che il tempo non è mai lo stesso.
Quasi sempre mentre faccio la strada per il mare dò una occhiata in giro a cercare cutulisci da mittirimi nella sacchetta. Quelle giuste che per rimbalzare bene nellacqua non devono essere troppo leggere e mancu pisanti però e piatte e soprattutto esatti da tiniri nella mano. A tirari pettri ci vuole esperienza e culu macari che è sempre accussì nella vita. Io mi ci passo il tempo e certe volte ci rifletto macari che ogni scusa è bona per una fantasia su cè a vogghia.

Oggi per esempio il primo lancio è andato che la pettra ha fatto un salto bello iautu e lungo e poi è affondata di colpo. Ammia mi passau subito nella testa Armando u chianchieri. Anche lui aveva trovato la botta di culo dellangolazione giusta. Del rimbalzo perfetto. Si chiamava Patti questa fortuna e non era una gran bellezza ma figghia unica e abbastanza ricca. U giustu pi maritarisilla. Subito Armando grazie al suocero sera iammato una macelleria che quello era stato fin da nico il suo mestiere ma per quanto ci lavorasse volentieri spesso ci capitava che per la stanchizza saddumisceva dietro al bancone che nemmeno se ne accorgeva. Patti stava alla cassa e poi sarritirava a casa a pulizziari che non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno ca figghi non ne erano spuntati. Nel giro di una decina di anni comunque Armando sava accattato i mura del negozio e poi tutto il palazzo fino al tetto. Fino al terrazzo. Lo hanno trovato là un giorno. Tisu tisu per colpa di un infarto.
La seconda pettra invece era frizzantina. Tanti saltelli leggeri e niciuli e qualche spruzzo di allegria. Non cerano dubbi. Quella era Annuzza con le sue risate e il suo culo a mannulinu.
Annuzza che sabbagnava leggera nellamore e non ci sprofondava però che lei lo sapeva senza saperlo come era pericoloso quel mare. Annuzza che faceva felice il mondo e pure lei era felice che forse proprio per questo funzionava. Quando lho persa di vista lo sapevo che non lavrei più trovata pecchè non ci vuole assai a calari o funnu e può essere scelta o casualità ma poi non si torna più indietro.
La più bella delle pettre però oggi è stata una perfetta che ho tirato così forte che non lho più vista e accussì non lo posso dire se è riuscita a saltare o è affondata oppure se lè ammuccata un pisci come a quelli delle favole. E quando mi sono seduto dopo averla tirata ho pensato che mi sarebbe piaciuto che quella fosse stata mia figghia. Scelta e crisciuta con tutte le attenzioni e poi lassata libera.
Splendida nella sua forma e nella mia fantasia.


ps Grazie a Delfo Zimbone...e a me frati :-)

17/09/12

a te ti

a te ti vorrei dire che ti amo
che te tu mi inzuccheri il mattino
come una brioche calda, come un panino
come ogni buona cosa che mangiamo

a te ti vorrei dire che ti voglio
che te tu non sai nemmeno quanto
o forse sì, quando mi stai accanto,
che questo però non si scrive su di un foglio

a te ti vorrei dire che ti sogno
che te tu sei per me in ogni cosa
nella merda, nella terra, nella rosa
e di pensare questo, oh no, non mi vergogno.

