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28/02/13

28 febbraio 2013

E poi unu mori u stisso.
E se travagghi mori nella fabbrica e se non travagghi mori per la fabbrica.
E poi unu mori u stisso.
E quello che resta e il titolo del giornale e il chianto della famigghia.
E poi unu mori u stisso.
E attorno tutti dicono che non ci sono chiu loperai. Che già eri morto prima.  
E poi unu mori u stisso.
E alla televisioni si parra di claun e di rivoluzioni di prastica.
E poi unu mori u stisso.
E se non sarà lidea sarà la fame. 

27/02/13

27 febbraio 2013

Io non lo so se è giusto il mio ragionamento che non mi interesso assai di queste cose però sacciu che se qualcuno che ci voglio bene sta male che di mia mi importa picca io cerco il dottore più giusto e chiedo e mi informo  e quando qualcuno mi dice che è bravo voglio vedere il malato come a san tommaso e parrarici se è possibile.
Invece se si presenta u duttureddu stuccu a ucca che se mi va di culo è tutto guadagnato e se non è accussì non posso nemmeno tornare indietro. Magari se sono piccole cose ci do anche fiducia però e può capitare che tra una fiducia e laltra quello impara chiossai e io mi ritrovo a uno che mi salva la vita.
Certo mi incazzo su pavu assai e se non mi fanno la ricevuta mancu ci vaiu chiù anche se a me della fattura non me ne faccio niente.
Eppure vedo la gente che invece dice che ci volunu facce nuove e queste facce manco li conosce che putissuru essiri come a quello che ammutta i muschi arreri u vitru e loro dicono che va bene lo stesso.
Forse è solo che ci vuole fede ed è per questo che io non ci capisco assai che i santi mi stanno simpatici ma loro sono tutti nel paradiso mentre Dio si fà i cazzi sò.

26/02/13

26 febbraio 2013

Io ci sono stato qualche volta allichea che mi sono accattato minchiate per la casa e ci ho mangiato anche che costa poco e uno può dire: Ho mangiato fuori oggi". I mobili no che non sono bravo a montarli e ci ho tentato una volta ma non mi è riuscito bene.
Ecco io ci ho mangiato dicevo e oggi ho scoperto che nelle polpette dellichea cera carne di cavallo e questo sembra che non andava bene perchè loro quelli dellichea non la dicevano questa cosa nella etichetta anche se a me la carne di cavallo piace che la mangiavo sempre quando ero a Catania. Insomma dentro ci mettevano questa carne e anche nelle lasagne dicono che cera un misto strano ma quelle le facevano a Bologna.
Le polpette allichea te le danno con la marmellata e una salsina e sarà per farci cambiare sapore forse oppure è la loro tradizione che quelli vengono da altri paesi e non mangiano come a noi. Io comunque questa cosa non mi sorprende che se vado lì non è che mi aspetto di mangiare cose eccezionali e cè qualcuno in Germania che dice che tutte queste cose che hanno sequestrato o ritirato invece di gettarle potrebbero darle ai poveri che quelli non si curano di quello che mangiano e sarebbe uno spreco. E certo che è vero che ai porci si da tutto prima di scannarli.

25/02/13

25 febbraio 2013

Ora succede che addumo la televisione e in un colpo solo scopro che non cè più il governo e il papa e il capo della polizia e allora mi scappa un sorriso che lo so che è per picca questa novità però è bello pensare che per un attimo non cè più nessuno che comanda in questo paese e che ti dice quello che devi fare e che quello che devi fare puoi anche farlo e pensarlo con la tua testa che qualcuno te lha data per quello.
Il guaio è che a essere liberi a pinsarisi liberi ci vole tempo. Anni e anni e storie di famigghia e tradizioni come a esseri poveri insomma che a quello però ci siamo abituati da sempre e anche se ora pari che sta crollando il mondo in fondo è picca ca ciavumu due lire in più nella sacchetta e io me lo ricordo ancora come si fa a risparmiare e a cogghiri lolio sopra il macco. Invece per la libertà non è accussi che ogni tanto qualcuno sè sentito anche libero che a me me lhanno cuntato i nonni questa cosa ma non è che abbia fatto una bella fine oppure cè passata in fretta questa fantasia che è più comodo stari sutta a qualcuno e che insomma poi ci si abitua presto.
Io pinsavo a queste cose questa matina e nel frattempo ero affacciato che continuava a nevicare che sono giorni ormai. Sopra ai rami dellalbero di fronte a casa mia due acidduzzi sbattevano le ali e iniziavano a cuppiari. Come sempre.

