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29/03/18

I Tomasello [10]


Nino accuminciao a pinsari a quanto potevano valere quei voti e alla machina nova ca ci sivveva e alle spese di casa. Insomma a tutto quello che ci faceva comodo. Era accussì preso da questi pensieri che non si accorse delluomo che si era avvicinato a lui. Sulla sessantina. Giaccia e cravatta. Un filo di pilu a coprire il mento e sopra le labbra.  Il corpo senza un filo di panza e mani dilicati di signorina. Proprio una persona distinta. Ora era davanti a lui che ci pruieva la mano per presentarsi.
“Il signor Tomasello?” ci chiese mentre Nino sentì che la mano stringeva forte la sua.
“Sì sono io” Ciarrispunniu. Aveva usato lo stesso timbro di voce che ci nisceva fora quannu  u firmavunu i vigili o i carabbineri. Sarà stato laspetto di quella persona o lessere ancora nsavanuto dai conti che si stava facendo in testa. Insomma era stata comunque una cosa strana. Che poi però era più forte di lui. Ogni vota che era successo di essere fermato Nino non si era mai trovato bene che con tutta la buona volontà e la correttezza che aveva ncoddu non si fidava di quelle divise. Di quegli uomini. Di quello stato.
“Sono il dottor Mirabella. Ludovico Mirabella. Non volevo disturbarla ma lho vista qui e allora ho pensato quale momento meglio di questo...”
Nino continuava a guardarlo stralunato.
“Sì insomma volevo anzi dovevo venirla a trovare a casa. Lo avrei fatto di sicuro oggi… del resto se non oggi quando?”
Fici una piccola risata come a cercare una risposta dintesa dallaltra parte ma Nino era sempre più pigghiatu dai turchi. Insomma non capiva proprio cu iera e chi vuleva quel personaggio.

Fonte immagine: Antonio Berni

27/03/18

I Tomasello [9]


Un ultimo abbraccio nvasuni ai parenti ed erano già nella strada. Nino camminava muto mentre laltro sembrava trotterellare contento come una palla acculurata nelle mani di un carusiddu. Si salutanu al bar e fu solo allora che Nino pariu arrusbigghiarisi.
Decise di non tornare subito a casa. Aveva bisogno di pinsari.
Ora cera questo fatto che tutti nel quartiere lo sapevano come vutava lui e la sua famigghia e allora mai nessuno ci aveva fatto storie. Certo qualche tentativo. Qualche battuta. Ma mai nenti di pesante. Di insistente. Cera qualcosa che non quadrava.
Nino si ritrovò a passare davanti alla scuola. Sarrattau tannicchia a testa. Si isau i pantaloni. Tirau il ciato come per fare qualcosa di importante e poi entrò senza  sapiri mancu il perché.
Si fermò davanti al primo seggio aperto. Cera poca gente. Ormai cu vineva a vutari lo faceva solo per tradizione o per un favore da fare o da ricevere. Macari iddu faceva accussì anche se so soggira ogni vota prima dellappuntamento ci inchieva la testa con le storie di so maritu o di quello che ascutava alla televisione. Giusto una simana prima e una simana dopo avere misu a cruci nella scheda. Poi tutto lentamente tornava nella normalità.
Nino si misi a taliari i cartelli con tutti i nomi e i partiti. Sautò quelli senza speranza e quelli che invece la speranza non riuscivano più a darla e si fermò sui nomi più importanti.
Lonorevole Cummino aveva cangiato unaltra volta bannera ma la cosa ridicola era che Carlo Fumagallo quello che era stato sconfitto la vota prima ora aveva preso il posto che aveva lasciato Cummino nel vecchio partito. Nino si ricordò allimprovviso di quelle due vecchie settimane. Cera stata qualche ammazzatina in quel periodo a fare da aperitivo alle feste prima delle solite cene a sbafo per gli elettori. Improvvisamente era come se fossero tornati a girare i soddi come ai bei tempi e anche le facce che furiavano a caccia di voti parevano chiù tunni e meglio predisposte a pavari. Donna Nunzia gli aveva spiegato che stavano arrivannu i finanziamenti per aggiustare la città. Che cera di menzu leuropa e tutti ci vulevano azziccare la forchetta in quella portata.
Cummino aveva vinto per una ventina di voti e cerano stati ricorsi e denunce e carte ai tribunali ma alla fine sempre lui era stato eletto. Ecco se le cose stavano nello stesso modo ogni voto improvvisamente era di nuovo importante e allora macari i so cincu potevano fare la differenza.

