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29/01/17

[eds] Stelle


Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. 
(Libro dei Salmi, LXXI (LXXII),10)

Le procedure di imbarco si erano rivelate più lunghe del previsto e la cosa lo aveva a tal punto preoccupato da fargli temere di non farcela proprio lì, quando tutto sembrava compiuto, ma ora che si trovava seduto sulle comode poltrone di quell'aereo M. si sentiva più tranquillo. Sarebbe arrivato in tempo.
Guardo gli ultimi messaggi sul cellulare per sincerarsi che anche i suoi due amici fossero riusciti a intraprendere il viaggio.
B. era già in volo, avrebbe dovuto effettuare due cambi prima di arrivare. Viaggiava in senso contrario al loro, “affari” aveva spiegato, ma sarebbe arrivato in tempo.
G, stava ancora abbracciando il figlio, nell’unico scalo europeo previsto.

M. ripete sul tablet, per l’ennesima volta, tutti i suoi calcoli. Erano ancora esatti, tra soli due giorni: il Sole, Giove, la Luna e Saturno si sarebbero trovati a essere allineati nella costellazione dell’Ariete, mentre Venere sarebbe stata nella vicina costellazione dei Pesci e Mercurio e Marte in quella del Toro. Tutto coincideva. Anche B. e G. avevano elaborato gli stessi dati, era così che si erano incontrati.
Ne avevano iniziato a parlare su un forum internazionale, la  PAC ( Predictive Astrologers' Community), ma gli altri studiosi avevano riso loro in faccia, nessuno aveva dato loro credito. In effetti sarebbe stato difficile, quasi nessuno, in quella comunità, teneva conto di  “Colui che regge il serpente”. Chiusi nei vecchi calcoli, incapaci di vedere.
Loro no, loro invece si erano sempre più convinti dell’esattezza della loro scoperta e sempre più, incrociando i dati in loro possesso, si erano isolati dagli altri.
In un inglese stentato avevano anche iniziato a conoscersi. Lui, M., era il più giovane dei tre e forse era stata proprio la sua giovinezza a renderlo così entusiasta, a fargli lanciare quell’idea, a insistere fino a riuscire a coinvolgere in quel sogno gli altri due: provare a verificare sul campo quello che avevano scoperto.
G, il più anziano, gli aveva raccontato del nipote morto mentre lui lo pensava al sicuro, dentro l’ospedale della sua città, prima che ogni cosa fosse bombardata. Quel nipote era l’unico che aveva. Gli altri suoi figli non avevano fatto in tempo a regalargliene altri. In tre di loro erano morti combattendo. Un quarto era riuscito a fuggire, ma, da tempo, ne aveva perso le tracce.
B. invece commerciava con il mondo (M. pensava fossero armi o petrolio, forse). Era stato lui a trovar loro i mezzi e il denaro per intraprendere l’impresa.
Quando M. aveva iniziato a parlare del viaggio B. si era tenuto in disparte, poi improvvisamente, poche settimane prima, aveva detto loro che aveva provato a organizzare tutto, che avrebbero potuto farlo se ne fossero stati veramente sicuri.
M. era rimasto sopreso, non riusciva a credere fosse stato possibile.
“How are you?” gli aveva chiesto in chat, ma B. non aveva risposto a quella domanda. Si era limitato a riscrivere i dettagli del suo piano, aveva parlato loro dei contatti a cui avrebbero dovuto rivolgersi e concluso solo con una preghiera:
“Ditemi solo sì o no entro domani. Se dovesse essere un no non ci sentiremo più, in caso contrario ci incontreremo lì dove è deciso.”

M. ripensò ancora a quei mesi. Vivevano lontanissimi uno dall’altro e niente pareva legarli oltre alla guerra che li circondava e alla mancanza di quella che in occidente chiamavano libertà. M. si domandò se non fosse stato proprio quello a far loro credere in quell’impresa, ma un nuovo rapido sguardo al tablet, ai suoi calcoli, gli fece scuotere la testa. No, avevano ragione. Sarebbe successo e loro sarebbero stati lì, lontani dagli spari e dalle bombe, dalla morte e dalla distruzione.
Sorrise e iniziò a sfogliare la rivista della compagnia aerea. Quattro intere pagine mostravano le foto di dipinti  ricchi di un blu misterioso e di oro. In una rifulgeva una cometa.
M. provò a leggere la didascalia di quella foto. Recitava: Giotto, The Scrovegni Chapel.