24/02/13

24 febbraio 2013

Buongiorno. Io mi chiamo Vincenzo e vivo e travagghio a Parma dove ciacchianai un po' di anni fà che invece sono nato a Catania. Non è stata una cosa facile che io ammia mi piaceva la mia città e ciavevo lamici e la famigghia prima ma però cummatteva ogni giorno per la pagnotta e allora ho cercato fuori che qualche cosa ho trovato. Io travagghio dentro a un supermercato che metto le cose nel magazzino e poi le passo nei reparti per venderle. Certo a considerare certe cose mi è andata bene che non sono in fabbrica che allora forse nemmeno qua al nord riuscivo a travagghiare ma insomma.
Io sto scrivendo queste cose che ci pensavo da tempo di farlo. Il fatto è che io di mio parlo poco e allora qua non ci ho tanti amici anzi a dire il vero non cè nho nessuno vero che quelli sono rimasti a Catania e allora Totò che era il mio migliore amico mi ha detto che potevo provare a scrivere prima di diventare pazzo che a lui cè lha consigliato uno del palazzo dove abitavamo e che queste cose che scivevo li potevo mettere in un posto dentro al computer che tutti poi le potevano leggere. E io così ho fatto anche se non mi decidevo mai a iniziare che con le scuole e le lettere non ci sono mai andato daccordo e non lo sapevo che cosa poteva nesciri fora. Insomma volevo iniziare al primo dellanno ma poi mi passau la vogghia e non cenerano tante di date speciali da quel momento. Poi Totò al telefono mi ha detto che quella delle elezioni poteva essere la scusa giusta e io mi sono deciso che per me è importante fare le cose per bene e uno se accumencia qualche cosa ce la deve avere. Una data giusta che poi dice ecco io ho iniziato da questo giorno che cera questo anche per ricordarselo bene se ci capita di parlarne con qualcuno.
Io oggi mi sono svegliato che cera la neve ma anche ieri cera e allora ho pensato che forse è sempre megghio della ciniri niura che cade a Catania e che te la senti addosso quando sei in giro. Ecco però questo non lo dovevo scrivere che era di ieri e io ho iniziato oggi e non lo potevo sapere che allora si vede il trucco.
Insomma oggi ci sono le elezioni e io penso che ci vado. A votare intendo.  Alla televisione ho visto che spiegavano cosa devo fare e quella icchisi da qualche parte finirà che insomma magari non serve ma lho sempre fatto. E' che poi non ci vuole assai a capire dove metterlo quel segno che io non ho mai sopportato due specie di persone quelle ca cuntunu minchiate e quelle tipo testimoni di geova ca si chiurunu locchi e ti devono convincere a ogni costo perchè tutti gli altri sono il male. Ecco io lo so dove arriverà la matita e poi come finisce si cunta.    

23/02/13

"judge a book by its cover" di Fabio Magnasciutti


giudico i libri dalla copertina
superficiale che non sono altro
in libreria
quei libri con titoli a rilievo dorati
non li compro
non li guardo
passo oltre con un indefinibile senso di disagio
mi offendono
perderò un capolavoro
pazienza

le urla
i ringhi
battute frasi azioni
volgari povere primitive
da ripetenti di seconda elementare
mi offendono
offendono secoli di evoluzione del pensiero umano
auricolari nelle orecchie che mi pompano miliardi di decibel
di tutti i discorsi alle poste
sull'autobus
al bar
contemporaneamente
signora mia è un magna magna sono tutti uguali




no

22/02/13

Domenica e lunedì - fine -

«Nell’analisi dei partiti politici italiani si può vedere che essi sono stati sempre volontari per ogni iniziativa anche la più bizzarra che sia vagamente sovversiva (a destra o a sinistra). Nell’analisi dei partiti politici italiani si può vedere che essi sono stati sempre di volontari, e mai o quasi di blocchi omogenei sociali. Un’eccezione è stata la destra storica cavourriana  e quindi la sua superiorità organica e permanente sul Partito d’Azione mazziniano e garibaldino, che è stato il prototipo di tutti i partiti italiani di massa, che non erano in realtà tali (cioè non contenevano blocchi omogenei sociali) ma attendamenti zingareschi e nomadi della politica» 

