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03/12/23

Tonio Rasputin: sogno dell'albero

Tonio Rasputin: sogno dell'albero: Era un sogno talmente alto e ramificato che più mi arrampicavo e più mi sentivo leggero e tanto più ci stavo bene quanto meno riuscivo a ...

27/10/20

La bella copia di Antonio Lillo

 

Stamattina leggevo alcuni commenti entusiasti ai versi di un poeta riconosciuto post mortem – “sempre amato lui!”, ma sempre quando, quando faceva la fame e non se lo cagava nessuno? – e pensavo che un poeta che non è ancora arrivato al successo non è considerato “poeta” da nessuno, nemmeno quando scrive o legge i suoi versi. E se lo dice con troppa convinzione che scrive poesie, al massimo si vedrà rispondere quel certo sorrisino di chi ti compatisce o sfotte. Però un bel giorno, se il poeta arriva al successo, generalmente post mortem, vince questo premio: gli viene tolta la pelle della sua vita precedente. Nessuno più che dica che è stato maestro o impiegato o commesso o operaio ecc. Gli viene tolto l’unto del lavoro quotidiano. La poesia, che fino al giorno prima era un lusso per i poveri, diventa l’unica occupazione di una vita. E il lavoro, a meno che tu non possa romanzarlo nella sua bio, sembra quasi sia stato un blando incidente di percorso. Magicamente, sulle pagine web o nei manuali scolastici non si capisce più di che mangiava questo poeta, cosa ha dovuto subire dai suoi capi, gli vengono tolte l’occupazione, la casa, la famiglia, i piatti preferiti, le sue insonnie. Restano soltanto gli amori, meglio se clandestini, qualche litigio letterario, e la bruciante e passione per i versi. Tutto, insomma, si riduce a ben poco, al minimo indispensabile. Così l’uomo che stava dentro il poeta muore e finisce, e il poeta che stava dentro l’uomo diventa una bella copia dell’originale, ma una copia non proprio esatta, diversa, e mai completamente intera. Pronta e lucidata per essere da “sempre amata”.


Fonte: la bella copia 

26/08/18

-il soldatino di napoleone- di Antonio Lillo

"Continuo a ripensare alle parole di un poeta che ho conosciuto pochi giorni fa. Lui scrive poesie di tipo filosofico-intimistico. E quando gli ho detto di essere maggiormente interessato a una poesia che va più sul sociale, mi ha fatto un sorrisino furbo e mi ha detto che quel tipo di poesia, secondo lui, così com’è fatta oggi, è noiosa. Gli ho chiesto perché. E lui mi fa l’esempio di un campo di battaglia napoleonico: la maggior parte della poesia civile, dice, la scrive gente che prende la posizione del soldatino, il quale viene sbattuto forzatamente in mezzo ai combattimenti e si lamenta delle sue sfortune, ma non capisce realmente cosa sta succedendo. L’unico che ha la visione reale e completa della situazione, che può capire e descrivere come vanno le cose non è il soldatino, ma Napoleone, che sta sulla collina al sicuro, controlla che succede col suo cannocchiale, interpreta la situazione e impartisce ordini. Quindi, gli dico io innervosito, mi stai dicendo che prendere le parti del soldatino è inutile? No, dico che per fare una poesia sociale interessante bisogna entrare nella testa di Napoleone, e non nel cuore del soldatino. Perché parlare del cuore del soldatino è facile, è un discorso abusato, ma è pensare come Napoleone che è difficile. È un discorso talmente classista e snob, che sulle prime mi ha dato un fastidio enorme, eppure continuo a ripensarci. C'è qualcosa che mi turba. Perché mi chiedo se in qualcosa non abbia ragione lui, se sono io che non capisco dove va il mondo e sto sbagliando qualcosa. Ma possibile, mi dico, che siamo arrivati a questo punto, che parlare del cuore del soldatino, prendere le sue parti, è considerato non solo inutile e noioso, ma insufficiente a capire come va il mondo? E se anche fosse così, se alla guerra togli il soldatino, se consideri soltanto la visione di Napoleone, a parte Napoleone, mi chiedo, che rimane? Per me rimane soltanto la guerra, come concetto astratto e freddo, non resta più nulla insomma. E tu poeta, che canti?"

Fonte:  https://toniorasputin.blogspot.com/2018/08/il-soldatino-di-napoleone.html