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31/12/11

Dance me to the end of love


Dance me to your beauty with a burning violin
Dance me through the panic till I’m gathered safely in
Lift me like an olive branch and be my homeward dove
Dance me to the end of love
Dance me to the end of love

Oh let me see your beauty when the witnesses are gone
Let me feel you moving like they do in babylon
Show me slowly what I only know the limits of
Dance me to the end of love
Dance me to the end of love

Dance Me to the wedding now, dance me on and on
Dance me very tenderly and dance me very long
We’re both of us beneath our love, we’re both of us above
Dance me to the end of love
Dance me to the end of love

Dance me to the children who are asking to be born
Dance me through the curtains that our kisses have outworn
Raise a tent of shelter now, though every thread is torn
Dance me to the end of love

Dance me to your beauty with a burning violin
Dance me through the panic till I’m gathered safely in
Touch me with your naked hand or touch me with your glove
Dance me to the end of love
Dance me to the end of love
Dance me to the end of love

P.S.

28/12/11

"Campi Rossi 1969" di Mauro Mirci

68° anniversario del  sacrificio

dei Sette Fratelli Cervi e di Quarto Camurri

 La quarta di copertina

1969. Un gruppo di giovani di sinistra, un po’ hippies, incontra papà Cervi, a Gattatico. Con loro Otello Sarzi, compagno e amico dei suoi figli.
Una ventina di foto testimoniano un incontro sereno, normale, in cui Alcide forse parla a quei giovani del suo frutteto, forse della terra, forse dei suoi figli.
Il fotografo è Antonio Russello, reporter siciliano free lance. È lì per trascorrere una giornata con i suoi amici e con Alcide.
Le foto restano per trent’anni in una cassa, con qualche altro migliaio di scatti, nella casa di campagna dove Antonio s’è ritirato negli anni ‘70 per vivere da uomo libero, figlio della sua generazione.
Testimonianze di storia contemporanea che il Comune di Piazza decide di acquisire perché diventino patrimonio collettivo.

2011. Antonio incontra Mauro Mirci, geologo-scrittore che in quanto geologo va sotto la crosta degli eventi e in quanto scrittore riporta in superficie storie di donne e di uomini che costituiscono un nuovo tassello dei legami tra la Sicilia e l’Emilia.
Questo libro è il frutto del loro incontro.

Campi rossi 1969 è un testo dedicato ad Antonio Russello, fotografo vagabondo e romantico che ancora crede negli ideali del ’68. Le foto scattate a Gattatico, in casa Cervi, acquisite dal comune di Piazza Armerina, saranno esposte il prossimo 28 dicembre presso l’Istituto Cervi, in occasione del 68° anniversario della morte dei sette figli di Alcide.

Qui il programma della manifestazioni

Fonti:  paroledisicilia.it Istituto Alcide Cervi

24/12/11

10/12/11

La Petite Danseuse


9° esatti, il prosecco ammorbidisce il ricordo mentre ancora parlo di te, della tua assenza, parlando d'altro, vivendo altro.
Nicole sfoglia con me le pagine della guida, sorride e già sogna di volteggiare leggera:
"La postura della ballerina è fondamentale e riguarda la posizione del bacino, del ginocchio, della caviglia e l’appoggio del piede. Queste sono considerate le basi tecniche studiate e praticate nella danza. Fin dall’età più piccola (5/6 anni) viene insegnato alla ballerina la postura corretta delle diverse parti del corpo alla sbarra ( rispetto alla sbarra) e/o allo specchio. La piccola ballerina è stimolata ad acquisire e mantenere la corretta posizione cosicché possa imparare a correggersi durante la pratica della danza."
Ti somiglia sai? Lo stesso viso, gli stessi occhi attenti, le labbra sottili. Me lo hanno detto tante volte, credo per suggerirmi di dimenticarti. E magari hanno anche ragione, magari dovrei smetterla e concentrarmi sul presente, magari... Sarò un pessimo padre? E' stato così difficile amore senza te.
"Intorno all’età di 10 anni si inizia ad indossare la scarpa a punta, ma devono esserci condizioni strutturali della ballerina molto importanti. La ballerina deve possedere un tronco stabile e abbastanza forte capace di controllare un perfetto aplomb a livello dell’arto inferiore, deve saper eseguire tutti i fondamentali tecnici precedentemente acquisiti e deve possedere un perfetto en-dohr."
Il prossimo anno inizierà la scuola. Sai, sa già leggere! Magari tu non avresti voluto, eri così attenta ai tempi dei bambini quando ne parlavamo, quando facevamo "teoria". Ora la pietra ha iniziato a rotolare e io posso solo sperare di guidarne per un po' il cammino.
"Εsistono traumi diversi a cui vanno incontro le ballerine e questi non dipendono solo dall’età, dagli anni di esperienza, dal tipo di danza studiata, ma anche dalla sua conformazione muscolo-scheletrica.
Nelle ballerine in età adolescenziale dobbiamo prestare attenzione soprattutto allo sviluppo della colonna e degli arti inferiori, infatti possono presentarsi paramorfismi a danno del rachide e degli arti (come per esempio asimmetria degli arti inferiori, scapole alate, diverso allineamento delle rotule,ecc.)
Particolarmente frequenti sono le distorsioni alla caviglia, lesioni capsulo-legamentose e lesioni meniscali del ginocchio."
Tua figlia mi guarda perplessa, il nostro spirito entra subito in allerta davanti solo alla possibilità di un danno fisico. Non sono ancora riuscito a parlare di te. Non ho mai risposto. Mai accennato a nulla.
Poggio sul tavolo il depliant e la faccio scivolare giocando via dalle mie gambe. Le chiedo di attendermi un attimo dirigendomi verso la libreria. Ecco è qui, appena nascosto dal quel volume di poesie di Benedetti, lo amavi così tanto: il nostro piccolo tesoro di foto. Nicole continua a fissarmi, credo abbia capito; io, allora, inizio:
"Sai con mamma ci siamo conosciuti..."

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Questo post nasce da un "gioco" lanciato da  LaDonnaCamel sul suo blog
Gli altri partecipanti (ma si continua fino a martedì) sono:

- Lillina con Scrivere
- Hombre con Gianni il cinese
- La Carta con Tronco lo spirito della pietra, quale ginocchio conosce assenza di danno?
- Mai Maturo con La settima repubblica
- La Donna Camèl con Grande pino e terre rosse
- 1° contributo anonimo: qui
- 2° contributo anonimo: Lo scultore



 Riepilogo finale  :-)


Le citazioni presenti nel post sono tratte da: INTRODUZIONE ALLA DANZA

La "Petite Danseuse" è di Edgar Degas

30/11/11

Lucio Magri (Ferrara, 19 agosto 1932 – Zurigo, 28 novembre 2011)


«In una delle affollate assemblee che dovevano decidere se cambiare nome al Pci, un compagno rivolse a Pietro Ingrao una domanda: “Dopo tutto ciò che è successo e sta succedendo, credi proprio che con la parola comunista si possa ancora definire un grande partito democratico e di massa come siamo stati, ancora siamo e che vogliamo rinnovare e rafforzare per portarlo al governo del paese?”.
Ingrao, che già aveva ampiamente esposto le ragioni del suo dissenso da Occhetto e proposto di seguire un’altra strada, rispose, scherzosamente ma non troppo, usando un famoso apologo di Bertolt Brecht, Il sarto di Ulm. Quell’artigiano, fissato nell’idea di apprestare un apparecchio che permettesse all’uomo di volare, un giorno, convinto di esserci riuscito, si presentò al vescovo e gli disse: «Eccolo, posso volare». Il vescovo lo condusse alla finestra dell’alto palazzo e lo sfidò a dimostrarlo. Il sarto si lanciò e ovviamente si spiaccicò sul selciato. Tuttavia — commenta Brecht — alcuni secoli dopo gli uomini riuscirono effettivamente a volare.
Io, che ero presente, trovai la risposta di Ingrao non solo arguta, ma fondata. Quanto tempo, quante lotte cruente, quanti avanzamenti e quante sconfitte, furono necessari al sistema capitalistico — in un’Europa occidentale all’inizio più arretrata e barbarica di altre regioni del mondo — per trovare alla fine una efficienza economica mai conosciuta, darsi nuove istituzioni politiche più aperte, una cultura più razionale? Quali contraddizioni irriducibili marcarono, per secoli, il liberalismo tra ideali solennemente affermati (la comune natura umana, la libertà di pensiero e di parola, la sovranità conferita dal popolo) e pratiche che li smentivano in modo permanente (schiavismo, dominazione coloniale, espulsione dei contadini dalle terre comuni, guerre di religione)? Contraddizioni di fatto, ma legittimate nel pensiero: l’idea che alla libertà non potessero né dovessero accedere se non coloro che avessero per censo e cultura, perfino per razza e colore, la capacità di esercitarla saggiamente; e l’idea correlativa che la proprietà dei beni era un diritto assoluto e intoccabile e dunque escludeva il suffragio generale. Tutte contraddizioni che non tormentarono solo la prima fase di un ciclo storico, ma si erano riprodotte in forme diverse, nelle loro successive evoluzioni e gradualmente si erano ridotte solo per l’intervento di nuovi soggetti sociali sacrificati e di forze contestatrici di quel sistema e di quel pensiero. Se dunque la storia reale della modernità capitalistica non era stata lineare, né univocamente progressiva, anzi drammatica e costosa, perché dovrebbe esserlo il processo del suo superamento? Questo appunto voleva significare l’apologo del sarto di Ulm.

