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29/10/13

"Considerazioni a margine di un commento" di Michele Torresani

[...] Qualcuno interroga i docenti sui loro bisogni didattici concreti? Perché non esistono in Italia, come in altri Paesi, delle indagini sulle esigenze reali degli insegnanti in rapporto al numero di ore a disposizione in un anno, ai programmi da svolgere, ai libri di testo spesso mastodontici e sempre più inadeguati ai livelli di preparazione e agli interessi degli studenti? Perché mancano strutture di reale supporto, accanto ai bellissimi ma spesso dispersivi progetti, che implicano certo tanto entusiasmo, ma anche tanto lavoro in più, che si aggiunge alle faticosissime correzioni? È solo una questione di mancanza di fondi? O è una incapacità di immaginare una nuova e più moderna struttura organizzativa della scuola? Perché non pensare, ad esempio, a distaccare per qualche ora i professori più anziani al fine, ad esempio, di sostenere i colleghi più giovani (se mai ne esistano in un corpo docente sempre più anziano)?

E, come si diceva qualche giorno fa di fronte ai dati sconfortanti del nostro Paese in rapporto a quelli di altri, perché nessuna autorità competente sembra davvero interrogarsi sulle cause di questo declino e correre al più presto ai ripari con misure urgenti e tangibili?
Fonte: http://torresani-edu.blogspot.it

Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere

Le nuove tecnologie, il computer, la video-conferenza ecc... sono divenute indispensabili. Intendiamoci, esse non possono rimpiazzare un insegnante fisicamente presente. Ha detto Platone: «Per insegnare, occorre eros». Eros è una parola greca che significa piacere, amore, passione. Per comunicare, non serve a nulla dispensare il sapere a fette, ma bisogna amare ciò che si fa e le persone che sono dinanzi a noi.

L’insegnante è colui che, attraverso ciò che professa, può aiutarvi a scoprire le vostre proprie verità. Se la letteratura ha una grande importanza per me, è perché essa mi racconta esperienze di vita. Perfino le tanto disprezzate serie televisive parlano d’amore, gelosia, ambizione, morte, tristezza, in breve dei sentimenti qui molto stereotipati ma tratti dalla vita quotidiana. A mio avviso, l’insegnante è un mediatore che aiuta ciascuno a comprendersi, a conoscersi. E la letteratura gioca in questo un grande ruolo. Io sono di quelli che hanno riconosciuto le loro proprie verità attraverso grandi romanzi. Dostoevskij mi ha insegnato a comprendere i miei sentimenti riguardo la vita.

Io non credo che occorra scartare certe discipline, col pretesto che esse hanno un pubblico di nicchia. Le belle lettere non sono un lusso! Se tante persone leggono sulla metropolitana, è perché si immergono in un universo di cui hanno bisogno. Perché amiamo il cinema? Perché ci permette di vivere meglio i nostri sentimenti d’amore, di partecipazione, di simpatia ecc... Il cinema meriterebbe d’altronde di trovare un posto più importante nella cultura; è un’arte fondamentale... In realtà, così come sussistono ora, le discipline devono essere integrate in grandi insiemi.

Cosa sono la fisica, la chimica, se non il mondo di cui siamo fatti, posto che noi abbiamo delle cellule biologiche composte da interazioni fisico-chimiche? La grande scoperta degli anni Cinquanta è che non c’è una sostanza vivente diversa dalla sostanza materiale normale. Noi siamo fatti di elementi chimici che esistono nella natura, ma che sono organizzati in modo ben più complesso e nuovo. La fisica come la chimica sono noi stessi! È il mondo nel quale noi siamo.

Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere. Certi insegnamenti non fanno parte delle discipline, ma permettono di integrarle. Che cos’è, essere umani? Oggi, in mancanza di pedagogia, questa domanda rimane completamente scollata dal resto. Essere umani è senz’altro essere un individuo, ma un individuo che fa parte di una società e di cui anche la società fa parte. Da quando si nasce, ci viene inculcato infatti il linguaggio, la cultura, ciò che si deve fare, non fare ecc... In effetti, il nostro essere è costituito da tre parti in una: membro di una società, membro di una specie e individuo.

Secondo me, conoscere la nostra natura umana è dunque essenziale. E questo passa per forza attraverso l’insegnamento dell’incertezza. Ci si rende conto oggi che ci sono fenomeni che non si possono controllare, così nelle discipline come nella microfisica. Si è certi della morte, ma non si sa quando arriverà. Ci si sposa, si pensa che si sarà felici, ma potrebbe essere un matrimonio orribile. Si cerca il lavoro senza essere sicuri di trovarlo... L’incertezza fa parte del destino umano, ma nessuno è preparato per affrontarla. A mio avviso, la riforma dell’insegnamento deve anzitutto andare in questa direzione.

Effettivamente, essere specialista di tutto è essere specialista di niente. Raymond Aron, mi sembra, diceva che il proprio del lavoro di uno specialista è sapere tutto su un dominio estremamente ridotto, cioè pressoché niente. Delle due cose, l’una: o si ha una mancanza di conoscenze precise, o una conoscenza talmente precisa che alla fine non ha alcun interesse. In effetti, bisogna partire dal problema della conoscenza. Se si ha un’informazione, ma si è incapaci di situarla nel suo contesto (frammentato attraverso le discipline), si arriverà per forza a un’informazione senza interesse.

Si è d’altronde obbligati a contestualizzare senza posa – il proprio della storia è di essere una scienza che contestualizza gli eventi. Come uscirne? Alcune risposte sono già state date, attraverso raggruppamenti scientifici. Prendiamo l’esempio dell’ecologia, scienza fondata sull’idea di ecosistema, ma che riguarda molte discipline. In un dato ambiente, l’insieme degli esseri viventi, vegetali, animali, i microbi ecc... costituisce un’organizzazione spontanea, a sua volta collocata in una data cornice fisica, geografica e meteorologica.

Pertanto, l’ecologo, che si interessa ai meccanismi della formazione e delle disfunzioni degli ecosistemi, possiede conoscenze varie ma incomplete. Dovrà dunque chiedere l’aiuto del botanico, dello zoologo ecc... Lo stesso per le scienze della terra: la meteorologia, la vulcanologia, la sismologia, la geologia sono state separate fino al momento in cui si è scoperta la tettonica a placche. Avendo dimostrato da allora che la terra è un sistema funzionale molto complesso, ci si è impegnati a riunire queste differenti materie.

Le interazioni tra differenti discipline sono difficili da riconoscere, ma sono necessarie. Per esempio, la mondializzazione di cui si parla molto oggi è un fenomeno economico che ha anche i suoi contro-aspetti: l’omogeneizzazione tecnica provoca dei movimenti di chiusura sull’identità nazionale e religiosa. Qualche cosa di economico ha dunque delle conseguenze sulla religione e sulla psicologia. In effetti, non si può separare l’economico, lo storico, lo psicologico, il mitologico ecc... Einstein lo mostrava già ai suoi tempi. Era un globalista-matematico, pensatore, ingegnere, qualcuno che sperimentava i concetti. Adorava suonare il violino, “perdeva tempo” interessandosi d’arte, di politica... Gli specialisti, loro, si accontentano di verificare le sue teorie.

Si è disgiunto tutto ciò che riguarda l’essere umano: il cervello in biologia, la mente in psicologia... Le scienze umane sono state esse stesse delimitate. La filosofia è una riflessione anzitutto sulle conoscenze acquisite e sul destino umano e sui grandi problemi del nostro tempo. Ora, le conoscenze sono troppo disperse perché questa disciplina possa nutrirsene. C’è qui una grande lacuna. La missione di raccoglierle insieme necessita tanto di uno sforzo nel mondo scientifico quanto nel mondo filosofico. È in questo senso che il sistema di insegnamento meriterebbe di essere riformato.
Edgar Morin

Fonte: http://www.avvenire.it

27/10/13

Lewis Allan Reed (Brooklyn, 2 marzo 1942 – Long Island, 27 ottobre 2013)





WASTE

Sometimes when I’m all alone
I feel a type of fear
dawn’s descending, dusk is breaking
creep my darling near.
I see my life before me
as a seamstress sees her pins
full and lined with failure
and coated then with sin.
An education gone to waste
talent left ignored
imagination rent with drugs
someone who’s always bored
scared to death of life itself
but even more by death
not fit company for anyone
let alone a wife
no example for a child
therefore no sun for me
I am told never to think these thoughts
for they make me unhappy.