 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi Torino 1977


[«Sovversivo».] Il concetto prettamente italiano di «sovversivo» può essere spiegato cosí: una posizione negativa e non positiva di classe: il «popolo» sente che ha dei nemici e li individua solo empiricamente nei cosí detti signori (nel concetto di «signore» c’è molto della vecchia avversione della campagna per la città, il vestito è un elemento fondamentale di distinzione c’è anche l’avversione contro la burocrazia, in cui si vede unicamente lo Stato: il contadino – anche il medio proprietario – odia il «funzionario», non lo Stato, che non capisce, e per lui è questo il «signore» anche se economicamente il contadino gli è superiore, onde l’apparente contraddizione per cui per il contadino il signore è spesso un «morto di fame»). Quest’odio «generico» è ancora di tipo «semi-feudale», non moderno, e non può essere portato come documento di coscienza di classe: ne è appena il primo barlume, è solo appunto la posizione negativa e polemica elementare: non solo non si ha coscienza esatta della propria personalità storica, ma non si ha neanche coscienza della personalità storica e dei limiti precisi del proprio avversario. (Le classi inferiori, essendo storicamente sulla difensiva, non possono acquistare coscienza di sé che per negazioni, attraverso la coscienza della personalità e dei limiti di classe dell’avversario: ma appunto questo processo è ancora crepuscolare, almeno su scala nazionale).
Un altro elemento per comprendere il concetto di «sovversivo» è quello dello strato noto con l’espressione tipica dei «morti di fame». I «morti di fame» non sono uno strato omogeneo, e si possono commettere gravi errori nella loro identificazione astratta. Nel villaggio e nei piccoli centri urbani di certe regioni agricole esistono due strati distinti di «morti di fame»: uno è quello dei «giornalieri agricoli», l’altro, quello dei piccoli intellettuali. Questi giornalieri non hanno come caratteristica  fondamentale  la  loro  situazione  economica, ma la loro condizione intellettuale-morale: essi sono ubbriaconi, incapaci di laboriosità continuata e senza spirito di risparmio e quindi spesso biologicamente tarati o per denutrizione cronica o per mezza idiozia e scimunitaggine. Il contadino tipico di queste regioni è il piccolo proprietario o il mezzadro primitivo (che paga l’affitto con la metà, il terzo o anche i due terzi del raccolto secondo la fertilità e la posizione del fondo), che possiede qualche strumento di lavoro, il giogo di buoi e la casetta che spesso si è fabbricato egli stesso nelle giornate non lavorative, e che si è procurato il capitale necessario o con qualche anno di emigrazione, o andando a lavorare in «miniera», o con qualche anno di servizio nei carabinieri, ecc., o facendo qualche anno il domestico di un grande proprietario, cioè «industriandosi» e risparmiando. Il «giornaliero», invece, non ha saputo o voluto industriarsi e non possiede nulla, è un «morto di fame», perché il lavoro a giornata è scarso e saltuario: è un semimendicante, che vive di ripieghi e rasenta la malavita rurale.
Il «morto di fame» piccolo-borghese è originato dalla borghesia rurale: la proprietà si spezzetta in famiglie numerose e finisce con l’essere liquidata, ma gli elementi della classe non vogliono lavorare manualmente: cosí si forma uno strato famelico di aspiranti a piccoli impieghi municipali, di scrivani, di commissionari, ecc. ecc. Questo strato è; un elemento perturbatore nella vita delle campagne, sempre avido di cambiamenti (elezioni ecc.) e dà il «sovversivo» locale, e poiché è abbastanza diffuso, ha una certa importanza: esso si allea specialmente alla borghesia rurale contro i contadini, organizzando ai suoi servizi anche i «giornalieri morti di fame». In ogni regione esistono questi strati, che hanno propaggini anche nelle città, dove confluiscono con la malavita professionale  e  con la malavita fluttuante. Molti piccoli impiegati delle città derivano socialmente da questi strati e ne conservano la psicologia arrogante del nobile decaduto, del proprietario che è costretto a penare col lavoro. Il «sovversivismo» di questi strati ha due facce: verso sinistra e verso destra, ma il volto sinistro è un mezzo di ricatto: essi vanno sempre a destra nei momenti decisivi e il loro «coraggio» disperato preferisce sempre avere i carabinieri come alleati.
Un altro elemento da esaminare è il cosí detto «internazionalismo» del popolo italiano. Esso è correlativo al concetto di «sovversivismo». Si tratta in realtà di un vago «cosmopolitismo» legato a elementi storici ben precisabili: al cosmopolitismo e universalismo medioevale e cattolico, che aveva la sua sede in Italia e che si è conservato per l’assenza di una «storia politica e nazionale» italiana. Scarso spirito nazionale e statale in senso moderno. Altrove ho notato che è però esistito ed esiste un particolare sciovinismo italiano, piú diffuso di quanto non pare. Le due osservazioni non sono contraddittorie: in Italia l’unità politica, territoriale, nazionale ha una scarsa tradizione (o forse nessuna tradizione), perché prima del 1870 l’Italia non è mai stata un corpo unito e anche il nome Italia, che al tempo dei Romani indicava l’Italia meridionale e centrale fino alla Magra e al Rubicone, nel Medioevo perdette terreno di fronte al nome Longobardia (vedere lo studio di C. Cipolla sul nome «Italia», pubblicato negli «Atti dell’Accademia di Torino»). L’Italia ebbe e conservò però una tradizione culturale che non risale all’antichità classica, ma al periodo dal Trecento al Seicento e che fu ricollegata all’età classica dall’Umanesimo e dal Rinascimento. Questa unità culturale fu la base,molto debole invero, del Risorgimento e dell’unità per accentrare intorno alla borghesia gli strati piú attivi e intelligenti della popolazione, ed e ancora il sostrato del nazionalismo popolare: per l’assenza in questo sentimento dell’elemento politico-militare e politico-economico, cioè degli elementi che sono alla base della psicologia nazionalista francese o tedesca o americana, avviene che molti cosí detti «sovversivi» e «internazionalisti» siano «sciovinisti» in questo senso, senza credere di essere in contraddizione.
Ciò che è da notarsi, per capire la virulenza che assume talvolta questo sciovinismo culturale, è questo: che in Italia una maggior fioritura scientifica, artistica, letteraria ha coinciso col periodo di decadenza politica, militare, statale (Cinquecento-Seicento). (Spiegare questo fenomeno: cultura aulica, cortigiana, cioè quando la borghesia dei Comuni [era] in decadenza, e la ricchezza da produttiva era diventata usuraria, con concentrazioni di «lusso», preludio alla completa decadenza economica).
I concetti di rivoluzionario e di internazionalista, nel senso moderno della parola, sono correlativi al concetto preciso di Stato e di classe: scarsa comprensione dello Stato significa scarsa coscienza di classe (comprensione dello Stato esiste non solo quando lo si difende, ma anche quando lo si attacca per rovesciarlo), quindi, scarsa efficienza dei partiti, ecc. Bande zingaresche, nomadismo politico non sono fatti pericolosi e cosí non erano pericolosi il sovversivismo e l’internazionalismo italiano. Il «sovversivismo» popolare è correlativo al «sovversivismo» dall’alto, cioè al non essere mai esistito un «dominio della legge», ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo. Tutte queste osservazioni non possono essere, naturalmente, categoriche e assolute: esse servono a tentare di descrivere certi aspetti di una situazione, per valutare meglio l’attività svolta per modificarla (o la non attività, cioè la non comprensione dei propri compiti) e per dare maggior risalto ai gruppi che da questa situazione emergevano per averla capita e modificata nel loro ambito.