EDS - in fuga:

-  Fino al Connemara di Hombre
Gigliola cara di Hombre
Attraverso le barricate di Lillina
La rosa di Lillina
Nuvole di Lillina
Come se di La Donna Camèl

24/01/17

Dog



Ritto sulle zampe Cane attendeva con pazienza che Padrone riempisse la ciotola. Poi si sarebbe tuffato a consumare tutto velocemente, da perenne affamato.
Era più forte di lui, non era mai riuscito a centellinare, ad attendere. Bastavano pochi secondi e tutto spariva. Anche la ciotola di alluminio tornava ad essere lucida, da specchiarsi.
“Ecco è pronto, puoi andare ora”
Padrone  lo fissava sorridendo, ma Cane non riusciva a muoversi.
“Cosa c’è? Che succede?”
Padrone gli si avvicinò,  lo prese tra le braccia e lo poggiò vicino alla ciotola.
“Va meglio ora?”
Cane avrebbe voluto rispondere, ma nemmeno quello gli riusciva.
“Giorgio è pronto! Vai a lavarti le mani e vieni subito”
Padrone gli diede un’ultima occhiata, poi cambiò stanza. La ciotola era ancora piena di zuccherose gelatine di frutta.


Origine foto: qui



23/01/17

Lucky man [Fumblin' with the blues]


Tu sei un uomo fortunato,
un uomo fortunato.

Lo vedo da come ti muovi,
dalle spalle,
dalle occhiate che ricevi, lo vedo,
dal gonfio nei calzoni.

Tu sei un uomo fortunato.
Sì, proprio un uomo fortunato.

Credo che ti sposerò, uomo.
Uno di questi giorni, domani forse.
Ti bacerò e ti dirò: “Sposami!” e tu,
tu non potrai tirarti indietro.

Perché sei un uomo fortunato,
sì, proprio un uomo fortunato.



Origine foto: qui

20/01/17

dromologia


Non so quando sia stato
il momento in cui
l’attimo
che ha visto rallentare
il passo
            cessare
                       il cuore e il mondo,
in fast motion, divenire
danza,
aura nera delle merci.


immagine: particolare da foto di Leonard Freed (1929–2006) 

15/01/17

Martin Eden

A occhi chiusi
sui frattali del tempo,
sui colori saturi
dell'anima.

Non sentiva più le Sirene
gracchiare il suo nome
da vecchi altoparlanti sottratti
alla prossima guerra.

Lentamente ricominciava
a sognare
le piccole cose, l’amore
delle pietre.

Sembrava ancora respirare.

13/01/17

Sant'Ilario di Poitiers, vescovo (2017)


c’è vento sul balcone
stasera daranno un film su Leopardi
lo scopro mentre seguo un programma sulla musica negra
la stessa che mi fa muovere la testa e le braccia e le mani e l’anima anche
ora
sarà il vino
la bottiglia del rosso appena bevuta o solo
quello che di quel periodo, di quella storia, conosco
la mia formazione, ecco.
Ma ora non so più.
Solo il vento conta.
La sigaretta che brucia le labbra, i polmoni,
questo fuoco,
questo fuoco che riempie l’anima,
il blues,
sopravvivere.

