Cerca nel blog

30/03/17

[Alfredo] Armi 2


Il ritorno verso casa è ancora più monotono. Alfredo poggia la testa sul finestrino e cerca di dormire, ai suoi piedi una busta e dentro la busta una scatola e dentro la scatola qualcosa che non ha mai usato.
Quando arriva casa gli sembra più bella di come l’aveva lasciata. Non è cambiato nulla, lo sa bene, ma gli piace pensare che sia così. Trova un luogo sicuro dove nascondere la scatola e poi va a dormire. Ha preferito non aprirla, ne ha solo sentito il peso, e ora, sotto le coperte, ripensa a come sia stata buffa l'idea di utilizzare una vecchia scatola del Monopoli.  

Fonte immagine: “Beretta P818” by Beau Maes is licensed under CC BY 2.0

28/03/17

[Alfredo] Armi


Alfredo esce presto da casa. Ha già comprato il biglietto della corriera e la strada è lunga e noiosa. A guardare dai finestrini la pianura sembra essere stata dimenticata, nascosta da costruzioni senza importanza o storia. Capannoni. Ruderi. Ogni tanto però riappare e diventa colore e gli alberi artigli di vita ancora pronti a graffiare il cielo.
Quando arriva quasi non riconosce il paese, poi decide di abbandonare la vista di quelle vetrine di una improbabile america e si affida ai palazzi, alle pietre. La casa che cerca un tempo era fuori dal centro, ora è circondata da condomini bianchi e cartelli stradali.
“Ma sei tu? Dai entra!”
Il vecchio che gli ha aperto la porta ha pochi capelli e buchi larghi tra i denti, però sembra ancora in forma e l’abbraccio che gli riserva è di quelli che lasciano pochi dubbi sull'essere amici anche dopo tanti anni.
Alfredo gli racconta poco perché poco gli e successo, poi gli chiede delle armi.
“E cosa dovresti farne?” chiede il vecchio.
Lui risponde solo “mi servono” e tutto finisce lì, che basta.

Fonte immagine: “Beretta P818” by Beau Maes is licensed under CC BY 2.0

26/03/17

[Alfredo] Western Stories



La bimba, seduta a cassetta sulla diligenza di plastica, tira le redini di quattro cavalli neri e ride sballottata da sussulti automatizzati, sempre uguali agli occhi degli adulti, sempre diversi.
La madre, con un tatuaggio di piume, è poco lontana, gli occhi e le mani sul cellulare, attende di caricare un nuovo gettone in quella macchina infernale che le assicura qualche minuto di riposo, ma nel frattempo parla degli acquisti e dell’amante con l’amica  forzando le parole fino a farne una trama rumorosa di menzogne. Una coppia di ragazzini si esplora senza pudore su una delle panchine poste di fronte ai negozi, le altre sono quasi tutte terra di conquista di vecchi abbandonati o di mariti che fumano insofferenti.
Alfredo non ricorda bene perché sia finito lì, o meglio lo sa ma la cosa ha perso per lui ogni importanza. Vorrebbe abbandonare subito quel luogo, ma è contro la sua natura fuggire. Cammina lentamente allora, le mani dietro la schiena e un cappello leggero a proteggere dal sole che scalda la pista.
Ovunque voci e pessima musica in sottofondo. La gente è accaldata, i maglioni mattutini spariscono attorno ai fianchi dei ragazzi o si affacciano profumati dalle borse delle signore quasi a chiedere aiuto, quasi fossero stati rapiti. La primavera, improvvisa, è arrivata.

