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28/07/15

Jethro Tull, kebab e mattoni



Michele si è appena svegliato. Giulia ancora dorme accanto a lui. Va a farsi una doccia poi inizia a preparare del caffè. Giulia lo raggiunge poco dopo, gli dà una pacca sul culo e prende il suo posto nella doccia. Michele spegne la fiamma e la raggiunge. Riescono a fare l’amore in uno spazio piccolissimo. Lei poggiata con le mani sul muro, il viso a premere sulle piastrelle grigie. Lui le è dietro. Le afferra e stringe i fianchi fino a farle male, spinge dentro lei fino a sentirle la fica pulsare, fino a venire anche lui.
Decidono di fare colazione fuori casa. Giulia riprende la busta con le sue cose, la stessa che non aveva mai svuotato, Michele propone un bar del centro, uno di quelli fuori dalla sua lista. Lungo il tragitto chiacchierano come non accadeva loro da tempo. Nessun accenno alla loro storia, alla notte precedente.
Michele lo vede mentre stanno per ripartire dopo una breve sosta a un semaforo. Quello ha ripreso i suoi tic. Questa volta continua a grattarsi la parte interna del gomito sinistro. A volte, con le braccia a incrociarsi, da piccole pacche con le mani sulle scapole per poi riprendere a grattarsi.
“È lì, eccolo! Lo vedi?”
Michele indica l’uomo a Giulia, ma lei è già ripartita.
“Chi era?” gli chiede lei.
“Lo gnomo. Era lui!” risponde Michele.
“Non mi hai ancora raccontato nulla…” gli fa notare Giulia.
Michele non ha però più voglia di parlarne. Approfitta di un buco tra due auto per invitare la donna a posteggiare e per cambiare argomento. Lei fa finta di non accorgersi della sua mossa e sorride.
“Però, che fortuna! Hai delle monete per il parchimetro?” gli dice.
Michele cerca in tasca. Estrae l’incarto di una caramella all’anice, un biglietto da visita illeggibile e due monete da cinquanta centesimi.
“Basteranno?” chiede lei
“Credo di sì” risponde Michele e nel frattempo si guarda attorno sperando di rivedere quello strano personaggio.
Si siedono all’ombra. I tavoli danno la possibilità di sbirciare il viavai della gente senza avere attorno l’ingombro di nessun mezzo che non sia una bici o una carrozzina. Ordinano due cornetti e due caffè e attendono chiacchierando. Giulia gli racconta di una nuova libreria inaugurata lì vicino. Lei c’è andata con Graziana e altre due amiche.
“Ha una grande sala di lettura che viene utilizzata per presentare anche gli autori –racconta- però mi domando con quale coraggio abbiano speso tutti quei soldi”
Michele tira fuori uno “Già!” di assenso, ma continua a essere distratto.
Lei continua a parlargli di autori sconosciuti, di piccole case editrici, di gare di poesia. A sentirla si sbaglierebbe quasi sicuramente a scommettere sul suo lavoro, ma lei è fatta così e Michele è questo che di lei ama. Il suo sorprenderti, la sua curiosità.
Quando ritornano verso l’auto lui decide di non salire. Le dà un piccolo bacio sulla spalla e la saluta prima di incamminarsi verso il Duomo. Lei lo guarda sparire e poi parte.