Antonio Gramsci, Passato e presente

17/02/13

"Arrivederci" di Paolo Nori

Qualche settimana fa sono andato a un convegno, a Reggio Emilia, dove si parlava di scuola e di diritti dei bambini e io, che non ne so tanto, di scuola e di diritti dei bambini, ho pensato che avrei letto due favole, ho scritto un libro di favole, per bambini, e mi sembrava che me la sarei cavata così. Solo che poi il giorno prima mi hanno detto che dovevo parlare mezz’ora, e io, parlare mezz’ora, altro che due favole, lì bisognava inventarsi qualcosa, cioè più che inventarsi, con così poco tempo, improvvisare, e allora ho preso su un paio di libri in più, rispetto a quello lì delle favole che comunque l’ho portato con me e una favola poi dopo alla fine l’ho letta anche se non è stato quello, il centro del mio intervento.
Il centro del mio intervento non saprei dire bene, qual è stato, perché quando sono andato sul palco io ero un po’ agitato per delle cose che avevo sentito dire e allora non so, di preciso, quello che ho detto, che quando mi agito io non rispondo esattamente, di quello che dico e poi dopo, per farmi passare l’agitazione, quando tutto è finito, mi succede che mi ripeto nella mia testa un misto di quello che ho detto e di quel che avrei dovuto dire, e il risultato è un po’ un misturotto la cui principale funzione è quella di calmarmi e di convincermi che io, tra tutti quelli che hanno parlato, ero quello che aveva ragione.
Le cose che avevo sentito e che mi avevano fatto agitare erano due, la prima, che bisognava educare e dar dei valori, ai bambini, la seconda, che quelli che non vanno a votare tolgono un diritto anche a quelli che ci vanno, che non ho ancora capito bene cosa c’entrasse, con l’educazione dei bambini, ma pazienza.
Allora quando sono andato sul palco io la prima cosa che ho detto che io, l’unica relazione che ho con la scuola, e con l’educazione dei bambini, è il fatto che c’è una bambina, che ha l’avventura di esser mia figlia, che ha otto anni e fa la terza elementare e che io, nell’universo della scuola il mio ruolo, la mia funzione, il mio punto di vista, sono un ruolo, una funzione e un punto di vista marginali di uno che è il babbo di una bambina che fa la terza elementare e che, a questo proposito, io avevo preso su un libro che io e mia figlia lo stavamo leggendo in quei giorni lì che era un libro di Gianni Rodari che si intitolava Fra i banchi ed era appena stato ristampato da Einaudi ragazzi e da quel libro lì, a Reggio Emilia, a quel convegno sull’educazione ai diritti, ho letto una filastrocca che faceva così: «Ho conosciuto un tale,
 un tale di Macerata,
/ che insegnava ai coccodrilli
/ a mangiare la marmellata. // Le Marche, però,
/ sono posti tranquilli,
/ marmellata ce n’è tanta,
/ma niente coccodrilli. // Quel tale girava
/ per il monte e per la pianura,
/ in cerca di coccodrilli
/ per mostrare la sua bravura. // Andò a Milano, a Como,
/ a Lucca, ad Acquapendente:
/ tutti posti bellissimi,
/ ma coccodrilli niente. // È ancora lì che gira,
/ un impiego non l’ha trovato:
/ sa un bellissimo mestiere,
/ ma è sempre disoccupato», ho letto e dopo ho detto che quella filastrocca lì, sembra che non c’entri niente e invece secondo me c’entra, se avete pazienza. Perché io, ho detto, rispetto a quand’ero piccolo io, la figura centrale della famiglia di quando ero piccolo io, il buon padre di famiglia, cioè il padre giusto e severo, né troppo intelligente né troppo stupido, quello che faceva le cose con la diligenza del buon padre di famiglia, cioè né troppo bene né troppo male, cioè in un modo giusto, con un metro giusto, al quale si adeguava poi tutta la famiglia, i figli, la moglie, i suoceri, le nuore, i cognati, i parenti, gli amici in visita eccetera eccetera, ecco quella figura lì, che spirava autorevolezza, che non aveva bisogno di alzare la voce perché bastava uno sguardo, un sopracciglio alzato, per produrre il silenzio, e l’ascolto, ecco quella figura lì, ho detto, oggi che io non sono più giovane e che è giovane invece mia figlia, che ha otto anni, quella figura li non esiste più, è anacronistica, e se si ripresentasse, se ricapitasse in Emilia in questi giorni un buon padre di famiglia come quelli che ho conosciuto io, con la giacca del buon padre di famiglia, e le abitudini del buon padre di famiglia, fumare in casa, e in macchina, per dire, e iniziare i figli all’uso degli alcolici, ecco secondo me un padre del genere farebbe la figura del di quel signore di Macerata di cui parla la poesia di Gianni Rodari, cioè di uno che sa un mestiere magari bellissimo ma che non serve a niente.
Solo che, ho detto, mi viene in mente una cosa che è successa con mia figlia due anni fa, che una volta lei, eravamo a casa sua, non abitiamo insieme (e già questo, di per sé, sarebbe già fuori dall’universo del buon padre di famiglia, mi sembra), e lei, in salotto, camminava sulla spalliera del divano, e io le ho detto «Secondo me non va bene, che fai così», e lei si è fermata, mi ha guardato, ma cattiva, e mi ha detto «Tu non devi dirmi Secondo me, tu devi dirmi Non va bene». Allora, ho detto lì a Reggio Emilia, mi viene forse il dubbio che qualche coccodrillo che vuol la marmellata in Italia, ancora, ce ne siano anche oggi, anche se io, proprio, di marmellata, non son capace, di darne, forse perché quand’ero piccolo io me n’han data talmente tanta, di marmellata, che mi è venuto il diabete, non solo in famiglia, anche a scuola. Io, ho detto, quando ho fatto le elementari ero contro il divorzio, perché ho fatto le elementari il periodo che c’era il referendum sul divorzio e la nostra maestra ci diceva in classe, a una classe di 30 bambini di 10 anni, che noi dovevamo convincere i nostri genitori che era bene che votassero no al