Tuttavia, scherzosamente ma non troppo, proposi subito a lngrao due interrogativi che quell’apologo, anziché superare, metteva in luce. Siamo sicuri che il sarto di Ulm, se fosse sopravvissuto storpiato alla rovinosa caduta, sarebbe rapidamente risalito per riprovarci, e che i suoi amici non avrebbero cercato di trattenerlo? E comunque, quel suo azzardato tentativo, quale contributo effettivo aveva portato alla successiva storia dell’aeronautica?
Questi interrogativi, in relazione al comunismo, erano particolarmente pertinenti e ostici. Anzitutto perché, nella sua costituzione teorica, pretendeva non di essere un ideale cui ispirarsi, ma parte di un processo storico già in corso, di un movimento reale che cambia lo stato di cose esistenti: comportava quindi, in ogni momento, una verifica fattuale, un’analisi scientifica del presente, una realistica previsione sul futuro, per non evaporare in un mito. In secondo luogo perché tra le precedenti sconfitte e gli arretramenti delle rivoluzioni borghesi, in Francia e in Inghilterra, e il crollo recente del «socialismo reale» occorre vedere una differenza pesante. Una differenza che non si misura nel numero dei morti o nell’uso del dispotismo, ma nel risultato: le prime hanno lasciato eredità, magari molto più modeste delle speranze iniziali, dovunque sono avvenute, comunque immediatamente evidenti; del secondo è invece difficile decifrare e misurare il lascito e individuare degni continuatori.
Vent’anni dopo, questi interrogativi non solo non hanno trovato una risposta, ma non sono neppure stati seriamente discussi. O meglio, delle risposte le hanno trovate in una forma molto superficiale e dettata dalle convenienze: abiura o rimozione. Un’esperienza storica e un patrimonio teorico che hanno segnato un secolo sono stati così affidati, per usare un’espressione di Marx, alla «critica roditrice dei topi», che come si sa sono voraci e, in un ambiente adatto, si moltiplicano velocemente.

La parola comunista torna certo ancora, in modo ossessivo e caricaturale, nella propaganda della destra più rozza. Resta nei simboli elettorali di piccoli partiti europei, per conservare il consenso di una minoranza affezionata a un ricordo, o per indicare genericamente un’avversione al capitalismo. In altre regioni del mondo, partiti comunisti continuano a governare piccoli paesi, soprattutto a difesa della propria indipendenza dall’imperialismo, e uno, grandissimo, in cui serve a sostenere uno straordinario sviluppo economico, che però va in altra direzione. La Rivoluzione di ottobre è generalmente considerata una grande illusione, in qualche momento e agli occhi di pochi utile, ma nel complesso sciagurata (identificata con lo stalinismo e in una sua versione grottesca), comunque condannata dal suo esito finale. Marx, di recente, ha riconquistato un certo credito, come pensatore, per le sue lungimiranti previsioni sul capitalismo del futuro, ma del tutto amputato dall’ambizione di porvi fine.
Ancor peggio, la dannazione della memoria tende ormai a procedere oltre: a estendersi all’intera vicenda del socialismo e, su per li rami, alle componenti radicali della rivoluzione borghese e alle lotte di liberazione dei popoli coloniali (che, come si sa, anche nel paese di Gandhi, non poterono essere sempre pacifiche). Insomma, «il fantasma che si aggirava» sembra finalmente sepolto: da alcuni con onore, da altri con odio non dimenticato, dai più con indifferenza perché non ha più nulla da dirci.

L’orazione più graffiante, ma a suo modo più rispettosa, a questa definitiva sepoltura l’aveva anticipata uno dei maggiori cervelli avversari, Augusto Del Noce. Quando, anni fa, disse in sostanza dei comunisti: hanno perduto e vinto. Hanno perduto rovinosamente nella loro prometeica ambizione di rovesciare il corso della storia, di promettere agli uomini libertà e fratellanza, anche senza Dio e riconoscendosi mortali. Ma hanno vinto come potente e necessario fattore di accelerazione della globalizzazione della modernità capitalistica e dei suoi valori: il materialismo, l’edonismo, l’individualismo, il relativismo etico. Uno straordinario fenomeno di eterogenesi dei fini, che egli, cattolico conservatore e intransigente, pensava di aver previsto, ma del quale aveva poche ragioni per compiacersi.

Chi però al tentativo del comunismo ha creduto, in qualche modo vi ha partecipato, e solitamente senza dare segnali di allarme, ha il dovere di renderne conto, anche a se stesso, di chiedersi se quella sepoltura non sia troppo frettolosa, se non occorre un altro certificato sul rigor mortis. Abbiamo tutti molti argomenti per aggirare l’ostacolo. Del tipo: sono stato un comunista italiano perché era prioritario per combattere il fascismo, difendere la democrazia repubblicana, sostenere le sacrosante rivendicazioni dei lavoratori; oppure, sono diventato comunista quando il legame con l’Unione Sovietica o l’ortodossia marxista erano ormai in discussione, oggi posso aggiungere una circoscritta autocritica al passato e una forte apertura al nuovo. Non basta? A mio parere non basta, perché non rende conto di un’impresa collettiva che, nel bene e nel male, ha coperto molti decenni, e va considerata e compresa nel suo insieme. Non basta soprattutto per trarne una lezione utile per l’oggi e per il domani.
Sento troppi ormai dire: era tutto uno sbaglio ma sono stati i migliori anni della nostra vita. Per alcuni anni, sotto botta, questo misto di autocritica e di nostalgia, di dubbio e di fierezza, soprattutto tra le persone semplici, mi è sembrato giustificato, anzi una risorsa. Ma col passare del tempo, e soprattutto tra intellettuali e dirigenti, mi pare ormai un accomodante compromesso con se stessi e con il mondo. E torno di nuovo e di più a chiedermi: ci sono argomenti razionali e convincenti per opporsi all’abiura e alla rimozione? O quanto meno ci sono buone ragioni e condizioni adatte per riaprire oggi criticamente una discussione sul comunismo, anziché archiviarla?
A me pare di sì.»

Ripreso da: Nazione Indiana

21/11/11

"Manifesto dei pediatri per un uso sicuro e positivo del web"


"Una grande indagine europea condotta in 25 Paesi nell’ambito del Safer Internet Programme della Commissione Europea ha rilevato che i bambini e gli adolescenti italiani hanno minori competenze digitali rispetto ai loro coetanei europei; che l’accesso a Internet dalle scuole italiane è il più basso in Europa (62% media europea contro 49% italiana) così come il coinvolgimento degli insegnanti nelle attività on-line (65% contro la media europea del 73%). L’indagine ha rilevato altresì che i bambini cominciano a usare internet sempre prima, spesso senza la supervisione di un adulto, il che rende proprio i più piccoli i soggetti più vulnerabili ai rischi della rete (come contatti con sconosciuti, bullismo, pornografia). Infine, i genitori italiani, più degli altri censiti dalla ricerca, appaiono poco consapevoli dei rischi che i loro figli possono correre sul web.

Politiche orientate soltanto a limitare l’esposizione ai rischi online sono dannose perché rischiano di acuire il divario digitale, cioè lo svantaggio culturale e sociale creato dalle ridotte capacità, o possibilità, di utilizzazione delle tecnologie dell’informazione. Occorre invece promuovere usi positivi della rete, fornire ai ragazzi le conoscenze e gli strumenti necessari per affrontare i rischi. Occorre una “mediazione sociale” nell’uso del Web. La media education deve diventare una priorità dei percorsi formativi della scuola italiana.

Partendo da queste premesse la Società Italiana di Pediatria, da sempre attenta non solo alla salute, ma anche alle tematiche sociali dell’infanzia e dell’adolescenza, si fa promotrice di un “Manifesto” volto a unire tutti i soggetti che ruotano attorno al mondo del bambino e dell’adolescente verso un uso responsabile e consapevole del Web che massimizzi le opportunità e minimizzi i rischi, a cominciare dalla scuola.

Quest’ultima deve rappresentare il contesto primario per trasformare le pratiche digitali dei bambini e degli adolescenti, ancora troppo svantaggiati rispetto agli altri Paese europei, in competenze con valenza cognitiva e significato culturale. Tale approccio dovrebbe essere perseguito nell’ottica di ridurre il divario digitale, di prepararli ad un futuro personale e professionale, e di ridurre i rischi associati all’uso del web. L’applicazione delle tecnologie digitali ai processi educativi potrebbe infatti permettere un significativo potenziamento delle capacità degli studenti, un forte stimolo alla curiosità intellettuale, e un’aumentata capacità verso la collaborazione e il lavoro di gruppo. La scuola rappresenta inoltre anche il luogo nel quale i genitori possono avere quel supporto conoscitivo necessario svolgere pienamente il proprio ruolo nell’era dell’informazione e dell’intrattenimento digitali.