Michele si infila in una stradina tortuosa e acciottolata. In un centinaio di metri in susseguono vecchi palazzi senza ordine.  La facciata di alcuni è parzialmente scrostata, altri hanno gli intonaci più bassi che hanno perso il colore originario degradato a un grigio indistinto. Eppure ancora basta fermarsi e osservare. Il giallo, il mattone, il rosa, l’arancio, il rosso sono declinati in sfumature mai uguali e la luce filtra a giocare con gli scuri e i colori donando ombre ogni istante diverse.
“Hai fatto bene” gli sussurra qualcuno alle spalle.
“Io…”
“Sì! Tu non sei fatto per lottare, Michele. Nessuno lo è, ma tu ancora di più”
“Non ti capisco” Michele sa di chi è quella voce, ma non vuole voltarsi per controllare. Non vuole fermarsi. 
“Hai mai ascoltato il tuo corpo? Hai mai rifiutato di fare quello che ti chiedeva? Hai mai provato a disubbidirgli? A disubbidire al tuo istinto?”
“Io credo che tu non esista”
“Può anche essere così, Michele. Però prova a pensare a quello che ti ho detto”
“Non riesco a seguirle le tue parole! Non riesco a seguire te”
“Magari uno di questi giorni potremmo sederci, parlare tranquillamente…”
“Perché? Perché dovremmo farlo?”
“Così. Se ne avrai voglia. Potremmo invitare anche quel ragazzo…”
“Chi?”
Il vecchio gnomo è sparito. Michele lo sa, ma non si gira per controllare. Percorre ancora un tratto di strada poi il sole lo sfianca. Si ferma ad attendere un autobus per tornare a casa.  Alle sue spalle un piccolo locale arabo resiste all’afa e alla mancanza di clienti. Decide di acquistare un kebab da portare con sé e allora entra, attende paziente di essere servito, il taglio delle strisce sottili, l’aggiunta delle verdure, delle salse. Paga ed esce. Il proprietario lo guarda soddisfatto e dopo ritorna a fissare lo schermo della televisione appesa al soffitto. Appena il cliente era entrato aveva tolto l’audio ora lo rimette e torna a seguire attento la telenovela brasiliana doppiata in arabo. 
La casa lo attende silenziosa e ordinata. Michele non si era accorto del lavoro fatto da Giulia. Si mette in mutande, apre il kebab ancora caldo, estrae una birra dal frigo e inizia a mangiare. Poggiando tutto su un vassoio si sposta ai piedi del divano e mette Thick as a brick dei Jethro Tull.  È a meta del disco quando squilla il telefono. Non ha voglia di parlare con Gilda e Giulia sicuramente a quell’ora starà facendo altro. Resiste fino al quinto squillo poi risponde:
“Pronto?”
“Pronto dottore? Qui è la Tecnoassi. Sono la dottoressa Giselle, ricorda?”
“Sì, certo, certo. Mi dica”
“Lei non si è presentato al nostro invito”
“Beh sì. Ricorda? Le avevo già detto che io...”
“Non si preoccupi dottore. Non è un problema. Le telefono per invitarla nuovamente per la prossima settimana...”
“Io...”
“Non può? Il suo nome è stato suggerito da una persona di una certa importanza per la nostra ditta…”
“Suggerito? Il mio nome?”
“Sì dottore. Crede di essere libero la prossima settimana?”
“Sì, credo di sì”
“Bene! Le telefonerò di nuovo allora… lunedì prossimo?”
“Va bene”
“A lunedì allora!”
“A lunedì”
“Mi scusi… dimenticavo. Lei ha un auto?”
“No. Non ho neanche la patente a dire il vero”
“Va bene. Provvederemo noi, allora”
“Provvederete a cosa?”
“La saluto dottore. A lunedì”
Michele non sa cosa pensare, prende un’altra birra e si sdraia, lascia che il disco finisca e si addormenta.