15/09/12

"Il capitalista furbetto " di Luca Massaro

Chissà perché Della Valle ha così aspramente criticato i vertici della Fiat, ossia Marchionne e il signor Elkann (John, credo, dato che Lapo porta le Tod's al naso). Non che non abbia ragione; di più: Della Valle ha ragionissima a dire che l'Italia è un
"Paese che alla Fiat ha dato tanto, tantissimo, sicuramente troppo. Pertanto non cerchino [Marchionne ed Elkann] nessun capro espiatorio, perché sarà solo loro la responsabilità di quello che faranno e di tutte le conseguenze che ne deriveranno. È bene comunque che questi “furbetti cosmopoliti” sappiano che gli imprenditori italiani seri, che vivono veramente di concorrenza e competitività, che rispettano i propri lavoratori e sono orgogliosi di essere italiani, non vogliono in nessun modo essere accomunati a persone come loro"
Uh, uh, qui l'offesa si fa pesante. Mi sa che in Fiat nessuno più calzerà le scarpe di Della Valle - né tantomeno Della Valle comprerà auto Fiat.
Comunque, questa sortita mi sembra nasconda qualcosa, anche se non so bene cosa, quali interessi, ma è chiaro che ci siano delle motivazioni che vanno aldilà del mero dato industriale. Cazzo gliene può fregare a Della Valle se la Fiat cerca di poppare ancora soldi allo Stato? A lui, personalmente, cosa gliene viene? A naso, direi che c'entri qualcosa circa il nuovo assetto azionario del Corriere della Sera (escludo in modo categorico qualcosa d'inerente il mondo del calcio).
Tuttavia, dall'estratto riportato della sopra scritta dichiarazione, la cosa che più mi ha suggestionato è che Diego Della Valle si è (forse non a torto) autoincensato di essere un imprenditore “serio” che vive “veramente di concorrenza e di competitività” e che “rispetta i propri lavoratori”, e che è orgoglioso di essere italiano. 
Bravo. Grazie. (Petrolini, Nerone).
E ci credo che i bravi capitalisti rispettano i lavoratori, giacché i lavoratori sono per i capitalisti garanzia d'essere.
«Il capitale presuppone dunque il lavoro salariato, il lavoro salariato presuppone il capitale. Essi si condizionano a vicenda; essi si generano a vicenda».
Un lavoratore della Tod's produce soltanto calzature?
«No, egli produce capitale. Egli produce valori che serviranno nuovamente a comandare il suo lavoro, per creare a mezzo di essi nuovi valori. 
Il capitale può accrescersi soltanto se si scambia con forza-lavoro, soltanto se produce lavoro salariato. La forza-lavoro del salariato si può scambiare con capitale soltanto a condizione di accrescere il capitale, di rafforzare il potere di cui è schiava».*
 *Karl Marx, Lavoro salariato e capitale, Editori Riuniti, Roma 1957, traduzione di Palmiro Togliatti.

Fonte: http://www.alterlucas.com

12/09/12

Gianni e Cettina

Quannu accuminciai a scinniri le scale cera una confusione come alla villa nei giorni di festa.
Io non li conoscevo a tutti quelli che incontravo che era solo un misi che mero trasferito nel palazzo. Vireva sulu un viavai di gente e confusione. E chianti. Vuci. Bestemmie. Quaccuno tineva ancora addumata la televisioni che ogni tanto si sinteva forte un verso come a quello di furiaacavallodeluest e quaccunaltro ammuttava il carrello del supermercato avanti e dietro nel pianerottolo. Io ciavevo poche cose.
Ammia la dentro mi ci aveva mandato Turi u scarparo che glielo aveva detto un amico.
"Gianni ma tu si ancora senza casa?"
"Sì" ci avevo risposto e allora lui mi aveva spiegato che dovevo farmi trovare alle due di notte allingresso della "chianca" che cosi lo chiamavano quel mostro mai finito.Dovevo essere puntuale però. La famigghia che ci stava prima sinnieva che il marito aveva trovato lavoro ed era un attimo che me la fottevano quelloccasione. Ammia la casa mi sivveva. Cettina non ce la faceva più di stare insieme a tutta la mia generazione. Certo lei ciandava daccordo con me patri e me matri e i me soru e i nonni ma due stanze per otto persone erano veramenti picca e noi dovevamo andare nella machina a fare i nostri cosi come a quando eravamo ziti.
Lascensore non cera che il palazzo di otto piani non lavevano mai completato però lacqua e la luce funzionavano che Don Ciccio Busacca il capo del quartiere aveva collegato tutto ai cavi e alle tubature dellazienda meglio che nelle ville dei signori.
Io ci resi cento euri a Turi che quello li diede a chi di dovere e accussi finalmente pinsai di avere risolto i miei problemi. Certo sette piani a peri non erano picca e in più a ogni pianerottolo uno ci doveva stare attento che sulu a pungirisi non si sapeva che malatie potevano venire.
Il fatto è che i piani serano divisi nel tempo come a tanti paisi. Cera quello dei zingari e quello dei niuri. Quello dei drogati e quello delle fuitine. Quello dei morti di fame e quello dei ricercati... io stavo in quello di chi non si poteva permettere di pavari i soddi dellaffitto che quello che ciavevo ci bastava sulu a mangiari e per la binzina e per qualche sigaretta da spattiri con Cettina. E comunque insomma ce lavevo fatta e poi non cera mancu tanta confusione anche se di notte ogni tanto sentivamo supra alla testa rumori strani.
Quannu astamatina arrivò la polizia non ci potevo credere. Io ci avevo piantato anche qualche quadro di quelli che ci sono nei negozi dei mobili e con Cettina avevamo acchianato i materassi nuovi che serano accattati i nonni per cuccarici.
Davanti allingresso cera una piccola montagna. Era la robba che a partire dal primo piano quelli del comune avevano abbiato fuori dalle finestre. Per un attimo pinsai che forse avevano intenzione di darici fuoco alla fine come nei falò di carnevale ma non ci fu il tempo di vedere se era vera la mia pensata.
Allimprovviso sintii un grande silenzio e tutte le facce girate verso le scale. Non ci potevo credere. Era bellissimo.Tutto lucido e pulito e scintillante come a Vanda Osirisi stava scinnennu nellandrone un cavaddu niuru come il carbone.
"E' u cavaddu di Saru". "Talia scinniu macari iddu!". "Telavevo detto che cera e tu non mi crirevi!".  Erano tante le voci. Io non menero mai accorto e poi di sicuro u scinnevunu a matina presto quando io e Cettina eravamo troppo stanchi che cerano stati gli esercizi della nottata.