LE PROPOSTE CONCRETE

1 Rendere la Banda Larga disponibile dovunque
Il tasso di penetrazione della banda larga in Italia era nel 2010 del 21.3% della popolazione, contro il 38.2 della Danimarca e una media di 25.7 dei 27 Paesi della UE. Migliorare le infrastrutture per facilitare l’accesso ad Internet nelle scuole ed in qualunque luogo di convivenza sociale è indispensabile per sfruttare appieno il potenziale della rete da parte di tutti i cittadini, ed in particolare dei giovani. Inoltre è necessario ridurre il divario che ancora

2 Una Lavagna Interattiva Multimediale per ogni classe
Grazie a un progetto annunciato dal Governo Italiano nel 2008 sono state diffuse circa 35 mila LIM in tutta Italia per un totale di 770 mila studenti, pari a una media di soltanto 1 LIM per ogni scuola.
La lavagna interattiva multimediale consente di incrementare la qualità comunicativa dell’insegnamento e dell’apprendimento ed appare una tecnologia di mediazione didattica convincente e sostenibile. I piani di diffusione svolti e in atto nella scuola pubblica sono però ancora molto lontani e non hanno ancora garantito una sua presenza in ogni aula di lezione e in ogni laboratorio. Gli investimenti devono andare in questa direzione.

3 Integrare i materiali didattici con gli E-BOOK I dispositivi per la lettura di libri elettronici (eBook reader) e alcuni Tablet hanno ormai prezzi abbastanza accessibili.
L’uso di materiali didattici su supporto digitale comporta una riduzione del peso dei materiali, una dimensione ipermediale dei materiali proposti, un accesso dinamico alla rete e un facile aggiornamento ed integrazione dei contenuti. Per investire in questa direzione è necessario però un coordinamento tra MIUR, case editrici, università e centri di ricerca che realizzi modelli convincenti di libri di testo elettronico. L’uso degli e-book non va inteso come completamente sostitutivo del libro stampato. Pur considerando utile conservare, almeno nella fascia 3-13 anni, l’uso del libro stampato, l’introduzione degli e-book nella scuola permetterebbe di evitare il fenomeno “usa e getta” tipico dei libri di testo tradizionali.

4 Computer, prima lo usi meglio è
Oggi l’età media di utilizzo di Internet in Europa è 7 anni, contro i 10 anni dell’Italia. Un uso precoce della tecnologia orientato a scoprirne e utilizzarne le valenze cognitive e culturali consentirebbe di incrementare lo sfruttamento delle sue potenzialità e di concepire l’uso del computer e del web alla pari di quello di qualunque altro strumento utilizzato durante i processi educativi. Un uso precoce ma finalizzato in modo esplicito a fini formativi e mediato e tutelato da figure adulte, permetterebbe anche una riduzione dei rischi potenziali e l’induzione ad un uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte di tutta la famiglia, come attività sia educativa sia di intrattenimento condiviso. Ciò avrebbe anche lo scopo di proteggere maggiormente i bambini più piccoli, che oggi appaiono i più vulnerabili ai rischi della rete, perché usano internet per un numero limitato di attività e acquisiscono minore consapevolezza. La SIP chiede quindi un maggior uso del computer sin dalle prime classi elementari.

5 Genitori e insegnanti sui banchi di scuola
Promuovere la formazione degli insegnanti in modo da consentire loro di valorizzare e guidare l’esperienza dei ragazzi nel campo delle tecnologie dell’informazione. L’obiettivo a cui tendere è quello di considerare l’uso di strumenti tecnologici associati al web non come una materia in più ma come un normale strumento di uso quotidiano anche nell’attività didattica. Vanno concepite iniziative che costruiscano competenze d’uso degli strumenti comunicativi in chiave culturale e intellettuale, che mettano gli insegnanti nelle condizioni di valorizzare e potenziare tutte quelle Best Practices che si siano rivelate didatticamente produttive.

Dovrebbe essere inoltre incentivata la possibilità che gli studenti trasferiscano ai propri genitori la loro esperienza di acquisizione attraverso strumenti tecnologici avanzati. Emblematici, a questo proposito, progetti come “Nonni al computer” che si svolgono in molte scuole medie italiane, nei quali i ragazzi insegnano l’uso del computer e del web agli adulti più impacciati.

6 Lezioni videoregistrate
La possibilità di utilizzare la tecnologia per videoregistrare le lezioni in modo da renderle disponibili senza limitazione di tempo per tutti gli studenti che vogliano consultarle al di fuori dell’orario scolastico deve diventare da attività estemporanea scenario costante. Va favorita la diffusione e l’uso di “lezioni modello” condivise sul web da utilizzare come “compito a casa” e sulle quali discutere in classe."
Fonti e condivisioni: Società Italiana di Pediatria
                               Corriere.it 
                               Il Tempo
                               Galileo (anche fonte immagine)
                               Spicchi di Limone
                               Francesca Frames
                               ascuolasulweb

19/11/11

Kajal

Ancora nebbia.
Ora nasconde ogni cosa,
ogni cuore,
ma è in questo smarrire
il riverbero del mondo
che scopro la timida sua grazia:
quasi fosse un segreto regalo
questo perdersi,
quasi fosse solo per me,
suo unico spettatore,
il muto sussurro dei baci,
l'amore.

16/11/11

13/11/11

"Sto faticando: preparo il mio prossimo errore"

Franco Matticchio sul blog dell'Indice dei Libri del Mese
Il signor Keuner percorreva una valle, quando improvvisamente notò che i suoi piedi affondavano nell’acqua. Allora capì che la sua valle era in realtà un braccio di mare e che si avvicinava l’ora dell’alta marea. Si fermò subito per guardarsi attorno in cerca di una barca e finché ebbe speranza di trovarla rimase fermo. Ma quando si persuase che non c’erano barche in vista, abbandonò questa speranza e sperò che l’acqua non salisse più. Solo quando l’acqua gli fu arrivata al mento abbandonò anche questa speranza e si mise a nuotare. Aveva capito che egli stesso era una barca.
Bertolt Brecht, Le storie del Signor Keuner 

12/11/11

Tanto giovane

Fonte: http://neverneverland.tumblr.com  -  anke feuchtenberger, la puttana P getta il guanto 
"Tanto giovane e tanto puttana":
ciài la nomina e forse non è
colpa tua — è la maglia di lana
nera e stretta che sparla di te.

E la bocca ride agra:
ma come ti morde il cuore
sa chi t’ha vista magra
farti le trecce per fare l’amore.

 Giovanni Giudici, Tanto giovane, da "La vita in versi"

11/11/11

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 5)

Giorgio era un carboncino bagnato, una macchia nera sull'asfalto.
Era passata da poco l'autoinnaffiatrice e lui ne era rimasto sorpreso, meravigliato, mentre girovagava per il quartiere, mentre, incauto, trotterellava felice. 
Giorgio non sapeva ancora di chiamarsi Giorgio e neanche io quel giorno, non così però quel cartellone sotto cui si era riparato, non quell'attore americano tanto famoso che da lì  sembrava guardarlo benevolo, enorme in quel suo viso di padre.
Insomma io non potevo mica lasciarlo lì. Non passava mai nessuno a quell'ora in quella strada e poi forse solo con lui avrei imparato a giocare con le ombre, a capire: le ombre sbarazzine dai mille riflessi e quelle sazie di mistero sul basolato, le ombre vive, guizzanti,  degli irrequieti o le tristi di desiderio degli innamorati. 
Giorgio è sempre lì pronto a saltellare sui miei pensieri, aggrovigliato alle mie paure, ai miei sogni. Balza da un luogo all'altro, da una stanza all'altra e non rinuncia a sorridere o a parlarmi come si fa ai bambini per spiegare, per dire. Credo mi voglia bene anche, ma so che non potrebbe mai ammetterlo. Non è nel suo stile, nel suo vivere. 
Giorgio è quello che non ho, quello che non vorrei, tutto quello che mi è indispensabile.

10/11/11

Potrei con questa uccidere, con la sola gioia

Vittorio Sereni, Appuntamento a ora insolita

La città-mi dico- dove l’ombra
quasi più deliziosa è della luce
come sfavilla tutta nuova al mattino….
“……asciuga il temporale di stanotte” – ride
la mia gioia tornata accanto a me
dopo un breve distacco.
“Asciuga al sole le sue contraddizioni”
- torvo, già sul punto di cedere, ribatto.
Ma la forma l’immagine il sembiante
-d’angelo avrei detto in altri tempi-
risorto accanto a me nella vetrina:
“caro- mi dileggia apertamente- caro,
con quella faccia di vacanza. E pensi
alla città socialista ?”.
Ha vinto. E già mi sciolgo: “Non
arriverò a vederla” le rispondo.
(Non saremo
più insieme dovrei dire.) “Ma è giusto,
fai bene a non badarmi se dico queste cose,
se le dico per odio di qualcuno
o rabbia per qualcosa. Ma credi all’altra
cosa che si fa strada in me di tanto in tanto
che in sé le altre include e le fa splendide,
rara come questa mattina di settembre…..
giusto di te fra me e me parlavo:
della gioia.”
Mi prende sottobraccio.
“Non è vero che è rara, – mi correggo- c’è,
la si porta come una ferita
per le strade abbaglianti. E’
quest’ora di settembre in me repressa
per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo
celava sotto i panni e il fianco gli straziava,
un’arma che si reca con abuso, fuori
dal breve sogno di una vacanza.
Potrei
con questa uccidere, con la sola gioia….”
Ma dove sei, dove ti sei mai persa ?
“E’ a questo che penso se qualcuno
mi parla di rivoluzione”
dico alla vetrina ritornata deserta.