«Really don't mind if you sit this one out.
My words but a whisper - your deafness a SHOUT.
I may make you feel but I can't make you think.
Your sperm's in the gutter - your love's in the sink.
So you ride yourselves over the fields and
you make all your animal deals and
your wise men don't know how it feels to be thick as a brick.
And the sand-castle virtues are all swept away in
the tidal destruction
the moral melee.
The elastic retreat rings the close of play as the last wave uncovers
the newfangled way.
But your new shoes are worn at the heels and
your suntan does rapidly peel and
your wise men don't know how it feels to be thick as a brick. And the love that I feel is so far away:
I'm a bad dream that I just had today - and you
shake your head and
say it's a shame.
Spin me back down the years and the days of my youth.
Draw the lace and black curtains and shut out the whole truth.
Spin me down the long ages: let them sing the song.
See there!  A son is born - and we pronounce him fit to fight.
There are black-heads on his shoulders, and he pees himself in the night.
We'll
make a man of him
put him to trade
teach him
to play Monopoly and
to sing in the rain.
The Poet and the painter casting shadows on the water
as the sun plays on the infantry returning from the sea.
The do-er and the thinker: no allowance for the other
as the failing light illuminates the mercenary's creed.
The home fire burning: the kettle almost boiling
but the master of the house is far away.
The horses stamping - their warm breath clouding
in the sharp and frosty morning of the day.
And the poet lifts his pen while the soldier sheaths his sword.
And the youngest of the family is moving with authority.
Building castles by the sea, he dares the tardy tide to wash them all aside.
The cattle quietly grazing at the grass down by the river
where the swelling mountain water moves onward to the sea:
the builder of the castles renews the age-old purpose
and contemplates the milking girl whose offer is his need.
The young men of the household have
all gone into service and
are not to be expected for a year.
The innocent young master - thoughts moving ever faster
has formed the plan to change the man he seems.
And the poet sheaths his pen while the soldier lifts his sword.
And the oldest of the family is moving with authority.
Coming from across the sea, he challenges the son who puts him to the run.
What do you do when
the old man's gone - do you want to be him?  And
your real self sings the song.
Do you want to free him?
No one to help you get up steam
and the whirlpool turns you `way off-beam.
LATER.
I've come down from the upper class to mend your rotten ways.
My father was a man-of-power whom everyone obeyed.
So come on all you criminals!
I've got to put you straight just like I did with my old man
twenty years too late.
Your bread and water's going cold.
Your hair is too short and neat.
I'll judge you all and make damn sure that no-one judges me.
You curl your toes in fun as you smile at everyone - you meet the stares.
You're unaware that your doings aren't done.
And you laugh most ruthlessly as you tell us what not to be.
But how are we supposed to see where we should run?
I see you shuffle in the courtroom with
your rings upon your fingers and
your downy little sidies and
your silver-buckle shoes.
Playing at the hard case, you follow the example of the comic-paper idol
who lets you bend the rules.
So!
Come on ye childhood heroes!
Won't you rise up from the pages of your comic-books
your super crooks
and show us all the way.
Well!  Make your will and testament. Won't you?
Join your local government.
We'll have Superman for president
let Robin save the day.
You put your bet on number one and it comes up every time.
The other kids have all backed down and they put you first in line.
And so you finally ask yourself just how big you are
and take your place in a wiser world of bigger motor cars.
And you wonder who to call on.
So!  Where the hell was Biggles when you needed him last Saturday?
And where were all the sportsmen who always pulled you though?
They're all resting down in Cornwall
writing up their memoirs for a paper-back edition
of the Boy Scout Manual.
LATER.
See there!  A man born - and we pronounce him fit for peace.
There's a load lifted from his shoulders with the discovery of his disease.
We'll
take the child from him
put it to the test
teach it
to be a wise man
how to fool the rest.
QUOTE
We will be geared to the average rather than the exceptional
God is an overwhelming responsibility
we walked through the maternity ward and saw 218 babies wearing nylons
cats are on the upgrade
upgrade?  Hipgrave.  Oh, Mac.
LATER
In the clear white circles of morning wonder,
I take my place with the lord of the hills.
And the blue-eyed soldiers stand slightly discoloured (in neat little rows)
sporting canvas frills.
With their jock-straps pinching, they slouch to attention,
while queueing for sarnies at the office canteen.
Saying -- how's your granny and
good old Ernie: he coughed up a tenner on a premium bond win.
The legends (worded in the ancient tribal hymn) lie cradled
in the seagull's call.
And all the promises they made are ground beneath the sadist's fall.
The poet and the wise man stand behind the gun,
and signal for the crack of dawn.
Light the sun.
Do you believe in the day?  Do you?
Believe in the day!  The Dawn Creation of the Kings has begun.
Soft Venus (lonely maiden) brings the ageless one.
Do you believe in the day?
The fading hero has returned to the night - and fully pregnant with the day,
wise men endorse the poet's sight.
Do you believe in the day?  Do you?  Believe in the day!
Let me tell you the tales of your life of
your love and the cut of the knife
the tireless oppression
the wisdom instilled
the desire to kill or be killed.
Let me sing of the losers who lie in the street as the last bus goes by.
The pavements ar empty: the gutters run red - while the fool
toasts his god in the sky.
So come all ye young men who are building castles!
Kindly state the time of the year and join your voices in a hellish chorus.
Mark the precise nature of your fear.
Let me help you pick up your dead as the sins of the father are fed
with
the blood of the fools and
the thoughts of the wise and
from the pan under your bed.
Let me make you a present of song as
the wise man breaks wind and is gone while
the fool with the hour-glass is cooking his goose and
the nursery rhyme winds along.
So!  Come all ye young men who are building castles!
Kindly state the time of the year and join your voices in a hellish chorus.
Mark the precise nature of your fear.
See!  The summer lightning casts its bolts upon you
and the hour of judgement draweth near.
Would you be
the fool stood in his suit of armour or
the wiser man who rushes clear.
So!  Come on ye childhood heroes!
Won't your rise up from the pages of your comic-books
your super-crooks and
show us all the way.
Well!  Make your will and testament.
Won't you?  Join your local government.
We'll have Superman for president
let Robin save the day.
So!  Where the hell was Biggles when you needed him last Saturday?
And where were all the sportsmen who always pulled you through?
They're all resting down in Cornwall - writing up their memoirs
for a paper-back edition of the Boy Scout Manual.
OF COURSE
So you ride yourselves over the fields and
you make all your animal deals and
your wise men don't know how it feels to be thick as a brick.» 