 --------------------------

 Questo racconto nasce dalla voglia di partecipare all'EDS della Donna Camèl con le seguenti regole:

1 - scrivi per 33 minuti non di più [Edit] oppure scrivi per 33 minuti e se non hai finito, continui domani per altri 33 minuti: il senso è lasciar passare almeno un giorno tra una seduta di 33 minuti e l'altra.
2 - mettici qualcosa di surreale o assurdo o impossibile o illogico o strano o bizzarro o soprannaturale o anacronistico o fantascienza o fantasy o quel che ti pare ma fai in modo che io ci creda!
ma  in realtà è  stato scritto in due fasi diverse (pur all'interno, credo, del tempo previsto) e la base è vera :-)

08/09/12

07/09/12

Quella cosa in Lombardia di Franco Fortini

Sia ben chiaro che non penso alla casetta
due locali più i servizi, tante rate, pochi vizi,
che verrà quando verrà…
penso invece a questo nostro pomeriggio di domenica,
di famiglie cadenti come foglie,
di figlie senza voglie, di voglie senza sbagli;
di millecento ferme sulla via con i vetri appannati
di bugie e di fiati lungo i fossati della periferia…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Non ho detto a passeggiare
e nemmeno a scambiarsi qualche bacio.
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Dico proprio quella cosa che tu sai,
e che a te piace, credo, quanto a me.
Vanno a coppie, i nostri simili, quest’oggi
per le scale, nell’odore di penosi alberghi a ore,
ma chissà l'amore c'è,
vedi  “amore” anche la fretta tutta fibbie, lacci e brividi
nella nebbia gelata, sull’erbetta;
un occhio alla lambretta, l’orecchio a quei rintocchi
che suonano dal borgo, la novena e una radio lontana
che alle nostre due vite da i risultati delle ultime partite…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Lo sai bene che io non sogno,
questo mondo di noi due non ha bisogno.
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Se volere bene è sempre più difficile, amore mio,
non dar la colpa a me.

