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10/12/17

"Rubare un portale per bambini è come rubare la slitta di Babbo Natale nella notte della Vigilia" di Paola Limone

Un signore ha acquistato il vecchio spazio su Aruba utilizzato per tanti anni per il sito scolastico di Rivoli 1 e per il portale dei bambini "Siete pronti a navigare?".

Poi ha pensato bene di prendere tutto il mio lavoro di 10 anni e di far finta che fosse frutto del suo lavoro (o della sua azienda).

Fortunatamente io avevo già spostato tutto il portale al nuovo indirizzo www.sieteprontianavigare.it, ma il danno è stato ed è tutt'ora  grande: migliaia di scuole e di famiglie ancora si rivolgono al vecchio indirizzo memorizzato sui loro computer, migliaia di pagine di google portano ancora al vecchio link.

QUESTO E' L'ORIGINALE
www.sieteprontianavigare.it



Questo il clone al vecchio indirizzo (non lo scrivo per non dargli pubbicità, ma voi lo ricordate...)


Non pago del suo lavoro questo signore ha creato, sempre allo stesso indirizzo (solo la parte principale del vecchio link) un altro clone: 

Ha riempito di pubblicità un portale che era nato per i bambini e che MAI aveva contenuto pubblicità, ha tolto il motore di ricerche per bambini "Ricerche maestre", il logo, il mio nome ma non é stato nemmeno così astuto da togliere nel fondo pagina alla voce "disclaimer" il link alla mia mail 



e nella pagina contatti appare tutto l'elenco delle pagine del sito scolastico
https://www.ddrivoli1.it/contatti/

Sul sito clonato non trovate il nome della ditta ma solo questa dicitura:


Belle parole eh? "Freschezza dei contenuti...Grafica esclusiva, originale..." E certo, è roba fatta da me in anni di notti al computer!!!

Ma poi non c'è alcuna possibilità di scrivere per fare segnalazioni (o se qualcuno scrive prendendo il link dalla pagina "disclaimer" le mail le ricevo io...)


Invito tutti voi che avete avuto e avete a cuore il Portale "Siete Pronti a navigare?" a raccontare questa brutta storia sulle vostre pagine nei blog, nelle vostre pagine facebook.

I più curiosi sono invitati a una CACCIA al tesoro: 
1.andate sul sito https://whois.domaintools.com/ 
2.inserite il link del defunto sito di Rivoli1 : www.ddrivoli1.it
3.scoprite il nome di chi lo ha acquistato
4.cercate il nome su Google 
5.potete scrivere direttamente alla mail di contatto della sua ditta, e non più all'indirizzo ancora inserito sul portale clonato (che è il mio, e io non ne sono più proprietaria)


Se avrete superato tutte le prove converrete con me che rubare un portale per bambini, il lavoro di un altro, e lucrarci, non mi pare sia una buona pubblicità per una ditta di marketing e formazione.

Alla faccia della cultura del web amici cari!!

25/05/16

Al prossimo ministro di Giovanni Accardo

Gentile signor Ministro,quando sarà nominato responsabile della scuola, per prima cosa faccia dimostrazione di onestà e dica che le cosiddette riforme varate negli ultimi anni sono nate unicamente dalla mancanza di soldi e perciò altro non sono stati che tagli di spesa dettate dalla necessità di risparmiare. Solo se le parole saranno effettivamente collegate ai fatti potrà avere la fiducia degli insegnanti. Per troppo tempo l’inganno è stato alla base della politica scolastica.Poi, prima di avanzare qualunque proposta, prima di annunciare riforme epocali e provvedimenti mirabolanti, prima di fare una brutta figura, proponendo soluzioni impossibili da realizzare o assolutamente inutili, si faccia un giro per le scuole d’Italia. Dedichi un anno ad incontrare insegnanti, studenti e dirigenti, assista alle lezioni, partecipi ai collegi docenti e ai consigli di classe, guardi gli spazi, soprattutto nelle scuole del Sud, in cui si svolgono le lezioni e in cui i ragazzi trascorrono ore della loro vita. Provi a sedersi nei banchi, ad andare in bagno, usi le palestre (dove ci sono) e i laboratori (quando ci sono). Controlli gli arredi, la loro funzionalità e la loro vetustà. E faccia tutto ciò in modo informale, senza scorta e giornalisti al seguito, lontano da fotografi e telecamere. Dopo, ma solo dopo, torni al Ministero, parli coi funzionari e i suoi collaboratori, riassuma problemi e proposte che ha ascoltato da chi a scuola ci vive tutti i giorni, confronti la loro concretezza con le teorie degli esperti di pedagogia e didattica che non mettono un piede in un’aula scolastica da decenni. Dopo, ma solo dopo, annunci le sue riforme. Vedrà che gli insegnanti e gli studenti le approveranno.

Fonte:  Un’altra scuola (un anno dopo) di Giovanni Accardo

21/01/16

UN’EDUCAZIONE di Vanessa Roghi

Prologo: «Vanessa ti ricordi Barbapapà?», mi chiede un amico «Certo», rispondo. «Ricordi Barbottina? Avevi mai notato che nella sua stanza i due poster erano la riproduzione del manifesto del maggio francese, quello de “la lotta continua” e di Angela Davis?». No non lo ricordavo non l’avevo mai notato allora. E allora il mio amico quella stanza me l’ha portata ed eccola qua accanto, icona subliminale di un decennio, di un’educazione.

Fonte: UN’EDUCAZIONE di Vanessa Roghi   da leggere e rileggere... :-)