Fonte immagine: Antonio Berni, La mayoría silenciosa,1972

25/03/18

I Tomasello [8]


"Comu stai?" ci chiese "Chiffai ora? Unni stai?"
Calò lo guardò tutto affettuoso però sembrava non avere voglia di rispondere a quelle domande accussì semplici.
“Non ti preoccupare Nino. Ni parramu dopo. Ora però ti devo chiedere una cosa che il tempo è picca..."
"Dimmi dimmi"
" Insomma tu lo conosci lonorevole Cummino vero? E certo che lo conosci. U canusciunu tutti nel quartiere. Insomma lonorevole ha bisogno di noi"
Nino per un attimo ciaveva sperato che non era questa la minchiata che gli dovevano chiedere ma lo sapeva dallinizio che sarebbe stata una speranza fallita.
"E tu mi fai veniri cà picchistu? Pidda cosa tinta? U sai ca sarrubbau tutti i soddi de casi popolari quel disgraziato?"
"Sono accuse false zio. Ci penserà il tribunale a quelle. Quando sarà il momento. Ora però non è importante questa storia. Che qui tutti ci dobbiamo qualcosa a quelluomo"
"Iu no" Era stato siccu Nino che con quelle parole sperava di finire la discussione.
"Evvabbene tu no. Ma tutti lautri sì! Macari iu zio che se non acchiana iddu torno di cussa o cacciri"
"Ecchiè Dio? Calò tu usai come la penso io e come la pensa tua zia e sua madre macari"
"Eccerto. Ancora a sugnari la rivoluzione. E a bannera macari"
"La giustizia Calò. La giustizia. Che almenu chidda fussi ura"
"Giustizia, giustizia... macchiè a giustizia zio? A giustizia e travagghiari comu nmulu sulu pi mangiari e pavari u mutuo comu fai tu? E fari a fila o spitali comu faceva a nanna? E viriri quanto è bello u munnu na televisioni comu faceva iu o collegio? A giustizia è quella ca ni facemu zio. E se tu non ta voi fari ma fazzu iu a modo mio"
" Tu si cunfusu Calò! E insomma vuoi che lo votiamo..."
"Sono cinque voti zio. E la libertà per me. E un posto di travagghiu per una delle tue figghie. Dove vuoi tu che questi sono i patti"
"Al comune?"
"No comuni"
"A scola?"
"Na scola. Unni voi tu. Ci pensu iu a parrari collonorevole."
"Mah! Ora minnipozzu iri?" Nino era proprio stanco.
"E certo che puoi. Non è che ti abbiamo sequestrato. Vero Iano?"
Quello se nera stato tutto il tempo distante dai due. Assittato dietro a un tavolino aveva accuminciato a puliziarisi lugna delle mani e dei peri con un coltellino che aveva nella sacchetta. Sembrava non pinsari a nenti e anche non sentire e vedere nenti. Sarrusbiggliao solo quando lo nomino Calogero per accalarici la testa.
"E certo che è così. Chissemu rapitori?"
Iano accuminciao a ridere come se avesse fatto una battuta fantastica. Accussì forte che a un certo punto ci mancau macari u ciato.
"Amuninni Nino. Amuninni" riuscì però a dire.

Fonte immagine: Antonio Berni, Juanito Laguna

21/03/18

I Tomasello [7]