09/11/11

"È troppo tardi per risparmiare quando si è arrivati alla feccia"

  Morte di Seneca
 Autore :Peter Paul Rubens
  Anno: 1614 .
 Museo:Alte Pinakothek (Munich)

Fa' così, caro Lucilio: rivendica a te il possesso di te stesso, e il tempo, che finora ti veniva sottratto apertamente, oppure rubato, oppure ti sfuggiva, raccoglilo e conservalo. Convinciti che le cose stanno così come ti scrivo: una parte del tempo ci viene portata via, una parte ci viene rapita furtivamente, una parte scorre via. La perdita più vergognosa, tuttavia, è quella che avviene per la nostra negligenza. E se vorrai far bene attenzione, ti accorgerai che gli uomini sprecano gran parte della vita facendo il male, la massima parte non facendo nulla, la vita intera facendo altro.

Chi mi troverai che fissi un prezzo al tempo, che dia valore ad un giorno, che si renda conto di morire ogni giorno? In questo infatti c'inganniamo, che vediamo la morte dinanzi a noi: ma gran parte di essa è già passata, tutto il tempo che abbiamo dietro le spalle lo possiede la morte. Fa' dunque, caro Lucilio, quello che mi scrivi di star facendo: afferra e tieni stretta ogni ora; dipenderai meno dal domani se ti impadronirai saldamente dell'oggi. Mentre rinviamo al futuro, la vita se ne va. Tutto il resto, o Lucilio, appartiene agli altri, solo il tempo è nostro; la natura ci ha dato il possesso di quest'unico bene fuggevole e malsicuro, e da questo possesso ci scaccia chiunque lo voglia. Ma la stoltezza dei mortali è tanto grande, che accettano di farsi mettere in conto, se li hanno ottenuti, oggetti insignificanti e di nessun valore, comunque sostituibili con altri, mentre nessuno ritiene di essere debitore di alcunché per aver ricevuto in dono il tempo; eppure questo è l'unico bene che neanche chi è riconoscente può restituire.

 Lucius Annaeus Seneca, Epistulae morales ad Lucilium


07/11/11

Ripensare il territorio

Il CIRF (Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale) promuove un diverso approccio ai temi legati al territorio:
Secondo il CIRF è "l'insieme integrato e sinergico di azioni e tecniche, di tipo anche molto diverso (dal giuridico-amministrativo-finanziario, allo strutturale), volte a portare un corso d'acqua, con il territorio ad esso più strettamente connesso ("sistema fluviale"), in uno stato più naturale possibile, capace di espletare le sue caratteristiche funzioni ecosistemiche (geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche) e dotato di maggior valore ambientale, cercando di soddisfare nel contempo anche gli obiettivi socio-economici". Un'azione relativa a un corpo idrico, quindi, si può secondo noi definire di "riqualificazione fluviale" solo se ha come obiettivo il miglioramento dello stato ecologico; non si tratta pertanto di realizzare piste ciclabili lungo l'alveo (è un'azione che soddisfa l'obiettivo "fruizione" e che spesso riduce sensibilmente il valore dello stato ecologico), né di "ripulire" i fiumi da vegetazione o sedimenti (azioni finalizzate al conseguimento dell'obiettivo "riduzione del rischio idraulico", sebbene nella pratica il risultato sia spesso di direzione opposta).
Non va infine confusa con l'ingegneria naturalistica, che costituisce una classe alternativa di tecniche di intervento -generalmente di stabilizzazione dell'alveo o delle sponde- che, a seconda dell'obiettivo per cui vengono utilizzate, a volte possono essere utili per riqualificare a volte, al contrario, possono peggiorare lo stato ecologico dei corsi d'acqua.
La vision della riqualificazione: invertire la tendenza al degrado, quindi non peggiorare più, ma migliorare ovunque sia possibile, verso uno stato più prossimo a quello naturale, ottenendo almeno, nei molti casi immersi in un contesto antropizzato, un miglior compromesso tra l'ecosistema fluviale e le attività umane. 
Fonte: Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale

06/11/11

Onorina Brambilla Pesce detta "Sandra", Partigiana (Milano, 27 agosto 1923- 6 novembre 2011)




«Avevamo tutti un nome di battaglia, io mi ero scelto Sandra; ho fatto una ricerca: mentre gli uomini partigiani si sceglievano nomi fantasiosi, Tarzan, Saetta, Lupo, la maggior parte delle ragazze avevano nomi normali...Elsa... ecco, il massimo era Katia!»[1]


Di famiglia antifascista e comunista, abita con i genitori e la sorella Wanda in una casa di ringhiera ai Tre Furcei, quartiere operaio di Lambrate a Milano. Il padre Romeo, “specializzato” alla Bianchi, fabbrica di biciclette, rifiuta di prendere la tessera del partito fascista; ne conseguono anni di disoccupazione e miseria.

Con la guerra di aggressione all'Abissinia, nel 1935, viene però a mancare la mano d'opera ed è assunto alla Breda. La madre Maria (il suo nome di battaglia negli anni della Resistenza sarà Tatiana) insegna alle figlie Onorina e alla più piccola Wanda a dubitare della propaganda del regime; è operaia, prima alla Agretta, nota per le bibite, e poi alla Safar che produce radio: «Aveva una voce così bella che veniva chiamata a cantare per testare certi microfoni». Desidera per la figlia l'istruzione che la allontani dal duro lavoro della fabbrica.

Onorina frequenta per tre anni una scuola professionale; le piacerebbe continuare a studiare ma i genitori possono solo iscriverla a un corso trimestrale di stenodattilografia dopo il quale, a 14 anni, deve cercare un lavoro.

Viene assunta dalla Paronitti come impiegata: «Non arrivavo neanche alla scrivania e i colleghi mi chiamavano Topolino, dovevano mettermi dei cuscini sulla sedia per alzarmi».

Dal 10 giugno 1940 l'Italia è in guerra.

Onorina rimane in quella ditta 4 anni, ma viene licenziata nel 1941 a causa di un diverbio con il padrone. Trova presto un nuovo impiego in una ditta che produce binari, è incaricata di compilare un inventario, frequenta i capannoni annotando tutto, conosce gli operai, impara a individuare chi è antifascista e chi no. Comincia a studiare l'inglese al Circolo Filologico di Via Clerici: in quella biblioteca circolano ancora, incredibilmente, molti libri vietati dal regime, preziosi per la sua formazione.

La fame si fa sempre più sentire, la gente non ne può più, la guerra toglie il velo a tutte le menzogne della propaganda di regime. La caduta di Mussolini il 25 luglio 1943 coglie la gente di sorpresa, festa e disorientamento sono tutt’uno, i carri armati vengono usati per disperdere la folla. Nell'Agosto 1943 Milano viene bombardata.

La città è in fiamme, colpiti il Duomo, Palazzo Reale, il Castello Sforzesco, la Scala, Sant'Ambrogio, la Pinacoteca di Brera; a Santa Maria delle Grazie il Cenacolo di Leonardo è salvo per puro caso.

Nel rifugio affollato, una sera Onorina non riesce a trattenere la gran rabbia e, salita su un tavolo, senza curarsi dei molti fascisti presenti, grida «È ora di finirla con questa guerra!» È contenta, ha tenuto il suo primo comizio antifascista.

«Secondo me sono state le donne a dare inizio alla Resistenza... la loro partecipazione fu dovuta a motivazioni personali; a differenza di molti uomini che scelsero di andare in montagna per sottrarsi all'arruolamento nell'esercito di Salò, nessun obbligo le costringeva ad una scelta di parte; fu anche l'occasione per affermare quei diritti che non avevamo mai avuto, mai come in quei mesi ci siamo sentite pari all'uomo...»

Dopo l'Armistizio dell'8 Settembre 1943 (in effetti una resa senza condizioni), i tedeschi occupano Milano, è finita una guerra ma ne sta iniziando un'altra. I soldati dell'esercito Italiano abbandonano le divise, molti diventano partigiani; i Gruppi di Difesa della Donna (che arrivano a mobilitare, fino all’aprile ’45, almeno 24.ooo donne) si occupano di procurare loro denaro, cibo, vestiti; il compito di Onorina è distribuire la stampa clandestina. Desidera raggiungere in montagna una Brigata Garibaldi, ma la sua amica Vera (nome di battaglia di Francesca Ciceri, comunista) le presenta Visone (Giovanni Pesce) che sarà il suo Comandante e futuro marito. Lui la convince a combattere nella propria città, e Onorina a marzo 1944 lascia il lavoro. “Sandra” diventa Ufficiale di collegamento del III° ー Gap “Egisto Rubini”, equivalente al grado di sottotenente dell'Esercito Italiano, decisamente più che una staffetta.
Con la sua bicicletta Bianchi color azzurro cielo[2] trasporta armi, munizioni ed esplosivo, passa spesso, con il cuore in gola, in mezzo ai rastrellamenti nazifascisti. Sono le staffette a portare le armi e a prenderle in consegna dopo un'azione per evitare che i gappisti vengano sorpresi armati e fucilati sul posto.


«C'erano le rappresaglie ma, cosa avremmo dovuto fare? Smettere la lotta? In ogni caso i nazifascisti non avrebbero cessato di fare quello che facevano. Non ho mai provato pena per chi colpivamo. La guerra non l'avevamo voluta noi. Loro ogni giorno fucilavano, deportavano, torturavano. Si dovevano vincere due cose, la pietà e la paura.»