12/05/15

I tre silenzi del governo che fanno male alla scuola di Tullio De Mauro

Il disegno di legge Giannini e altri, “Riforma del sistema nazionale di istruzione”, e i documenti governativi che lo hanno preceduto e lo accompagnano sono stati colpiti da molte critiche puntuali, tante da rendere difficile il compito di riassumerle. Lo hanno fatto su Internazionale due recenti messe a punto di Christian Raimo il 5 maggio e Mauro Piras il 7 maggio e mi rimetto a queste.
Tutti i critici, direi, si sono concentrati nel contrastare, smentire, sforzarsi di correggere singoli punti del disegno di legge fino a chiederne con ragione il ritiro, senza fermarsi a segnalare quel che nei testi non c’è. Però, come imparano gli studenti di prima annualità di buoni corsi di linguistica generale o filosofia del linguaggio o semiotica e comunicazione, un testo ci parla di un argomento non solo con quel che ci dice in esplicito, ma anche con quel che ne tace.
Sta nel potere delle nostre parole rendere significativi anche i silenzi. A me pare che nei testi di ispirazione renziana ci siano tre silenzi da segnalare, tre peccati di omissione. Sono silenzi che colorano malamente tutto ciò che si dice. Se non verranno corretti, devono metterci in allarme fin d’ora per le future politiche scolastiche governative e, ciò che più conta, per le sorti della nostra scuola.
Il primo silenzio è il mancato riconoscimento per ciò che la nostra scuola ha fatto e fa. Se non abbiamo voglia o capacità di guardare in faccia la realtà del nostro paese, non capiamo che cosa dobbiamo alla scuola sia pure in assai diversi gradi a seconda dei suoi diversi livelli. Dobbiamo moltissimo ai livelli di base, alle scuole dell’infanzia ed elementari, assai meno, purtroppo, alle scuole medie superiori.
Ma anche questa differenziazione manca nella prospettiva renziana. La scuola, come fanno i giornalisti meno informati, è considerata come un blocco unitario, indifferenziato. Non se ne capiscono così i meriti e, anche, alcuni limiti.
All’inizio del cammino nell’età della repubblica la scuola e con lei l’intera società italiana si sono trovate schiacciate dall’eredità dello stato monarchico e fascista. Quasi due terzi degli ultraquattordicenni, il 60 per cento, erano privi di licenza elementare, un terzo dei quali analfabeti confessi (per l’Istat si era ed è analfabeti se tali ci si dichiara). Nelle classi giovani in età scolastica, per ragazzine e ragazzini, il titolo di licenza elementare (non il diploma, non la laurea) era riservato a un’élite, un terzo. Pochi, nel ceto intellettuale e politico, si rendevano ben conto di ciò: Umberto Zanotti Bianco, Guido Calogero, Anna Lorenzetto, Giuseppe Di Vittorio, Piero Calamandrei.
Soltanto dopo quasi dieci anni, alla pattuglia sparuta si aggiunse un giovane parroco rompiscatole del suburbio fiorentino, rimasto più noto per merito, dobbiamo dirlo, del Sant’Uffizio o simili. Il giovanotto aveva capito che era impossibile portare le parole del Vangelo a chi era immerso nell’analfabetismo e, in più, gli appariva già sedotto dalle prime ondate del consumismo, di cui nessuno, Pier Paolo Pasolini a parte, si rendeva conto. Cominciò a trafficare con le statistiche per capire quale era l’estensione del fenomeno. E scrisse un libro, Esperienze pastorali, che dispiacque alla sua chiesa, che isolò l’autore e lo relegò in una sperduta parrocchia di montagna, a Barbiana, sopra Vicchio, nel Mugello, nella convinzione che lontano dalla città avrebbe fatto meno danni. “Ecco il giudicio uman come spesso erra”, direbbe Ludovico Ariosto. Il ritardatario aggregato alla pattuglia, il rompiscatole mandato al confino si chiamava Lorenzo Milani.
Dinanzi alla realtà di dominante mancata scolarità la reazione fu lenta. Anche gli odiatori del populismo devono ammetterlo. La reazione cominciò dagli strati popolari, dalle campagne più povere del latifondo. Le famiglie capirono, sentirono, che dovevano mandare figlie e figli a scuola, sola alternativa al dispatrio.
Le statistiche ancora raccontano con i loro numeri, per chi si dà la briga di andarle a consultare, questa storia. Ragazze e ragazzi tra tardi anni quaranta e metà cinquanta affollarono le elementari e cominciarono a conquistare in grande maggioranza la licenza elementare prima preclusa invece alla grande maggioranza dei genitori, a non parlare dei nonni.
Mentre il parlamento discuteva del creare o no una scuola postelementare che onorasse il precetto costituzionale degli “almeno otto anni” di scuola “obbligatoria e gratuita” (articolo 34, comma 2), ragazze e ragazzi la scuola postelementare cominciarono a farsela da sé affollando i diversi canali che lo stato offriva e cercando di rimanerci. Varata nel 1962 la scuola media inferiore unificata, gli otto anni di scuola cominciarono a diventare realtà per percentuali crescenti, ma ancora lontane dal 100 per cento.
Il fatto è che una gran parte degli insegnanti resisteva e continuò a resistere. Erano convinti che il loro compito fosse censire, fermare e mandar fuori dai piedi i somari, gli svogliati, i testoni. Non erano stati attrezzati a capire che il loro compito era esattamente il contrario: fare in modo che i somari imparassero a non ragliare, gli svogliati ad avere voglia di studiare, i testoni a usare la testa per capire e orientarsi nella società. Facile a dirsi, non a farsi. Nel corso degli anni, gli e le insegnanti non solo delle elementari, ma anche delle medie inferiori hanno imparato a farlo. Le scuole elementari hanno raggiunto un doppio risultato: portano al loro termine il 100 per cento dei loro alunni e questi, nei confronti internazionali, si collocano tra quelli con i più alti livelli di competenza.
Interessante: il massimo di inclusività va a braccetto con la qualità più elevata dei risultati. Così è nel resto del mondo, così è stato ed è per la nostra scuola elementare. Comunque, in complesso, l’intera scuola di base è riuscita a portare alla licenza media dell’obbligo quasi il 100 per cento dei figli di famiglie in maggioranza analfabete o semianalfabete ancora quarant’anni fa e oggi in maggioranza dealfabetizzate. E perfino quello che è l’anello debole, la scuola media superiore, porta al diploma l’80 per cento di ragazzi e ragazze. E in questa scuola le nostre straordinarie ragazze nei test comparativi internazionali raggiungono punteggi superiori alla media delle loro compagne europee.
Questa è la scuola cui, senza conoscerla, voi volete mettere mano. Il vostro silenzio su ciò che la scuola ha saputo e sa fare fa temere che il vostro metter mano sia un manomettere. Questa scuola è la sola istituzione che ha aiutato la società italiana a evadere dalla prigione dell’analfabetismo primario, totale, e a conquistare almeno l’alfabetizzazione strumentale per il 95 per cento e quella pienamente funzionale (vedremo poi) per il 30 per cento. Mai erano stati raggiunti livelli così alti in tre mezzi secoli di storia patria.
“Se per strada incontro un mio collega lo saluto. Ma se incontro un insegnante mi fermo, mi cavo di capo il cappello e mi inchino”: così amava dire Guido Calogero nei lontani anni cinquanta e ne hanno conservato memoria quelli che lo hanno conosciuto e hanno condiviso con lui il confino come Carlo Azeglio Ciampi. E sapeva benissimo quante cose non funzionavano nella nostra scuola, come ha ricordato giorni fa Claudio Giunta.
Ma, interrompendo a tratti i suoi preziosi lavori specialistici di filosofo e di storico del pensiero antico e andando in giro per le scuole a conoscerne e capirne i problemi, aveva imparato quanto è duro, quanto è degno di riconoscenza e stima il lavoro di chi insegna. Voi cappelli non ne portate più, ma fermarvi e inchinarvi potreste e dovreste.
C’è un secondo silenzio. Guardiamo con freddezza e distacco alle cose. Nel fare quel che ha fatto e fa, la scuola ha fatto e, tra tagli e insulti, continua a fare il dover suo, occorre dire. È un dovere costituzionale, le scuole non possono sottrarsi. L’insegnamento è libero, dice la Costituzione (articolo 33, primo comma), ma la scuola no, non è libera o lo è solo entro i paletti che la Costituzione ha fissato.
Diffidenti o preveggenti i costituenti stabilirono una serie di vincoli.
  1. La scuola deve essere “aperta a tutti” (articolo 34 comma primo: la frase è di sei parole, brevissima, e starebbe bene sull’ingresso di tutte le scuole): Gianni e Deborah non ci piacciono, ma non possiamo cacciarli via.
  2. La scuola deve essere anzitutto e comunque luogo di un’istruzione “obbligatoria e gratuita” “impartita per almeno otto anni” (articolo 34 comma secondo).
  3. Di conseguenza nemmeno la repubblica può cantare sempre libera degg’io: severa, la Costituzione le dice che deve istituire “scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (articolo 33, comma secondo).