Ad accoglierli cera Calogero Previtera. Nino ci mise un pezzo a riconoscerlo che lultima volta che laveva visto era stato dieci anni prima. Poi cera stata una ammazzatina e il processo che tutti ne avevano parlato che lomicida era ancora un carusiddu: Calogero Privitera appunto.
Ora sera fatto i spaddi larghi e un filo di barba ci copriva una cicatrice nella facci. Forse un ricordo del collegio dove era stato.
“Nino, Nino! Sugnu cuntento ca vinisti”
“Te lavevo detto che lo portavo” ci disse Iano guardandoli un poco in disparte.
“Bravo Iano. Sugnu proprio cuntento”
Calogero si avvicinò per abbracciarlo ma Nino era rigido come a un baccalaro e continuava a non dire parola. Così fu quello a parlare:
“Sei sorpreso di vedermi vero? Ma to cucinu ciarrinisciu a nesciri. Non cià faceva chiù Nino da intra. Nove anni a fari a muffa. Mabbastanu”
Lo guardava in attesa di un gesto di una frase ma Nino non ci puteva dare conto che stava ripassando tutto il filmino nella testa: di quando Calò era nicu e lui lo passiava per farlo addummisciri. Del picciriddo vestito di picaciù che gli riempiva le tasche della giacca di coriandoli per sghezzo. Della paura che aveva dei mostri del cinema. Delle immagini al telegiornale di quel ragazzino tuttu spacchiusu che stava in menzu ai carabbineri mentre quelli lo portavano o friscu.
Aveva tagghiuliatu a uno ca taliava a so carusa. Nove anni pi na taliata. Proprio un bello scambio. Ora era lì che nessuno lo sapeva cava nisciutu. O almeno a lui  i parenti di certo non ciavevano detto nenti di quella novità.
Improvvisamente u filmi finiu e a Nino ci vinnunu i lacrimi e u pigghiau quellabbraccio che gli era stato offerto e le sue razza abbracciarono di nuovo a quel picciriddu senza testa.

Fonte immagine: Antonio Berni, Team de futbol o Campeones de barrio, 1954

19/03/18

I Tomasello [6]


Ora cè da dire ca Nino è una brava persona. Un cristiano bonu. Lui non ce la farebbe a fare una malaparte a qualcuno. Macari che questo qualcuno è uno che tutti lo sanno che cerca di fotterlo sempre al prossimo. Uno come a Iano insomma. Nino in queste occasioni preferisce sparire. Non farsi trovare. Diventare invisibile. Quella volta invece quello laveva fregato che allora lui mai ci sarebbe passato dal bar.
I due niscirinu sulla strada. Iano pareva tutto contento. Fatti pochi passi sunau a una fila di campanelli e trasirunu in un portone di quelli antichi.
Il palazzo era stato rifatto e il cortile interno era divintato strittu e scurusu dombra. Un tempo ci doveva essere stato un giardino in quel posto e ora invece apparivano a una decina di metri i balconi di un palazzo di quelli moderni. Di quelli fatti in fretta di notte o scuru. Un pugno in un occhio insomma.
Della vecchia gloria di quel cimelio cerano rimaste però le due grandi scale. Una a destra e una a sinistra. Con i gradini tutti manciati dal tempo e il marmo delle statue dingresso a inchiri locchi.
“Arrivamu” ci disse Iano fatta la prima rampa di scale. Erano davanti a una porta nicuzza.
“Sarà stata la casa del purtinaro” pensò Nino preparandosi a entrare.

Fonte immagine: Antonio Berni, La siesta y su sueño, 1932

18/03/18

I Tomasello [5]


Iano si alzò dal tavolo e si avvicinò a Nino. Era curtu. Con una panza che chiedeva solo di respirare dentro ai ginsi stretti. Epperò nellaspetto totale poteva anche risultare simpatico. Forse a causa del suo sorriso o dei baffi che parevano avere una vita tutta loro sopra alla sua facci.
“Sei già pronto?”
“Pronto per cosa?”
“Come per cosa? Non ci vai a vutari?”
“E certo che ci vado”
“Ecco di chistu ti vuleva parrari”
Iano portò una mano sopra al braccio di Nino. Era un gesto di amicizia ma quello la canusceva bene la fama del personaggio.
“Senti Iano chivvoi? U sai comu raggiuna a me famigghia”
“Certo. Certo. E ti pari ca no sacciu? Non vogghiu nenti sulu prisintariti una persona. Ciò molto parlato di te. Che sei una brava persona. Che ciai due figghie. Si ficinu ranni vero? Questanno votano anche loro?”
“Si. Tutti rui. È a prima vota”
“Visto? Per questo ho pensato a te. Sarà chiffà il mio amico Nino mi sono detto”
“Giustu ora?”
“E checcè momento Nino per pinsari agli amici? Mi vinni il tuo nome sutta locchi e mi sono ricordato di quando le picciridde giocavano ammuccia ammuccia con le mie nella piazza. Ricordi?”
Nino chiuse locchi e tirò giù il cafè in un solo sorso. La tazzina bruciava. Bruciava anche quel liquido mentre scinneva di cussa fino allo stomaco. Bruciava macari la voglia di tunnarasinni a casa e mannari affanculu a quel personaggio.
“E cu iè questa persona” invece ci scappò da dire
“E un amico Nino. Un amico”