27/07/15

White Stripes, brezze e distorsioni


“Sei stata velocissima”
“Non ci voleva molto in auto”
“Vuoi che salga o vieni qui?”
“No, no. Scendo”
Giulia lascia l’automobile accostata al marciapiede e si siede sulla panchina poggiando le proprie spalle a quelle di Michele.
“Scusa, non so cosa mi sia successo. Mi dispiace aver pianto”
“Sei confusa”
“Sì. Sono confusa”
“Capita. Se vuoi non se ne fa nulla. Cioè continuiamo così, non è detto che…”
“Sì, credo sia meglio. Sei stato con un’altra donna?”
“No. Credo di no”
“Che significa?”
Michele racconta di Gilda e del locale e del sogno del bagno e cerca di essere sincero. Anche se poi non descrive proprio tutto e quello che dice non lo sa neanche lui se poi è stato reale o meno. 
“Questa Gilda…”
“Sì?”
“Beh ha telefonato oggi, ti cercava. Quando le ho chiesto se avessi dovuto dirti qualcosa ha risposto che si sarebbe fatta sentire lei”
“Non mi ha chiamato”
“Ti dispiace?”
“No, ma non ha importanza”
“Cosa?”
“Il fatto in se”
“Io non voglio essere gelosa, Michele. Non ci sono abituata. E’ qualcosa che non vivo come mio, ecco”
 Guardano entrambi davanti a sé come se parlassero da soli. A tratti una leggera brezza sposta un po’ più in là una parola, una frase, e allora devono inseguirla o inventarla, costruirla con il cuore. Quando si rialzano Giulia lo riaccompagna a casa.
“Rimani qui? – le chiede Michele - È tardi, tornerai domani da Graziana se vuoi”
Giulia ci pensa un attimo, poi esce dall’auto e decide che sì, è proprio tardi per svegliare l’amica.
A casa Michele stappa due Moretti e ne dà una a Giulia, poi fa partire una versione lunghissima di  Ball and biscuit dei White Stripes. I due si sdraiano sul letto così come sono. La testa sul cuscino ripiegato. La bottiglia che viaggia tra le labbra e il pavimento. Tra un assolo di chitarra e la voce di Jack White. Alla fine rimangono in silenzio fissando il piccolo stereo come se si attendessero altro ma nessuno dei due avesse la voglia o la forza di alzarsi per rendere vero quel desiderio. Michele pigia l’interruttore e la stanza piomba nel buio, solo un puntino rosso davanti a loro. 