In altre parole istruirsi è sì un diritto soggettivo di cittadini e cittadine, ma “rendere effettivo questo diritto” non è una faccenda privata, è un dovere della e per la repubblica, che, vincendo i pianti dei ministri del tesoro, deve trovare i mezzi per consentirne l’esercizio (articolo 34, comma quarto).
Non bisogna essere esimi costituzionalisti per capire perché tanta attenzione per la scuola. La Costituzione è scritta con grande chiarezza (per questo ha perfino vinto un premio Strega). Proprio perché “aperta a tutti” e perché “obbligatoria per almeno otto anni” la scuola è l’unico luogo istituzionale in cui per forza devono ritrovarsi, almeno nei loro anni giovani, “tutti i cittadini (…) senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (articolo 3, comma primo). È qui, nella scuola, che la repubblica può adempiere al suo “compito” (questa parola fu pensata, scelta e confermata con cura dai costituenti): “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (…) che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione (…) all’organizzazione politica, economica e sociale del paese” (articolo 3, comma secondo).
La scuola della repubblica è il luogo privilegiato per vincere le limitazioni della libertà e dell’eguaglianza, rimescolare le carte della stratificazione sociale, trasformare le diversità in ricchezza culturale comune, favorire lo sviluppo delle persone, costruire le premesse per l’effettiva partecipazione attiva alla vita del paese. Voi che mandate i figli all’American talent school non sapete che cosa gli fate perdere (o lo sapete ma non v’importa niente): la progressiva costruzione di una società di persone libere.
La scuola dunque, come vide Piero Calamandrei e tornarono poi a spiegare i ragazzi di Barbiana, non è un pezzo qualunque dello stato, ma è un “organo costituzionale”. È entro questi limiti che la repubblica “detta le norme generali sull’istruzione” (articolo 33, comma secondo). Buone norme per la scuola devono richiamarsi sempre alla sua natura di delicato, essenziale organo costituzionale. La “Buona scuola” ne tace. È il secondo, preoccupante silenzio. È un’omissione voluta? Oppure è una sciatteria, una dimenticanza non voluta “con l’aggravante della buona fede”, come diceva don Milani?
Terzo silenzio, infine. Almeno dagli anni ottanta, alcuni sospettavano che gli analfabeti in Italia non fossero solo quelli che si autocertificavano tali ai censimenti dell’Istat. Furono tentate stime. Poiché si accertava che il 20 per cento delle ragazze e dei ragazzi uscivano dalla scuola media con più o meno gravi difficoltà di accesso a testi scritti, si ipotizzò che questa percentuale potesse proiettarsi sulla popolazione adulta. L’ipotesi era ottimistica.
Oggi, dopo tre indagini osservative internazionali (fondate su osservazioni, non su autovalutazioni) sappiamo che in tutti i paesi ricchi e consumistici una parte consistente di popolazione, dopo avere raggiunto in età scolastica livelli anche eccellenti di competenza nella comprensione della lettura, nella scrittura, nel calcolo, nel ragionamento scientifico, in età adulta tende a dealfabetizzarsi. Quasi due anni fa Internazionale ha pubblicato l’essenziale di questi dati. In paesi con scuole eccellenti, come Giappone, Finlandia, Olanda la percentuale di persone adulte al di sotto dei livelli minimi necessari a capire un testo e a usare basilari concetti matematici e scientifici tocca quasi il 40 per cento. Tocca il 50 per cento in Corea del Sud, altro paese di buona scuola, buona davvero, supera la metà nel Regno Unito e Germania, arriva a toccare e superare il 60 per cento in Francia e Stati Uniti, raggiunge infine il 70 per cento in Spagna e Italia.
Fattore determinante non è evidentemente da sola la qualità della scuola, ma sono gli stili di vita che allontanano chi è uscito da scuola dalla voglia di tenersi informato, di ragionare, di partecipare in modo attivo alla vita sociale. E così le competenze acquisite a scuola si indeboliscono, si avvizziscono, perfino muoiono, Per l’Italia va osservato che, se si tengono presenti anche i dati sulla capacità di problem solving (uso delle conoscenze per risolvere problemi non routinari nelle singole discipline), la percentuale delle persone sotto i livelli minimi di competenza sale all’80 per cento.
Questa massa cospicua di neoanalfabeti interessa due volte la scuola ordinaria. Interessa una prima volta perché in qualche misura la scuola, specie quella media superiore, è complice della dealfabetizzazione adulta, nel senso che non riesce a fare abbastanza per garantire che i livelli buoni cui porta ragazze e ragazzi si fissino e durino nel tempo dell’età adulta e anziana. Cosa relativamente di poco peso di fronte al danno che la scuola riceve da questa massa.
Sappiamo bene da studi di ogni sorta e paese che il livello culturale delle famiglie incide in modo determinante sull’andamento degli apprendimenti scolastici dei ragazzi. Otto su dieci dei ragazzi e delle ragazze che la scuola si trova di fronte vengono da famiglie in cui non entrano libri e giornali e non si praticano collegamenti a banda larga con internet e Google.
Da decenni, in altri paesi, si sono sviluppati antidoti specifici: un’ampia offerta di corsi per l’istruzione degli adulti. In Italia siamo astralmente lontani da ciò. Una commissione nominata nel 2013 dai ministri Carrozza e Giovannini (istruzione e lavoro nel governo Letta) produsse nel febbraio 2014 un rapporto analitico su quel che scuole e imprese potevano e dovevano fare per contenere e ridurre la massa dei dealfabetizzati. Gli estensori dei testi renziani devono averlo considerato materiale da rottamare e fare stare sereno.
Male assai: proposte serie sulla scuola non possono mettere da parte quello che la scuola può e deve fare per l’istruzione degli adulti. Oltre tutto i renziani amano molto gli anglismi e l’espressione tecnica in uso per la cosa è lifelong learning, imparare per tutta la vita. Ma loro non l’hanno usata, e non per purismo: la sconoscono come si dice in Sicilia. Secondo norme già vigenti e secondo le analisi della commissione di cui s’è accennato sono le scuole il luogo deputato a far da centro a un sistema di lifelong learning e anche di continuum training, formazione continua. Esse possono e devono diventare “fabbriche della cultura”. Su tutto ciò silenzio tombale di Renzi e di quelli che omericamente si possono dire “quelli a lui d’intorno”.
Matteo Renzi pareva partito con buone intenzioni. La prima era ottima: aveva fatto capire che di scuola , del complesso della scuola, si sarebbe occupato in prima persona, quale capo del governo. Sembrava che avesse capito che così in effetti richiede la intricata complessità economica, amministrativa, culturale e politica della realtà scolastica di un grande paese sviluppato. Così, di conseguenza, nei maggiori paesi del mondo le grandi svolte delle politiche scolastiche ed educative sono gestite direttamente dai capi di governo o di stato.
Così invece non è stato nella tradizione italiana, dove, a parte casi isolati come quello di Giovanni Giolitti e lampi di interesse di Romano Prodi ai tempi del Prodi uno, si è creduto che le politiche scolastiche potessero esser lasciate ai ministri dell’istruzione. Questi però non hanno competenze e poteri rispetto a troppe facce del problema, a cominciare dai riassetti del bilancio dello stato necessari se davvero si vuole intervenire sul complesso della realtà educativa. Sono riassetti che comportano decisioni che può e deve prendere solo chi guida l’intera compagine governativa, non un singolo ministro, a meno che non abbia una delega in bianco come (ma solo per due anni) fece Mussolini con Giovanni Gentile.
Matteo Renzi pareva deciso a innovare prendendo in mano lui stesso il gran groviglio educativo e l’intento era e resta in sé positivo. Il risultato per ora è molto insoddisfacente.
Una seconda buona intenzione manifestata all’inizio è stata insistere sulla natura solo parziale degli interventi che annunziava: non chiamatela riforma, ebbe a dire il presidente, sono solo singoli provvedimenti più immediatamente necessari, la riforma la faremo, ma verrà dopo. Invece e però da un certo punto in poi la buona intenzione è svanita e in comunicazioni governative, nei mezzi di informazione e infine nel testo consegnato al parlamento si è parlato di riforma, parola pesante che, a usarla correttamente, implica l’esistenza di un ripensamento adeguato e di una revisione radicale e complessiva di uno stato di cose.
Le buone intenzioni del capo del governo, svaporando, hanno infine portato il 27 marzo al disegno di legge presentato al parlamento dai tre ministri di settore, Giannini, Madia e Padoan. Le omissioni di cui si è detto qui sono pesanti. Se non saranno corrette prefigurano un tempo di dura lotta perché la nostra scuola continui a essere, secondo costituzione, la scuola della nostra repubblica.