Fonte immagine: “al centro commerciale day” by Luca Biada is licensed under CC BY 2.0

25/03/17

[Alfredo] Pesce


Alfredo aveva tentato di afferrare qualcosa di utile tra tutte quelle notizie che gli erano piovute in testa come pioggia battente.
Era ancora a tavola.
Era stato invitato a cena da una sua vecchia amica e la loro conversazione, fino a quel punto abbastanza piacevole, era stata interrotta da un'espressione di sorpresa sul volto di lei (alla veloce lettura seguita a un bip d'avviso del cellulare) e dall'immediato arrivo (dopo un'affannata ricerca del telecomando) di un torrente di voci a commentare l'ennesima strage.
La televisione era alle sue spalle, ma lui non si era nemmeno voltato a guardarla. Piuttosto aveva atteso paziente che lei si decidesse a ritornare al loro incontro.
"E' incredibile, è incredibile" continuava a mormorare la donna. E poi: "Ma come fai? Come riesci a non preoccuparti?"
Alfredo aveva alzato le spalle per poi riprendere a cenare da solo.
Il pesce era proprio buono, gli sembrava fosse anche un ennesimo affronto alle vittime e ai carnefici rovinarlo.

Fonte immagine: “A Plate of Fried Fish” by Dave Collier is licensed under CC BY 2.0

17/03/17

[Alfredo] Pozzi


Alfredo cerca le chiavi di casa, poi gli occhiali, il portafoglio, le caramelle alla menta che porta sempre con sé, i fazzolettini di carta, i bollettini da pagare alla posta.
Alfredo si muove da una stanza all'altra e guarda fuori ogni tanto e si siede e si rialza e di nuovo controlla di avere tutto.
Alfredo finalmente esce di casa e un sole festoso lo accoglie, lo abbraccia con delicatezza, gli fa dimenticare gli impegni, lo trasporta verso il parco.
“Alfredo! Alfredo!”
Qualcuno lo chiama, ma lui non si ferma e prosegue e allora la voce lentamente sparisce fino a quando non ne rimane che un rivolo nella mente.
Alfredo si ferma all'edicola, una di quelle piccole casette che hanno sostituito i vecchi chioschi degli incroci, e il proprietario lo saluta quasi urlando mentre lui risponde solo sorridendo.
Gira lentamente tra tutte quelle copertine sapendo già che non acquisterà nulla, che prenderà solo il solito giornale, quello che in genere compra la domenica o quando si siede sulle panchine in centro a vedere passare la gente. Già le panchine, quelle che hanno tolto, quelle che devono tornare.
Alfredo prende il giornale e si sposta verso il parco, trova un luogo dove può sostare tra ombra e luce e si siede e sfoglia con attenzione le pagine prima di iniziare a leggere e ritorna indietro e inizia e smette e riflette su come sia strano il fatto che i giornali parlino in tanti loro articoli di televisione e pensa che lui la televisione ha smesso di guardarla tanti anni prima, il 13 giugno 1981 per essere precisi.

Fonte immagine: “Light and dark” by Tom Anderson is licensed under CC BY 2.0
 

16/03/17

[Alfredo] Posare lo sguardo

Alfredo ama la gente, tutte le persone che incontra o conosce, anche se spesso questo amore somiglia a quello dell’etologo per le sue creature.
Il fatto è che ad Alfredo piace osservare gli umani. Passerebbe ore a spiarne i movimenti, a sentirne le parole, a immaginarne l’anima. Tutto questo avviene senza che egli dia alcun valore morale alle azioni sviluppate dal suo oggetto di studio. Alfredo è sempre pronto a giustificare, a razionalizzare qualsiasi scelta, qualsiasi pulsione.
Certo questo tirarsi fuori nel momento dello sguardo non gli impedisce, quando egli stesso rientra negli osservabili, di criticare, di esprimere giudizi, di partecipare attivamente al proprio presente, poiché anche il suo vivere è un personalissimo caso di studio.