The sin was craziness you see
don’t blame yourself for that -
a strange childhood, well that is true
but nothing can be done about that.
The future is the same for all
we face it as we can
and there is nothing wrong with fear
it proves that you’re a man.
Then other times I feel so good
the opposite you see
I think I’m full of talent
good old intuitive me.

I write all hours of the night
terrible poetry.
Others say that it is good
but they are lying to me.
Why would they lie, you might ask
and to this I would reply
encouraging me encourages them,
to cut me shows their lie.
For mine was illusion of life
well spent,
everyone thought so.
I was courted as a rake
wherever I did go.
But I know warts, you can’t fool me
with flattering and praise.
You sing my songs
to prove to yourselves
that you are not a waste.
PERDITA

A volte quando sono solo
provo un tipo di paura
l’alba discende, irrompe il crepuscolo
striscia vicino lentamente, tesoro.
Vedo la mia vita davanti a me
come una sarta i suoi spilli
piena, e segnata di fallimento
poi coperta dal peccato.
Un’educazione andata a farsi benedire
un talento ignorato
l’immaginazione a nolo con le droghe
qualcuno vinto dalla noia
intimorito dalla vita stessa fino alla morte
ma ancor più dalla morte
non adatto alla compagnia per nessuno
tantomeno per una moglie
non è modello per un bimbo
pertanto non c’è sole per me
mi è stato detto di non pensare mai queste cose
perché mi intristiscono.

Il peccato è la pazzia, capisci
non fartene una colpa-
una fanciullezza strana, be’ questo è vero
ma non c’è nulla da fare a riguardo.
Il futuro è uguale per tutti
lo affrontiamo come possiamo
e non c’è nulla di male nella paura
dimostra che sei un uomo.
Poi altre volte mi sento così bene
proprio l’opposto, vedi
penso di essere pieno di talento
il caro vecchio me stesso pieno di intuito.

Scrivo a qualsiasi ora della notte
della terribile poesia.
Altri dicono che sia buona
ma mentono.
Perché mai mentirebbero, potresti chiedere
e ti risponderei
che incoraggiarmi li incoraggia,
stroncarmi mostra la loro menzogna.
Perché la mia è stata un’illusione di vita
ben spesa,
tutti lo hanno pensato.
Sono stato corteggiato come uno importante
ovunque io sia andato.
Ma conosco il gioco, non potete farmi fesso
con lusinghe e lodi.
Cantate le mie canzoni
per provare a voi stessi
che non siete uno scarto.



Grazie a  http://www.loureed.it

Photograph:  Stephen Shore, “Lou Reed,” NYC, c. 1967.
 

24/10/13

Goffredo Riccobono [2 di n]

Goffredo Riccobono ripensò subito ai suoi giochi da bambino, ai pomeriggi passati in attesa dei programmi televisivi per i ragazzi, alle immagini di sconosciute contrade, d’italici volti, trasmesse in bianco e nero dalla televisione di stato, poi alzò gli occhi da quell’immagine e si rese conto un po’ meglio che lo attendeva una lunga attesa.

Almeno un gruppo con tre signore, un po’ avanti con gli anni, che tra loro elencavano i propri acciacchi e un po’ in disparte un altro informatore scientifico che attendeva con loro il proprio turno, lo precedevano. “Uno ogni tre pazienti” era la regola di quel luogo ed egli, purtroppo, era arrivato dopo quell’austero e silenzioso signore. Del resto che quella fosse la regola lo si poteva anche leggere su un piccolo foglio A4, stampato di certo proprio dal medico, incorniciato e appeso come memento tra le riproduzioni della Marilyn di Warhol e di un cielo stellato di Van Gogh.
Accanto all’uomo con il bambino sostava anche una bionda un po’ volgare, ma Riccobono non riusciva a comprendere se ella fosse insieme alla coppia o meno. Insomma sperando che nessuna delle tre anziane avesse voglia di parlare ma si limitasse al solito elenco di medicinali da prescrivere e comprendendo anche l’uomo sarebbe andata via più di un’ora piena. Anzi no, certo di più, perché solo allora uscì dal bagno un altro signore, un quarantenne si sarebbe detto, che certo lo aveva preceduto.

Il pallore di quell’uomo strideva stranamente con il corpo tozzo e il volto tondo. Portava una polo bianca e dei jeans alla moda con tagli d’ordinanza finto vissuti, ma Goffredo fu colpito soprattutto dalla lunga serie di puntini che coprivano il collo, il viso e le braccia.
Morbillo? Quarta, quinta, sesta malattia? Scarlattina, forse? O varicella? Tifo? Colera? Sifilide? AIDS?
A ogni assalto della propria, scarsa, memoria medica Goffredo Riccobono perdeva forze guardandosi attorno sempre più disperato. Cercava aiuto, conforto, nei presenti e si sarebbe allontanato volentieri da quel luogo, da quello stanzone, se un improvviso panico non lo avesse lì costretto. Gli altri sembravano non essersi accorti di nulla, solo l’uomo con il bimbo aveva colto il suo sguardo seguendolo fino all’uomo a pois. Goffredo lo vide  stringere con più forza il proprio bimbo e poi allontanarsi come per caso, come avesse solo in uggia il rimanere lì ad attendere. Magari ne fosse stato capace anch’egli.

23/10/13

Goffredo Riccobono [1 di n]

Goffredo Riccobono viveva molte vite, di alcune aveva piena coscienza, di altre immaginava la presenza, di molte ignorava ogni cosa; tutto ciò non rappresentava certo un problema per la qualità della sua esistenza, giacché è scientificamente dimostrato che questo avviene normalmente per ognuno di noi. Lo stesso Goffredo aveva letto qualcosa su tale fenomeno, un giorno in cui attendeva, impaziente, il proprio turno nella sala d’attesa del medico curante.
“Scopri te stessa” recitava il titolo di quell’articolo, era, infatti, una famosa e storica rivista femminile e il “te stessa” faceva chiaramente intendere l’utenza di riferimento. Di seguito l’estensore usava lo studio di una “prestigiosa università americana” per spiegare e confermare proprio quelle frasi che fanno da prologo al nostro piccolo narrare.
Goffredo Riccobono, alla lettura, si era dapprima stupito che ciò potesse realmente accadere, poi aveva iniziato ad annuire a ogni frase, strabuzzando un po’ gli occhi, così come egli era solito fare a ogni nuova scoperta che lo trovasse curioso spettatore, quindi aveva dimenticato ogni cosa.
Ciò era accaduto non appena la porta dello studio del dottore si era aperta e un “A presto!” aveva accompagnato l’informatrice scientifica che da più di trenta minuti aveva preso possesso dell’attenzione del medico.
Lei, uscendo, gli aveva sorriso, quasi impercettibilmente dietro quel leggero trucco che le illuminava il volto. Egli l’aveva osservata parecchio prima, durante l'attesa, mentre lei trafficava con il suo tablet e rispondeva compulsivamente al cellulare alzandosi e spostandosi nella stanza di quel poco che ai propri occhi rappresentava il necessario rifugio. Goffredo ne era rimasto affascinato. Non che lei rappresentasse il suo modello, ma le sue movenze, le gambe, il piccolo seno, appena intravisto grazie alla scollatura all’americana, le belle spalle da nuotatrice, lo avevano turbato ed eccitato. Aveva chiuso gli occhi e immaginato per un attimo di possederla, lì tra quelle sedie, tra quelle mura, poi li aveva riaperti e un signore con un bimbo in braccio gli aveva chiesto se fosse stato veramente lui l’ultimo in attesa, così come gli era stato detto.
“Sì, sì, sono io” aveva risposto Goffredo e subito dopo aveva scelto proprio quella rivista tra quelle presenti sul tavolino in vetro poco distante dalla sua sedia e iniziato a sfogliarla. Ricordava, Riccobono, di essere stato colpito dalla copertina, una foto in bianco in nero di un’altra Italia, lo squarcio di una nazione che egli ricordava con quella luce per averci vissuto e averne, negli anni, costruito memoria. Ecco in questa foto un gruppo di bambini giocava in strada, una strada quasi priva di auto e di vecchi.