Altre notizie interessanti sul testo e su Laura Betti qui

06/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -7-

Da qualche anno sempre più botteghe hanno iniziato a organizzare grigliate con tavoli improvvisati sui marciapiedi delle vie attorno al centro storico, se non direttamente sulla strada. L'elemento primordiale, il nucleo popolare di questa usanza, era la vendita della carne di cavallo grigliata e inserita tra due buone fette di pane casereccio, ma da tempo i “putiara” hanno iniziato a diversificare l'offerta. Taccio sulla solita assenza di controlli di ogni tipo, non posso non notare però che attraversare Via Plebiscito, l'antica "tangenziale", è come immergersi in un girone dantesco: bracieri accesi, folla sparsa in attesa o ammucchiata ai tavoli, un fumo acre e densissimo che copre ogni cosa.
Naturalmente i piani superiori delle botteghe appaiono disabitati o in rovina, non sarebbe possibile vivere qui, come non pare possibile ribellarsi a questo stato di cose.
Sedute ai tavoli tre tardone in tiro discutono sulla Sardegna, la più anziana non smette di alzarsi per richieste di ogni tipo indirizzate alla padrona, non ci vuole molto a capire che è una sorta di défilé.
Fasciata da un abito attillatissimo cerca lo sguardo di qualche uomo sbavante, chissà magari sogna l'avventura estiva. Accanto a loro una decina di ragazzi: il capobranco, seduto a gambe aperte e con il gomito poggiato sulla spalliera della sedia, carezza la spalla della giovane turista a cui ha concesso il mafia-tour da raccontare al ritorno a casa. Alla sua sinistra i suoi amici e alla destra le amiche di lei: dagli sguardi che si incrociano credo che qualcosa stasera tra loro ci sarà. Al momento di pagare a tutti viene presentato un “pezzino” con l'importo totale. Provo a fare attenzione anche a quello che avviene negli altri locali e mi accorgo che il fornitore di bloc-notes deve fare lauti affari da queste parti. Provo a fare un rapido calcolo... da anni un incasso generale, tra le varie offerte, di almeno centomila euro serali esentasse: è una città generosa Catania.
Mi sono fatto convincere a venire qui, ma provo vergogna. Mi ero ripromesso di essere quanto più “fesso” possibile, di non cadere nel trucchetto delle complicità. Sembra quasi impossibile da spiegare questo mio pensare ma credo sia necessario vivere qui per capire.
Ad esempio ieri era la festa estiva di S.Agata patrona della città. Spostandomi in automobile per arrivare ad un appuntamento ho notato per la prima volta da due settimane due auto della polizia municipale, naturalmente non ho mai visto un vigile in attività in questo periodo tranne che all'ingresso del Cimitero, ebbene tutti e quattro i passeggeri delle due pattuglie non indossavano cinture di sicurezza e naturalmente non si sognavano nemmeno di fermarsi per cogliere le mille infrazioni che accompagnavano il loro tragitto. Discutevano, tra una sigaretta e l'altra, e ridacchiavano... probabilmente il loro era una sorta di lavoro straordinario in occasione della festa, un obolo in più versato dalla comunità sul loro stipendio.
Ecco tutto questo suona forse come esagerato moralismo da parte mia, ma credo che quello che poi avvenga, giorno dopo giorno, sia un processo per cui il diritto, le regole, vengono vissuti solo come vuoti proclami, un processo in cui diviene abitudine credere che tutto sia permesso a chi ha forza o potere.