«It's quite possible that I'm your third man girl
But it's a fact that I'm the seventh son
It's quite possible that I'm your third man girl
But it's a fact that I'm the seventh son
And right now you could care less about me
But soon enough you will care, by the time I'm done

Let's have a ball and a biscuit sugar
And take our sweet little time about it
Let's have a ball girl
And take our sweet little
Tell everybody in the place to just get out
And we'll get clean together
And I'll find me a soap box where I can shout it
Yeah

Read it in the newspaper
Ask your girlfriends and see if they know
Read it in the newspaper
Ask your girlfriends and see if they know
That my strength is ten fold girl
I'll let you see if you want to before you go

Let's have a ball and a biscuit sugar
And take our sweet little time about it
Let's have a ball
And take our sweet little time about it
Tell everybody in the place to just get out
And we'll get clean together
And I'll find my a soap box where I can shout it
And I can think of one or two things to say
About it
Alright, listen

Alright, you get the put now

It's quite possible that I'm your third man girl
But it's a fact that I'm the seventh son
It was the other two which made me your third
But it was my mother who made me the seventh son
And right now you could care less about me
But soon enough you will care by the time I'm done»     

26/07/15

Dylan, mosche e auto



La stanza ridiventa silenziosa. Non si sono mossi. Giulia si è addormentata e Michele è rimasto a guardarla. Quando si alza si muove piano per non svegliarla, si avvicina alla finestra e tenta di respirare. Qualcosa lo blocca provocandogli brevi respiri affannosi che lui tenta malamente di controllare.
Era stata una serata tranquilla al lavoro. Un bar di quelli periferici. Poca gente e poco da segnare. Tutto era proceduto velocemente e lui non aveva pensato ad altro che alla sua voglia di tornare a casa. Ora quel discorso lo aveva colto impreparato. Michele guarda giù. Non c’è molto da vedere, le auto parcheggiate i lampioni. A volte uno di loro segnala il suo malumore lampeggiando stancamente, oggi però sono tutti accesi, vivi.
“Credo sia colpa della mia mediocrità - pensa Michele - ma del resto come non esserlo? Forse è solo una questione di sogni, oppure di ciò che si è vissuto. Insomma se io non apprezzassi questo mio modo di essere potrei dire di esserlo? O la inconsapevolezza libera dalla colpa? Magari è solo la voglia di lottare, di incazzarsi o il credersi liberi, liberi, già, liberi. Ma che cazzo significa? Anche se potessi fare qualsiasi cosa di cui abbia voglia io sarei libero? Saremmo liberi? Forse l’unica libertà che ci sarebbe concessa sarebbe quella di aggiungere un gesto, una lieve torsione del polso, una piccola smorfia o un graffio. Tutto è già stato detto, fatto… lì su quel filo di cui siamo temporaneamente capo. Cazzo Giulia perché non provi solo a vivere? Perché semplicemente non accetti che l’acqua scorra?”
Una mosca rimasta intrappolata dentro la stanza inizia a poggiarsi sul braccio, sulla guancia, a ronzargli vicino. Michele pensa al movimento delle ali di quell’essere, alla sua rapida contrazione del torace. Con un gesto improvviso la schiaccia. Sul vetro e sulle dita una striscia di qualcosa che sembrerebbe sangue anche se tale è impossibile che sia.
Michele pulisce con un fazzoletto, poi si lava le mani e si siede leggero accanto a Giulia. Con la mano le scosta i capelli. Non può evitare di darle una piccola carezza passando le dita sul contorno del suo viso fino al mento fino alle labbra su cui posa prima l’indice e poi, quasi solo sfiorandole, le sue.
Si alza, beve un’altra birra ed esce di casa. Vuole solo tornare a respirare, camminare. Le strade si susseguono uguali. Tutto il quartiere è frutto dello stesso piano edilizio: palazzi e strade squadrate, alberi rinsecchiti o mal potati ai bordi delle vie più larghe, piscio e merda a segnalare vite non umane. Michele ha le mani in tasca. Guarda le automobili parcheggiate e inizia a suddividere i modelli per poi numerarli per produttore. Continua così fino al terzo incrocio quindi smette. Succede appena si accorge di non riuscire più a tenere il conto, che inizia a confondere i numeri.
Da lontano vede avvicinarsi a lui il ragazzino dell’autobus. Ha sempre le cuffie e gli stessi abiti delle altre volte. Si guardano incrociandosi.
“Ciao!” gli dice Michele.
“Ciao” risponde il ragazzo fermandosi perplesso.
“L’autobus… ricordi?” fa Michele.
“Ah” smozzica l’altro prima di girarsi e continuare a camminare.
“Senti…”
Il ragazzo si ferma di nuovo, ma non si volta.
“…vai verso casa?” chi chiede Michele.
Ora il ragazzo si gira, gesticola.
“Che cazzo te ne frega?”
“Nulla! Hai ragione, scusa”
“No, comunque” aggiunge, di nuovo calmo il ragazzo, riprendendo a camminare.
Michele lo segue con lo sguardo fin quando fatica a non confonderlo tra i chiaroscuri dei lampioni. Non sa proprio perché l’abbia fermato, forse aveva solo bisogno di parlare. Con un ragazzino pero!  Deve essere proprio messo male!
Riprende a camminare fino a quando non trova dove sedersi. Guarda le poche macchine passare, le segue con gli occhi, cerca di immaginare quante persone ci siano dentro, dove siano dirette.
“Pronto”
“Dove sei?”
“Fuori”
“Lo so che sei fuori, dove?”
“Su una panchina. Non so come si chiami questa strada. C’è uno slargo con una targa dedicata ai ferrovieri”
“Ah! Credo di sapere dove sia. Arrivo!”
“Va bene”
Giulia chiude la conversazione, Michele prova a fischiettare Duquesne whistle.