08/01/17

Tirabusciò -04-


"Chi è?"
La voce che chiedeva arreri alla porta era arzilla e vivace.
"Sugnu iu, Za Sara"
"Io chi?"
Non fu facile convincerla. Di questi tempi nessuno ti rapi la porta di casa se non è più che sicuro ma alla fine cià fici lo stesso e lei mi fece entrare nella cucina. Sopra il tavolo c'erano tanti fogghi scicati dalle riviste con tante figure che solo dopo u capii che erano rebus.
"E allora? Mi hai detto che avevi bisogno di un aiuto!"
La vecchia indossava un cappuccio che le lasciava scummigghiata la fronte e un ciuffo di capelli ianchi come la neve. Sulle spalle ciaveva uno scialle di quelli fatti a mano tutto rosso come a certi quadri dell'opera della Carmen. Era sicca a Za Sara e curtulidda, eppure era come se invecchiando fosse scomparsa quella bruttezza che mi ricordavo.
"Sì è accussì. Za Sara vede io.. "
"E questa bottiglia? Cos’è?"
"Ecco è proprio per questo ca sugnu ca. Insomma è una cosa semplici. Accattai sta buttigghia che era in offerta e io poi ero curioso…"
"E' una buona cosa la curiosità. Ti capita spesso di essere curioso? Sai a dimenticare di esserlo si invecchia in fretta, e male. Anche se si vive cent’anni. Io ne ho visti tanti così. Alcuni erano addirittura ancora dei bambini quando avevano smesso di esserlo... anche se in realtà..."
"Cosa?"
"Anche se in realtà non si può mai fare a meno di esserlo. Ci si dimentica ecco… come quando si ripone qualcosa così bene da dimenticare poi di possederla"
"Ecco, a proposito di possesso, io..."
"L’hai portata per me quella bottiglia?"
"No, io veramente..."
"Bene, a me non è mai piaciuto il mirtillo"
"Ecco Za Sara io volevo chiederle..."
"Dimmi"
"Io volevo chiederle se lei per caso avissa avuto un tirabuscio..."
"Un cavatappi dici? Fammi pensare… ne avevo uno tempo fa ma credo di averlo regalato… a chi? Non mi ricordo a chi..."
"Ecco ammia mi manca e allora non posso aprire questa bottiglia"
"Potresti comprarlo"
"Nooo... eppoi se ne andrebbe tutto il risparmio fatto. No, preferisco regalarla allora"
"Sì, in effetti hai ragione. Fammi pensare, credo di poter ricordare… nel frattempo non è che sapresti dirmi cosa è questo?"
A Za Sara mi misi davanti un fogghiu e dentro a quello c'era in mezzo ad altri disegni questa foto di un pezzo di lignu curvo. Se non fosse stato accussi chinu poteva sembrare uno di quelli che tornano indietro, un bumerang ecco. Come a quello degli australiani. Però questo ciaveva due puttusa in cima e allora ammia mi vinni in mente subito la soluzione.
"È quello per i voi"
"Per i buoi dici?" ripeté la vecchia che non smetteva di fissarmi.
"Sì, si. Per tenerli"
"Un giogo, allora?"
"No, no Za Sara. Non è pi ghiucari"
A Za Sara arririu come a una carusidda.
"Sì, ho capito. Si chiama giogo. Com'è che non ho fatto a pensarci?"

07/01/17

Tirabusciò -03-


Nell'attesa il caffè era finito e la sigaretta anche e pure l’altro caffè che mi ero fatto che il primo era già freddo e l’altra sigaretta che era arrivata.
Un’ultima occhiata alla televisione che già il rullo con le notizie era girato una decina di volte e poi mi susii per vestirmi.
Potevo iniziare con la Za Sara dell’ultimo piano.
Lei era la chiù vecchia del palazzo e ormai non si vireva quasi più uscire dal portone che le cose che ci aggiuvavano gliele portava a casa ogni giorno la carusa del panificio e anche un suo vecchio nipote che veniva a trovarla una volta alla settimana.
Lei però dicevano che era ancora in salute. Che stava bene con la testa insomma. Che passava il suo tempo a fare i solitari con le carte e a risolvere i rebus supra i giornali.
Chissà come c’era venuta questa mania. Forse era una cosa di quando ancora faceva la maestra, che mezzo quartiere c’era passato in quei banchi sotto al suo giudizio, oppure l’aveva imparato in uno di quei viaggi che faceva sempre d’estate, quelli dove spariva per mesi e mai nessuno ha saputo dove andava e che faceva.
Lei quando tornava tutta contenta che ce lo spiavano rispondeva solo: "Lontano" e non aggiungeva altro che cangiava subito discorso e l'occhi taliavano il vuoto.
Io ancora me li ricordo i sorrisetti dei carusi su questa cosa,  che anche se la Za Sara non era certo una bellezza o forse proprio per questo inventavano storie che nemmeno nei giornaletti di pilu cenerano di quelle fantasie.
Lei già stava nel palazzo allora e anche io che a quei tempi nisceva più spesso e la incontravo e ci salutavamo. Non lo so se ci siamo mai veramente parlati. Solo una volta dentro all'ascensore che si era bloccato lei mi chiese cosa facevo e la stessa cosa ci spiai iu mentre il mio dito continuava a schiacciare il bottone dell’allarme che allora, per un attimo avevo pensato, non ciavissuro pigghiatu mai più e ammia non mi interessava di moriri nda intra.
Ecco quella credo che sia stata la conversazione più lunga tra noi due e però non c'era stato bisogno di altro che le persone a volte basta stare attenti a come è detta una parola per capirle e io credevo che l’avevo capita alla Za Sara.

05/01/17

Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 30 marzo 1931 – Roma, 5 gennaio 2017)

Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 30 marzo 1931 – Roma, 5 gennaio 2017)

"Che cos’è un maestro?
Adoperiamo la stessa parola sia per quello che consideriamo il lavoro più umile con i bambini, sia per quello che trasmette il suo sapere ai discepoli. Roman Jakobson diceva che per diventare dei veri maestri non bisogna essere troppo precisi, ma un po’ confusi.”