06/05/15

Considerazioni ai margini di una possibile sconfitta

Immagine di Maurizio Parisi


Da quello che vedo, che leggo, il clone chiamato renzi continuerà a fare e disfare pensando di avere vinto; eppure egli non sa che ieri ha contribuito a seminare e non, per sua disgrazia, lungo la strada.
Tanti piccoli semi.
Generazioni e persone che forse per la prima volta si annusano, si guardano, si toccano fuori dai sacri recinti della realtà mercificata.
Generazioni e persone che improvvisamente scoprono di non essere soli, di aver qualcosa da convidere, dei sogni.
Generazioni e persone che camminano insieme, contente.

05/05/15

Difendere la scuola pubblica

"Cari allievi, avevo pensato di scrivere una lettera al presidente del Consiglio per spiegare lui le ragioni del mio sciopero. Ma forse più che a lui, che le ha ben chiare ma non le vuole ascoltare, le devo spiegare a voi che domani non avrete in aula il vostro maestro.
Lo so, in fondo siete felici: un giorno in meno di scuola. Ma io ho il dovere di dirvi perché non faremo storia, italiano, non leggeremo insieme il quotidiano come facciamo ogni martedì, non apriremo la classe a qualche ospite che viene a donarci il suo tempo per adottare una nostra lezione.
Ho il compito, non facile, di raccontarvi perché tutte le maestre della scuola domani non entreranno in aula al suono della campanella.
E’ vero, non era mai capitato. E’ la prima volta dopo tanti anni che accade. E domani quando accenderete la Tv vedrete in piazza proprio i volti dei vostri insegnanti e migliaia di altri maestri, professori e bidelli che fischieranno, che alzeranno cartelli con scritto “La scuola pubblica è da difendere”, che porteranno una fascia nera per dire che sono a lutto.
Vi chiederete: ma perché fanno tutto questo casino? Vi rassicuro: non siamo impazziti. Non siamo fanatici.
Provo a spiegarvelo. Chi governa questo Paese sta cambiando le regole della scuola senza ascoltare chi sta ogni giorno in classe. Partiamo da un concetto che vi ho insegnato. Cos’è la libertà? Vi ricordate che vi ho fatto ascoltare Giorgio Gaber: “La libertà non è stare sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone. Libertà è partecipazione”.
Quando in classe decidiamo quale gioco fare prendiamo la decisione in maniera democratica. Vi ho insegnato il valore di questa parola. Ogni volta mi ricordate: “decidiamo insieme”. Magari arriviamo persino a votare. Ma poi il maestro, che cerca di essere davvero democratico, vi propone di dedicare un tempo a giocare a palla prigioniera e il resto del tempo a “castelli”. Ecco, in questo momento c’è chi vuole giocare da solo. Chi vuole tagliare il traguardo in solitaria.
Forse basta questo per spiegarvi e in fondo per spiegare anche a lui, al presidente Matteo Renzi, perché domani tanti maestri non andranno in aula.
Sapete, cari ragazzi, ci hanno detto che non si spaventano per tre fischi. Ci hanno detto che siamo i signor no. Ma a noi maestri non interessa fischiare, non ci sentiamo signor sì o signor no. Noi abbiamo davvero a cuore la libertà che non avremo più se a scegliere chi entrerà in aula sarà il preside; se staremo con voi tre anni e poi potranno cambiarci scuola; se verremmo valutati solo per i risultati del vostro andamento scolastico (com’è scritto nella Legge) e non per essere rimasti qualche ora in più con il vostro compagno indiano a far lui imparare l’italiano che non parla; se nelle scuole frequentate dai ricchi andranno più soldi che in un istituto dello Zen o di Scampia.
Ecco, perché domani non ci sarò in aula con voi. Perché sogno, anche stavolta, una scuola diversa. Perché voglio che possiate avere maestri, professori e bidelli felici di fare questo mestiere."

30/11/13

Adolescenti e Internet da http://www.bambini.info

Uno studio europeo commissionato da McAfee ha rivelato un preoccupante gap tra il comportamento degli adolescenti online e ciò di cui genitori sono al corrente, nonostante il fatto che il 66% dei genitori abbia aiutato i propri ragazzi a creare i loro profili online che sorprendentemente vengono aperti in età sempre più giovani, con il 4% a meno di 10 anni e il 31% tra i 10 e i 12 anni.