Il 24 giugno 1944 nella “battaglia dei binari” alla stazione di Greco, un bersaglio di straordinaria importanza, Sandra è il collegamento tra i ferrovieri e i gappisti e con la compagna Narva porta i 14 ordigni che, piazzati nei forni di combustione delle locomotive scoppiano simultaneamente; l'azione dei Gap viene citata da Radio Londra.

Il 12 Settembre 1944, a 21 anni, tradita da un partigiano passato al nemico (“Arconati”, Giovanni Jannelli) viene catturata dalle SS nei pressi del Cinema Argentina, nel cuore di Milano. Inizia la prigionia, la sofferenza, il distacco dalla famiglia, la tortura e la violenza fisica subita dalle SS nella Casa del Balilla di Monza, trasformata in carcere.

In attesa dell'interrogatorio cerca di farsi coraggio. Ai gappisti arrestati il Comando chiede di resistere 24 o 48 ore per permettere ai compagni di mettersi in salvo. L'interrogatorio è terribile, vogliono che lei consegni Visone, ore e ore di percosse, torture. Non parla, nessuno dei suoi compagni è compromesso.

Rimane in isolamento totale nel carcere di Monza due mesi, giornate lunghe e vuote, non può comunicare con l'esterno o ricevere notizie. È trasferita a San Vittore per soli due giorni e, l'11 novembre 1944, caricata, con altri prigionieri, su un pullman senza conoscere la destinazione.

Viene imprigionata a Bolzano in un campo di transito. Ancora oggi non si spiega perché le 500 prigioniere politiche che lì si trovavano non furono mai deportate in Germania, diversamente dalle altre 2700 donne che dall’Italia raggiungeranno i campi di concentramento. Mantiene contatti epistolari con la madre, la rassicura sul suo stato fisico e psicologico, riesce persino a scherzare: «se non fosse perché abbiamo sempre fame sembrerebbe una villeggiatura...» Lavora dapprima alla sartoria del campo, in un ambiente stretto e soffocante ma poi riesce a farsi assegnare ai lavori esterni. I tedeschi, prima di fuggire, le rilasciano persino un documento che attesta la prigionia e grazie al quale riuscirà in seguito a dimostrare la sua deportazione.

Milano era stata liberata dei Partigiani e dall'insurrezione popolare il 25 aprile. Onorina decide di non attendere l'arrivo degli americani; con alcuni compagni, sotto la neve, si inerpica sul passo della Mendola, attraversa la Val di Non e il Tonale; si fermano la notte presso i contadini ai quali chiedono cibo e riparo, sono d'aiuto i posti di ristoro dei partigiani delle Fiamme Verdi. Finalmente un pullman fornito dai comuni della zona fino a Ponte di Legno, li porta da lì a Lovere; poi in treno fino a Milano, Stazione Centrale: era il 7 maggio 1945. Con un'assurda “normalità” arriva a Lambrate, a casa, con il tram n. 7. Dalla finestra, vicina a Wanda, guarda emozionata la manifestazione dei Partigiani, rivede Visone, corre in strada, si abbracciano. Nori (come la chiamerà il marito) e Giovanni Pesce, finalmente liberi, si sposano il 14 luglio 1945, non possiedono niente, solo gioia per la ritrovata libertà e speranza per una nuova vita.

Si trasferiscono per un breve periodo a Roma, dopo l'attentato del 1948 a Togliatti, Giovanni guida la Commissione di Vigilanza, a protezione dei maggiori dirigenti del Pci. Nori trova impiego nella segreteria di Pietro Secchia, commissario politico delle Divisioni Garibaldi.

Tornata a Milano lavora alla Federazione del Pci e nella Commissione Femminile della Camera del Lavoro. Successivamente entra a far parte del Comitato Centrale Fiom metalmeccanici, dirige i lavori sindacali, organizza convegni, incontri e scioperi in difesa del posto di lavoro.

Nel 1951 Giovanni Pesce lascia il partito e trova lavoro come rappresentante di caffè; riescono a comprare casa, nasce la figlia Tiziana, non ne avranno altri, «un po' per le ristrettezze economiche e un po' perché eravamo talmente impegnati a fare i rivoluzionari di professione da non avere il tempo utile per essere genitori. Una sera Tiziana ancora bambina mi disse a bruciapelo: io ti ho conosciuto a 8 anni, mamma!»

Nel tempo il commercio di Giovanni si sviluppa e Onorina, per seguirne la parte amministrativa, lascia la sua attività politico-sindacale ma continua ad essere, per 8 anni segretaria nella sezione Pci di Via Don Bosco. Il 27 gennaio 1962 le viene assegnata la Croce di guerra per la sua attività di partigiana.

Nel 1969 Nori e Giovanni aprono un locale di liquori e vini, il Bistrot in Via Zecca Vecchia, dura solo due anni ma è una parentesi felice. Lì si ritrovano scrittori, pittori, studenti, operai. La sera, chiuso il locale, vanno in sezione a fare attività per il Pci e per il Sindacato.

Nori Brambilla Pesce è stata Responsabile della Commissione femminile dell'ANPI, Presidente dell'Associazione ex perseguitati politici italiani antifascisti per la sede di Milano e Presidente onorario A.I.C.V.A.S., l'Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna.
«Si vuole falsificare la Resistenza, lo chiamano revisionismo ma spesso è falsificazione della storia. Noi siamo stati impegnati per tutta la vita per difendere la libertà, oggi ho 87 anni, non ho rimorsi, ho un rimpianto ma non voglio parlarne. Quando cala il sole chiudo le persiane perché non amo il buio della notte...»



NOTE

1. Le citazioni sono tratte da Onorina Brambilla Pesce, Il pane bianco, conversazione con Roberto Farina prefazione Franco Giannantoni, Varese, Edizioni Arterigere, 2010 o da interviste video presenti in rete.

2. Vedi la scheda del libro La bicicletta nella resistenza di Franco Giannantoni e Ibio Paolucci.


Fonti, risorse bibliografiche, siti
Onorina Brambilla Pesce, Il pane bianco, Varese, Edizioni Arterigere, 2010
Giovanni Pesce, Senza tregua, Milano, Feltrinelli 1967
Marco Pozzi, Senza tregua, Film-documentario, 2003

Fonte: Enciclopedia delle donne

Adunanze poetiche





Adunanze poetiche non è uno spettacolo, non è un reading, non è per soli poeti, non ci si deve prenotare, non è il remake dell'Attimo fuggente: si fa un cerchio e si leggono le proprie poesie, o quelle degli altri, oppure si ascolta, che non è poco. Si condivide, ci si contamina.

Adunanze poetiche è un progetto nato nel luglio 2009. Ha come primo obiettivo la diffusione della poesia - riportandola in contesti quali la strada e la comunità civile - e la conseguente riflessione attorno ad essa. Particolare attenzione viene data a coloro che compongono poesia. Chiunque può, attraverso la partecipazione alle Adunanze poetiche, leggere le proprie opere e ascoltare quelle altrui, proporre spunti di riflessione sul fare poetico e lanciare provocazioni.

Nel novembre 2010 esce la prima antologia di Adunanze poetiche, Poeti Urbani, promossa e finanziata da Scanderbeg4, Associazione Culturale nata da emigranti albanesi e molto attiva nella promozione culturale (sì, pure italiana!)


Fonte video: Gazzetta di Parma
Fonte testo: Adunanze poetiche

31/10/11

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 4)

Gli alberi oggi hanno iniziato a sanguinare. Li osservo senza farmi notare, forse non sarebbero contenti di sapere che ho scoperto ancora questo eterno ciclico segreto. Camminando loro accanto non vi avevo fatto caso. Le piccole carezze, sulle corrucciate cortecce, le parole, solo sussurrate, erano state sempre le stesse e le loro risposte anche: almeno così mi pareva.
Che strano non accorgersi della sofferenza degli alberi, delle piccole ferite, delle battaglie. Quelli che si trovano lungo il mio tragitto hanno tutti un nome, ma so che anche per gli altri è così, le file silenziose che portano al parco, i piccoli arbusti delle rotonde, anch'essi avranno il loro nome, sicuro, solo che non mi è mai capitato di fermarmi a parlare con loro che Giorgo non ama che io cambi percorso.
Felice, tra quelli che conosco, è il più simpatico. È un tasso finito qui non si sa come. Gli altri gli hanno lasciato spazio, forse proprio per quel suo essere diverso lo hanno un po' coccolato. Felice ha sposato Matilde. I due alberi sono cresciuti poco distanti l'uno dall'altro poi, ad una certa età, hanno dato origine ad un tratto di tronco saldato. Di certo genereranno un giorno, insieme morranno.
Un mio amico mi ha detto che questo è un fenomeno non tanto raro in natura, concrescimento si chiama, ed io non ho potuto che dargli ragione. Non ho potuto che dargli ragione. 

29/10/11

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 3)

Giorgio è tornato a uscire e io mi ritrovo spesso in silenzio sul balcone, ad attenderlo. Sulla strada hanno fissato un piccolo specchio convesso, mi piacerebbe un giorno scorgervi un lampo, un raggio a illuminarmi, ma forse non è possibile, non è probabile.