Tirabusciò -02-


Il caffè era perfetto. Solo quella buttigghia ci levava l’armonia alla giornata. Era là che mi taliava come a una sfida. Pareva che arrireva.
La dovevo aprire! Non potevo darmi per perso, ma per farlo non cerano tante possibilità: o mi ingegnavo a trovare e a tentare oppure chiedevo aiuto.
Ecco ora iu vi vulissi diri ma forse tannicchia si è capito che non mi piaci assai iri nelle case dei cristiani a chiederci le cose e nemmeno a parlarci per essere più chiari. Epperò lo sapevo che se il qui presente avissa accuminciato a trafichiari sopra a quella bottiglia da solo alla fine il risultato sarebbe stato solo una incazzatura enorme e quattru cocci rotti 'nterra. Che poi mi sarebbe pure toccato puliziari che rischiavo di tagliarmi.
Ma ammia cu mu fici fari? Ecco la dimostrazione che la curiosità porta solo danno.
Nenti, chiedere aiuto. Era l'unica cosa di fari.
Mi toccava iri a tuppuliari dietro la porta di qualcuno e magari fari la faccia simpatica e sorridere e chiedere:
"Scusi se la disturbo ma ciaiu sta cazzu di buttigghia che non la posso aprire non è che lei mi putissi aiutare a stupparla?"
E poi magari ricevere un rifiuto e dovere ritentare e accussì nel giro di una matinata essere costretto a fare visita a tutto il palazzo e sentire le voci di quelli appena chiusa la porta dirmene di tutti i colori e accuminciari a sudare e a chiedersi se si è in ordine e puliti e crollare quando finalmente quel sughero avissa sautatu e a quel punto non sapiri bene che cosa fare e:
"Lo vuole tannicchia?"
Oppure lassari direttamente la buttigghia che tanto lobiettivo era stato raggiunto... chi burdellu!

03/01/17

Tirabusciò -01-



Io sono uno che non mi piacciono le sorprese. Le sorprese vanno bene per i carusiddi che ci portano le caramelle o i giocattoli o che viene la fantasia che ci cangia le cose attorno. Ammia invece mi devono dare le cose uguali senza tanti cambiamenti che allora mi furia la testa come a un tuppetturu. Accussì quannu mi susu tutto deve avere un suo ordine.
E prima una iamma e poi laltra e poi ancora la sosta assittatu ancora no lettu con locchi chiusi e i peri nterra e a panza china daria di capu matina che quannu accumenciu a ragiunari passanu una para di minuti e dui o tri santiuni per ringraziare il mondo.
La prima tappa poi è a pisciari mentre la seconda sosta è davanti alla moka smuntata e pulita.
Iu a lassu la sira vicino al lavello accussì non fatico a circarla e posso subito inchirla con l'acqua del rubinetto. Fatto che ci metto anche il cafe e lho messa nel fuoco massetto perchè tutte queste operazioni mi fanno furiari la testa e ho bisogno di riposarmi un attimo.
Il telecomando è sempre sopra la tavola e la televisione mi tranquillizza macari che ci sono tutte quelle notizie di morti e distruzioni che tanto quasi mai sono qui nella mia casa e unu ci può pinsari e dispiacirisi ma insomma cazzi sò.
Anche oggi era andata nello stesso modo solo che poi mi ero ricordato e mi era venuta voglia di assaggiari un succo di frutta che lavevo comprato in scadenza. Mi era costato veramente picca. Un affare.
Ora io ci vulissi diri a chisti ca fannu sti così per i ricchi come dovrebbe fare un purazzu come a mia a rapiri un tappo di buttigghia fatto con il sughero alle sette di matina. Il fatto era che io non ni vivu vino e u tirabusciò non ce lho mai avuto che tanto non mi sevvi a nenti. E nella buttigghia non cera scritto ca sivveva. Ammia quannu a pigghiai mi passi na buttigghia normale di vetro. Elegante certo ma non viziusa. Cera solo scritto succo di mirtillo e io non l'ho mai assaggiato e a quel prezzo me lo sono concesso questo lusso. Perchè non mi hanno avvertito? Perche non ce lo mettevano davanti al prezzo: "Chiffai cillai u tirabuscio?" che io ciavissa risposto di no e sarei andato alla cassa lo stesso tranquillo e felice.
Ora non lo sapevo proprio cosa fare che quello scadeva e certo non si può ittati u mangiari nella spazzatura che è peccato e daltronde io non ciaveva i mezzi per rapirla quella bottiglia.
Ecco il caffè era nisciutu. Mi susii per riempire la tazzina e taliari quel nemico. Oggi sarebbe stata una giornata difficile.

01/01/17

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