«Listen to that Duquesne whistle blowing
Blowing like it’s gonna sweep my world away
I’m gonna stop in Carbondale and keep on going
That Duquesne train gonna ride me night and day
You say I’m a gambler, you say I’m a pimp
But I ain’t neither one
Listen to that Duquesne whistle blowing
Sounding like it’s on a final move.
Listen to that Duquesne whistle blowing
Blowing like she’s never blown before
Look like blinking, red light blowing
Blowing like she’s at my chamber door
You smiling through the fence at me
Just like you always smiled before
Listen to that Duquesne whistle blowing
Blowing like she isn’t gonna blow no more
Can’t you hear that Duquesne whistle blowing
Blowing like the sky is gonna blow apart
You’re the only thing alive that keeps me going
You’re like a tie bound to my hear
I can hear a sweet voice gently calling
Must be the mother of our Lord
Listen to that Duquesne whistle blowing
Blowing like my woman’s on a board
Listen to that Duquesne whistle blowing
Blowing like it’s gonna blow my blues away
You old rascal, I know exactly where you’re going
I’ll leave you there myself at the break of a day
I wake up every morning with that woman in my bed
Everybody telling me she’s gone to my head
Listen to that Duquesne whistle blowing
Blowing like it’s gonna kill me dead
Can’t you hear that Duquesne whistle blowing
Blowing through another no good town
The lights of my native land are glowing
I wonder if they’ll know me next time around
I wondered if that old oak tree’s still standing
That old oak tree, the one we used to climb
Listen to that Duquesne whistle blowing
Blowing like she’s blowing right on time»     