13/03/17

[Alfredo] Regoli



C’è una piccola via del centro che Alfredo ama percorrere. Larga solo due metri e lunga una ventina ha piccoli portoni colorati posti a breve distanza uno dall'altro e mura di colori e stato di conservazione diversi.
Ad Alfredo quella via ha sempre fatto venire in mente i regoli con cui da piccolo avevano tentato di insegnargli la matematica. Lui con quelli, però, si divertiva molto di più a giocarci, a inventare ballerine costruzioni sempre sul punto di crollare per essere poi ricostruite.
Lì, in quella via, gli sembrava che quei pezzi fossero stati attaccati uno all'altro senza altro disegno che non fosse la casualità. Certo Alfredo sapeva benissimo che quel curioso aspetto era dovuto a una lunga serie di successioni familiari e che per uno strano vezzo nobiliare le divisioni erano state fatte in verticale, per cui quasi ogni abitazione era composta da due o più piani con non più di una grande stanza per piano, ma questo non toglieva nulla alla magia di quel piccolo caleidoscopio.
Lui, dopo averla attraversata, dopo aver scoperto ogni volta un nuovo particolare sfuggito alle visite precedenti, chiudeva gli occhi e tornava bambino.

12/03/17

[Alfredo] Moka 2


“Io credo che dovremmo tornare a fare qualcosa”
Alfredo inizia a parlare a occhi bassi, lentamente, cercando le frasi giuste da dire.
“Ecco sì,  credo che ormai con i nostri acciacchi... non abbiamo più molto da perdere e allora dovremmo tornare…”
“Tornare dove?”
Le parole dell’amico fermano la sua ricerca. Lo sta guardando con in una mano la tazzina del caffè e nell’altra la zuccheriera.
“No, no grazie. Lo prendo amaro... tornare a farci sentire, fare qualcosa insomma...”
“E magari finire con una bella pallottola in testa o a preparare il caffè agli amici di cella”
“E allora? Credi sia meglio ora senza nemmeno una panchina su cui sedersi?”
“Panchina?”
“Sì, sì, panchina! Potrebbe anche essere solo qualcosa di dimostrativo, qualcosa per far capire che ci siamo ancora. Io ricordo ancora alcune cose, posti dove si può trovare materiale…”
“Alfredo non c’è più tempo per noi, non c’è più tempo” lo interrompe l’altro sorridendo.
Ora sono seduti a fianco, sullo stesso lato del tavolo da cucina. Il caffè è magnifico e Alfredo prova a centellinarlo in attesa di nuove parole. Stanno un po’ in silenzio poi lui si alza.
“Bene, devo proprio andare ora”
“Abiti sempre nella stessa casa?”
“Sì”
“Ci penserò su, allora”
“Bene”
“Bene”
Alfredo è di nuovo in strada, si sente meglio, è passata anche la nausea. Si ferma al bar e si concede una pasta, niente caffè stavolta perché allora la pressione schizza.

Fonte immagine: “Moka Pot” by Bill Rice is licensed under CC BY 2.0

[Alfredo] Moka


Alfredo si è appena svegliato. Ha dormito male questa notte, lo sente nelle ossa che scricchiolano più del solito, nella difficoltà a mettere a fuoco ogni cose. Prepara la caffettiera e prova anche ad assaggiare uno di quei biscotti al burro che ha comperato il giorno prima, ma subito avverte una  forte nausea e allora rinuncia, così rimane solo l’amaro della tazzina e lo stomaco che borbotta qualcosa prima di riprendersi un po’.
Si lava, si veste ed esce. Ha deciso di rivedere un vecchio compagno, lo ha incontrato al funerale del Pascutti. Tante bandiere, tanta gente, addirittura alcuni ragazzi. Alfredo si era anche lasciato andare a un canto e alla  sensazione di ritrovarsi a  casa.
“Ciao, cosa fai qui?”
“Voglio parlarti”
“Dai entra”
Lo aveva visto, quella volta, con un pesante cappotto addosso, elegante come sempre era stato. Ora invece gli aveva aperto in mutande. Addosso una vecchia maglia di lana e ciabatte ai piedi.
Si allontana e lo lascia da solo in cucina. Quando, poco dopo, torna, indossa una tuta.
“Dormivi?”
“No, tentavo di masturbarmi”
“Non fa mai male”
“No”
Si volta e prende la moka, prepara un caffè.
"Non fai la montagnetta?" sussurra Alfredo.
"No, preferisco raso"
I due attendono in silenzio. Alfredo è seduto, l'altro rimane vicino al fornello a guardare il fuoco basso.
Alfredo ora è un po’ perplesso su quello che voleva dire.

