di quello che ho,
di quello che non ho
più, non parlo.
Spargo fiori ai morti
miei pensieri,
attendo ne sbiadisca il ricordo.
"La poesia è scritta da qualcuno che non è lo scrittore a qualcuno che non è il lettore" - Paul Valéry -
di quello che ho,
di quello che non ho
più, non parlo.
Spargo fiori ai morti
miei pensieri,
attendo ne sbiadisca il ricordo.
Quannu era nicu
co fioccu azzurru stiratu,
u grimbiuleddu niuru,
i scappi sempri allucidati
e na testa i puisii di Natali,
i monachi, na pausa, mi facevunu addummisciri no vancu da scola.
Iu, ubbidienti, u facevu viramenti dù travagghiu
e o spissu marritruvava no jardinu do pararisu
e parravu cullanimali, iucava cullavviri,
currevu felici pacchiappari i stiddi.
Quannu poi era ura, na manu caura,
di vecchia,
mi chiamava e mi puttava
anmenzu allaggettivi, ai verbi, alle tabelline
cavvulavunu na me testa comu a calabruni.
Su maddummiscissi ancora nu du vancu
i vulissi arritruvari tutti di luntani amici e ci cuntassi
di quannu è malvagio e tintu
stu munnu,
di quannu è duci.
U sacciu camascutassiru tutti attenti
senza ciatari
ca dà, no pararisu,
non succeri mai nenti,
mancu sugnari.
L'erba cresce alta; così,
lentamente, vedo sparire ogni cosa
nei miei brevi tragitti,
nei miei viaggi:
il sacchetto sponsorizzato e lacero,
le mille cicche lasciate andare,
scatole e strani oggetti ormai inutili,
abbandonati.
Come un attento periscopio oggi, però,
il manubrio di un lucente monopattino
sembrava invitarmi a folleggiare,
a nascondermi anch'io
in quel mare.
le parole si son fatte polvere
e spazzolo
e raccolgo e
andranno nell'indifferenziato? mi chiedo
(come ogni altra cosa del resto ,
silente rispondo).
Nessuna raccolta per l'anima.
Quello che ti porto non ha nulla di speciale
non ho più tempo o voglia
per i fuochi d'artificio
per quelle piazze piene e desolate
per i castelli imposti mai costruiti
mai voluti
per le roboanti ricette
mai realizzate
quello che ti porto ha la consistenza
di una bolla di sapone
dei suoi riflessi
in una giornata di sole
quello che ti porto è memoria che ridiventa presente
in un bacio
non ho ancora capito cosa sia
questo abbandonarsi
questo sparire
questo sognato dormire
forse solo l'assaporare incolumi
il respiro dell'assenza
fingendosi vivi.
ci sono così tante cose da spiegare,
così tante cose da capire,
che non cè più tempo
per lasciarle solo andare, per
ricominciare a giocare
e giocando immaginare.
Io e te e noi e questo mondo, allora, si rimane
confusi, distratti, guardando
senza più saper che fare
in questo immutabile apparire
di miliardi di solitudini: barchette di carta
a navigare
alli voti
su u cori mi luccichia
sentu u munnu comu su fussi tuttu
intra di mia e iu
intra di iddu, allura
arriru cuntentu
e cantu, mallisciu, mi movu
ni sta pazzia
Chittaia diri?
Ca cà ci si cunfunni taliannu culi e bummi, fami e ricchizza, vittime e assassini?
Chittaia diri?
Ca taliamu e taliamu e non viremu nenti ca nenti savviriri?
Chittaia diri?
Ca fussi ura d'astutari tutti cosi e nesciri e parrari e futtiri e mbriacarisi e santiari?
Chittaia diri?
Dimmi chittaia diri?
Tu marrispunni inglisi e pari ca ne capisci sti paroli di vecchiu.
E arriri. E isi i spaddi comu su u cuntu nun fussi u to.
Chittaia diri allura figghiu miu?
Nun c’è firmata no ciumi della storia. C'è d'acchianari controcorrente a rina.
C'è di fari ponti e dighe e canali.
C'è di mazziari, stringennu l'anima e i renti.
Ripesco vecchi brani, vecchie musiche,
testi malandati per i passati traslochi,
ricordi,
ma non è la giovinezza che cerco,
che per quella basterebbe forse un biscotto, caro Proust,
o il sapore del pane fritto, dello zucchero caldo sulle labbra,
dello stesso cielo che ancora incontro nella mia terra...
no, non quello, quanto piuttosto la parola, la frase,
la magica chiave
che mi riconsegni il presente,
che lo interpreti, se ciò fosse possibile,
o ne faccia giustificato scempio.
freddo sul balcone: ci si affaccia
come fosse un sacrificio
ripulire l’anima dal respiro della notte.
La sigaretta, il caffè ancora caldo
tra le mani, il tuo seno
ricordo.
È come aver perso il segno
le vecchie pagine stropicciate
non servono più a capire
da dove riprendere
da dove ricominciare.
È come aver perso il segno
abbandonare
distratti dal vitreo miraggio in cucina
dal caldo voluttuoso della prigione.
È come aver perso il segno
senza neanche accorgersene.
inseguo la danza dei numeri sui loro volti
le dita
che balbettano
combattono
saltano a tracciare segni, colori
l'inarcarsi scomposto dell'indiviso corpo
la mano che s'alza
il sorriso
sogno il futuro
e non è più il mio
posso provare a fare il simpatico
posso portarti malinconia
possiamo partire per l'Adriatico
riempire il mondo di nostalgia
posso crederti ancora un poco
posso giocare di fantasia
posso illudermi sia solo un attimo
dirti serio: " ma, tuttavia..."
posso soltanto quello che posso
quel che non posso lascio che sia
purchè insomma in questo spettacolo
non scenda triste l'ipocrisia
È notte.
Il lampione disegna una scia di fuoco su questo autunno,
potessi ardere anch'io prima di planare esausto,
prima che venga giorno.
di me tra le strade vuote
di me a raccontare ancora
di me che mangio, che piscio, che bevo
di me che sfuggo il sole
di me incazzato, triste, allegro
di me che ancora cieco
non ti vedo, non mi vedo