divorzio perché il matrimonio era un vincolo indissolubile. Ci faceva venire in classe un frate (scuola pubblica, in Emilia Romagna, nel 1974) che ci diceva che gli uomini non potevano sciogliere i matrimoni, perché nessuno, in terra, poteva sciogliere quello che Dio aveva legato in cielo, e la maestra faceva uscire il frate e poi ci diceva «Ecco, cosa vi avevo detto io?». Quella signora lì, ho saputo trent’anni dopo, era stata lasciata dal marito, e credo che non avesse nessuna colpa, lei, poveretta, credo che fosse lei che aveva patito più di tutti, questo fatto, solo che la violenza che, in conseguenza del suo dolore, aveva fatto a una classe di trenta bambini di dieci anni, io me la ricordo ancora come una violenza insopportabile, ed è forse per quello che quando sento parlare di educare ai valori io penso che ognuno, i valori, dovrebbe trovarseli per conto suo, e mia figlia io credo che dovrà far la fatica, tremenda, mi rendo conto, di costruirselo da sola, l’angolo dei suoi valori, io posso solo accompagnarla, ho detto, e mi è venuta in mente una volta che lei, eravamo in bicicletta, era ancora piccola, avevamo uno di quei seggiolini che si metton davanti, sul manubrio, io non la vedevo in faccia ma sentivo quel che diceva e a un certo punto l’ho sentita dire «Io non le voglio, le righe», e io, non capivo, quel che diceva, le ho chiesto «Che righe?», e lei mi ha detto «Le righe che ci son sulla faccia», e io ho capito che voleva dire le rughe e le ho detto «Ah, va bene, non c’è problema, ci son dei medici che ti addormentano, quando sei grande che cominciano a venirti le righe, ti taglian la faccia, ti cuciono che non si vede niente quando ti svegli hai una pelle liscissima che sei senza righe», le ho detto, e lei ha taciuto un po’ e poi alla fine mi ha detto «No, io le voglio, le righe», e questo è l’unico modo, secondo me, in cui sono capace di influenzare i valori di mia figlia, facendo come se non li influenzavo e mi è venuta in mente un’altra poesia di Rodari, una poesia che è abbastanza famosa che si intitola La mia mucca e che fa così: «La mia mucca è turchina / si chiama Carletto / le piace andare in tram / senza pagare il biglietto. // Confina a nord con le corna, / a sud con la coda. / Porta un vecchio cappotto / e scarpe fuori moda. // La sua superficie / non l’ho mai misurata, / dev’essere un po’ meno / della Basilicata. // La mia mucca è buona / e quando crescerà / sarà la consolazione / di mamma e di papà. // (Signor maestro, il mio tema / potrà forse meravigliarla: / io la mucca non ce l’ho, / ho dovuto inventarla.)», che è una poesia che quando l’ho letta io, da piccolo, mi era piaciuta, e quando l’ha riletta mia figlia, pochi giorni fa, è piaciuta anche a lei, e io non so il motivo per cui ci è piaciuta, da piccoli, però una delle cose per cui mi piace adesso è che dice una cosa che non si poteva tanto dire, a scuola, cioè che quel che si scrive nei temi, di solito, sono cose inventate, cioè relativizza il portato valoriale della scuola, se così si può dire, e per via dei valori, ho detto, io forse a scuola preferirei che a mia figlia le dessero degli strumenti, anziché dei valori. Quando ai diritti, ho detto là a Reggio Emilia, io sentendo gli interventi precedenti mi son reso conto che vi devo chiedere scusa perché ho sentito dire che chi non va a votare priva del diritto di andarci anche tutti gli altri e io, scusatemi, sono vent’anni che sto a casa, quindi sono vent’anni che privo la gente dei loro diritti, e io pensavo, e vi confesso, penso ancora, ho detto là a Reggio Emilia, che fosse e che sia un mio diritto, stare a casa, e devo dire, scusatemi, che da quando, vent’anni fa, ho smesso di credere che qualcuno che andrà in parlamento farà il mio bene, da quando ho cominciato a pensare che il mio bene era bene non delegarlo a nessuno farlo da solo, e che la politica non è una cosa che si fa una volta ogni cinque anni quando si va a votare, ma che la politica si fa tutti i giorni, e che è politica il modo in cui si parla, il modo in cui ci mi muove, che è politica il grado di gentilezza con cui si parla coi propri figli, e coi proprio genitori ecco io, ho detto là a Reggio Emilia, sto molto meglio, da quando ho scoperto queste cose, e queste scoperte, ho detto, coincidono con la scoperta del pensiero anarchico, che qui non ho il tempo di riassumere e ne affido il riassunto a una frase di Pierre-Joseph Proudhon del 1840 che fa così:
Essere governati significa essere guardati a vista, ispezionati, spiati, diretti, legiferati, valutati, soppesati, censurati, comandati da persone che non ne hanno né il titolo, né la scienza, né la virtù. Essere governati significa essere, a ogni operazione, a ogni transazione, a ogni movimento, annotati, registrati, censiti, tariffati, timbrati, tosati, contrassegnati, quotati, patentati, licenziati, autorizzati, apostrofati, ammoniti, impediti, riformati, raddrizzati, corretti. Significa, sotto il pretesto dell’utilità pubblica e in nome dell’interesse generale, essere addestrati, taglieggiati, sfruttati, monopolizzati, concussionati, pressurati, mistificati poi, alla minima resistenza e alla prima parola di protesta, repressi, multati, vilipesi, vessati, taccheggiati, malmenati, fucilati, mitragliati, giudicati, condannati, deportati, sacrificati, venduti, traditi e, come se non bastasse, scherniti, beffati, oltraggiati, disonorati. Ecco il governo, ecco la sua giustizia, ecco la sua morale!
ho letto lì a Reggio Emilia, per via dei diritti, e poi ho detto che io mi ero preparato delle letture dove, più o meno, si parlava appunto del mio ruolo di babbo che non è un buon padre di famiglia, e se c’era ancora tempo ne avrei letta una o due, e loro mi han detto che c’era tempo [...] 