Fonte immagine: “Moka Pot” by Bill Rice is licensed under CC BY 2.0

11/03/17

[Alfredo] Panchine


Alfredo cammina. E’ sulla via principale della città in questa giornata di luce, di primo tepore. Il suo passo è lento: non ama correre Alfredo. E poi correre verso cosa, verso dove?
Qualcuno lo supera urtandolo o gli arriva addosso distratto, ma lui non se la prende troppo. Vuole solo arrivare in piazza, sedersi un po’ a leggere il giornale, guardare passare la gente. Non lo fa da tempo. Ultimamente si è limitato a gironzolare nel quartiere vicino casa o al massimo ad arrivare al parco più vicino.
Quando finalmente lo spazio si allarga, Alfredo scopre che  sono sparite tutte le panchine. Per sedersi ora bisogna utilizzare le sedie ai tavoli dei bar o i pochi gradini che portano al piedistallo del barbuto. Alfredo scarta quest’ultima possibilità. Non ha più l’età e non c’è più spazio tra quei ragazzi che a gruppetti giocano a definirsi. Così decide di  tornare verso la fermata del bus, verso casa.
All'angolo della piazza, sul lato opposto a quello da cui è arrivato, un tavolo con delle bandiere. Qualcuno fa firmare i passanti, qualcun altro distribuisce volantini “contro il degrado”.
Alfredo porta subito la mano in tasca come a cercare qualcosa, poi gli torna in mente che è passato ormai tanto tempo. Stringe, allora, solo il pugno a ricordare e porta gli occhi verso le luci delle paline informative. Anche oggi l’autobus è in ritardo.

Fonte immagine: “Garibaldi in Anghiari” by Monica Arellano-Ongpin is licensed under CC BY 2.0

10/03/17

[Alfredo] Vespro


C’è un momento della giornata in cui Alfredo ama particolarmente guardare il mondo. E’ quello in cui il sole è appena tramontato alla vista e una luce affiora fioca da dietro i palazzi illuminando ancora un poco il cielo. E’ il vespro, l’ora delle laiche preghiere.
Lui toglie gli occhiali e guarda lontano dall'unica finestra di casa. Tutto gli appare indistinto, spariscono i contorni, le stesse luci delle case, delle strade, tremolano come stelle. A volte Alfredo viene così preso da quel paesaggio che raggiunge per un attimo la sicurezza di farne parte. Di essere anch'egli mondo.
Da piccolo una volta la maestra gli aveva fatto disegnare lo sfondo di una città su di un cartoncino nero, per farlo si era servito di uno dei preziosi gessetti con cui si scriveva alla lavagna, quelli riposti sempre con attenzione nel cassetto della cattedra. Alfredo si era impegnato molto, credeva anche di aver fatto un buon lavoro.
“Ora ritaglia seguendo il contorno” gli aveva detto lei, dopo aver controllato.
Anche quello era stato fatto con precisione, pur con qualche comprensibile difficoltà. Alfredo, in effetti, non sapeva bene come scontornare i frondosi rami che aveva inserito e anche i contorni dei semafori furono un problema.
Quando finalmente ebbe finito la maestra lo invitò a scegliere un nuovo cartoncino di colore diverso. Lui ne prese uno color arancio.
“Ecco ora incollalo su questo” gli suggerì lei.
“Così?” chiese Alfredo
“No, no. Prova a capovolgerlo” spiegò con gentilezza la maestra.
Improvvisamente sparirono porte e finestre e strade e palazzi, rimaneva, agli occhi di Alfredo, un indistinto nero su cui la donna applicò con leggerezza piccoli punti di luce subito sfumati dai polpastrelli delle sue dita lunghe e sottili.
Alfredo si accorse quella volta che la maestra non portava lo smalto sulle unghie, non lo aveva mai notato prima.