25/07/15

R.E.M., orgasmi e contrappassi

“Ciao eccoti. Io sono rientrato poco fa. Tutto bene?” Michele la fissa un po’ preoccupato, lei ha un’aria stanca, distrutta.
“Dobbiamo parlare!” gli dice lei tenendosi ancora alla porta spalancata.
“Dello gnomo? Sì, certo”
“No Michele, dobbiamo parlare…” la sua voce è bassa, quasi rassegnata.
“Entra almeno” le risponde lui.
Giulia chiude la porta alle sue spalle e si getta sul divano. Michele si siede accanto a lei, le afferra le mano sinistra e inizia a darle piccoli baci risalendo piano lungo il braccio fino ad arrivare al collo, fino a cercare le sue labbra. Giulia non reagisce, ha solo chiuso gli occhi come fosse assente. Lascia che lui le tiri giù la parte superiore del vestito e inizi a stuzzicarle il seno con piccoli morsi, quasi a farle male. Non si ribella nemmeno quando lo sente penetrare in lei dopo averle solo scostato gli slip, quando si sente riempire da lui, quando sente lo sperma colarle tra le gambe.
Michele si rialza e riprende la birra che aveva lasciato a terra.
“Non mi vuoi più?” le chiede
Giulia riapre gli occhi.
“Non è questo Michele, non è questo… è che io, che noi non siamo pronti, anzi non so se io sarò mai pronta a dover dividere, a fingere, a inventare magari una scusa per poter incontrare il mio amante, la tua amante… se vale veramente qualcosa questo dover esser coppia, famiglia e i figli che verranno e il disinteresse verso te, verso me… io credo, io credo di stare bene con te, credo di amarti sai? Sì credo di amarti, e allora cos’è questo senso di possesso che già mi fa dubitare e che non riconosco? Tu non sei mio, io non sono tua, e se stiamo bene insieme e proprio perché siamo così, è proprio perché non ci aspettiamo dall’altro nulla di quello che egli, oggi, in questo momento, sia e io non voglio cambiarti e non vorrei mai che tu lo facessi con me…  ci piacciamo così come siamo Michele, ci giustifichiamo per quello che siamo perché siamo riusciti a imparare a convivere con noi stessi, perché magari ci autocompiacciamo delle nostre battute stupide, del nostro sbagliare oppure diveniamo pavoni per una nostra vittoria e tutte queste cose sono nostre e ora non me la sento, no non me la sento di imparare a rivedere ogni cosa e magari arrivare a immaginarti per come non sei, come fossi un bambolotto da vestire, da accudire, o sperare, convincermi che non possa esserci nessun’altra capace di farti stare meglio anche solo con un sorriso, un pompino, anche solo con una carezza... no, non ci credo che la vita si fermi a noi due Michele, non voglio, non posso credere all’annullamento della noia, credo invece al suo nascondersi solo per tirare avanti meglio e ogni volta che cederemmo a questo, ogni volta non sarà altro che un ennesimo gradino verso la menzogna… fin quando conosceremo ogni nostro gesto di finzione, fin quando il nostro diventerà solo uno stupido esercizio di scacchi in cui ogni mossa è conosciuta dai due avversari eppure eseguita con un sorriso… perché è questo che io aspetterò da te, è questo quello che tu ti aspetterai da me, una cortese menzogna.”
Ha parlato senza fermarsi, guardando dritto come a incrociare l’orizzonte. Quando finisce si rannicchia su se stessa tenendo le gambe tra le braccia e inizia a piangere. È un pianto silenzioso, un pianto che non riesce a trattenere. Anche se vorrebbe, anche se si sente ridicola lì, davanti a lui. 
Michele non sa cosa fare. La guarda, ma non si avvicina. Le si siede di fronte, a terra, quasi nella sua stessa posizione e chiude gli occhi. Sul disco che aveva messo prima parte Shiny Happy People dei R.E.M.       