20/10/13

Una riga si potrà salvare

Scrivi, ti prego. 
Due righe sole, almeno, anche se l'animo è sconvolto e i nervi non tengono più. 
Ma ogni giorno. 
A denti stretti, magari delle cretinate senza senso, ma scrivi. 
Lo scrivere è una delle più patetiche e ridicole nostre illusioni. 
Crediamo di fare cosa importante tracciando delle contorte linee nere sopra la carta bianca. 
Comunque, questo è il tuo mestiere, che non ti sei scelto tu ma ti è venuto dalla sorte, solo questa è la porta da cui, se mai, potrai trovare scampo.
Scrivi, scrivi. 
Alla fine, fra tonnellate di carta da buttare via, una riga si potrà salvare.
(Forse).
Dino Buzzati
Siamo spiacenti di
Mondadori 1975


16/10/13

15/10/13

memoria 3 - Gianni Rodari


«Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. Innumerevoli eventi, o microeventi, si succedono in un tempo brevissimo. Forse nemmeno ad avere tempo e voglia si potrebbero registrare tutti, senza omissioni.
Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.»
Gianni Rodari, Grammatica della fantasia (1973)

14/10/13

memoria 2 - Italo Calvino



"Imparare molte poesie a memoria: da bambini, da giovani, anche da vecchi. Perché fanno compagnia: uno se le ripete mentalmente. Inoltre, lo sviluppo della memoria è molto importante.
Anche fare dei calcoli a mano: delle divisioni, delle estrazioni di radici quadrate, delle cose molto complicate. Combattere l'astrattezza del linguaggio che ci viene imposto, con delle cose molto precise.
Sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all'altro. Certo,  goderlo: non dico mica di rinunciare a nulla, anzi. Però sapendo che da un momento all'altro tutto quello che abbiamo può sparire in una nuvola di fumo."

Fonte: Rai scoperta grazie a  il blog del mestiere di scrivere

13/10/13

Memoria

Forse riesci già a capirlo, forse riuscirai a capire come sia importante avere una memoria oppure queste ti sembreranno soltanto frasi difficili, inutili e ti stancherai presto di sentire questo vecchio parlarti con la sua voce tabaccosa, alitarti parole vicino al viso, ma è così. E' necessario che io ti dica, è necessario parlarne almeno una volta. Ecco vedi, un tempo la memoria era tutto e i vecchi parlavano dei propri vecchi ai più giovani e questi voltavano gli occhi a sfuggirne proprio come fai tu, ma intorno a loro le case, le strade, i campi, rimandavano le stesse parole e presto ognuno di loro scopriva che quelle rimanevano lì a sorridere placide sotto il leggero sole del tardo pomeriggio, quando ancora la sera non aveva coperto ogni cosa, offuscando la realtà per farne magia. Perchè quella era l'ora, quello era il momento.
Ora le case, le strade, non hanno più memoria, non hanno più memoria ti dico, e solo qualcuna di esse ha avuto nella sua vita l'onore di aver visto la morte, pochissime, le più fortunate, la vita. Ecco, il parto vissuto con dolore, il primo vagito... solo rantoli tra quelle mura e spazi di tempo, caleidoscopici frammenti, amori forse, ma nessuna morte, nessuna vita.
Forse riesci a capirlo, forse riuscirai a capire come sia importante avere una memoria ma ti assicuro che no, non è quella della tabellina, del valore delle carte con cui giochi, del numero dei telefoni a cui chiami.
No, memoria è quello che odori giorno dopo giorno, è il blu che vedi all'orizzzonte da questa finestra, è il verso del mare che muore godendo con il vento. Memoria sono io che ti parlo, è quello che ricorderai e cambierai di queste frasi. Memoria è quel vestitino della tua compagna che ti sei sorpreso a guardare. E' lo schifo per qualcosa di cui ti sei ingozzato. Memoria è ciò che è stato e ciò che è. Memoria sei tu.

12/10/13

Il bacio rubato di Robert Doisneau di Grazia

A Parigi, una giovane coppia si bacia di fronte all'Hotel de Ville, ignara dei passanti, che camminano indifferenti o che gettano appena un rapido sguardo. 
Intorno, tutto sembra sfumato e quasi in ombra in confronto all'intensità del loro gesto d'amore.


"Le baiser de l’Hotel de ville"di Robert Doisneau (1912-1994): il bacio più famoso della storia della fotografia. 
Un’immagine, in bianco e nero, scattata il 9 marzo del 1950 per un reportage sugli innamorati parigini, commissionato dalla rivista "Life". 
Una foto che ci rimanda alla Parigi dell’immediato dopoguerra, quella dei caffè con i tavolini all'aperto  degli ampi boulevards, dei lampioni di ghisa. 
Ma che rievoca anche la Parigi dello charme femminile, degli uomini che indossano il basco come Jean Gabin, o delle poesie sui ragazzi innamorati di Jacques Prévert. Nell'aria sembra di sentire il suono dell’accordéon, o, magari, le note dell’"Hymne à l’amour" e l’inconfondibile erre moscia di Edith Piaf.

Chissà quanti si saranno emozionati, guardando questa foto o quanti, come me, ne avranno acquistato una riproduzione, una  cartolina o un un poster.
E chissà quanti, poi, si saranno domandati chi possano essere quei due giovani tanto innamorati.
Se lo sarà chiesto anche il giudice parigino che, nel 1992, si è visto arrivare la denuncia di una matura coppia di coniugi, Denise e Jean Louis Lavergne. 
I due sono arrivati fino al tribunale per rivendicare il proprio diritto all'immagine e, soprattutto, per chiedere un sostanzioso risarcimento per la foto, scattata- a quel che sostengono- a loro insaputa. 
Erano loro- dicono- quei due giovani innamorati; era il loro bacio quello "rubato" da Robert Doisneau.
Denise porta come prova un brano del suo diario, in cui ha annotato, se non lo scambio di effusioni, almeno i vestiti che indossava quel fatidico giorno, una quarantina d'anni prima.
"Passeggiata nei pressi del Municipio, gonna scura, golfino, camicetta bianca…": –aveva scritto.
L’abbigliamento- non c’è che dire- corrisponde a pieno, così come la sciarpa chiara che, in quel marzo lontano, aveva appena regalato al suo Jean Louis. 
È vero che, quando la foto era stata pubblicata da Life, non se ne erano nemmeno accorti. 
Ma da quando, nel 1988, la pubblicazione di mezzo milione di poster, di centinaia di migliaia di cartoline, di calendari e di T-shirt, ha invaso il mondo intero, i due fidanzati di allora hanno deciso di spendere una bella cifra in avvocati e procedure giudiziarie. Gli pare giusto che il mondo sappia chi erano i veri protagonisti della foto e si aspettano di essere debitamente compensati. 
E poi- probabilmente si sono detti- è pur sempre la raffigurazione dell'inizio di una storia d’amore finita bene, con un regolare matrimonio e anni di quieta vita coniugale. 

Sono sicuri che il tribunale darà loro ragione.
E, invece, no, perché si scopre che gli innamorati della fotografia non sono affatto loro.
Macché foto scattata di nascosto! Basta conoscere il modo di fare del fotografo per non lasciarsi convincere dalla loro versione.
Robert Doisneau, è stato fedele, anche in questo caso, alla sua idea di abbellire le situazioni quotidiane, ricorrendo a un pizzico di immaginazione.
"Per tutta la vita mi sono divertito a fabbricare il mio piccolo teatro":- ha affermato più volte. E poi ha spiegato: "Io non fotografo la vita reale, ma la vita come mi piacerebbe che fosse".
Le sue foto non sono mai istantanee riprese all'improvviso. 
Sono, invece, piccole messe in scena in grado di restituire l’essenza perfetta di quei momenti, che rischiano di rimanere nascosti o confusi nell'imperfezione della realtà.