Fonte immagine:   “Sunset @ Old City of Annecy” by Guilhem Vellut is licensed under CC BY 2.0

09/03/17

[Alfredo] Casa


Quando fuori piove Alfredo rimane in casa a conversare. Vengono a trovarlo in molti e a lui diverte parlare con loro di ciò che nel mondo succede o di quello che poteva o potrebbe succedere.
Alcuni dei suoi ospiti sono già morti e lui non potrà mai rivelare loro le sue conclusioni, altri sono lontani o hanno una vita di cui lui ormai non sa più nulla, magari, certuni, non li ha mai conosciuti, ma questo non impedisce ad Alfredo di accalorarsi e di sorridere e di annuire o dissentire con convinzione.
Quasi sempre si discute di grandi temi anche se Alfredo trova più divertente, con gli amici più assidui, tirar fuori le piccole beghe che a volte li hanno quasi fatto litigare.
A volte succede che sbuchino all'improvviso facce che Alfredo ha da tempo cancellato, lui allora si alza dalla sedia e cammina e apre il frigorifero e fa ordine nei ripiani della credenza finché quelle non sono andate via.
La casa di Alfredo ha due stanze e un piccolo bagno con una finestrella sul cortile; lui la lascia sempre chiusa per impedire agli odori della cucina del ristorante cinese, giù dabbasso, di invadere ogni cosa. 

Fonte immagine: Anna Paghera s.r.l. - Interior Design

07/03/17

[Alfredo] Figli



"Lei non ha figli?"
Alfredo abbassa un po’ lo sguardo poi riprende a parlare d’altro. 
Gli sembra che quella storia di cui stavano discutendo sia poco plausibile, montata a dovere per dimostrare che nessuno si salva, che tutti sono uguali. L’uomo con cui sta dialogando da più di un’ora riprende allora a elencargli date e avvenimenti, ma Alfredo non lo segue più, pur seguendolo. 
Quando sente la voce di quello spegnersi dice:
"Ecco adesso mi è più chiaro" e si alza come si fosse ricordato solo in quel momento di qualcosa di importante da fare. 
"E stato un piacere" aggiunge salutando. L'altro lo ferma stringendogli la mano. 
"Potremmo vederci domani, lei viene spesso qui?" domanda.
"A volte" risponde Alfredo e si allontana.

Il sole è già andato via e l’aria è divenuta più fresca. Alfredo chiude il cappotto e sistema meglio il cappello sul capo. Sull'autobus che lo porta verso casa poche persone: un giovane immigrato che guarda passare le vetrine, una badante con una busta da supermercato sdrucita poggiata a terra tra le gambe, due ragazzi che si annusano innamorati.  

Fonte immagine: “Autobus 6 B. Pastore -Sacca” by Claudy-o Cdy-o is licensed under CC BY 2.0

05/03/17

Ho solo cinquant’anni


"Ho solo cinquant’anni. Se smetto di fumare e di bere, o piuttosto di bere e di fumare, potrei ancora scrivere un libro. Dei libri no, ma un libro solo forse sì. Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia. Se resto qui, non scriverò mai un libro."

04/03/17

[Alfredo] Nomi


Alfredo aveva sempre sofferto il fatto di non saper dare nomi precisi alle piante, di non essere in grado di distinguere tra salici e pioppi, tra olmi e lecci, tra querce e tamerici.
Tante volte aveva provato a superare questa sua mancanza, soprattutto riguardo agli alberi. Per farlo ne aveva letto con attenzione le storie sui libri, acquistato vecchi volumi con disegni bellissimi, visitato, tutte le volte che poteva, gli orti delle città in cui si trovava.
Grazie a questo aveva imparato ad aver paura dell’alito mortale del tasso, a sorridere del chiasso del bagolaro, ad aver pietà di chi aiutò Giuda, a cercare il cipresso e il suo gemello nei momenti di fame, ma nonostante tutto ancora si confondeva, anche quando aveva solo un riconoscibilissimo, maestoso Cedro di fronte ai propri occhi. A nulla serviva imprecare contro la propria ribelle memoria, contro quel ricordarsi le inezie dimenticando il necessario.