Fonte immagine: Antonio Berni, " La Gallina ciega", 1974

17/03/18

I Tomasello [4]


Il cielo ciaveva nuvuli ianchi e luce macari.
Fino alla giornata prima aveva chiuvuto e alla televisione cera chi aveva fatto i cunti e le scommesse sulla gente che sarebbe andata a votare e su quella che invece sarebbe rimasta a casa con un tempo bonu o un tempo lariu. Nino però aveva cangiato canale che non è che ci interessava tanto questa discussione anche se poi invece di vedere il filmi sera addummisciuto sopra al divano.
Ci capitava sempre più spesso questa cosa. Forse era la panza che ci stava criscenno oppure lanni che aumentavano. Nino però non ce ne aveva di spiegazioni sicure. E poi che importanza aveva? A iddu non ci dispiaceva quella cosa che quannu rummeva nessuno lo disturbava e non doveva fari e preoccuparisi di nenti.

Al bar cera il solito gruppo assittato a iucari a scupa.
“Buongiorno Nino”
“Buongiorno a tutti. Buongiorno Pippo”
Dal tavolo arrivarono solo sguardi curiosi mentre il barista che lo aveva salutato ci chiese:
“Un cafè Nino?”
“Sì sì grazie”
Pippo stava criscennu arreri a quel bancone. Nino lo guardò bene un attimo. Quanti anni erano? Cinque? Sei?
“Pippo da quannu travagghi cà?”
“Iu? Macchiffà u sapevi? Oggi sono otto anni!”
“Mizzica… otto? Pinsava chiù picca”
“No. No. Otto precisi”
“Comu passa u tempu...”
“Acchiffai Nino? Lassalu travagghiari o carusu. Pippo mu fai un cafè macari ammia?”
La voce veniva dal gruppo dei giocatori. Era quella di Iano u minchiataru.


Fonte immagine: Antonio Berni's art installation from 1970's, MALBA exhibition, Buenos Aires, Argentina.

15/03/18

I Tomasello [3]



Donna Nunzia nisciu dalla stanza per andarisi a preparare con laiuto di Margherita e Nino arrivò subito per rimettere le porte alla doccia. Oramai cera abituato. Era il lavoro di un attimo. Una botta e le ante iniziarono a scorrere meglio di prima.
Ora era il turno delle due figghie e la cosa conoscendole sarebbe stata longa. Ancora non erano nisciute dalla loro stanza ma lui lo sapeva che di sicuro erano già sveglie. Così come era sicuro che nel momento stesso in cui si fosse livato le mutanne per trasiri sotto allacqua quelle due scalmanate avrebbero trovato a che dire e a fargli premura e a lamintarisi di non riuscire più a fare in tempo. Accussì Nino mancò ci provò a farla quella scortesia. Si misi una giacca e nisciu per farisi una passiata.

“Staiu tunnannu” ci urlo a Margherita da dietro alla porta della stanza da letto.
“Unni vai? Ta scinni a munnizza?” 

Nino mancu arrispunniu. Pigghiò la busta dal cestino e rapiu la porta per nesciri.

“Ciao Papà”
Era la voce della chiù nica. Ci arrivò all’orecchio come a un ciato profumato e leggero che lui già era quasi fuori.
“Ciao papà” disse di nuovo unaltra voce e a Nino ci finiu di rapirisi lanima e un sorriso contento illuminò le scale mentre lui passava. 

Fonte immagine: Antonio Berni, "Siesta"

14/03/18

I Tomasello [2]


Come era beddu il suo Salvo. Megghiu di Orlando e di Rinaldo. Megghiu degli attori dei film. Megghiu di Modugno macari che non sapeva cantare come a quello.
Lei invece ciaveva una bella voce. Ce lo avevano detto sempre già di carusidda che avessi potuto fare la cantante. Ma Nunzia non cinnaveva pinseri per questi buttanismi. A lei ci nisceva lanima a casa mentre faceva i sivvizza e cantando e lavorando si sinteva felice. Cosa altro serviva?