Anche nel caso del bacio, ha organizzato, come lui solo sa fare, la sua piccola recita.
È rimasto colpito dal gesto di tenerezza tra due giovani attori, incontrati per caso ai tavolini di un caffè e ha chiesto loro di replicarlo il giorno dopo. 
Ha pure offerto un compenso, anche se puramente simbolico: cinquecento franchi (più o meno tredici euro)
Ha, poi, scelto la scenografia più adatta e, armato della sua attrezzatura fotografica, li ha ritratti, fermando sulla pellicola quel breve momento d'amore. 
Di sicuro non si tratta di un'immagine rubata, tanto più che- chiarisce ancora:- "Non avrei mai osato fotografare due persone qualsiasi. Due innamorati che si sbaciucchiano per strada sono raramente coppie legittime".
I due giovani erano, invece, "gente del mestiere" e hanno recitato sotto le sue direttive. Innamorati, però lo erano davvero, anche se la loro storia era destinata a finire presto: pochi mesi dopo si sono separati. 
Lui, Jacques Carteaud, ha smesso da tempo di fare l'attore e ha scelto tutt'altra attività: la viticoltura. 
Lei, Françoise Bornet, invece, non ha abbandonato il suo lavoro ed è rimasta legata all'ambiente del cinema. 
Per anni ha conservato la testimonianza di quell'istante di tenerezza, una delle prime stampe della foto che Robert Doisneau ha firmato e le ha regalato come ricordo, Con quella si presenta dal giudice: non c’è alcun dubbio che la giovane appassionata della foto sia proprio lei. E non si sogna nemmeno di chiedere un risarcimento. 
Decide, comunque, di vendere quella stampa per creare una sorta di borsa di studio e aiutare giovani artisti a iniziare la loro carriera. 
E, a distanza di anni, ha la conferma che quel bacio è davvero prezioso: nella vendita all'asta bastano appena tre minuti perché i prezzi si impennino e la stampa venga acquistata per quasi duecentomila euro.
Un prezzo davvero alto per una foto, anche se si tratta ormai di una vera e propria icona.

Ê che Robert Doisneau è riuscito perfettamente nel suo intento.
"Sono deciso a impedire al tempo di scorrere": aveva detto.
E, in effetti, nella sua foto è arrivato a fermare il  tempo, a rendere eterno un momento effimero e a far diventare quel bacio il simbolo stesso della giovinezza, dell’amore e della gioia di vivere. 
"Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere". Questo ha sempre voluto. E nell'immagine dei due innamorati quel mondo di tenerezza ha preso vita. Per sempre.
Quel piccolo istante di felicità non ha finito ancora di emozionarci e di illuminare i nostri pensieri.



Fonte:  senza dedica 

ps. questo è il mio piccolo contributo: 

08/10/13

A chi esita - An den Schwankenden - di Bertolt Brecht




 
Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può più mentire.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha travolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

06/10/13

Araziu. Vita errabonda di un sincero furfante [+1]

Araziu pigghiau il portafoglio dalla sacchetta e ci diede la carta al poliziotto che quello passò tre ore a taliari la foto nella carta e la sua faccia che qualche cosa non lo convinceva epperò non ne faceva parola.
"Ero nico" ci disse quello e lo sbirro per tutta risposta si misi a ririri che quella foto invece gli ricordava a un suo nipote che lui ciaveva fatto anche da padrino.
"Si cancia" ci rispose poi invece tutto serio.
Sara era dietro di lui e ci tineva la mano stretta.
“E la signorina?”
Araziu si furiau a guardarla e la capì subito la storia che quegli occhi parlavano.
“La signora è me mugghieri. Siamo in viaggio di nozze e dobbiamo prendere il traghetto”
“Auguri allora! E la signora non cinnavi documenti?”
“Li ha lasciati a casa”
"E i bagagli?"
"Sono sopra al treno. Scinnemu per sbaglio e il treno partiu e ora li dobbiamo recuperare"
"Avete fatto denuncia?"
"Certo! Ce lo dissimo alla stazione. Ce li fanno trovare a Villa. Però il treno ancora non parte"
"U saciiu. U sacciu. Insomma siti cumminati accussì perchè avete perso i bagagli?"
E nel dire questa cosa il poliziotto con la mano gesticolò a mostrarci come erano cumminati. Tutti loddi e ein disordine.
" Certo! Cero! E accussì!"
Lo sbirro non ce ne aveva vogghia di farisi pigghiari po culu epperò era già fuori dallorario di servizio e quei due non ci sembravano pericolosi. Accussì ci rissi sulu:
“Iu fazzu finta ca è vera questa storia però non vi vogghiu viriri chiù na sta città. Ni capemu? Il treno parte tra due ore. Fatevi un giro e dativi una puliziata che due sposini devono essere uno sboccio e non merda!  "
Araziu tutto serio feci finta di non sentiri e accalau tannicchia la testa. Non tanto però che non ci voleva dare sazio a quello. Pigghiau Sara e se la tirò che là non potevano più stare.
La fimmina non aveva detto una sola parola. Solo quando furono abbastanza lontani lo fermò e taliannulu nella facci ci rissi:
“Ma ora chiffai? Sai riri macari le munsignarie?”
E si vedeva che era contenta e anche Araziu la guardava con un sorriso strano nella faccia:
“Ma cu tu rici che erano munsignarie?”
Sara iniziò a darici pugni  come per gioco e arrireva e Araziu cercava di bloccarci le mani. Di afferrarci i polsi. E poi le loro bocche si incontrarono e tutto si placò che altre cose era necessario accuminciare di nuovo.

Araziu. Vita errabonda di un sincero furfante (dove eravamo)

Araziu non ne aveva mai dette munzignarie.
Nasciu accussì che la verità cera sempri nisciuta fora senza che ciavissa potuto mai fari nenti contro questa mavaria. E per questo uscava sempri coppa quando lui da solo o con qualche compagnetto faceva una michiata.
"Araziu cu rumpiu a seggia?"
"Iu mamma!"
E assuppava.
"Araziu cu fici cascari u picciruddu?"
"Fu Nunziu mamma!"
E continuava ad assuppare.
"Araziu cu ci tirau i petri a iatta?"
"Fummu iu e Tino mamma!"
E accuminciava a chianciri.
Arrivau il punto che sua madre non ci spiò più niente che allora non ciavissa crisciutu chiù du figghiu scemu e poi che anche le vicine u taliavunu stottu che per colpa sua non cera nel cuttigghio picciriddo che non avesse vuscatu più del necessario.
Il problema vero comunque era stato quello di trovare u travagghiu da farici fari che sera discusso assai supra a stà cosa già prima ancora caccuminciava ad attisarici a minchia.
Certo non puteva vinniri. Che non avissa duratu più di un giorno. E mancu u parrinu o lo sbirro poteva fare. Che quelli di munzignarie ci campano. Forse quache mestiere di fino? E con quali clienti? Oppure u viddano? Ma avissa murutu di fami senza sapirisi dari aiuto.
Alla fine so o pà decise che la cosa migliore era di farici fari u puccaru che almeno qualcosa da mangiare lavissa trovata sempre e bisogno di munzignarie non cenera assai in quelloccupazione.
Araziu era un bravo figlio e allinizio ubbidì con coscienza a questordine. Che si fece anche le vacanze con questa scusa. Senza coppa e mangiando bene.
Epperò lui aveva voglia di scoprire il mondo. Che quello laveva visto sopra alla televisione e di certo andava per lui. Lui lo sapeva. Lo sentiva. Lì cerano tante opportunità e soldi e fimmine per uno onesto e corretto. Era sempre accussì in tutte le storie dei romanzi a puntate che sera visto da nico sotto alle cosce di so o ma'. E anche negli altri programmi pure. E nella pubblicità macari.
Fu per questo che dopo una para di misi indossò il suo vestito migliore e andò a casa dei genitori. Aprì la porta e ci rissi tutto contento alla famigghia: "Io parto" e poi no visturu chiù.