Fonte:  http://www.paolonori.it/arrivederci/

16/02/13

S.Sebastiano





Cara Mamma sono il tuo figlio Franco che ti scrivo da questa città dove sono arrivato la simana scorsa. Perdonami che non lho fatto prima che solo ora lho potuto fare e spero che arriverà presto a casa questo mio pensiero.

Il viaggio è andato bene che quando sono arrivato alla stazione cera tanta gente ma un posto lho trovato lo stesso che ci siamo messi tutti a parlare fino a quando non cè venuto sonno e poi la mattina dopo ho tirato fuori il formaggio che mi avevi dato e quel profumo ha svegliato tutti che ognuno ha preso qualcosa e chi il vino e chi il pane e insomma era come se ancora non ero partito.
A Torino cera il cugino Nitto che mi aspettava e lui mi ha portato a dormire in una casa che cerano tanti compaesani e poi il giorno dopo siamo andati al cantiere e il padrone mi ha controllato e ha detto che ciavevo le braccia forti e mi poteva prendere per il travagghio. Ancora non abbiamo parlato di soldi ma il cugino Nitto dice che quello è sicuro e la paga qui è buona.
Io non ciò avuto tempo di girare assai in questa città che dopo dieci ore di travagghio non cè ne ho molta voglia però cara mamma ti voglio dire che qua non si sta male è solo che la differenza sta nella nasca che qui mi manca il ciauro della nostra casa e a volte nella giornata ci ho come dei sogni che mi sembra di sentirlo lodore del pane che fai tu o quello delle pecore mentre le porto nelle campagne ma poi marrusbigghiu e insomma ho solo sognato che se non sto attento rischio anche di cadere.
Oggi è domenica della festa di San Sebastiano come da noi e il cugino Nitto mi ha fatto andare a casa sua che cera il bagno e sò mugghieri del nord che io non la conoscevo ma mi è sembrata una brava carusa. Mi sono lavato e siamo andati a messa che mi sono messo anche il vestito che io non lho volevo portare ma tu hai insistito tanto e ci stavo un po' stretto e nello specchio quasi non mi riconoscevo ma quella donna ha detto che sembravo un signore messo così e mi ha dato anche le scarpe pulite che dice che erano di suo padre.
Ora ti lascio che tra un poco torno nella mia stanza e prima però metto la lettera nella buca che domani così parte. Abbracciami a tutti e soprattutto ai miei fratelli e alle mie sorelle che appena posso scrivo anche a loro. Io qui sto bene e spero di tornare presto che mi piacerebbe sentire anche il mare e il ciauro delle arance che qui ci sono pure ma non è la stessa cosa.
Un bacio dal tuo figlio Franco

Domenica 20 gennaio 1957

Fonte Immagine: http://www.radio3.rai.it ( Emilio Franzina racconta gli emigranti italiani: dal sud al nord della penisola)

Scritto per l' EDS Sniff sniff  proposto dalla DonnaCamèl

Partecipano all'eds:

Terre lontane di Melusina
Ucci ucci di Hombre
Odori di ricordi di Lillina
Buon compleanno nonno di Lillina
L'odore della SIPE di Pendolante
Profumo di marsiglia di Lillina 
Il profumo del rinnovamento di Maimaturo
L’abbondanza di cozze di Fevarin e carnazza
Odore della domenica di F.
La puzza di La Donna Camel

 

12/02/13

"Grammatica d’amore: le elisioni e i troncamenti" da Il nuovo mondo di Galatea

E poi capita che devi passare il pomeriggio a scrivere schede di grammatica su elisioni e troncamenti. Ed è difficile, perché non sai proprio come spiegarle, queste robe qua, che son noiose come poche, e poi in una scheda di grammatica risultano ancora più noiose perché bisogna essere freddi e razionali, quando si spiegano cose così. Che non è mica facile spiegarle, poi, le elisioni, con quella storia dell’apostrofo che resta là come una lapide a segnalare la lettera scomparsa, e invece nel troncamento no, non resta nulla, si forma proprio una parola per conto suo, diversa anche se simile alla prima.
Forse bisognerebbe spiegarle facendo il paragone con le storie d’amore: perché l’elisione è come quando lui va via per un po’, perché magari deve fare un viaggio di lavoro, e tu resti là, ad aspettarlo, e senti che una piccola parte di te se n’è andata, ma sai anche che è solo una cosa provvisoria, e poi e tutto ritorna come prima. E allora, mentre sei sola ti coccoli i suoi maglioni, tocchi le cose che ha lasciato, perché sono come un apostrofo che dice che sta per arrivare di nuovo da te.
E invece il troncamento è proprio come quando la storia finisce e lui se ne va per sempre, e tu resti là, priva di un pezzo, un pezzo che prima c’era e adesso non c’è più. E allora non vuoi niente che te lo ricordi, quel pezzo che se n’è andato, manco un apostrofo. Soffri, e dopo un po’ cerchi di dimenticare e di andare avanti, ma non sei più la stessa di prima, perché quel pezzo lì che se n’è andato, è andato per sempre, non ritorna più. E tu sei diventata un’altra parola, senza quel pezzettino: una parola che ha un suo senso, e una sua funzione, che può continua a vivere e a fare le cose. Ma diversa da prima, ecco.

Fonte: Il nuovo mondo di Galatea

10/02/13

iu su putissi

iu su putissi
ti mittissi dentro
alle faule antiche,
quelle di Rolando
e del prode Paladino,
quelle dove il drago muore,
quelle che si sa il destino.

iu su putissi
massittasi ogni sira
no scuru do me mari
aspittannu
i luci del cielo chini,
l'occhi stanchi
amari.

iu su putissi
mi bastassi
tiniriti stritta
arrubbariti un sorriso
diriti ca è festa
picchì quannu ti viru
è sempri accussì,
ci sì tu na me testa.