"Credo mi faccia paura, cioè inizialmente pensavo fosse solo un pover'uomo... la storia della moglie, la mancanza di figli, poi invece. Sa io credo che lui riesca a capire. "
"Riesca a capire cosa Borghetti?"
"Cosa? Non saprei dirle, insomma sì, è come se riuscisse a guardare e a vedere, ma aldilà, come se mi vivisezionasse, come se..."
"Cos'è? Una sorta di santone? Un illusionista? Mi meraviglio di lei Borghetti! Faccia quello che deve fare e non mi faccia pentire di averla scelta."
"Sì, sì, certo. La lista è già pronta, credo di poter iniziare subito."
"Bene! Direi che è tutto allora. Agisca Borghetti. Agisca!"
Già agisca, come se fosse semplice, come se fosse giusto. Non sono riuscito a confessargli di non aver inserito Saladino, anche se avrebbe dovuto essere uno dei primi, dei papabili. Già i papabili. Quelli giusti per essere allontanati, decentrati, licenziati. I papabili li chiamo lui, io.

Magari un giorno toccherà anche a me, ma mi sono preparato a questa evenienza. Tutto è a posto. Ogni cosa rimarrà protetta, sicura. Io, ci penso io. Non come quel ragioniere, non come quel Saladino con i suoi discorsi e il suo gatto. Idiota. A volte vorrei solo picchiarlo, ancora non riesco a capire perchè, ma vorrei afferrarlo e sbatterlo contro il muro fino a spaccargli il cranio. Idiota, idiota, idiota.
Io non sono così, io non picchio nessuno, non ho mai picchiato nessuno, eppure. 
A casa non riesco a parlare di lui, non parlo di nulla a casa che basta che io mi informi ogni tanto e porti del denaro e "Ciao, sto uscendo" e "Ciao dove andiamo questa domenica, questo natale, questa estate" che anche i figli ormai. Sono cresciuti loro e io inizio ad avere pure nostalgia di quelle noiosissime e inutili riunioni a scuola o dei compleanni con le madri in tiro a fare invidia o conquiste di poche sere. 
Cloe era una di quelle, solo che già sono passati dieci anni e si scopa e si ride ancora e sì con lei ho parlato di Saladino. "Mi sembra di vedere un film comico muto," mi ha confessato dopo avermi versato del vino " bevi questo però ora... è un Bardolino, la rivista dice che ha uno stile emozionante". Ho sorriso come solo con lei riesco a fare e poi abbiamo fatto l'amore, improvvisamente, con naturalezza, con desiderio. Tremavo, tremavamo come in un fotogramma bloccato.

22/10/11

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 2)

La casa è appena fuori città, non ci vuole molto ad arrivarci, venti, trenta minuti: secondo il passo, la volontà.

Si vede da lontano casa mia. Quando hanno costruito il palazzo ci si conosceva tutti,  mentre ora fatico un po' a memorizzare i volti e non serve poi molto farlo perchè spesso sono facce che non rivedrò mai più: la principessa Badr al-Budùr, il vecchio mahout, la nuova Baker...

Se questo fosse un porto vedrei fucili a pietra focaia tra le feritoie dei balconi e nere bandiere alle finestre. Se questo fosse un porto non avremmo già perso contro il Capitano Flint e, chissà, partiremmo alla ricerca dei suoi real tra vecchi casermoni in tempesta e terribili onde ai crocicchi.
Io so dove sono quei tesori, ho visto tante volte i bimbi scavare nel parco. Giocano impiastricciando le mani di gelato, di fango i calzoni nuovi. Scavano e non sanno di quelle ricchezze e se lo sanno tengono stretto questo segreto che tanto nessuno crederebbe loro. Scavano. Sognano i bambini. A volte uccidono con i sorrisi.

21/10/11

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (intersezioni 1)

Giorgio sparisce per ore, per giornate a volte. Quando rientra ha sempre una cicatrice in più, un sorriso soddisfatto e una dolce assenza negli occhi. Si dirige verso la cucina e raccoglie quello che gli ho preparato. Non ha mai voglia di raccontare, quando arriva la stagione, e sospetto che sarebbe felice se potesse rimanere solo, almeno un po'. Gli sono grato per il suo ragionevole silenzio e spesso cerco di trovare delle scuse per uscire. "Vado a comprare il latte" sussurro, e poi sparisco mentre lui finge di seguirmi con lo sguardo.


Quando ero un po' più giovane capitava anche a me, non che abbandonassi casa, no, quello no, capitava solo di sentire spesso uno strano sapore in bocca e di aver bisogno di chiudere gli occhi e di non pensare al tempo. Ecco sì, ricordo bene: era il tempo che mi creava maggiori problemi. Non riuscivo mai a capire quanto ne fosse passato quando stavo con lei e certo non aveva importanza la situazione, il momento. Voglio dire, potevamo parlare o litigare o fare l'amore, le mie ipotesi sul tempo trascorso erano sempre errate e lei rideva di questo e poi anche io ridevo, ché mi bastava vederla felice.
Ecco il tempo non dovrebbe essere dato in mano agli innamorati. Sarebbero capaci di consumarlo tutto se solo potessero, quegli sciocchi.
Credo che anche Giorgio sbagli a calcolare, ma lui non sembra dare molta importanza a questa cosa.




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Non siamo mai preparati alla morte. Se anche dovessimo sapere con assoluta sicurezza il momento del suo arrivo non riusciremmo a farci trovare pronti, ad accettarla. Giorgio dice che tutto questo è molto umano; non posso dargli torto, credo.
Quando è arrivata io pulivo gli occhiali, con la pezzetta sfregavo i vetri ma prima ci avevo alitato sopra, lentamente. Un lato, poi l'altro. Pulivo gli occhiali e non vedevo nulla. Non sapevo nulla.
Le prime volte mi capitava spesso di farlo; la sua ombra davanti a me diventava ancora più magica e la mia distrazione assumeva ai suoi occhi  le vesti di un ragazzino svagato.
Tecla mi stava lontana. Ci studiavamo, in quel lungo periodo, con la permalosità dei gatti e fuggivamo, anche, a ogni possibile incontro.


"Quando arriva la luce per molto tempo il mondo sembra ancora volere trattenere un suo misterioso silenzio". Glielo dissi una volta e lei mi guardò per la prima volta, chè gli altri sguardi non erano mai stati. "Quando arriva la luce è ora di spogliarsi" rispose e io non seppi più che dire.


Tecla non andare, Tecla non mi lasciare. Non le ho mai detto queste cose eppure avrei potuto, ne avrei avuto il diritto, mi è stato detto.
Tecla era dimagrita e io toglievo sempre gli occhiali quando mi permettavano di starle vicino. Eppure le mie dita erano lì. Le mie mani erano lì. E con le sue disegnavamo ombre sul muro alla luce fioca del diafanoscopio. Sorridevamo senza farci scoprire e non cera bisogno di parole per quelle storie. Erano le mani. Le nostre mani: la furba coniglietta, la grande giraffa,  l'adorabile strega... eppoi quel gatto, il misterioso gatto che io non riuscivo a fare.
Non mi lasciare Tecla, non andare.

17/10/11

15 Ottobre (note a margine)

"non siamo pronti"
"non siamo ancora pronti"
dici
mentre mi spingi lontano
mentre le urla mi ronzano dietro
"fascista" "infiltrato"
mentre le mani
le tue mani forti
mentre passo
mentre indosso la guerra che vivo
mentre qui senza vederti
fingendo
tra cori di festa
tra canti
tra volti che oggi
che oggi è gran festa 
che
oggi 
è 
gran 
festa
e domani
"'fanculo domani" ripeto
che questo futuro già sfugge
è presente
che questo futuro
( e son già passati dieci anni
amore
e il tuo volto
e le mani
"Sangue!" dici
ma io vedo solo 
vedo che qui si muore
e ti salvo e mi salvi
che poi non succede niente
non è mai successo
niente
tra schermi e foto
assassini
paure)
e però dai che oggi ci siamo
e però dai che oggi firmiamo
e però dai che oggi
oggi
al bar lo vedo c'è anche il tuo viso
come sei bella amore
come sei bella

16/10/11

Günter Grass (Danzica, 16 ottobre 1927)

NORMANDIE

Die Bunker am Strand
können ihren Beton nicht loswerden.
Manchmal kommt ein halbtoter General
und streichelt Schießscharten.
Oder es wohnen Touristen
fur fünf verquälte Minuten -
Wind, Sand, Papier und Urin:
Immer ist Invasion.
NORMANDIA

I bunker sulla spiaggia
non riescono a liberarsi del loro cemento.
A volte viene un generale mezzo morto
e ne accarezza le feritoie.
Oppure vengono a dimorarvi turisti
per un tormento di cinque minuti...
Vento, sabbia, carta e urina:
è ancora invasione.


160 anni

Spinto dalle esigenze contraddittorie della sua sítuazione e costretto, in pari tempo, come un giocatore di prestigio, a tener gli occhi del pubblico fissi sopra di sé con delle continue sorprese [...] e a far quindi ogni giorno un colpo di stato in miniatura, B. sconvolge tutta l'economia borghese; mette le mani su tutto ciò che era parso intangibile [...]; rende gli uni rassegnati alla rivoluzione e gli altri desiderosi di una rivoluzione; in nome dell'ordine crea l'anarchia, spogliando in pari tempo la macchina dello Stato della sua aureola, profanandola, rendendola repugnante e ridicola.

La tradizione di tutte le generazioni scomparse grava come un incubo sul cervello dei vivi. Quando sembra che essi per l'appunto lavorino a trasformare sé ed il mondo circostante, a creare il nuovo, invocano angosciosamente gli spiriti del passato, ne mutano i nomi, le parole d'ordine, i costumi, allo scopo di erigere sotto questo antico e venerabile travestimento, e con frasi prese a prestito, la nuova scena della storia.