Araziu ciaveva quella che per lui era una piccola fortuna. 300 euri che il padrone ce laveva voluti dare lo stesso quando laveva cercato anche se era stato solo per dirci che aveva deciso di andarsene. Con quelli aveva subito pensato che i posti dove andare potevano essere solo due. Roma o Milano. Che lì facevano i programmi e le storie e tutte quelle cose belle della televisioni.
Arrivato alla stazione però era stato indeciso che lui il treno non laveva mai pigghiato e poi non voleva spenniri tutti i soddi che di sicuro ci sarebbero serviti anche dopo. Sinformò tranquillo alla cassa quale era il biglietto che costava di meno e quando quello dietro al vetro ridendo ci rissi la risposta non ebbe più dubbi.
"Il primo che parte" gridò e si pigghiau resto e cartoncino come un picciriddu il gelato la domenica.
Erano comodi i sedili. Certo tannicchia vecchiotti e arripizzati in qualche punto però cera lo spazio per stirari i peri e si potevano appuggiari anche le braccia se uno voleva. Con lui cerano solo due persone. Un vecchio che scinniu a Giarre senza spiccicare una parola come a un fantasma e una niura dallocchi curiosi e dalle minne chine che ci rissi che andava a Taormina a travagghiari.
Araziu si suseva ogni tanto per taliare fora. La campagna si cangiava il posto con le case e poi tornava di nuovo e il mare ci faceva la corte a tutti e due che quello non sa mai decidersi. E il cielo piano piano diventava sempre chiù scuro e sinni futteva del mare della città della campagna e del vecchio e della niura e di Araziu macari che il cielo cumanna tutto e lo dice lui quando fari scuru e quando fari luci e il vento e la pioggia e tutti i disgrazi e tutte le fortune e le vite macari. Araziu li sapeva queste cose anche se nessuno ce laveva mai dette. Ce laveva nel cuore questa verità e ciabbastavano pi parrari con tutti delle cose della vita.
Fu vicino al ponte dellAlcantara che il treno si fermò di botto e che Araziu per quella frinata si visti arrivari due minni na facci. "A scusari! A scusari!" fu sulu capaci di dire come se era colpa sua quella novità. Per fortuna la fimmina non sera fatta nenti a parte lo scantazzo e anche sopra al treno pareva tutto tranquillo.
Dopo tannicchia di silenzio tra un colpo di tosse e una taliata di sgambesciu accumincianu a parrari. La creatura si chiamava Sara e Araziu si presentò e ci cuntau che cosa aveva fatto e che cosa stava andando a fare e insomma addivintanu amici comu sulu supra a un treno si può diventare.
Sara anche lei parrau. Ci rissi che faceva cumpagnia ai masculi a Giardini e che insomma anche quello era un travagghiu. Lei per farlo partiva ogni giorno di pomeriggio do Futtinu a Catania cullautobussu e tornava nelle matinate che lì ciaveva la casa e poi era più sicuro. A dire la verità allinizio non ce ne aveva avuta assai Sara voglia di parrari ma poi si era lasciata andare davanti a quello. Che cera sembrato un bravo carusu dopotutto. Eppoi aveva ancora vogghia di crederci che ne esistono di carusi accussì.
Insomma assittati sopra quel treno mezzo vuoto quei due non se ne accorsero assai del tempo che passava. Della notte che ammucciava ogni cosa.
"Senti scendiamo a fumare una sigaretta?"
Araziu non fumava. Veramente una vota ciaveva anche provato che era in campagna ma il risultato fu che dopo il primo colpo di tosse u muzzucuni ciavvulau sopra alla pagghia che per poco non faceva un disastro.
"Insomma che fai?" ci spiau ancora Sara che si era già alzata.
"Sì, sì, aspetta!" fu la risposta di quello.
Il treno sera fermato nella campagna. Araziu fici forza sopra il finestrino e saffacciau la testa per controllare. Da quel lato si immaginava che ci doveva essere il mare anche se era lontano. Soddisfatto della cosa ci vosi dare una taliata anche dallaltro lato. Solo terra. Scavata frisca e con una rete a fare da protezione.
Scinnenu che già vicino alle porte si vedevano tante lucine rosse accese proprio come lumini al cimitero. Laria era frisca e nel cielo poche stelle ciavevano avuto vogghia di nesciri fora. Nessuno protestava o faceva domande solo ogni tanto qualche carrozza si astutava tutta e allora partiva qualche friscata che addivintava un battimani appena la luce tornava.
Araziu non ciaveva più molto da dire. Si tineva le mani dentro alle tasche e furiava di qua e di là appoggiandosi sopra i tacchi. Sara lo taliava un poco strana. La sigaretta tirata troppo forte ogni tanto si illuminava tutta e i so occhi macari.
"Ciai freddo?"
"Sì tannicchia. Me lo immaginavo che era megghiu se mi portavo un cappotto!"
"Cinnai soddi?"
"Certo! Come partivo allora?"
"Veni cummia! Tanto quanto accumenciano accussì ci vuole tempo"
Araziu sentì un po' di batticuore e una piccola scossa sotto la panza quando una mano si intrufulò dentro alla sacchetta dei suoi causi e pigghiau la sua. Ficinu una decina di metri senza dire chiù nenti poi lei visti quello che doveva essere il posto giusto. Un fosso vicino ai binari ammucciato da un pezzo di sciara. Per arrivarci cera un pezzo di terra battuta che forse era di quando avevano costruito la ferrovia oppure era merito di qualche picuraro.
Sara ci lassau la mano veloce per spingerlo quasi a forza dentro a quel nascondiglio
Araziu non ne sapeva assai di fimmine. Cioè di quelle vere che uno ci nesci e ci parra. Delle fimmine che si toccano e che uno poi ci futti macari.
Lui canusceva i cani e lanimali e le cose dette dagli amici e quelle viste alla televisione o supra i giornali. Una vota era anche andato al cinema con i suoi compagni che erano stati loro ad insistere ma non cera piaciuto assai che dopo cinque minuti e una minata no cessu ci era passato tutto linteresse.
Sara accuminciau alliccannuci u cuddu. Ammuttannu con tutto il loro peso le sue minne sopra il petto di lui. U carusu però pareva un manichino senzanima. Si vireva ca mancava di collaborazione e lei ciaveva troppa esperienza per non immaginarlo subito il motivo. Accussì non disse niente e continuò a travagghiari con la lingua. Voleva arrialarici qualcosa in più addù babbasunazzu e lidee non ci mancavano.
Senza spugghiarlo ca cera friddu arrinisciu dopo tannicchia a infilarici la mano ne mutanni. U capiu subito che non ce ne aveva assai quel bastone cauru di campari e accussì non persi altro tempo e saccalau per metterlo al caldo na ucca.
Araziu non ciavissa mai criruto che poteva essere così bello. Le gambe ci stavano tremando e il cuore ci batteva come a quando era nico e curreva na campagna sopra alla bicicletta. Chiuriu locchi e non pinsò più a niente. Era come trovarsi nel paradiso che se anche lui non cera mai stato era sicuro che Dio li doveva fare per forza a tutti i cristiani boni sti riali.
Allimprovviso sintiu un botto. Forte. Fortissimo. La testa ci furiau. Si sinteva senza forze. Ci stesi un pezzo fino a quando rapiu locchi ma poi quannu ci arrinisciu Sara non cera chiù. E mancu u trenu.
Araziu acchianau di cursa fino ai binari. La minchia ancora ciabballariava fora dei causi e la testa ci furiava ma sopra a quel treno cera la sua valigia e il cappotto e il biglietto macari che lava misu nella tasca dopo che era partito.
Sara stava tornando verso di lui che cera venuto di pisciare e ora lo guardava che sembrava che ciaveva come a una risata trattenuta na facci.
"Chi fazzu? Chi facemu?"
"Ora mi dai 20 euro e semu a paci" ci rissi idda come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo quella situazione.
Araziu mancu a taliau chiù. Sassittau supra a quel pezzo di ferro e si misi i manu ne capiddi.
Ad accattari un biglietto nuovo i soddi ciavissuru finutu. Tornare indietro non poteva e non voleva.
" Forza alzati! Veni cummia!"
Che cosa altro restava? Si susiu come a un manichino e a testa vascia ciappizzau darreri che tanto tutto andava bene.
Sara non ciaveva sulu i minni rossi. Macari u culu ci sporgeva in tutta la sua importanza sutta a una gonna pisanti di velluto. A guardarla bene ciaveva una annacata gentile e però decisa. Un di quà e di là che pareva la lancetta di unorologio quando si sta scaricando la batteria. Araziu ce naveva uno così a so casa. Laveva vinto alla fiera del paese che sera accattato il biglietto ed era stato fortunato.
Sara non doveva avere più di una ventina di anni ma su questo lui non ciavissa misu la mano sul fuoco eppoi cera scuru macari che la luna gentilmente si era convinta di nesciri fora e finirla dammucciarisi dietro alle nuvole.
Si ritrovarono presto in un giardino daranci e da lì sopra a una trazzera che da qualche parte certo portava. Lei continuava a camminarici davanti senza nemmeno vutarisi per taliare se lui ancora era darreri. Se continuava a seguirla.
"Fermati! Fermati rissi!"
Non è che era stanco ma Araziu accuminciava a sentiri friddu e camminari senza sapiri unni era poi ci dava veramenti fastidio. Aveva visto tannicchia chiù avanti qualcosa dove putirisi firmari e appuntamenti per quella sera lui non ce ne aveva.
" Chivvoi? Che cè?" ci spiau invece continuando a camminare a carusa.
"Un posto pi dommiri" rispose lui "Ormai il danno è fatto. Ci pinsamo dumani a trovare la strada."
"E i miei soldi? E il lavoro?"
"Ma unni voi iri cu stu scuru?"
La luna in effetti sava ammucciato di nuovo e poi anche Sara laveva capito che quella notte ormai era persa.
"Va bene! Andiamo a vedere. Ma senza che ti fai veniri pinseri strani na testa che allora la tariffa è doppia! E dammi i me soddi prima!"
Araziu sembrò che non laveva nemmeno sentita. Erano ormai davanti a quello che doveva essere una specie di vecchio deposito fatto con quattro blocchi e una lamera come tetto. E però dentro era vuoto e pareva asciuttu macari che megghiu daccussì non ci puteva proprio capitari.
Senza chiù parrari se ne andò ad appuggiarisi in un angolo e chiuriu locchi. So nanna ce lo diceva sempre da quando era nicu nicu:
"Senti o niputi quando ciai qualcosa che non ti gabbizza chiuri locchi e pensa a una cosa bella e poi addumisciti se puoi ca è sulu inutili perdita di tempo furiari na tempesta a menti china. "
E lui laveva sperimentato tante volte questa verità e sempre ciava dato buoni risultati che se anche non cenerano state di soluzioni giuste comunque lui cera arrivato sempre con il cuore più leggero al punto finale.