In Italia sono molti gli adolescenti che accedono volontariamente a contenuti non appropriati online, nonostante il 76% abbia dichiarato che i loro genitori confidano nella correttezza del loro comportamento online. Un’elevata percentuale di genitori (41%) è convinta che il proprio figlio adolescente dica la verità su tutto ciò che fa su Internet e il 72% ha fiducia nel fatto che i propri ragazzi non accedano online a contenuti non appropriati, mentre solo il 9% è convinto del contrario.
Si tratta di un divario che sta consentendo a molti adolescenti di compiere online attività discutibili e alle volte anche illegali:
  • Il 40% degli adolescenti ha ammesso di visitare siti web che i genitori disapproverebbero, mentre solo il 28 % dei genitori pensa che i propri figli consulterebbero siti simili
  • Il 45% degli adolescenti ha visto intenzionalmente contenuti video sapendo che i propri genitori non avrebbero approvato, mentre il 32% dei genitori pensa che il proprio figlio lo farebbe
  • Il 30% degli adolescenti ha ammesso di aver acquistato online musica piratata e un preoccupante 3% ha dichiarato di aver acquistato alcool o droghe su Internet
  • Il 26% degli adolescenti ha inviato o pubblicato online una propria foto in abiti succinti
  • Il 10% dei ragazzi ha ammesso di aver ricercato online le risposte a un esame, mentre molti genitori (76%) sono certi che i propri figli non lo farebbero
  • Il 25% degli adolescenti ricerca intenzionalmente immagini di nudo o contenuti pornografici online, e il 42% visualizza questo tipo di immagini fino a un paio di volte al mese (il 6% anche più volte al giorno)
  • Il 12% degli adolescenti ha dichiarato di aver incontrato realmente persone conosciute online
Il 47% dei genitori ha affermato di essere in grado di scoprire che cosa sta facendo il proprio figlio online, ma solo il 29% degli adolescenti ha dichiarato di non sapere come nascondere il proprio comportamento ai genitori.
La ricerca europea ha rivelato, inoltre, che la maggior parte dei ragazzi ha adottato le seguenti misure per nascondere il proprio comportamento online:
  • Il 60% degli adolescenti minimizza la finestra  browser quando un genitore entra nella stanza
  • Il 41% cancella la cronologia del browser
  • Il 36% degli adolescenti ha consultato qualcosa non a casa propria
  • Il 14% nasconde o elimina contenuti non appropriati
  • Il 14% dei ragazzi ha creato un indirizzo di posta elettronica privato sconosciuto ai propri genitori
Cyberbullismo: un pericolo reale e presente
  • Il cyberbullismo è un fenomeno che la maggior parte degli adolescenti intervistati ha osservato o sperimentato in prima persona.
  • Il 23% degli adolescenti ha dichiarato di aver assistito a un episodio di bullismo online avente per oggetto un amico o un compagno di classe
  • La piattaforma più utilizzata per il bullismo in Italia è Facebook (89%)
  • Il 10% degli intervistati è stato vittima in prima persona di episodi di bullismo online, e le emozioni provocate da tali episodi vanno dalla rabbia (81%), al sentirsi soli (62%) e depressi (38%) a un allarmante desiderio di non voler più vivere (19%)
  • La risposta più diffusa qualora si sia testimoni di episodi di cyberbullismo in Italia è stata affrontare direttamente il bullo (55%) o denunciare l’episodio a un genitore o un docente (35%)
Il monitoraggio e il coinvolgimento dei genitori 
Il 51% dei genitori ha affermato di aver parlato con i propri figli adolescenti su come navigare online in modo sicuro, ma, dato molto più preoccupante, il 17% non ha fatto assolutamente nulla per monitorare il comportamento online dei propri figli, con un 31% certo che il proprio figlio adolescente non rischi nulla online. Tra i genitori che hanno messo in atto dei controlli:
  • Solo il 15 % ha impostato dei controlli sul dispositivo mobile del figlio adolescente
  • Solo il 30% ne conosce la password del dispositivo mobile
  • Solo il 38% si è fatto dare dal proprio figlio adolescente la password della posta elettronica o dell’account di social media
  • Solo il 35 % ha impostato dei controlli di sicurezza parentale sul computer di casa
Il 22% dei genitori ammette che il proprio figlio adolescente è più esperto di tecnologia e che non sarà mai in grado di tenere il passo con i suoi comportamenti online. Lo conferma il fatto che il 9% degli adolescenti ha ammesso di disattivare il parental control sui propri dispositivi.
“Questi risultati non sono soltanto allarmanti, ma sono un chiaro invito ad aprire gli occhi per quei genitori convinti al 100% che i propri figli non facciano nulla di pericoloso online, soprattutto dopo che hanno permesso loro di creare dei profili social”, spiega Ombretta Comi, marketing manager per l’Italia di McAfee. “Il mondo online può essere pericoloso, non importa quanti anni abbia un bambino, o un adolescente, i genitori devono assumere un ruolo attivo, se vogliono proteggere i propri figli affinché non vedano o vivano qualcosa di non adatto alla loro età. Il fenomeno del cyberbullismo, ad esempio, ha subìto un’impennata molto preoccupante nel corso dell’ultimo anno e i ragazzi hanno bisogno di essere supportati e informati dai genitori per poter affrontare un qualsiasi tipo di abuso online”.
I genitori dovrebbero avere frequenti conversazioni a tu per tu con gli adolescenti per essere informati sulle scelte che stanno facendo online e i rischi e le conseguenze delle loro azioni. I genitori dovrebbero anche essere attenti nel configurare le funzioni di parental control, per mantenere un occhio vigile per sapere come e quando i propri figli scoprono ciò che li circonda online.
I genitori dovrebbero giocare d’anticipo con gli adolescenti sulle attività di monitoraggio e i controlli attuati sui propri dispositivi di accesso a Internet. Molti ragazzi ci penserebbero due volte prima di fare alcune cose online, se sapessero che i genitori li stanno guardando.
I genitori dovrebbero confortare e tranquillizzare i propri figli se ritengono che siano stati presi di mira da dei bulli. Avere scambi di opinione aperti e onesti fin dal primo ingresso di un ragazzino nel mondo online è il modo migliore per capire quali sono i comportamenti adeguati e quali non lo sono.
“Essendo cresciuti nel mondo online, gli adolescenti di oggi sono spesso più smaliziati dei loro genitori nella navigazione, andando ad alimentare quel gap di conoscenza che a volte rende difficile per i genitori fornire le indicazioni necessarie ai propri figli. Questo significa che, oggi più che mai, i genitori hanno bisogno di aiuto per affinare la loro consapevolezza delle minacce online e dei modi per mantenere le loro famiglie al sicuro anche quando non sono con loro”, conclude Ombretta Comi.
A proposito della ricerca
La ricerca è stata commissionata da McAfee e condotta da Atomik Research in Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi e Italia con interviste a 200 genitori di adolescenti e 200 adolescenti (di età compresa tra i 13 e i 17 anni) in ciascuna nazione nel mese di ottobre 2013.
Fonte: http://www.bambini.info

15/11/13

"C’ER@ UNA VOLTA" esperienze di scrittura multimediale.



Questo video è stato realizzato dalla mia classe all'interno del progetto C’era una volt@... Esperienze di scrittura multimediale organizzato dall'Università degli Studi di Parma in collaborazione con la casa editrice Battei.
Ogni classe partecipante doveva riscrivere una o più fiabe ancora inedite di autori contemporanei proposti dall’editore Battei e rispettare alcune semplici regole. Le nuove storie dovevano:
  • essere estese per un minimo di 2 a un massimo di 5 pagine (formato A4) arricchite di parole, testi e/o suoni o filmati o disegni o immagini;
  • mantenere la riconoscibilità dell’ipotesto (ad esempio, si conserva la situazione iniziale);
  • [facoltativo] mostrare capacità combinatoria modificando l’ordine delle sequenze narrative conservate dalla fiaba originale;
  • dare prova di creatività inventando nuove sequenze narrative;
  • [facoltativo] riscrivere attraverso forme multimediali utilizzando, ad esempio, i programmi di scrittura per LIM.
Il progetto si è concluso con la produzione di un libro, questo:




29/10/13

"Considerazioni a margine di un commento" di Michele Torresani

[...] Qualcuno interroga i docenti sui loro bisogni didattici concreti? Perché non esistono in Italia, come in altri Paesi, delle indagini sulle esigenze reali degli insegnanti in rapporto al numero di ore a disposizione in un anno, ai programmi da svolgere, ai libri di testo spesso mastodontici e sempre più inadeguati ai livelli di preparazione e agli interessi degli studenti? Perché mancano strutture di reale supporto, accanto ai bellissimi ma spesso dispersivi progetti, che implicano certo tanto entusiasmo, ma anche tanto lavoro in più, che si aggiunge alle faticosissime correzioni? È solo una questione di mancanza di fondi? O è una incapacità di immaginare una nuova e più moderna struttura organizzativa della scuola? Perché non pensare, ad esempio, a distaccare per qualche ora i professori più anziani al fine, ad esempio, di sostenere i colleghi più giovani (se mai ne esistano in un corpo docente sempre più anziano)?