Fonte immagine: Berlusconi in un ritratto napoleonico di Iannozzi Giuseppe
Fonte citazioni: Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, (1852)

15/10/11

Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985)


Scrivi una frase, rileggila e se senti che ha qualcosa d’orecchiato, qualcosa che solletica il tuo gusto, cancellala e rifalla, finché non la senti perfettamente normale, senza nessun compiacimento, ma che descriva le cose come sono. E continua così. Non scrivere cose troppo fantastiche e movimentate: descrivi cosa fai dalla mattina quando ti alzi alla sera quando vai a dormire. Dopo un po’ scoprirai un sacco di cose e t’accorgerai che tocchi la realtà con le tue mani.
  Italo Calvino

Fonte: Italo Calvino Blog

14/10/11

Hannah Arendt (Linden, 14 ottobre 1906 – New York, 4 dicembre 1975)

Se si prendono sul serio le ambizioni totalitarie e non ci si lascia ingannare dall'affermazione del buon senso che si tratta di utopie irrealizzabili, ci si accorge che la società di morenti instaurata nei campi è l'unica forma di società in cui sia possibile impadronirsi interamente dell'uomo.
Quelli che aspirano al dominio  totale devono liquidare ogni spontaneità, quale la mera esistenza dell'individualità continuerebbe a generare, e colpirla nelle sue manifestazioni più private, per quanto apolitiche e innocue queste possano sembrare.
Il cane di Pavlov, l’esemplare umano ridotto alle reazioni più elementari, eliminabile o sostituibile in qualsiasi  momento con altri fasci di reazioni che si comportano in modo identico, è il «cittadino» modello di uno stato totalitario, un cittadino che può essere prodotto solo imperfettamente fuori dei campi”.

13/10/11

"Forme e contenuti dell'indignazione" di Giovanni Borgognone

“L’indignazione è forse oggi il sentimento politicamentepiù diffuso. Questo ha contribuito alla grande fortuna editoriale di “Indignatevi!” volumetto del novantatreenne Stéphane Hessel, esponentedella Resistenza francese e poi membro della commissione che elaborò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dalle Nazioni Unite nel’48. Sennonché ciò di cui parla Hessel è a ben vedere un moto dei cuori e dellementi assai diverso dagli umori “piccolo-medio borghesi” serpeggianti più o meno in tutte le società occidentali, il cui esito, non di rado, è un generico rifiuto della politica, del ruolo delle classi dirigenti e soprattutto dei politici, ovvero una reazione tendenzialmente passiva, di ritiro dal sensodella cittadinanza, proprio quello che per Hessel è “il peggiore degliatteggiamenti”, l’indifferenza. Hessel si richiama all’energia che animò la Resistenza e ispirò i suoi programmi (da una più equa distribuzione delle ricchezze alla piena e inviolabile libertà di stampa). Quella, a suo avviso, fu una grande, splendida manifestazione di indignazione. Il mondo complesso rende forse più difficile mettere bene a fuoco le ragioni per cui indignarsi rispetto a quelle rese evidenti dal nazifascismo. Tuttavia l’autore segnala almeno due grandi sfide odierne: il divario sempre crescente tra i “molto ricchi” e i “molto poveri” e le questioni relative ai diritti dell’uomo e allo stato del pianeta. Il principale problema dell’indignazione è comunque rappresentato dall’antipolitica e dagli eventuali dérapages di tipo populistico: il rifiuto dei partiti e la sfiducia nelle forme della rappresentanza possono infatti rivelarsi meramente quali strumenti per manipolare l’opinionepubblica e consentire l’emergere di nuove forme di leadership carismatiche e demagogiche che fanno leva sulla classica formula “popolo buono vs élitescorrotte”. E il populismo, come è noto, può essere tanto di destra quanto di sinistra. L’indignazione dovrebbe portare piuttosto, come dice Hessel, a “un’azione civile risoluta”. Resta tuttavia da vedere quali possano essere gli strumenti più adatti per esercitare in modo efficace una cittadinanza attiva, senza fermarsi semplicemente alla manifestazione di frustrazionio al massimo di buone intenzioni. E resta il problema di come confrontarsi con la demagogia e la carismaticità, “frutti avvelenati” dei moderni sistemi democratico-rappresentativi”

Recensione a: Indignatevi! di Stéphane Hessel su Il Blog dell'Indice dei Libri del Mese

19/09/11

Fischia il vento - Festa delle Barricate antifasciste 18-09-11 -

la ragazza sorride
guarda gli amici e canticchia
poi smette
"Siamo dei bastardi nostalgici"
dice ridendo 
e il volto 
gli occhi si illuminano
mentre la mano oscilla 
mentre cade un po' di birra sull'asfalto
e piove 
e la birra e l'acqua macchiano la strada 
mentre tutti oscilliamo che
"Siamo dei bastardi nostalgici"
dice ridendo 
e chiudiamo gli occhi 
anche se sono aperti 
anche se li teniamo bassi
troppo bassi
ora
e la pioggia e la birra sull'asfalto
e la strada e il vino
mentre oscilliamo
mentre chiudiamo gli occhi
mentre alziamo il pugno
che ci hanno convinti sia 
passato sia 
datato sia
mentre alziamo il pugno 
che
"Siamo dei bastardi nostalgici"
ora
e attorno
è solo pioggia

17/09/11

16/09/11

"FAI CONTARE IL TUO AMORE" da Nazione Indiana

FAI CONTARE IL TUO AMORE

di Enzo Cucco

Il prossimo censimento generale della popolazione che parte ad ottobre, sarà la prima vera occasione istituzionale per dare visibilità alle coppie conviventi in Italia.
Come sapete fino ad oggi per conoscere la realtà delle famiglie NON fondate sul matrimonio e programmare interventi (legislativi, sociali, culturali, ecc.) si poteva far ricorso solo a qualche stima, senza che le statistiche offerte fossero riconosciute come la fotografia attendibile di questa realtà. A differenza di quanto accade nel resto dell’Europa dove da molto tempo tutte le forme famigliari sono oggetto di studio e ricerca senza pregiudizio alcuno.
Oggi come nel passato la strada che porta al riconoscimento pieno dell’uguaglianza passa attraverso l’emersione di una realtà sommersa da una coltre spessa di autocensura e timore.
Con il censimento possiamo far uscire queste famiglie dal buio della censura e del pregiudizio alla luce della visibilità e della responsabilità. Responsabilità delle istituzioni che potranno fare sempre meno finta che le nuove famiglie non esistano. Ma anche responsabilità delle coppie stesse, che facendo la semplice scelta di compilare correttamente il questionario ISTAT compiranno un atto semplice ma straordinariamente importante per la realtà italiana.
Siamo consapevoli che questo censimento rappresenta solo un primo passo. E che molti anni e molte iniziative ci vorranno ancora nel nostro Paese perché tutte le famiglie abbiano lo stesso riconoscimento. Ed è proprio per questo che dobbiamo impegnarci, tutti e tutte, per raggiungere il maggior numero possibile di coppie conviventi, spiegando loro le modalità del censimento e l’importanza che loro si dichiarino come coppie conviventi.
Non ti chiediamo solo di aderire ad un appello, ma di diventare tu stesso e tu stessa protagonista di questa campagna, diffondendo informazioni corrette al maggior numero possibile di coppie conviventi, e aiutandoci, con fantasia e creatività, a trovare nuove forme di promozione di questa campagna.
Aderisci a questo appello e scrivici: faicontareiltuoamore@gmail.com
Trova tutte le informazioni utili su queste pagine:
sito web: www.gay.it/faicontareiltuoamore/
facebook: Fai Contare il Tuo Amore
Questa lettera non è firmata da associazioni, ma da singoli e singole attiviste/i che condividendo l’urgenza di questa campagna si sono riuniti a Roma il 6 settembre 2011 per costruire questa campagna. Oltre al prezioso aiuto di Gay.it possiamo contare su poche risorse. Ecco perché contiamo molto sul tuo aiuto, urgente e concreto. Mettiti in contatto con noi e attivati da subito!
Alla riunione erano presenti:
Francesca Bellocco,
Franco Buffoni,
Enzo Cucco,
Giacomo Deperu,
Carlo D’Ippoliti,
Andrea Maccarrone,
Valeria Manieri,
Rosario Murdica,
Paolo Patanè,
Alessandra Priori,
Sergio Rovasio,
Alessandra Saluzi.