04/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -6-

Con le sue baie, simili a piscine naturali, Marza è stata, per molto tempo, la meta ideale per una giornata di mare vissuta in famiglia. Ombrellone, borsa frigo, panini e frutta, potevamo passare lì intere giornate con i bimbi perennemente in acqua, la madre a prendere il sole, il marito a provare le misteriose virtù dell'argilla locale. Pochissima gente a farci compagnia, anzi di solito eravamo i soli abitanti di quel luogo. Alcune volte capitava di imbattersi in una piccola canadese, non più di una normalmente, seminascosta tra le cavità naturali e ci si salutava, incontrandosi in quelle occasioni, così come avviene quasi sempre sui sentieri di montagna, credo fosse un po' l'appartenere a quei pochi che conoscevano il luogo o forse il desiderio di non vederne divulgato il segreto.
Naturalmente il posto è mutato. Frane sempre più consistenti hanno quasi completamente distrutto le caverne d'argilla, il sentiero si è sempre più rimpicciolito e una autostrada ormai in gran parte completata garantisce ormai spostamenti veloci da Catania verso Pachino e il litorale sud dell'isola. In cerca di pace ci si deve spostare verso le sporadiche riserve, sperare.
Comunque un giorno a Marza l'ho passato e c'è stato anche il tempo di litigare con un borioso emigrante e la muta consorte.
Il fatto è che la mia cagnetta, dopo il tratto in acqua per raggiungere la spiaggia, non aveva nessuna voglia di crogiolarsi immobile al sole, così ha iniziato a correre e annusare tra i bagnanti fermandosi accanto alle tende dei ragazzotti birra&canne, scodinzolando per le carezze del gruppo familiare pluriombrellato, abbaiando in cerca di gioco a tre bimbi dall'apparente età di tre, quattro e cinque anni. Ecco era questo che non avrebbe dovuto fare per la “civile” convivenza.
“Qui c'è l'ordinanza!”
“Quale ordinanza, scusi?”
“Qui c'è l'ordinanza! I cani non ci possono stare a mare!”
L'avere con me un cane ha acuito ancora più quest'anno la mia attenzione verso cartelli e divieti, sapevo benissimo, ne sono certo, che nessun segnale, nessun pubblico avviso era posto all'ingresso del litorale o in vista del luogo in cui siamo.
“Lo lasceremo sulla spiaggia” ho risposto.
Non avevo voglia di iniziare nessun litigio e potevo sempre condurre la cagnetta alla baietta successiva.
“Qui c'è l'ordinanza! Io ce l'ho anch'io il cane e l'ho lasciato a casa! Qui c'è l'ordinanza!”
Niente da fare, tattica diversa. Ho sorriso e “ci ho calato la testa”.
“Certo! Certo! Ha ragione!”
“Qui c'è l'ordinanza! Io ci devo stare attento ai miei figli che possono essere allergici! Qui c'è l'ordinanza! Va bene sulla spiaggia, ma in acqua può portare malattie”
Ultimo sorriso prima di girarmi a guardare l'orizzonte, poi sguardi di attenzione fin quando poco prima della sera un nuovo cane è arrivato tuffandosi ripetutamente da ogni scoglio su cui riesciva ad arrampicarsi. Ho visto il tipo schiumare tra le onde e poco dopo andare via. La mia cagnetta, invece, ha fatto amicizia con la nuova compagna di giochi e le due si sono annusate un po' prima di salutarsi.
Credo metterò anche Marza tra i ricordi.
Tornando verso casa ci siamo fermati a Noto, inutile dire che eravamo una sorta di tribù zingaresca immersa nel “ passio” del corso principale. Sono contento di aver visto molti turisti tra le vie, armati di macchine fotografiche cercavano lo scorcio da far vedere agli amici, il ricordo da conservare. Rapida sosta per un gelato (eravamo a caccia di quello al gelsomino) e poi siamo andati anche noi su e giù sulla via per un'occhiata da giapponesi in gita.
Ho captato discorsi, osservato la gente. Ogni tanto improbabili guide raccontavano storie che, nella mia ignoranza e armato solo di un po' di ricordi e di logica, mi sembravano vere bufale, ma forse andava bene anche così.

03/09/12

1000

Questo è il millesimo post e non potevo far finta di nulla :-)
Il primo risale al 23 Maggio del 2007, provenivo da it.arti.scrivere  - nelle pagine linkate  un bel riepilogo dell'attività scribacchina condotta da me e da molti altri più bravi di me su  I.A.S. - e consideravo il blog poco più di un cassetto...
Un grazie a tutti coloro che, in questi anni,  sono passati per caso, hanno letto, spulciato, commentato :-)