Non era difficili dommiri. Più difficile era sentiri quella fimmina che sera appoggiata a lui. Quel calore che ci passava dentro alla giacca supra a cammisa ne mutanni e finiva proprio dà. Unni non doveva finire. Araziu i chiuriu tanti voti locchi e tanti voti i rapiu fino a quando non fu u sonnu a vincere sopra alla voglia.
Sarrusbigghiau che una striscia di sole passata da un puttuso della lamiera si era andata ad ammucciare proprio sopra a locchi sò. Nei causi ciaveva una macchia frisca e nella testa una decisione. Avrebbe fatto come nei filmi. Con lautostoppi. Che là cerano sempre quelli che salivano sopra i camion o nelle machine. E anche se qualche volta andava male la maggior parte arrivava. E lui poi era un bravo carusu e qualche anima buona di sicuro lavrebbe incontrata.
Sara non cera chiù e fu automatico mettiri a manu supra o pottafogghiu. Accussì. Pi viriri che ciaveva ancora quacche speranza. Che non cera bisogno di chiedere anche da mangiare oltre al passaggio. Tutto a posto.
Si susiu come a un carusiddu senza mancu appoggiare le mani a terra. La faceva sempre questa spittizza quando voleva impressionare gli amici oppure quando era di buonumore. E Araziu si sinteva veramenti bonu da iunnata. Cetto tannicchia impuvulazzato e macari un poco loddu ma questo si puteva risolvere.
Stava per vedere il sole fora quando una voce u fimmau:
"Aspetta! Non nesciri!" riceva.
Un culu tunnu e niuru era proprio davanti alla porta e la faccia di Sara che lo taliava era tutta furiata verso di lui.
Vutau locchi senza nemmeno sapere pecchè. Anche lui aveva bisogno di pisciari.
Con la luce se nerano accorti subito che la strada non era lontana. E anche se cera da camminare non ci voleva assai ad arrivarici.
Sara ci stava sempre davanti. A voti si fermava e si furiava per vedere che fine aveva fatto quellaltro e quando trovava la sua faccia ci sorrideva come una picciridda impertinente.
"Iu avissa pinsatu questa cosa. Mi pari che si può fare. Che ci dovrei arrinesciri"
Lei non ci rispondeva neanche. Macari che Arazio ormai ce laveva detta cento volte quella sua decisione. Che poi ci serviva macari a lui questo ripetere. Per farisi coraggio. Per essere deciso.
Poche centinaia di metri prima di arrivare alla provinciale un grosso tubo nisceva dalla terra e nella punta cera una specie di rubinetto di quelli che servono per attaccarici la pompa per annaffiare.
Si fimmanu a fari pulizia che cene avevano proprio bisogno. Lacqua nisceva fotti do cannolu e per non bagnarsi si spugghiano a mità tutte e due che così si potevano dare una bella sciaqquariata senza problemi.
Araziu non potti fare a meno di darici unocchiata a quelle delizie che abballariavano senza controllo e Sara con la sua gonna e le minne di fora pareva precisa precisa come nei filmi vecchi della televisione che ci sono lafricani che fanno tutte le feste quando arriva tarzan.
Non si sapi cu fu caccuminciau a fare quello scherzo però dopo pochi minuti che si tiravano l'acqua uno incoddu allaltro si dovettero spugghiari tutti come ad Adamo ed Eva nel paradiso.
Non passau assai tempo che di sicuro ci vosi chiossai a fare asciugare tannicchia i robbi piuttosto di quel muncimunci accellerato. Erano stati tranquilli dopo e lei non ciaveva mancu addumannato i soddi che era assai che non ci succedeva.
"Senti. Ma tu vinissi cummia?"
Arazio non lo sapeva proprio pecchè glielo aveva chiesto. Forse per il motivo che la sua testa continuava a furiare. O forse che si aspettava di sicuro un pernacchio per risposta. E invece.
"Fino a quando non mi dai i miei venti euri io non mi stacco di tia"
Arazio arririu. Non lo sapeva spiegare ma si sinteva cuntento.
Era ancora matina e la strada non è che era tanto traficata che poi i camion rossi se ne vanno nellautostrada che qui non ci conviene. Avevano continuato a camminare in direzione di Messina che cera un cartello con la freccia che indicava la strada e lui si furiava a ogni sgruscio di machina e lei faceva il segno dellautostoppi. Epperò nuddu si fermava e loro continuavano a non parrarisi. Come possono fare due estranei. Oppure come succede a due innamorati. A seconda i casi e la coscienza.
"Ca non si ferma nuddu"
La voce arrivava da un panzuni che avevano appena superato. Stava con la sua lapa a scartare la frutta e quella buona la mitteva di nuovo dentro le cascie e quella cattiva la abbiava nel canale che cera sutta alla strada.
"Vinita cà. I vuliti du bastarduni?"
La maglietta si fermava un bello pezzo sopra u viddicu e la faccia era precisa a una vastedda ma Mario che accusì si chiamava quel cristiano non era malvagio.
Laveva solo visti tutti loddi e ancora vagnati e subito cera venuto in testa che forse erano di quelli che sbarcano con le barche vecchie che arrivano dal mare e che di sicuro non sapevano dove andare. E anche dopo quando seppe la verità non se ne fece problemi che cerano andati a simpatia.
Eppoi unu non può fare finta di niente davanti alle disgrazie che ce lhai davanti allocchi e macari il fatto che anche lui cera stato fuori di casa che se lo ricordava ancora quando nicu nicu lo avevavano spedito in germania che cera so ziu. Ora che la situazione era buona ora che ciaveva la lapa e il giardino e la casa ora che non mancavano mancu i soddi pa vicchiania ora poteva anche fare tannicchia di carità se cenera bisogno. Però carità vera. No come a quella del parrino della sua chiesa ca si futteva i soddi da festa do paisi pi fari abottire la perpetua. No quella no. A carità vera è quella che si fa quasi ammucciuni quando capita o quando uno ne ha vogghia e possibilità.
"Mangiati! Mangiati"
Sara e Araziu non serano fatti pregare che tra passeggiata e ginnastica la fame certo non mancava. E mentre mangiavano u carusu accuminciau a cuntari e ci rissi di Roma e del treno e della fermata e della sucata e della futtuta macari che Araziu quel brutto vizio di dire sempre la verità non laveva lasciato.
"Nenti. Non ti preoccupari. Facemu accussì..."
Mario laveva presi veramemente in simpatia a quelli. Forse più a lei che a lui visto che ogni occasione era bona a darici una toccatina a Sara ma insomma li voleva aiutare.
"Io ciaiu a me cucinu che parte ogni simana con il camion per la Germania. Che ci porta la frutta o i mobili o lanimali. Insomma quello che ci capita e che ci danno. Voi ora viniti cummia che vi porto a me casa e vi rati nabbissata e vi lavati macari e poi tra qualche giorno acchianate sopra il camion e partite che a Roma ci passate di sicuro."
E mentre diceva queste cose locchi ci cascavano sempre chiù o spissu supra i minni della fimmina e le mani ciaccarezzavano u culu a quella sempre più spudoratamente. Sara u lassava fari che insomma non è che laffari erano andati bene fino a quel punto e i venti euri non lo sapeva proprio se ce la facevano ad arrivare ne so sacchetti. Araziu invece tannicchia ci dava fastidio quella cosa e però lidea di quel viaggio tranquillo ci piaceva che tanto fretta non cenera e poi pinsannuci non sa puteva pigghiari che Sara quello era u sò misteri e lui non cenaveva proprietà.
Mario u fici acchianari supra a lapa darreri e misi in moto. Sara era invece davanti con lui che si vedeva che faticava a starici che lo spazio era veramente poco.
La giornata era spuntata buona con un suli che accarezzava piano la pelle senza infastidire assai. Araziu pigghiau un pessicu e lentamente tra uno scossone e laltro accuminciau a mangiarselo. Era ruci comu u zuccuru. Comu a ucca di Sara. Comu a spiranza.
La casa Mario se lera fatta fuori del paese che tuttattorno cera la campagna e la strada piena di scaffe per arrivarci che non cenerano soddi per asfaltarla. Araziu una para di vote stava per cascari e anche le casce di frutta abballariavano che la lapa correva come nella formula uno che si vedeva che lautista ciaveva prescia. Non ci fu infatti nemmeno il tempo di rapiri la porta e di addumari le luci che i due che erano stati davanti sparenu subito.
Di sicuro serano accordati buoni per il prezzo e per la specialità in vendita.
Araziu si sistemau nel divano davanti al televisore che era nella stanza allingresso. Che poi cerano solo due stanze grandi una dietro allaltra e una scala anche che portava al piano di sopra dove erano acchianati quelli.
Accuminciau a cangiari canali che lorario non era di quello dove cera assai e poi si fimmau dove facevano un vecchio telefilm che però lui non lo conosceva e non ci piaciu assai pecchè cerano sempre le risate registrate che se uno non la capisci la battutta si sente in imbarazzo e poi ci passa a vogghia.
Di supra fu una cosa spiccia che Mario non doveva essere un grande atleta ma però scinniu lo stesso tuttu cuntentu che in fondo di sicuro non cera dispiaciuto u travagghiu.
Sara invece si fici aspittari na para di minuti e poi quando ci passau davanti u taliu tannicchia storto che Araziu non lo capì tanto bene il motivo e per un momento pensò anche di mettere le mani al portafoglio che poteva essere per la storia dei soldi ma poi ciarrinunciau.
Si era sistemato bene lui nel frattempo che sera tolto anche le scarpe e senza esagerare si era un po' sdraiato e comu fu e come non fu saddummisciu macari che il divano era bello comodo.
Certo che dommiri cera sempre piaciuto. Quel momento in cui il mondo sparisci e tu macari cu iddu e lentamente certe volte arrivano altre immagini. Altri mondi.
Araziu non ci interessava la filosofia che non la conosceva nemmeno quella parola però cera capitato una vota di sentiri una storia e dentro questa storia cera uno che si addummisceva e poi si svegliava che era diventato unaltro e quando si riaddormentava era di nuovo quello dellinizio e tutti questi furiamenti ciavevano fatto girare la testa a lui mentre li sinteva epperò cera piaciuto che ogni notte aspettava anche lui di diventare unaltro.
"Susiti! Susiti!"
Sara ci stava davanti che lo spingeva per le spalle e nella faccia era diversa come fosse stata tannicchia più decisa. O più felice forse.
"Andiamo. Non voglio restare qui"
Araziu si stirau lungo lungo e sintiu lossa scricchiuliari poi sassittau che ancora si sinteva tannicchia stunatu.
"Come andiamo? E il camion? E Roma?"
"Andiamo ti ho detto. Non ci voglio rimanere più qua"
Si susiu guardandosi in giro. Sara se ne doveva essere accorta che cercava qualcosa o qualcuno perchè subito ci rissi:
"E' uscito. Doveva ancora fare u giru per la frutta. Andiamo ora."
Insomma non ci fu bisogno di grandi convincimenti. Finiu che si truvano di nuovo sulla strada e dopo pochi minuti in un paisuni che questa vota accapitano subito un passaggio di quello giusto. Un caruso ca parrava sempri che faceva u prufissuri da scola e che in dieci minuti ci cuntau tutti i sò disgrazi ma che per fortuna doveva arrivare fino al lavoro.
Sara per tutto il tempo era stata quasi muta e Araziu anche se aveva ubbidito si sinteva ancora tannicchia stunatu e poi dentro quella machina non ce ne aveva avuto vogghia di parrari de fatti sò. Accussì accuminciau a chiedere solo quando arrivanu nella piazza che era bella ranni e nel mezzo cera una statua di un signore ca minchia di fora che laveva fatta unu che si chiamava Incorpora che cera scritto che era artista. Che era da sò.
" Avanti. Ora mu rici chi succiriu?"
Per tutta risposta Sara ci pigghiau la testa nelle mani e cinfilau a so lingua na ucca furiannula tutta come a un tuppetturu per un bello pezzo. Che su fossi accapitata la stessa cosa alla statua lì vicino quella di sicuro avissa pigghiatu vita o almeno a so minchia.
Macari Araziu non potti fare a meno di sentiri come a un furiamento di testa e a una caloria strana ma continuava a non capiri.
Quannu lei finalmente si calmò allora ce lo spiau di nuovo il motivo del suo comportamento:
"E allora? Ti pari una risposta questa? Ancora aspetto!"
Anche questa volta Sara fici a muta giubba. U taliu con un sorrisetto malizioso strusciandosi con la coscia sopra ai sò causi e poi però tirau fora dal reggipetto una carta di cento euri e ce li misi nelle mani.
La cosa diventava sempre più complicata. Araziu non capiva e non capire lo innervosiva che non sapeva mai cosa fare e chi dire. Alla fine ci vinni nella testa la cosa più logica:
"Chi significa?" e il giro fu più fortunato che Sara finalmente ciarrispunniu.
"Sono tue. E' quello che mi ha dato Mario per il servizio!"
"E io che centro?"
"Tu li devi tenere. E macari ammia con quelle"
"Io?"
"Certo"
Araziu non sapeva mai andare avanti quando gli altri erano accussì decisi e in genere o li mannava affanculu oppure accalava la testa. E fu in questultimo modo questa volta.