E, come si diceva qualche giorno fa di fronte ai dati sconfortanti del nostro Paese in rapporto a quelli di altri, perché nessuna autorità competente sembra davvero interrogarsi sulle cause di questo declino e correre al più presto ai ripari con misure urgenti e tangibili?
Fonte: http://torresani-edu.blogspot.it

Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere

Le nuove tecnologie, il computer, la video-conferenza ecc... sono divenute indispensabili. Intendiamoci, esse non possono rimpiazzare un insegnante fisicamente presente. Ha detto Platone: «Per insegnare, occorre eros». Eros è una parola greca che significa piacere, amore, passione. Per comunicare, non serve a nulla dispensare il sapere a fette, ma bisogna amare ciò che si fa e le persone che sono dinanzi a noi.

L’insegnante è colui che, attraverso ciò che professa, può aiutarvi a scoprire le vostre proprie verità. Se la letteratura ha una grande importanza per me, è perché essa mi racconta esperienze di vita. Perfino le tanto disprezzate serie televisive parlano d’amore, gelosia, ambizione, morte, tristezza, in breve dei sentimenti qui molto stereotipati ma tratti dalla vita quotidiana. A mio avviso, l’insegnante è un mediatore che aiuta ciascuno a comprendersi, a conoscersi. E la letteratura gioca in questo un grande ruolo. Io sono di quelli che hanno riconosciuto le loro proprie verità attraverso grandi romanzi. Dostoevskij mi ha insegnato a comprendere i miei sentimenti riguardo la vita.

Io non credo che occorra scartare certe discipline, col pretesto che esse hanno un pubblico di nicchia. Le belle lettere non sono un lusso! Se tante persone leggono sulla metropolitana, è perché si immergono in un universo di cui hanno bisogno. Perché amiamo il cinema? Perché ci permette di vivere meglio i nostri sentimenti d’amore, di partecipazione, di simpatia ecc... Il cinema meriterebbe d’altronde di trovare un posto più importante nella cultura; è un’arte fondamentale... In realtà, così come sussistono ora, le discipline devono essere integrate in grandi insiemi.

Cosa sono la fisica, la chimica, se non il mondo di cui siamo fatti, posto che noi abbiamo delle cellule biologiche composte da interazioni fisico-chimiche? La grande scoperta degli anni Cinquanta è che non c’è una sostanza vivente diversa dalla sostanza materiale normale. Noi siamo fatti di elementi chimici che esistono nella natura, ma che sono organizzati in modo ben più complesso e nuovo. La fisica come la chimica sono noi stessi! È il mondo nel quale noi siamo.

Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere. Certi insegnamenti non fanno parte delle discipline, ma permettono di integrarle. Che cos’è, essere umani? Oggi, in mancanza di pedagogia, questa domanda rimane completamente scollata dal resto. Essere umani è senz’altro essere un individuo, ma un individuo che fa parte di una società e di cui anche la società fa parte. Da quando si nasce, ci viene inculcato infatti il linguaggio, la cultura, ciò che si deve fare, non fare ecc... In effetti, il nostro essere è costituito da tre parti in una: membro di una società, membro di una specie e individuo.

Secondo me, conoscere la nostra natura umana è dunque essenziale. E questo passa per forza attraverso l’insegnamento dell’incertezza. Ci si rende conto oggi che ci sono fenomeni che non si possono controllare, così nelle discipline come nella microfisica. Si è certi della morte, ma non si sa quando arriverà. Ci si sposa, si pensa che si sarà felici, ma potrebbe essere un matrimonio orribile. Si cerca il lavoro senza essere sicuri di trovarlo... L’incertezza fa parte del destino umano, ma nessuno è preparato per affrontarla. A mio avviso, la riforma dell’insegnamento deve anzitutto andare in questa direzione.

Effettivamente, essere specialista di tutto è essere specialista di niente. Raymond Aron, mi sembra, diceva che il proprio del lavoro di uno specialista è sapere tutto su un dominio estremamente ridotto, cioè pressoché niente. Delle due cose, l’una: o si ha una mancanza di conoscenze precise, o una conoscenza talmente precisa che alla fine non ha alcun interesse. In effetti, bisogna partire dal problema della conoscenza. Se si ha un’informazione, ma si è incapaci di situarla nel suo contesto (frammentato attraverso le discipline), si arriverà per forza a un’informazione senza interesse.

Si è d’altronde obbligati a contestualizzare senza posa – il proprio della storia è di essere una scienza che contestualizza gli eventi. Come uscirne? Alcune risposte sono già state date, attraverso raggruppamenti scientifici. Prendiamo l’esempio dell’ecologia, scienza fondata sull’idea di ecosistema, ma che riguarda molte discipline. In un dato ambiente, l’insieme degli esseri viventi, vegetali, animali, i microbi ecc... costituisce un’organizzazione spontanea, a sua volta collocata in una data cornice fisica, geografica e meteorologica.

Pertanto, l’ecologo, che si interessa ai meccanismi della formazione e delle disfunzioni degli ecosistemi, possiede conoscenze varie ma incomplete. Dovrà dunque chiedere l’aiuto del botanico, dello zoologo ecc... Lo stesso per le scienze della terra: la meteorologia, la vulcanologia, la sismologia, la geologia sono state separate fino al momento in cui si è scoperta la tettonica a placche. Avendo dimostrato da allora che la terra è un sistema funzionale molto complesso, ci si è impegnati a riunire queste differenti materie.

Le interazioni tra differenti discipline sono difficili da riconoscere, ma sono necessarie. Per esempio, la mondializzazione di cui si parla molto oggi è un fenomeno economico che ha anche i suoi contro-aspetti: l’omogeneizzazione tecnica provoca dei movimenti di chiusura sull’identità nazionale e religiosa. Qualche cosa di economico ha dunque delle conseguenze sulla religione e sulla psicologia. In effetti, non si può separare l’economico, lo storico, lo psicologico, il mitologico ecc... Einstein lo mostrava già ai suoi tempi. Era un globalista-matematico, pensatore, ingegnere, qualcuno che sperimentava i concetti. Adorava suonare il violino, “perdeva tempo” interessandosi d’arte, di politica... Gli specialisti, loro, si accontentano di verificare le sue teorie.

Si è disgiunto tutto ciò che riguarda l’essere umano: il cervello in biologia, la mente in psicologia... Le scienze umane sono state esse stesse delimitate. La filosofia è una riflessione anzitutto sulle conoscenze acquisite e sul destino umano e sui grandi problemi del nostro tempo. Ora, le conoscenze sono troppo disperse perché questa disciplina possa nutrirsene. C’è qui una grande lacuna. La missione di raccoglierle insieme necessita tanto di uno sforzo nel mondo scientifico quanto nel mondo filosofico. È in questo senso che il sistema di insegnamento meriterebbe di essere riformato.
Edgar Morin

Fonte: http://www.avvenire.it

08/06/13

Che cos’è un maestro?

"Che cos’è un maestro?
Adoperiamo la stessa parola sia per quello che consideriamo il lavoro più umile con i bambini, sia per quello che trasmette il suo sapere ai discepoli. Roman Jakobson diceva che per diventare dei veri maestri non bisogna essere troppo precisi, ma un po’ confusi.”