09/02/13

"Mi presento. Mi chiamo Chiara Di Domenico"

Mi presento. Mi chiamo Chiara Di Domenico, sono la prima laureata della mia famiglia: una laurea in Lettere, vecchio ordinamento, che pensavo di utilizzare per insegnare, ma poi qualcuno ha deciso che ci voleva una specializzazione, e mi sembrava stupido ripetere gli stessi esami solo perché era stato deciso così.Sono diventata libraia alla libreria Martelli di Firenze (catena Edison, la stessa che ha appena messo in cassa integrazione tutti i suoi dipendenti), dove un incauto business plan ci ha sballottato fuori dalla libreria in 11 e sparpagliati nelle altre librerie, fino a lasciarci per strada.
Così ho continuato a lavorare, testardamente, nell’editoria. Ho fatto un master universitario, e senza passare per lo stage ho iniziato a lavorare con le edizioni Fernandel. Chi mi conosce sa la storia dei miei ultimi anni. Non vale la pena ricordarla nel dettaglio qui, perché non è che una delle tante. Proprio per quella storia, che è una storia vincente, visto che oggi posso permettermi di investire 600 dei miei 1.200 euro di stipendio in un monolocale a Roma, il Pd mi ha scelto giovedì per parlare di lavoro. Esordendo l’ho detto: «Sono la precaria ignota», rappresento una categoria che stringe i denti e sacrifica tempo e fatica nella speranza di un po’ di normale stabilità. Non sono tesserata Pd, non sono mai stata tesserata. Insieme ad altri precari da due anni organizziamo un festival, «Mal di Libri», che dà voce ai tanti (bravi) scrittori e lavoratori ignoti che hanno difficoltà a trovare spazi.
Oggi lavoro per una casa editrice che rispetta il mio contratto a progetto.Ieri ho parlato per 8 minuti del nostro lavoro. Di chi si è stancato di firmare un contratto a progetto senza obbligo di ore e si ritrova paradossalmente a fare straordinari che non gli verranno mai pagati. Di chi è costretto ad aprirsi la partita iva pur avendo un solo datore di lavoro. Di chi viene mandato a casa, sostituito da un apprendista, perché così è lo stato a pagare le tasse, e non il suo datore di lavoro. Per anni accetti. Ti metti in gioco. Poi ti accorgi che passano gli anni e niente cambia.
Per anni mandi lettere, come un San Girolamo dal deserto, ai giornalisti, ai direttori di testate, agli uomini e donne di spettacolo e di cultura. Alcune sono diventate note sul mio profilo facebook. Una volta ho invitato il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano a venire nel mio quartiere a conoscere i precari di cui parlava spesso. Ha voluto il mio numero, mi ha detto «La contatteranno». Silenzio.Ho scritto una lettera a Federico Fubini, giornalista del Corriere della Sera, che portando ad esempio Angelo Sraffa dice che siamo incapaci di farci sentire. L’ho invitato a una cena collettiva, lui mi ha proposto un incontro nella sua città. Allora ho deciso di farci sentire.
C’è un elefante, nel salotto letterario dove lavori ogni giorno. È davanti agli occhi di tutti, ma tutti fanno finta di niente. E quell’elefante è un ricco collage di ruoli e nomi noti. È forte a destra come a sinistra, e quella parte sinistra fa ancora più male. Io ieri ne ho fatto uno di questi nomi, non per attaccare, ma perché in questo paese, in un sistema di informazione ormai improntato solo sullo scandalismo, devi fare scandalo per fare sentire la voce tua e della classe che rappresenti. Ho fatto un nome che conosco, quello di Giulia Ichino, perché mi ha colpito leggere che è stata assunta da Mondadori negli stessi anni in cui in Italia si attuava la Legge Biagi. Mi ha colpito che fosse stata assunta a 23 anni quando molti di noi a quell’età hanno giusto la possibilità di uno stage non retribuito. In questo paese è ancora legittimo stupirsi e avere libertà di parola. Ho detto che c’era un elefante nel salotto letterario. E l’elefante finalmente si è accorto del topolino. Si è alzato, ha gridato «allo squadrismo».
Ha detto che ero strumentalizzata dal Pd, come se non sapessi leggere e pensare da sola. Non importa. Non sono una squadrista. La libertà di parola vale per me e per tutti. Ma è importante riportare l’attenzione sui precari, chè è il motivo di tutto questo rumore. Giovedì l’ho detto a Bersani e a tutto il gotha del Pd presente: chi ha potere ha responsabilità. Ha responsabilità Bersani, nel proporsi come prossimo Presidente del Consiglio, nel riformulare una legge sul lavoro che permetta un futuro, una casa, un’istruzione e una pensione agli italiani di oggi e di domani. Ma ha una responsabilità anche chi ricopre ruoli stabili nelle aziende, nel tutelare chi è più debole. In Mondadori non sono tutti assunti.
Molti lavorano a contratto a progetto, peggio a partita Iva. Chi è testimone di questa disuguaglianza deve intervenire. Ora che tutti guardano l’elefante bisogna intervenire, e occuparsi di chi è costretto a non partorire, a vedersi decurtare lo stipendio pur di avere un lavoro, a chi si ritrova a pagare migliaia di euro di tasse perché il suo datore di lavoro lo vuole ma non vuole prendersi i rischi di un’assunzione. Chi prende i tram, chi ascolta i discorsi per strada, lo sa quanto questo è diventato frequente. Troppo frequente. Io sono solo un topo, che ha osato guardare negli occhi un elefante. Mi hanno accusato di un «attacco ingiusto». Non ho mai alzato la voce. Non ha mai minacciato. Mi sono solo chiesta come si possa andare avanti a fare finta di niente. A guardare indifferenti chi non ce la fa più.
A vedere le differenze e dire che siamo uguali. Io sono uguale a V. a cui è stato proposto di licenziarsi dal suo tempo indeterminato per farsi riassumere quando avrà finito il periodo di maternità. Sono uguale a chi non dorme più. E tutta l’istruzione, tutta la cultura illuminista, e i diritti acquisiti negli ultimi cinquant’anni, mi dicono che anche il figlio di un tramviere ha diritto di fare, bene, e sereno, il lavoro per cui ha studiato. E se molte persone hanno la fortuna di crescere con una bella biblioteca in casa, anche altri hanno diritto di usufruire delle biblioteche e delle scuole pubbliche. Quelle che stanno cercando di toglierci, quelle per cui fino ad ora si è fatto troppo poco. È lotta di classe questa?
A me interessa solo che i diritti valgano per tutti. E che si regolamenti, finalmente, il mercato del lavoro, sui diritti, e non, come qualcuno ha detto, sulla fortuna. Facciamo delle nuove quote. Dopo le quote rosa, facciamo le «quote qualunque»: per ogni cognome eccellente assunto, due ignoti meritevoli assunti. Non è una provocazione, non è aggressione, forse sì, è lotta di classe.