Certo che i cento euri putevano esseri utili ora che sivveva di accattari i biglietti nuovi o anche per mangiare nel frattempo che ad esempio tannicchia di fame era arrivata a tutti rui e lora della giornata era propizia.
Araziu pinsau bonu di scegliere un posto. Una putia che stava vicino alla piazza e che prima ciaveva chiesto a quacche passante per canusciri. Che lui non sapeva e non laveva frequentato a quel paese.
E macari che tutti lavevano taliati storti che non era difficile arristari impressionati da unu vistutu mali e da una buttana niura che facevano i fidanzatini quelli ciavevano lo stesso dato le indicazioni che magari di rui erano solo drogati o turisti americani.
"Dà na vanedda! No zu Ianu" aveva detto uno.
"Go o rittu e poi a lefti che cè ancol Iano" aveva aggiunto unaltro.
"Quanto veni un giro?" cera nisciuto a un terzo.
Insomma sta putia non era mali che pareva pulita e poi cera macari un tavolino messo fora anche se cera friddu. E questo stava tutto attaccato al muro quasi che era timido o che non cenaveva iammu assai di farisi viriri con i clienti da tutta la gente che passava.
Loro si pigghiano una pasta alla norma e du puppetta arrustuti che poi invece cera anche quella con il finocchietto alla palermitana e alla puttanesca macari che però non era il caso e poi rocculi affugati e carne di cavaddu e patatine fritte e angiove e tante altre cose presentate dal padrone.
Serano messi dentro che quello nel locale aveva ricavato una stanza vicino alla cucina e così si puteva macari mangiare comodi. Certo però che per essere una putia il vino era proprio acitu e dopo il primo assaggio Araziu laveva ittatu tuttu nterra come fosse stato un incidente e sera fatto portare una birra ca era di certo megghiu. Avevano comunque pagato venti euri compreso il caffè ed erano nisciuti subito poi che volevano arrivare presto alla stazione.
Per strada ora cera uno strano silenzio e ciauru di mari macari. Arrivava tutto chinu di sali e ti riempiva i polmoni e locchi e lanima che se non ci fossero stati abituati di sicuro avissuru impazzutu che il mare quando decide di regalarti il suo profumo non scherza.
Non cera molta gente. Non cerano tante cose.
Qualche vecchia che ricamava o friscu nel balcone. Un picciriddu cammuttava senza voglia un pallone. Una lambretta scassata abbiata di lato. Una funtana rutta cabbiava un filo dacqua. Petri e ligna abbandonati per il lavoro di qualche casa diroccata. Un picciotto che sarritirava do travagghiu.
Il sole ora riempiva tutto e si pigghiava ogni cosa. Araziu e Sara erano solo macchie. Puntini acculurati. Lei con il suo culo e la faccia niura. Lui con il vestito nuovo tutto impagghiazzato. Macchie. E forse anche loro la sapevano questa cosa che di nuovo non si rivolgevano la parole e camminavano con la testa vascia e la surura che calava no coddu.
Allimprovviso una chiesa vicino accuminciau a sunari le campane delluffizio. Fu cosa di poco conto che nenti dopo sembrò cambiare.
Serano infilati in una vanedda che portava solo alla campagna ma non ci fu tempo assai di pinsarici a questa sventura che un cani i pigghiau di mira facenduci viriri i renti e abbaiandoci contro come a un dannato. Scappanu arreri comu du aciduzzi. Avvulannu supra le poche ombre. Scavalcando macerie. Pigghiannu vita.
Cerano volute tre ore per arrivare a Messina che il treno si firmava sempri a tutte le stazioni e poi però non ne voleva sapere di ripartire. Pareva preciso come a un vecchio stanco che i parenti lo fanno nesciri controvoglia per portarlo a fare visite mentre lui bestemmia che si vuole solo arripusari e i malirici a tutti a quegli ingrati ca ci scassunu a minchia.
Loro due in effetti non serano molto interessati a questi problemi o al panorama o ai picca cristiani che acchianavano e scinnevano anche se forse avissuru pututu che cè sempre qualcosa di interessante a guardare il mondo. Sarà che erano stanchi e che nel frattempo avevano trovato uno scompartimento vuoto o che poi a Sara cera vinuta vogghia di rommiri e a Araziu macari. Sarà per questo ca passau u tempu. Accussì. Con locchio mezzo chiuso e menzu aperto e u fetu delle poltrone nelle nasche.
Il bigliettaio ciaveva spiegato che dal treno dovevano scinniri alla stazione e attraversare con il traghetto che poi una volta dallatra parte nel continente ne avrebbero accapitato uno diretto che da Villa puttava a Roma. Naturalmente u scuprenu quasi subito che con tutto quel ritardo il treno invece lavevano perso e che di tempo libero cenavevano assai ora che era notte e anche a attraversare avrebbero dovuto aspettare almeno sei ore prima di pattiri.
Araziu si mise il cuore in pace che quel viaggio pareva proprio stregato. Si passau la mano nella sacchetta e tirau fora la lira per accattare quattro arancini che almeno quelli per un poco ciavissuru fatto passari i mali pinseri.
Erano indecisi sopra a quello che dovevano fare. Sara taliava e si faceva taliari come era abituata e Araziu mangiava mutu assittatu supra a un pisolu. Erano usciti dalla stazione che proprio non ne potevano più di treni e binari ma fora non cera tanta luci e la temperatura stava scinnennu.
"Senti io faccio un giro. Però torno subito".
Sara ciaveva detto queste cose nell'orecchio. Cera sparita dalla vista cinque minuti che lui non se ne era dato tanta cura anche se iniziava ad affezionarsi a quella strana fimmina. Forse macari chiossai di quanto puteva pinsari. Che poi uno li sa mai capire queste cose? E' difficile. E certe volte si esagera e altre ci si ammuccia. Altre ancora poi uno sembrerebbe non pinsarici affatto prima di cascari comu una pira cotta. Comunque.
Tannicchia più distante c'era uno che li taliava tutto serio. Ciaveva causi scuri e una giacchetta stritta stritta a righe acculurati. Di sutta ci mancava a cammisa e al suo posto invece ci stava una maglietta niura che unchiava sopra alla panza come u paninpasta della pizza. Il braccio destro era appoggiato sopra il tetto di una machina russa e la mano sinistra era invece nei causi ca di certo iniziava a preparare larnese.
Sara ci iu incontro veloce che forse non lo faceva apposta ma di certo quellannacamento faceva scantari lanima.
Araziu continuò a seguirla con gli occhi fino a quando non entrò dentro alla machina e anche dopo che quella non partiva e i due dentro sembravano parlare. Si fermò a vedere il modello. Il colore. I palazzi che cerano alle spalle di quella. Le altre machine che correvano veloci tra i due fuochi principali. Poi però accuminciau a preoccuparisi. Troppi movimenti. Troppe mani che si intravedevano allaria come ombre di burattini. Troppe voci che arrivavano senza significato dai finestrini chiusi. Stava succedendo qualcosa. Si avvicinò con calma ma la mano era già supra o rasolu che si era portato dappresso da casa. Non si sbagliava.
Sara pareva che chianceva e si muoveva come una pazza e faceva uci ma una mano di quel porco la teneva stretta e laltra cercava invece di pigghiarici la testa per farci centrare il bersaglio.
"Suca!" ci riceva "Suca! Niura buttana!"
La lama era già fora. Rapiu di botto la porta e non ci vosi assai a tirarici fora a quello la testa per i capiddi e a farici lisciari u gargarozzu con il coltello.
Allimprovviso ci fu sulu silenzio poi però Sara ciaccuminciau a diri maliparoli:
"Ma chi cazzu fai? Chissì scimunito? Finiscila subito minchiuni!"
Araziu era confuso. Quello sotto di lui mancu fiatava che a giudicare dal feto si stava cacariannu sutta ma al significato di quello che diceva Sara proprio non ciarrivava.
"Stamu iucannu! Non li capisci queste cose? Iucannu" e questultima parola ce la gridò bene lettera per lettera in modo che un poco forse quello savissa ripigghiatu.
U carusu in effetti livau tuttu e senza dire una parola accuminciau ad allontanarsi. Non si accorse nemmeno che la machina dietro di lui con una sgommata era partita e che quella fimmina lo seguiva a testa bassa.
"Fermati! Ti vuoi fermare?"
Sara tentava di farisi viriri ma era come se di colpo fosse diventata trasparente. Araziu ciaveva ancora lalliccasapuni nelle mani e la tremarella nella testa.
"Documenti! Documenti per piacere!"
Fu u sbirru a farici cangiari pinseri a tutti rui.