Nella sua passeggiata mattutina quel giorno era stato attratto da  un albero che gli pareva di non aver mai visto. Era ai margini della città. La verde chioma tondeggiante poggiava su un tronco così alto che sembrava voler dividere il cielo.
Poco distante sorgeva un piccolo parco giochi: uno scivolo, una altalena doppia, una vasca di sabbia. Su una panchina sedeva un vecchio, guardava un bimbo indaffarato ad arrampicarsi sulla scaletta di quel regno momentaneamente solo suo.
Alfredo chiese informazioni senza successo. Si avvicinò allora ancora più alla pianta, sperando in un cartello o in un improbabile rinsavirsi della propria memoria. Giunto quasi a toccarne la corteccia gli parve di udire una flebile voce. Qualcosa di misterioso e musicale. Poggiò allora l’orecchio al tronco e, senza ragione, iniziò a piangere. Gli succedeva sempre più spesso con l’avanzare dell’età. Quasi a rispondere a quel pianto la voce divenne più chiara, ora sembrava quasi cantare.
Fu così che Alfredo seppe di quell'essere e questo bastò.
Ritornando verso casa il vecchio volle chiedergli, forse per deriderlo:
“Allora? Ha scoperto qualcosa?”
Alfredo lo guardò sorridendo:
“Quel faggio vive” rispose.


Fonte immagine: “Faggio” by Luigi Mengato is licensed under CC BY 2.0

03/03/17

[Alfredo] Il Gran Ghetto


Capita che Alfredo sia molto distratto. Gli basta poco. E' facile per lui perdersi dietro il contorno di una nuvola o inseguendo una coccinella che lenta si arrampica sul muro. Capita.
E' successo anche oggi, mentre qualcuno gli parlava di catapecchie bruciate, di morti.
"Sono bruciati in due, gli altri li hanno cacciati via. Ci sono i caporali lì... e poi tutte quelle baracche... Come in Africa! Come a Rio! Che vergogna!"
Alfredo era altrove. Il fatto è che qualcosa tra i rami dell'albero di fronte a lui pareva brillare e Alfredo non riusciva a stabilire se quel luccichio fosse dovuto a un piccolo raggio di sole che filtrava tra i fitti aghi o ad un semplice riflesso dovuto a qualcosa rimasto impigliato tra i rami, magari un oggetto portato lì dal vento gentile o da un uccello innamorato. Forse era solo una lacrima, una vecchia ferita della pianta oppure lo scherzo di una strana prospettiva che giocava a ingannarlo.
"Cosa ne pensi?" continuava intanto a chiedere quello e ad Alfredo sfuggì un incauto:
"Dobbiamo vedere, sarebbe meglio guardare con più attenzione"
La frase non incontrò la soddisfazione dell'interlocutore. I due si salutarono poco dopo.


Fonte immagine: “The Shantytown outside of the Allenridge Commuity Center” by adamr.stoneis licensed under CC BY 2.0

02/03/17

[Alfredo] Sala d'aspetto


Alfredo legge con diligenza. La sua attenzione è tutta indirizzata alle confessioni di una donna che sembra, c’è scritto lì, faccia televisione. Lei risponde alle domande dell’intervistatore e racconta dei suoi amori, dei drammi, delle fortunate coincidenze. Mancano ancora poche righe quando è costretto a smettere. È  il suo turno. Alfredo chiude la rivista e rimanda la fine dell’articolo al prossimo incontro con il medico.

Una volta un suo amico, anche lui paziente dello stesso studio, gli aveva chiesto conto di quella attività. “Come fai?” aveva ripetuto più volte scuotendo il capo. Si conoscevano da tempo.
Alfredo lo aveva guardato sorridendo, era il sorriso di chi possiede un segreto che non vuole rivelare,  poi, in silenzio, era tornato a concentrarsi sulle didascalie che accompagnavano le foto degli ospiti di una esclusiva festa privata in Sardegna.


Fonte immagine: “Doctor's Office, Waiting Room” by Consumerist Dot Com is licensed under CC BY 2.0
Powered by Blogger.