Tullio De Mauro (intervista) citato da  Il blog del mestiere di scrivere

30/01/13

"Amare confessioni di un maestro in crisi" di Lucio Garofalo

Al di là delle disfunzioni e delle problematiche che investono le componenti interne al mondo della scuola, ossia le varie categorie professionali impegnate nell’educazione dei giovani (dirigenti, docenti, personale amministrativo ed ausiliario), uno degli aspetti più detestabili della vita lavorativa nella scuola è costituito dall’eccessiva ingerenza esercitata con arroganza e supponenza dai genitori sul terreno dell’autonomia didattica, una prerogativa che compete, per definizione e vocazione istituzionale, agli insegnanti.
L’eccessiva invadenza e disinvoltura nei comportamenti, la spregiudicatezza e la villania di alcuni genitori e dei loro figli scostumati e prepotenti, costituiscono probabilmente uno degli effetti più incivili e nefasti sortiti dalla cosiddetta “autonomia scolastica”, che in molti casi concede uno spazio fin troppo ampio di intrusione e di condizionamento a quelli che sono i soggetti più influenti e più forti provenienti dall’ambiente esterno. E a proposito dell’eccessiva presunzione e interferenza dei genitori nell’ordinamento e nell’esercizio della professione didattica si potrebbe citare una ricca e varia aneddotica.
Francamente, non se ne può più di una scuola in cui l’invadenza e l’arroganza dei genitori sono un malcostume esageratamente diffuso, quanto intollerabile, in cui le classi da gestire sono sempre più caotiche e numerose oltre i limiti del normale buon senso, in cui gli alunni sono sempre più viziati e maleducati a causa di atteggiamenti diseducativi profondamente scorretti assunti da genitori troppo improvvisati e protettivi.
Una scuola in cui la cosiddetta “autonomia scolastica” viene troppo spesso scambiata dai dirigenti per una sorta di “tirannia” o arbitrio personale, per cui ne consegue che le scelte siano inopinate e discutibili, fin troppo discrezionali, decise in modo solitario e antidemocratico, con metodi autoritari e verticistici, causando ingiustizie e malcontenti.
Una scuola che è diventata un luogo di lavoro alienante e stressante, in cui i colleghi sono sempre più divisi e contrapposti tra loro, anziché essere vicini e solidali, e ciò accade in virtù di meccanismi voluti e imposti dall’alto, che accentuano e inaspriscono ulteriormente il livello già alto di competitività, esasperando le rivalità individuali su cui agiscono in modo determinante le cosiddette “incentivazioni economiche aggiuntive”.
Una scuola in cui il ruolo dell’educatore viene mortificato e sottovalutato anzitutto a livello retributivo, ridotto a mansioni umilianti di mera sorveglianza o, nella migliore delle ipotesi, svilito in compiti meccanici e ripetitivi di addestramento degli alunni tramite esercitazioni noiose volte a superare una serie di verifiche valutative somministrate con i test a risposta multipla in cui si articolano le famigerate “prove Invalsi”, a cui gli allievi vengono abituati e addestrati per mesi e mesi, fino alla nausea.
In definitiva, non se ne può più di una scuola a “quiz”, una scuola di natura cripto-classista e anti-democratica che assomiglia maldestramente al prototipo di un’azienda decotta, da cui si sforza di attingere e mutuare il gergo, gli organigrammi e le gerarchie.
Confesso di essere profondamente deluso dal mondo della scuola e dell’insegnamento, che considero come una sorta di elevata missione sociale che discende da un’autentica vocazione fondata su uno spirito di abnegazione, su straordinarie doti morali di volontà, comprensione, pazienza, umiltà, sensibilità e intuizione psicologica, su convincimenti culturali dettati dall’impegno nello studio, dalla passione e dall’amore nutrito verso l’umanità e verso la trasmissione del sapere e dei più preziosi valori etici e intellettuali.
Il mio “sfogo” personale non comporta affatto uno scadimento di fiducia nella forza morale e spirituale dell’istruzione, nel senso che confido ancora nel valore etico e nelle potenzialità emancipatrici e persino eversive dell’educazione delle giovani generazioni.
Nondimeno, la speranza volontaristica e la fiducia ottimistica nel potere, virtualmente rivoluzionario, della cultura e della formazione integrale, non m’impedisce di assumere un atteggiamento ragionevolmente scettico, critico e realistico, inevitabilmente pessimistico, rispetto ad un’azione ideologica e strumentale con finalità evidentemente conservatrici, svolta tuttora dall’istituzione scolastica nel quadro di un ordinamento sociale classista, una funzione che è, dunque, al servizio del sistema capitalista vigente.
 
Fonte: http://www.girodivite.it

12/10/12

"Le 24 ore settimanali: sfogo insolitamente lungo" di Anna Rita Vizzari

In genere non scrivo qua articoli di opinione o perorazioni: segnalo le risorse tecnologiche in modo rapido e stop. Ma ieri ci hanno ventilato - come soluzione ai mali dell'Italia - la reificazione di un timore e voglio parlarne.
La proposta è quella di portare da 18 a 24 l'orario di lezione settimanale degli insegnanti della scuola secondaria (di primo e di secondo grado). Ovviamente il peso morto da tagliare è costituito come sempre dagli insegnanti... chissà che cosa ne direbbe Freud.
Parliamo delle ore settimanali di un insegnante della secondaria.
Attualmente, un docente della scuola secondaria fa, in classe, 18 ore. Sottolineo: in classe.
Poi ci sono le ore degli incontri pomeridiani: consigli di classe, collegi docenti, riunioni di dipartimento, GLH, colloqui con i genitori et alia.
E infine c'è il lavoro sommerso effettuato a casa.
Suddetto lavoro sommerso ha le seguenti caratteristiche:
- un ambiente della casa adibito a studio piuttosto che ad altro (che so, camera per gli ospiti),
- un computer acquistato privatamente, senza possibilità di scaricarlo come fanno i professionisti,
- uso di stampante, carta e inchiostro di casa,
- uso della corrente domestica,
- utilizzo della connessione domestica.
Un lavoro svolto circondati da familiari (consorti e figli) che non riescono a capacitarsi che il loro caro ci sia e allo stesso tempo non ci sia. Come si può lavorare nelle ore che invece dovrebbero essere dedicate alla vita privata? Ma non è tempo libero, dico sempre ai miei cari, sono ore che per me è doveroso dedicare alla scuola.
Per questo ho sempre detto: 18 ore settimanali (più riunioni pomeridiane) vi sembrano poche? Bene, fatecene fare altre 20 a scuola per lavori d'ufficio, poiché di pomeriggio noi siamo tenuti a svolgere svariati lavori a casa:
- redazione di programmazioni e relazioni,
- predisposizione dei materiali,
- preparazione e correzione delle verifiche scritte,
- comunicazioni epistolar-telematiche con gli alunni per sempre più diffusi progetti tecnologici particolari,
- doveroso aggiornamento contenutistico e metodologico.
Ho detto lavori d'ufficio, non di classe.
Ossia, dateci un ufficio - tecnologicamente attrezzato - a scuola.
Non basta la sala professori, quello stanzino con una decina di sedie e senza la minima strumentazione. Intendo un ufficio ogni 3-4 professori, come avviene per qualsiasi altro impiegato della pubblica amministrazione.
Fa comodo non darci quelle ore, vero? Fa comodo che connessione, stampe e fotocopie le facciamo direttamente da casa, con scontrini e bollette a nostro carico. Il mancato riconoscimento delle ore extra dell'insegnante significa far risparmiare allo Stato cifre insospettabili.