“Mamma a chi puntu sì?
“Cà sugnu. Ora finii. Fammi rari unultima sciacquata e nesciu”

Quella sua figghia era proprio ‘ncutta. “Ognunu nasci che so peni” pinsò Nunzia e a lei cera toccata quella di avere quellunica erede.
Ma poi il fatto era che a lei proprio non cera andato giù il matrimonio di so figghia con Nino. Per carità! Quello era travagghiaturi e bonu cristiano ma senza nessuna fantasia. Senza curiosità. Senza spittizza. Unni u mittevano stava Nino. E ci putevanu acchianari dincoddu o abballarici davanti lui al mondo ci faceva un sorriso e continuava come a un mulo.
Certo era tutto il contrario di Salvo.
Quante ne aveva visto lei con quella testa calda. Quante volte laveva aspettato pregando di nascosto o Signuruzzu che lui tornasse. Salvo pinsava ca so testa. E potevano essere giusti o sbagliati quei pensieri ma erano i sò e nessuno ce li puteva luvari se non convincendolo veramente. Dimostrandogli che aveva torto. E quello allora che ci riusciva diventava il meglio amico suo che Salvo lo riconosceva sempre il merito degli altri e il coraggio macari.

“Finisti?”
“Finii. Finii. Mu levi stu vastuni da supra a testa?
“Sì Mamma aspetta ca trasu!”

Margherita entrò in quei quattro metri quadrati che sembrava di stare a Milano tanto era la nebbia.

“Ma usasti tutta lacqua caura?”
“E chi avaffari? Pinsavi ca mi piaceva a Siberia?”


Fonte immagine: Antonio Berni, "Ramona espera", 1964, Private collection

13/03/18

I Tomasello


Alla matina della domenica la famigghia Tomasello si susio prestissimo. Era giorno di votazione e allora cera la necessità di una pulizia generale che certo non si potevano presentare nella scuola come a tutti i giorni e poi cera anche che quellanno votavano tutti quelli della casa. Sei supra a sei.
A prima a iri a lavarisi fu a nanna.
Donna Nunzia faceva fatica a trasiri nella iaggia. Era accussì che chiamava il box della doccia. Certo tanto torto non ciaveva. Con letà le gambe reggevano male e la panza era crisciuta così assai che la donna faticava a passari dalle porte di scorrimento. Così ogni volta Nino il capofamigghia smuntava le due ante della doccia e Margherita sua moglie appena la vecchia era entrata ci mitteva una tenda di prastica tenuta da un bastone che accussì lacqua non finiva tutta supra al pavimento che poi si sciddicava.
Donna Nunzia entrò cantando. A lei ci piacevano quelle giornate. Ci ricordavano quando era carusa che sua marito era sempre il primo a presentarisi al seggio.
“Ti raccumannu Nunziatina! U sai dove devi mettere il segno?”
“E certo che lo so. Ogni vota è sempre u stissu”
So maritu la tirava verso di se per stringerla e ci chiantava un vasuni che era come quannu erano ancora ziti. Poi partevano verso la scuola che stavano sempre abbracciati.
A Nunzia tutto sembrava avere una speranza nuova e quella strada in quei giorni era come un tappeto russu verso la libertà e la giustizia.

Fonte immagine: Antonio Berni, "La famiglia del peon"

05/03/18

[condomini] Elezioni


"Semu tutti stiddati! Semu tutti stiddati!"
Alfieddu è cuntentu. Iu u canusciu ca eravamo ancora carusi e lui con il pennarello signava tutti i mura della città con unaltra stella che allora era di moda anche se non si poteva. 
Ni pessumu criscennu che accussì è a vita ma iu ci vogghiu ancora bene comu si po vuliri beni alla propria giovinezza.
Alfieddu ora segue a quelli che di stiddi ne hanno cinque.
Io lho visto che mi sono aperto anche io la pagina supra a feisibuc. E’ stato che ho dovuto cangiare telefono e non so come spuntau il mio nome e io munceva e munceva e no sacciu bonu chi cumminai. Fatto sta ca ci sugnu macari iu e ora a picca a picca stannu spuntannu foto e dame e cavaleri che io mi ero anche dimenticato che esistevano e ogni tanto taliu dentro a quella luce che è comu affacciarisi alla finestra sulu che non si respira aria bona. 
Alfieddu mi pari che è convinto veramente e non cè nha dubbi che quelli porteranno lonestà.  Insomma a farla breve non è cangiato tanto da quannera caruso solo che forse lui non sinnadduna o sulu fa finta di nenti che a vedere il grigio poi uno ciarresta mali.       


Fonte immagine: "Election UK" by Alex Brown Licensed under CC-BY 2.0 Original source via Flickr
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