02/10/13

diavoli blu

Oggi avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
a pugni fino a spaccargli la faccia lo avrei preso,
a pugni fino a vedergli i denti sorridere di sangue,
e dopo, dopo gli avrei offerto una birra,
una birra ghiacciata per le sue ferite gli avrei offerto,
una birra ghiacciata per le mie ferite,
perchè è così amore, perchè è così.

Oggi avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
perchè ero senza notizie di te, perchè la strada era lunga,
perchè il vino era un pessimo vino e io,
io ho camminato e camminato, ho camminato e camminato,
e le gambe mi si piegavano e il corpo mi doleva
e la strada era lunga e non volevo fermarmi,
perchè avevo paura, perchè avevo paura e poco tempo per trovarti,
perchè è così amore, perchè è così.

Oggi avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
quando attorno a me c'erano i diavoli blu,
quando attorno a me i diavoli blu ridevano e urlavano:
"Ehi muovi quel culo uomo! Muovi quel culo!"
Ma io avrei solo preso volentieri a pugni qualcuno
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
perchè è così amore, perchè è così.



Scritto per l'EDS Il blues del blu proposto da La Donna Camèl.
Lo hanno fatto anche:
singlemama con NY Blues
MaiMaturo con Colori 
singlemama con La linea blu
lillina con Il blu dell'universo che non c'è
lillina con Morte nel blu
Pendolante con Il trattore
Call me Leuconoe con Crossroad
Marco C. con Le ore scure (grigio, rosso e blu) 
Hombre con I won't let you down
Calikanto con Onde
Cielosopramilano con Fever
Melusina con Neon 
La Donna Camèl con Dritto e rovescio   
Melusina con Sostiene Teresa
La Donna Camèl con Diritto e rovescio 2, la vendetta
Cage of a common man con So long
Hombre con Davvero non lo so
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