Tra la laurea e il concorso a cattedre ordinario ho lavorato in un ipermercato come cassiera part-time. Facevo 24 ore settimanali, poi passate a 23 con lo stesso stipendio (un gradito regalo). Un lavoro massacrante (provate ad avere a che fare con clienti inferociti per cose che non dipendono da voi), tanto che quando ci spaccavamo la schiena per caricare scatoloni dal magazzino ci rilassavamo perché con la mente potevamo dedicarci ad altro. Era un lavoro inadeguato per una laureata, ma tornavo a casa e staccavo totalmente.
Con la scuola questo non avviene, non si stacca mai. Uno non fa l'insegnante, uno è insegnante. Per questo anche a distanza di decenni gli ex alunni ci chiamano ancora "Prof.".
Come mamma insegnante posso dire che il meglio dal punto di vista educativo lo riservo ai miei alunni, perché quando torno a casa ho bisogno del mio angolo di silenzio (dopo ore e ore in classi sempre più numerose), per cui con mio figlio che mi cerca perdo subito la pazienza che invece in classe mantengo fino allo spasimo.
E ricordo che mia madre, anche lei prof. di Lettere alle "medie", quando tornava a casa veniva assalita da noi figlie che ci sentivamo rispondere "Lasciatemi sola, mi rintrona la testa, ho bisogno di silenzio".
Facendo 24 ore settimanali inevitabilmente si ridurrebbero il tempo e l'energia da dedicare al lavoro sommerso (quello svolto a casa a nostre spese) per preparare materiali, correggere verifiche e tutto quello che ho elencato sopra. Perché, se lo Stato ci considera dei pesi morti che fanno lo stretto indispensabile, io inizio a fare lo stretto indispensabile, a livello di tempo domestico e anche di impiego di materiali acquistati personalmente. Questo giova alla qualità della formazione dei ragazzi?
Parliamo anche delle 24 ore in cui abbiamo la totale responsabilità su una trentina di minorenni, che non si possono assolutamente lasciare soli neppure per le motivazioni più sacrosante come l'andare in bagno per un bisogno fisiologico impellente o per cambiare il Tampax (un'insegnante può dire "Tampax" o deve dare l'idea del robot asessuato?). Non esistono necessità fisiologiche da assecondare: l'insegnante non può abbandonare la classe per cose così frivole come andare alla toilette. Un tempo si contava sui collaboratori, ma con i tagli inferti anche a quella categoria dobbiamo imparare a trattenere all'inverosimile.
E la qualità della didattica? La personalizzazione dei percorsi?
Ah però c'è lo spauracchio della valutazione Invalsi. Dobbiamo lavorare in funzione di quello... quindi quelle 24 ore settimanali le dedicheremo soltanto all'addestramento Invalsi, per avere capra e cavoli?
Sono stata farraginosa e incompleta, ma dovevo sfogarmi ed esprimere il mio punto di vista di insegnante appassionata prima di entrare a scuola. Perché oggi, a scuola, entro alle 10, con buona pace di chi odia la mia categoria.
FONTE: Una lavagnata al giorno

Oilproject

Oilproject è una scuola gratuita online gestita da studenti. Migliaia di video, testi ed esercizi sulle materie più disparate.
Chiunque può proporre contenuti. Il sogno è che entro dieci anni tutte le lezioni tenute nelle scuole e nelle università pubbliche vengano condivise online a beneficio, ad esempio, di chi vive in zone con una scarsa offerta didattica, combattendo così il digital divide culturale italiano. La qualità delle lezioni è giudicata dal pubblico attraverso votazioni e meccanismi di valutazione fra pari.
Oilproject, con più di 250.000 italiani che nell'ultimo anno hanno guardato almeno una lezione, è la più grande scuola online in Italia.

Il manifesto

La scuola che sogniamo noi non costa nulla.
Puoi entrarci sia da Torino, sia da Enna. Anche alle tre del mattino.
È una scuola che corre alla tua velocità perché sei tu a decidere di cosa parlare. A rispondere alle domande non sono solo i docenti, ma anche i compagni di banco.
Nella scuola che abbiamo in mente noi non contano i titoli di studio: chiunque può insegnare se in tanti lo vogliono ascoltare.
La nostra scuola è una condizione mentale. È una creatura in divenire.
La nostra scuola è di tutti.

La comunità

Nel 2004 un gruppo di ragazzi si incontra in un forum online di tecnologia. Ad uno mancano i soldi per iscriversi a un corso di programmazione in una scuola milanese, un altro non vede l'ora di insegnare a usare programmi di fotoritocco, un terzo è esperto di sistemi Linux, l'ultimo crea siti web. E allora decidono di farsi da soli una scuola non convenzionale in cui ognuno, semplicemente, può raccontare quello che sa a chi lo vuol star ad ascoltare.
La comunità è composta da migliaia di utenti di tutte le età decisi a condividere le proprie conoscenze e imparare dalle esperienze altrui sfruttando le tecnologie più dinamiche. I docenti di una lezione sono anche gli studenti di un'altra: non c'è netta distinzione tra chi insegna e chi impara. Chiunque può rivolgere domande in diretta web e votare quelle altrui.
Oggi gli insegnanti hanno dai 14 ai 75 anni. A volte sono perfetti sconosciuti, a volte sono intellettuali, imprenditori, esponenti politici, scrittori o scienziati. Tutti uniti per sperimentare la formula del Liberi di imparare, liberi di insegnare.
Ed è con questo spirito che ogni sera centinaia di utenti accedono alle lezioni, si scambiano dritte e consigli, scherzano, imparano ed a volte vengono richiamati all'ordine se troppo esuberanti.

30/09/12

28mila scuole in zone a rischio sismico


In Italia 27.920 edifici scolastici sono in aree potenzialmente a elevato rischio sismico. L’allarme arriva dal Consiglio nazionale dei geologi, Cng, che cita i risultati del recente studio condotto dal proprio centro studi su dati Cresme, Istat e Protezione Civile.
Ben 4.856 tra questi istituti si trovano in Sicilia, 4.608 in Campania, 3.130 in Calabria, 2.864 in Toscana e 2.521 nel Lazio. Per quanto concerne il rischio idrogeologico, cambia la graduatoria: gli edifici in aree “a rischio potenziale elevato” sono 6.122 totali, di cui 994 in Campania (il 19% del totale), 815 in Emilia Romagna (18%) e 629 in Lombardia (16%). Inoltre, come si evince anche da un rapporto di Legambiente, “molte di queste scuole sono state costruite prima del 1974, anno in cui sono entrate in vigore le norme antisismiche, e addirittura alcuni edifici sono stati costruiti prima del 1900”, afferma Gian Vito Graziano, presidente dei geologi italiani.
“Molti edifici scolastici necessiterebbero di manutenzione urgente - avverte Graziano - , e in particolare il sud e le isole hanno un patrimonio edilizio scolastico vecchio. In alcuni casi abbiamo edifici che inizialmente erano nati come abitazioni o come caserme e quasi una scuola su due non ha il certificato di agibilità. Oggi rileviamo una accresciuta attenzione nei confronti della sicurezza delle scuole, anche da parte del governo nazionale, che si sta sforzando di reperire le somme necessarie agli interventi, ma occorre anche un approccio programmato che modifichi il quadro complessivo”.
Fonte: http://www.comunivirtuosi.org