Fonte: NAZIONE INDIANA

14/09/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -20-

Sarina si fermò di parrari che ciaveva bisogno di prendere ciato e sistemarisi meglio nella poltrona. I piedi non riuscivano quasi a toccare terra e lei era indecisa se appoggiare i spaddi nella stoffa morbida o spustarisi per mittirisi in punta di seggia per sentire la terra. Senza badare più a loro scelse di fare riposare la sua schiena sprofondando in quella seggia comu fussi stata un cuteddu nella cera calda. Chiuriu locchi  macari e sembrò iniziare a dormire che ogni tanto abbiava macari una botta come se russasse. Lucia e Nitto non sapevano cosa fare. Si taliavano muti e però nessuno voleva disturbarla che non stava bene. La carusa stava per scuoterla quando la vecchia si susiu di scatto sallisciò la gonna tannicchia stropicciata e ricominciò come se nenti fosse successo.
"Insomma prima di nasciri to matri furono tempi niuri per noi tutti. Nessuno lo ha mai saputo quello che ci passò nella testa in quel periodo e mancu quello che cera capitato prima a quel cristiano. Io saccio solo che dopo invece furono due anni felici che forse macari io avissa cangiato idea su di lui se non fosse morto prima. Tua nonna non se più ripresa da allora. Furiava sempri con quella sua foto e non se ne è più separata"
"Sì zia ma il medaglione? Lavevi mai visto tu?"
"Macchinnisacciu! Non me lo ricordo. Tu rissi prima. Non mi sintisti? Ma u sai che ieri vinni la signora Amelia?"
"Amelia? E chi è?"
"Ma comu. Non te la ricordi? Ti faceva fare i giri alla Villa con sua nipote. Ma veramente non te la ricordi?"
"Sì. Sì zia. Ma ora però raccontami della nonna. Tu lo sai se ha trovato qualche cosa quando mossi il nonno? Forse è questo che ha trovato. Non ti ha detto niente? Insomma possibile? Era to soru. Qualche cosa te la detta sicuramente"
Lucia si stava innervosendo e più domande faceva più Nitto le stringeva la mano ed era come su ci ricissi "Calmati" "Arriveremo a scoprire tutto" "Fatti pacienzia".
La zia però pareva proprio non volere parlare più di quella storia. Ci nominò ancora altre persone che Lucia non ricordava affatto o che macari cunusceva solo per vecchi racconti e ci cuntò per mezzurata do iattu di una sua vicina che pareva che cantava ogni volta che cercava il mangiare e lei allora ci faceva trovare u pisci fuori dalla porta che così poteva godersi quello spettacolo. Solo una cosa ci nisciu fora di interessante. Ci pensò proprio parrannu del gatto che lei diceva di non crederci a quelle sciocchezze del colore. Che quel gatto era nero e non cera mai successo niente. Insomma mentre diceva queste cose ci rissi che forse erano le vecchie mavare di Via della Consolazione che potevano sapere qualche cosa. 

"To nonna ci ieva sempre macari per una sciocchezza che sarà quanti soldi ci tirano fora de sacchetti con questa scusa quelle scimunite"     

Via della Consolazione è una strada che arriva direttamente vicino alla fera. Un tempo prima che distruggevano il centro per farici i palazzi e i puttusa finiva in una piazzetta ciaurusa e comoda ora invece porta a una scala di ferro stritta stritta che uno fatica ad acchianarici o scinnirici se ciavi le buste della spesa e accussì sono pochi quelli che frequentano quella strada. Qualche caruso. Coppiette. Genti disperata che cerca consiglio. Pecchè è questa da sempre la specialità di quella via. Il fatto che ci abitano le mavare.  Grasse sicche niure o bionde iaute o corte le mavare ci hanno sempre vissuto lì che è come se si cercassero tra di loro anche se non si possono vedere luna con laltra. Anche se ci sono giorni che i vuci si sentono fino a sutta a muntagna. Sono quasi tutte vecchie però le mavare e Lucia sera sempre domandata se arrivavano là come se fosse una specie di ricovero finale della magia e poi ciavissa macari piaciuto sapere di prima. Conoscere quelle da giovani anche se proprio non ci riusciva a immaginarle picciridde.


13/09/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -19-

I viscotta erano proprio buoni con quella forma a esse che metteva allegria e lanice che ciauriava la bocca. 
Nitto sinni calau una decina ca pareva affamatu prima di pigghiarisi il cafè. Lucia invece continuava a furiarne uno tenendoselo nella bocca come facevano i picciriddi ca si squagghiava piano piano mentre aspettava che la zia sistemasse tutte queste faccende. Voleva che tornasse ad assittarisi. A cuntari.  Non fu una cosa veloce però che per tutto ci vuole il suo tempo ma poi finalmente a Za Sarina accuminciau di nuovo a parrari:
"Quannu tunnau erano passati quasi deci anni e allinizio fu festa ranni e baci e abbracci ma poi to nonna se ne accurgiu che non era più lo stesso. Viveva ogni sira a putia e qualcuno cuntava che sinnieva a fimmini. A scusari se dico queste cose. E poi  non travagghiava che però ciaveva sempri soddi ne sacchetti e si cangiava una giacca o misi che tutti si furiavano per guardarlo di quando era eleganti. Idda non ci vosi spiari mai nenti però io lo so che di notte si suseva per taliarici dentro alle sacchette e al portafoglio macari che lei era ancora gilusa ma più di tutto vuleva viriri tornare indietro quelluomo che aveva amato così tanto. E sperava di trovare qualcosa. Di sapere. Pecchè iddu non parrava. Ci dava i soddi per mangiare la simana e per le paste la domenica e nientaltro che neppure i robbi ci faceva accattari. Non aveva nemmeno voluto sapere nenti di quel figghio che aveva perso e anzi sincazzava quannu Maggherita nisceva per portarci un ciuri a quellangelo che "i morti su morti" diceva e "non ciannu chiù bisogno di nenti e di nuddu" macari.

11/09/11

L'impudicizia degli impiccati


Creare origami sulla pelle
poi ridendo
accartocciare pensieri,
creare storie,
favole monelle:
regine, mostri,
principi ciarlieri.
Cercare ancora
e poi ancora,
nei corpi allacciati,
negli occhi,
nell'ombra magica dei bicchieri.
Vivere e rimanere assetati
e non chiedere altro per noi
folli dimentichi, solo essere
dimenticati.

11 Settembre 2011




Última alocución de Salvador Allende en "Radio Magallanes".
Santiago de Chile, 11 Septiembre 1973
Seguramente esta es la última oportunidad en que me pueda dirigir a ustedes. La Fuerza Aérea ha bombardeado las torres de Radio Portales y Radio Corporación.
Mis palabras no tienen amargura, sino decepción, y serán ellas el castigo moral para los que han traicionado el juramento que hicieron... soldados de Chile, comandantes en jefe titulares, el almirante Merino que se ha auto designado, más el señor Mendoza, general rastrero... que sólo ayer manifestara su fidelidad y lealtad al gobierno, también se ha nominado director general de Carabineros.
Ante estos hechos, sólo me cabe decirle a los trabajadores: ¡Yo no voy a renunciar! Colocado en un tránsito histórico, pagaré con mi vida la lealtad del pueblo. Y les digo que tengo la certeza de que la semilla que entregáramos a la conciencia digna de miles y miles de chilenos, no podrá ser segada definitivamente.
Tienen la fuerza, podrán avasallarnos, pero no se detienen los procesos sociales ni con el crimen... ni con la fuerza. La historia es nuestra y la hacen los pueblos.
Trabajadores de mi patria: Quiero agradecerles la lealtad que siempre tuvieron, la confianza que depositaron en un hombre que sólo fue intérprete de grandes anhelos de justicia, que empeñó su palabra en que respetaría la Constitución y la ley y así lo hizo. En este momento definitivo, el último en que yo pueda dirigirme a ustedes, quiero que aprovechen la lección. El capital foráneo, el imperialismo, unido a la reacción, creó el clima para que las Fuerzas Armadas rompieran su tradición, la que les enseñara Schneider y que reafirmara el comandante Araya, víctimas del mismo sector social que hoy estará en sus casas, esperando con mano ajena reconquistar el poder para seguir defendiendo sus granjerías y sus privilegios.
Me dirijo sobre todo, a la modesta mujer de nuestra tierra, a la campesina que creyó en nosotros; a la obrera que trabajó más, a la madre que supo de nuestra preocupación por los niños. Me dirijo a los profesionales de la patria, a los profesionales patriotas, a los que hace días estuvieron trabajando contra la sedición auspiciada por los Colegios profesionales, colegios de clase para defender también las ventajas que una sociedad capitalista da a unos pocos. Me dirijo a la juventud, a aquellos que cantaron, entregaron su alegría y su espíritu de lucha. Me dirijo al hombre de Chile, al obrero, al campesino, al intelectual, a aquellos que serán perseguidos... porque en nuestro país el fascismo ya estuvo hace muchas horas presente en los atentados terroristas, volando los puentes, cortando la línea férrea, destruyendo los oleoductos y los gasoductos, frente al silencio de los que tenían la obligación de proceder: estaban comprometidos. La historia los juzgará.
Seguramente Radio Magallanes será acallada y el metal tranquilo de mi voz no llegará a ustedes. No importa, lo seguirán oyendo. Siempre estaré junto a ustedes. Por lo menos, mi recuerdo será el de un hombre digno que fue leal a la lealtad de los trabajadores.
El pueblo debe defenderse, pero no sacrificarse. El pueblo no debe dejarse arrasar ni acribillar, pero tampoco puede humillarse.
Trabajadores de mi patria: Tengo fe en Chile y su destino. Superarán otros hombres este momento gris y amargo, donde la traición, pretende imponerse. Sigan ustedes, sabiendo, que mucho más temprano que tarde, de nuevo, abrirán las grandes alamedas por donde pase el hombre libre, para construir una sociedad mejor.
¡Viva Chile! ¡Viva el pueblo! ¡Vivan los trabajadores!
Estas son mis últimas palabras y tengo la certeza, de que mi sacrificio no será en vano. Tengo la certeza de que, por lo menos, habrá una lección moral que castigará la felonía, la cobardía y la traición.


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