Fonte: il manifesto 2013.02.09

06/02/13

Gli eds della Donna Camèl


Da tempo  La Donna Camèl propone sul suo blog degli eds* (uno è ancora in corso) aperti a chiunque abbia voglia di "giuocare" con la scrittura,  riprendo qui i "risultati" di quelli nel tempo realizzati:


- EDS di Halloween

 - Cielo sopra Milano: La fila-Nessun diritto riservato. Con il cazzo che ho la siae.
 - MaiMaturo: Metti una sera al Centro
 - Lillina: Senza titolo
 - Hombre: Post mortem
 - Kisciotte: La Compagnia del Fornello
 - La Carta: The life after*
 - La Donna Camèl: La vecchina

- EDS del ponte

 - Lillina: Scrivere
 - MaiMaturo: La settima repubblica
 - Dario: La Petite Danseuse
 - Hombre: Gianni il cinese
 - La Carta: Tronco lo spirito della pietra, quale ginocchio conosce assenza di danno?
 - La Donna Camèl: Grande pino e terre rosse
 - Contributo anonimo: qui
 - Altro contributo anonimo: Lo scultore


- EDS Scapoli contro ammogliati

 - Melusina: Ho visto un re
 - Dario: Factory 
 - Lillina: Le voci nel silenzio
 - Cielo sopra Milano: Addicted to love
 - Hombre: Sottoposti
 - MaiMaturo: Quelli dell'EdS
 - Giodoc: My Sharona
 - La Donna Camèl: E quando suonano le sirene ti sembra quasi che canti il gallo


- EDS Incipit o della citazione

- Hombre: Tutto quello che non sopporto
- MaiMaturo: Quello che sono disposto a raccontarvi
- Dario: Avanti
- Melusina: Una giornata qualunque
- Lillina: Alter ego
- Mario: Aefula
- Singlemama: La voce - the voice
- Melusina: Ed essi andarono
- La Donna Camèl: 4maggio


- EDS Il nome della cosa

- MagneTICo: C
- Melusina: Storia d’amore e di cerotti 
- Dario: Principesse
- Lillina: Catena di perle 
- La Carta: Carta e corsa 5 
- Hombre: E cenere ritorneremo 

- MaiMaturo: Cera fusa
- La Donna Camèl: C come cioccolato 
- Singlemama: Gisella Clio 

- SpeakerMuto: SpeakerMutismo AKA La centrifuga
- Anonimo: Cinque 


- EDS InterSex - sempre aperto!

- Melusina: All’ombra dell’ultimo sole
- Hombre: Puzzle
- MaiMaturo: Gli sguardi del cuore
- Lillina: Tentar non nuoce 
- Orsa Bipolare: Kronos e Kairos 
- SpeakerMuto: Al pensiero
- Melusina: Paolino
- Singlemama: E’ un gioco
- La Donna Camél: Sono io
- Dario: Se lavessi saputo prima
- Kisciotte: Tira più un pelo di ca…
- Lillina: Nuovo inizio


- EDS Attesa

- SpeakerMuto: Ti aspetto
- Hombre: Faccio lo sborone
- firulì firulà: E tu come stai?
- Lillina: Anime
- Dario: Ombre di fiori sul mio cammino

- Chiagia: In-attesa
- firulì firulà: Quanto manca alle nove
- firulì firulà: Credevo, e invece
- La Donna Camèl: Quanto a me
- Pendolante: Il melo
- MaiMaturo: E se

- Melusina: God save the Queen 
- Melusina: Notte prima degli esami


- EDS 33 - sempre aperto!

- Melusina: Metropolis
- Pendolante: 33 minuti 
- SpeakerMuto: Il regalo di compleanno (V.M. 18)
- Lillina: Pane al pane
- la Donna Camèl: Il festival degli ormoni
- Dario: Gianni e Cettina 

- La Carta: Prova prova sa sa sa 
- MaiMaturo: Fast and Furia

- EDS Paura!

- Melusina: La guardiana di oche
- Lillina: Vite malate
- MaiMaturo: 0.10.35
- Hombre: Wonderwall

- Dario: I guerrieri del caos
- Pendolante: Il collega

- Hombre: Cimici 
- MaiMaturo: Il prescelto 
- La Donna Camèl: Gatto nero
- Pendolante: Racconto banale



* Esercizi di Scrittura (eds) con (lontana?) somiglianza agli  Esercizi di stile (Exercices de style), scritti dal francese Raymond Queneau

03/02/13

Mobilisation des chorales révolutionnaires


Dopo uno sciopero della fame durato 73 giorni, i sans-papiers di Lille(FR) continuano a lottare per i loro diritti.
Il Coro dei Malfattori di Parma partecipa alla mobilitazione dei cori rivoluzionari in sostegno al comitato di Lille e alle lotte di tutti i sans-papiers.
Per questo oggi, domenica 3 febbraio alle ore 12, i Malfattori canteranno canzoni di lotta davanti alla chiesa di Santa Cristina (Parma).



ps. Qui le sensazioni del mio primo incontro con il Coro dei Malfattori

02/02/13

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