ps. il disegno è di Matticchio

02/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -5-

Lo scorso anno ero arrivato ad osservare l'intera Valle del Bove, ci eravamo inerpicati tra paesaggi bellissimi e sempre diversi fino ad affacciarsi sul lago di roccia, sul quel foglio perennemente vergato dal dio del fuoco. L'Etna e il suo territorio sono un romanzo mai concluso, un work in progress che muta paesaggi e personaggi incessantemente. Quest'anno, alla fine della stessa valle, sono andato a trovare l'ilice di Carrinu, o di Pantano, un leccio che ha superato il mezzo millennio e che protegge da secoli un vecchio ricovero dei pastori. E' rimasto ben poco dell'antica costruzione, certo si intravedono le mura e si ricostruisce facilmente l'area destinata alle greggi così come si intuisce il sistema che permetteva all'acqua di incanalarsi verso una grande cisterna ancora presente. Fino a non molti anni fa due giganteschi abbeveratoi scavati su blocchi unici di lava permettevano di capire come non fosse esiguo il numero degli animali condotti fino a quelle quote, oggi i massi son scomparsi e non si sa bene chi ringraziare per questa assenza.
L'albero ha rami massicci che si torcono nel vuoto quasi fossero gigantesche viti e garantisce luce e ombra in questo infuocato Agosto. Tutto attorno muretti e terrazzamenti non più curati e quasi riassorbiti dalla natura raccontano di altri mestieri, di altre epoche. Terra di carbonai questa e di pastori e di “massari” e di “fungiaioli”, per secoli, per millenni.
Si raccoglieva la ginestra e si curavano, disboscandoli, i noccioleti a garantire per essi la stirpe più giovane e forte, poi, con pazienza e artigiana esperienza, riposando la notte in un “pagliaro” se ne ricavava l'oro nero da vendere giù alla “chiana”.
Si portavano le bestie a cibarsi dei ricchi doni del vulcano per produrre ricotta deliziosa, latte per gli infanti, formaggio.
Si curavano i ciliegi, i castagni, si “addomesticavano” i peri e i meli della montagna.
Si riusciva a trovare senza che fosse visibile agli occhi degli altri il luogo dove piccoli sollevamenti nascondevano i porcini facendo attenzione a non “zappare” il terreno e lasciando in questo modo la possibilità di ritrovarne altri in successivi passaggi.
L'uomo non era elemento estraneo, nemico, ma natura egli stesso, animale tra animali, vivente tra viventi e su tutto questo c'era la lava, quelle colate che premiavano i buoni e punivano gli atei, quelle colate che distruggeva intere vallate, città, che giungevano al mare.
Era il 1928 quando la folla, in un freddo e piovoso autunno, si radunò per andare in preghiera verso la lava  che avanzava rischiando di coprire Sant'Alfio, c'erano tutti: le autorità, il prete, i nobili e il popolino. Non si sapeva più che fare, la preghiera era l'ultima speranza. Annunciato da un boato e da una scossa qualcosa successe, i tre santi miracolosi erano intervenuti, la lava si fermò. Su quel luogo oggi una chiesetta, un tempo sempre aperta, ricorda l'avvenimento. Peccato che la lapide commemorativa posta su un fianco delle mura esterne taccia su quello che la tradizione contadina si tramanda da allora: i miscredenti mascalesi, che avevano continuato a gozzovigliare in quei giorni difficili, furono colpiti dalla collera divina. Pochi giorni dopo il miracolo, infatti, una nuova bocca, più bassa e potente, fece arrivare la lava fino al mare punendo con la distruzione dell'abitato di Mascali quell'oltraggioso atteggiamento dei suoi abitanti.

01/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -4-

Lo Ionio visto da Puntalazzo è magnifico. L'aria fresca della sera rimette in pace con se stessi e la luna regala visioni  da colossal americano. Mi chiedo quanto ancora resisterà questa zona all'esercito di cavallette che avanza dalla pianura, fino a quando sarà possibile osservare le sciare, le vecchie masserie, gustare i poco redditizi ma meravigliosi frutti.
La sera prima ero andato a Zafferana ormai totalmente inglobata nel divertentificio di massa fatto di abusi edilizi (sponsorizzati dalla chiesa santuario che accoglie gli ospiti a Fleri, pochi chilometri prima della cittadina), di verde sparito, di soddisfatta esposizione di cattivo gusto negli edifici ristrutturati  o costruiti dopo il terremoto. E' la stessa fine palazzinara che ho visto arrivare in altri luoghi un tempo splendidi: Mascalucia, Pedara, Nicolosi... e ben prima Catania.
Seduti col naso in aria gli altri riescono a cogliere alcune stelle cadenti che a me sfuggono. La cagnetta annusa: è immersa in profumi per lei totalmente nuovi e anch'io vorrei condividere questa sua gioia, ma mi accorgo che i risultati dei miei sforzi sono proprio scarsi.
In realtà sono sempre meno i posti in cui mi piace andare, anche la riserva di Fiumefreddo ha esaurito, ai miei occhi, il suo fascino. Certo rimane divertente scoprire ogni anno la nuova direzione della foce del fiume che vi scorre, così come immergersi nelle sue acque gelide prima di provare il tepore del mare o subito dopo a togliersi il sale dalla pelle, magari dovrei provare ad essere qui in un altro mese: Maggio forse, quando il primo caldo toglie improvvisamente il respiro o Settembre quando il mondo ritorna al lavoro.
Mi ritorna in mente una fuga da ragazzo verso sud, verso la raccolta dell'uva a Pachino. Automobile carica anche in quel caso e disordinato vivere di un gruppo di ventenni. Il lavoro sfumò la prima sera su una spiaggia da sogno ed un mare caldissimo, poi fu solo una settimana di tenda e vino da bere.  

Ho mangiato la prima granita, non è stato un grande esordio ma spero di rifarmi in seguito. Nel frattempo ci sono state altre Ceres bevute al chiosco, amici e parenti da incontrare, improvvisi e sconosciuti  parchimetri da pagare, buon pesce da mangiare.
Sono anche arrivato, da passeggero, fino a Riposto sul Vespone (che poi non si chiama così questa moto ma non saprei proprio dire come) di mio fratello e da qui fino quasi a Nicolosi.
Certo sempre capita che il panorama muti con il variare del punto di vista, con l'attenzione prestata alla guida, con la voglia di sorprendersi...  e sono stati tutti questi fattori uniti alla impossibilità di sentire le parole che, ogni tanto, il pilota cercava di dirmi che mi hanno dato spazio per scrutare il territorio, per ricominciare il gioco del c'era, è nuovo.
La vecchia provinciale ci guidava in direzione di Giarre e, sul percorso,  naturalmente non mancavano le solite costruzioni e i mastodontici centri commerciali.
Superando Acireale ho notato improbabili megaville e un ridicolo castelletto azzurro a garantire nuovi panorami ai loro futuri possessori.
Non so proprio cosa potrà rimanere di questa costa.  La vecchia leggenda, ormai smentita, degli alberi totalmente abbattuti dagli abitanti dell'isola di Pasqua per costruire i loro idoli credo sia stata creata per noi “moderni”. Distruggere il territorio per gustarne il ricordo, un paradosso quasi tutto italiano.
E' stata la fortuna di una strada sbagliata e del fresco della sera a farmi riconciliare un po' con questi luoghi. Improvviso si è alzato dai margini della via buia il profumo dei vecchi agrumeti, dei giardini un tempo vanto e fonte di ricchezza di tutta la costa mentre dal mare arrivava a folate il fiato dei Malavoglia.
Sempre più, già vicino alla meta serale, ho pensato che parlare di casa in campagna da queste parti sia come sostenere che i miei vasi fioriti sul mini balcone parmigiano in realtà formino una sorta di giardino pensile.

31/08/12

"L’antigelo poetico" di Andrea Cirillo

«Devo fare un annuncio. È una cosa importante. È scomparsa la poesia. Se qualcuno sa dove si trova, se ne ha notizie, è pregato di farsi vivo. Non ha segni particolari e questo non può che essere un problema, anche perché – e c’è da stare all’erta – girano impostori che si divertono alle sue spalle (alle nostre spalle). Solo una cosa mi sento di dire: non è che se uno si veste da Napoleone allora è Napoleone».
È un’autocitazione di una cosa che ho detto sotto la doccia. Sotto la doccia mi vengono delle idee che lì per lì mi sembrano geniali. Questa cosa, oltre ad entrare in conflitto col mio lato ecologista (quanti metri cubi d’acqua consumerei per scrivere un romanzo?), mi crea non pochi problemi, come ad esempio uscire sgocciolante dal bagno e precipitarmi al computer per scrivere. Per me la doccia è come per Superman la cabina telefonica, con una fondamentale differenza: se Clark Kent fosse Superman solo nella cabina, non sarebbe di grande utilità. Certo, potrebbe fare delle telefonate eroiche. Potrebbe comporre un numero e dire: «Attenzione signora, ha lasciato il gas aperto». Ma vai a spiegare a un macchinista che il ponte è crollato e che deve fermare il treno im-me-dia-ta-men-te! Ecco, una volta uscito dalla doccia sei fregato, hai perso quella sicurezza. Sei un essere come gli altri. E prendi pure freddo, lì in accappatoio, davanti al pc.
La poesia si è inflazionata. È qualche giorno che entro ed esco dalla doccia per venire a capo di questo pensiero. Una bistecca ben cucinata non è poetica, semmai è squisita. Se una donna dopo che avete fatto l’amore ti dice «Sei stato poetico», scappa, offenditi o vedi di impegnarti di più. Se qualcuno ti vuol far credere che un abbraccio è poetico, tu ridigli pure in faccia.
Abbiamo aggettivizzato la poesia. Vediamo un paesaggio innevato o un tramonto sul mare e lo definiamo poetico, fraintendendo evidentemente il fascino con la poesia. Non è un problema marginale. Se la poesia è ovunque non è da nessuna parte. O per dirla con una legge economica: la moneta cattiva scaccia quella buona.
Qualcuno potrebbe scrollare le spalle, pensare che in un momento di crisi, in un momento dove gli imprenditori si impiccano ogni giorno, non è il caso di parlare di poesia. Ma è proprio questo il punto.
Solo in un giorno la Grecia ha perso 800 milioni di euro. La gente si è silenziosamente messa in fila ai bancomat e ha prelevato 500 € alla volta. Hanno paura che torni la dracma e che il loro denaro perda, nel giro di una notte, dal 30% al 60% in potere d’acquisto. Non ci sono state scene di panico. Inserisci la tessera, inserisci il pin e prelevi un po’ oggi, un po’ domani. La tecnologia è fredda. Il bancomat non è nemmeno stato informato della congiuntura economica sfavorevole.
La nostra risposta alla crisi è il tecnicismo. Abbiamo introdotto governi tecnici, soluzioni tecniche, riforme tecniche. Ci piace da morire la tecnica. Siamo profondamente convinti che si debba fare qualcosa di concreto: ad X corrisponderà Y e quindi, finalmente, Z. Ci piace il governo del fare. E ci piace freddo. A qualcuno (ai più) piace freddo.
Entro ed esco dalla doccia e penso che la poesia possa aiutarci. Provo ad azzardare: durante le crisi la domanda di poesia sale. Non sto parlando prettamente di mercato (la poesia costituisce un misero 5% del mercato librario), ma di esigenza intima. È un antigelo. E l’offerta a ben vedere ci sarebbe pure. Ci sono persino poeti vivi. Addirittura poeti italiani e vivi. Gabriele Frasca, Elisa Biagini, Milo De Angelis, Maria Grazia Calandrone, Andrea Inglese, Valerio Magrelli, Patrizia Cavalli. Ed è un elenco orrendamente incompleto, ovviamente.
Abbiamo bisogno di poesia, ma non sappiamo più riconoscerla.
Le azioni non sono poetiche, è l’interpretazione che ne facciamo, sono le parole che usiamo in un certo modo e non in un altro che sono, possono essere, poetiche. E non è detto che la poesia ti faccia piangere. La cipolla, se non la metti in freezer, ti fa piangere. Sempre. La poesia no.
La poesia non sta nelle cose, sta nelle relazioni. Riguarda i nostri filtri creativi, quel particolare modo con cui interpretiamo il mondo. Meglio: la poesia sta nel modo che abbiamo di spiegare le relazioni. È tradurre le relazioni in linguaggio verbale. Impresa fisiologicamente fallimentare: alchimia impossibile.
La poesia è forma. È sempre incarnata nel linguaggio, altrimenti non è nulla. E la forma in poesia è metrica. Ovvero, se vogliamo stare al dizionario, «il complesso delle leggi che regolano la composizione dei versi». Non si riduce tutto alla metrica, ma la metrica è condizione fondamentale della poesia.
Per dirla con le parole di Gabriella Sica, poetessa e docente di Letteratura italiana all’Università La Sapienza, «la poesia esiste, cioè ex-siste, quando si separa dalla morte, rinuncia alla confusione e accetta, con pietas materna, la caducità dolorosa della vita, ma anche una lingua» (Scrivere in versi, Il Saggiatore, 2003, pp. 15-16).
La poesia esiste solo quando si incarna nella lingua. Solo così rinuncia alla morte, ovvero si fa morente.
Dobbiamo accettare che anche se fuori dalla doccia siamo comuni mortali questo non è un difetto. Superman non potrà mai essere un bravo poeta. E nemmeno potrà fare molto per salvarci dalla crisi. Ci serve un atto eroico ben più arduo che fermare un treno con una mano: accettare la complessità della vita, la fitta trama di relazioni da cui è composta, il fatto che non c’è nessuna scelta X, Z, Y che possa tirarci magicamente fuori dai guai.
Ci serve un antigelo. La poesia ci serve.
Fonte: http://storiadelirantedellaletteratura.wordpress.com
Powered by Blogger.