«Shiny happy people laughing
Meet me in the crowd
People people
Throw your love around
Love me love me
Take it into town
Happy happy
Put it in the ground
Where the flowers grow
Gold and silver shine

Shiny happy people holding hands
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people laughing

Everyone around love them, love them
Put it in your hands
Take it take it
There's no time to cry
Happy happy
Put it in your heart
Where tomorrow shines
Gold and silver shine

Shiny happy people holding hands
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people laughing»     

Captain, tate e amanti


Non sa bene dove andare. Ha solo voglia di camminare, di respirare. Il cielo si è leggermente coperto e ora l’aria è meno calda anche se più umida. Giulia decide di dirigersi verso il parco, ad ogni passo sente sempre più il vestitino bianco che indossa incollarsi al corpo, il seno delinearsi con precisione tra i piccoli ricami, le mutandine bagnarsi lentamente di sudore.
Arriva al parco esausta. Si ferma nella zona giochi, quella più coperta dall’ombra degli alberi, e si siede su una panchina. Il corpo è piegato in avanti, le gambe leggermente divaricate. I gomiti poggiano sulla ginocchia, mentre il viso è sorretto dalle mani che coprono le guance lasciando solo gli occhi liberi di vagare, di incontrare e perdersi. di perlustrare.
L’aria più fresca ha condotto lì parecchi bambini, ma non sono quelli che attirano la curiosità di Giulia. Si ferma a guardare gli adulti, gli accompagnatori che vagano senza sapere bene che fare, in attesa di vedere esaurire le forze dei più piccoli o di trovare una valida scusa che giustifichi se stessi nell’andare via.
Un padre si è impossessato di una intera panchina, gambe divaricate a mostrare l’ancora attiva virilità e braccia allargate sullo schienale a segnalare il possesso del luogo. Alterna sguardi apprensivi a segnali di caccia, magari sta sognando la rapida avventura con una delle tante tate presenti. Queste ultime formano piccoli gruppi. Triangoli chiusi a interventi esterni che permettono loro, nello stesso tempo, di controllare l’intero territorio e di lasciarsi andare a una piacevole chiacchierata. Le madri invece sono più solitarie, certo qualcuna di loro e insieme a una donna più anziana (sarà la madre? La suocera? Giulia non si sofferma a ipotizzare) ma la maggior parte siede sulle panchine, telefonando o leggendo, oppure insegue la prole quasi impedendo loro di giocare tra uno “stai attento” e un “questo non si fa”.
Giulia decide di concentrarsi sull’uomo e su una donna seduta su una panchina accanto a lui.
Lei ha una coppia di gemelli, Giulia li vede giocare tranquilli sulla sabbia di fronte alla madre. Avranno tre, quattro anni e un visino assorto. La donna ha un libro con sé, ma non sembra molto impegnata nella lettura. Si guarda in giro. A volte controlla il telefono. Pare in attesa di qualcosa, di qualcuno.
Giulia la vede illuminarsi e rassettarsi improvvisamente. Anche l’uomo seduto accanto a lei sembra accorgersi del cambiamento, si solleva e nel farlo accavalla una gamba sull’altra stringendo la caviglia con la mano. Un altro uomo si avvicina. Giulia ne sente il profumo prima ancora di vederne le spalle e il culo. Sbuca alle sue spalle e prosegue.  La donna sorride e Giulia per un secondo pensa che stia sorridendo a lei, ma basta poco a capire che non è così, il suo sguardo è tutto per quell’uomo. Gli occhi le si illuminano, con una mano ravviva i lunghi capelli biondi offrendo così il proprio bianchissimo collo allo sguardo di lui.
Chissà cosa starà pensando, chissà quale è il suo viso. E la loro storia? Giulia inizia a incuriosirsi di fronte a quel passo sicuro, a quella reazione. L’uomo però non si ferma, continua a camminare fino a una fontana poco distante da lì e poi finalmente si ferma. Lei dà un’occhiata veloce ai bambini e poi veloce lo raggiunge. Giulia li vede parlare un attimo quasi come due estranei che si usano cortesia, poi lui si allontana e lei, invece, richiama i bimbi e li conduce verso la direzione opposta. Sembra tranquilla, rilassata. Anche i bambini non sono turbati dal cambio repentino. La seguono come fosse normale per loro staccarsi dal gioco, una abitudine l’ubbidire.
L’uomo che era seduto accanto a lei ha seguito tutta la scena. È arrivato a voltarsi per vedere i due incontrarsi, girandosi solo quando lei ha alzato gli occhi per controllare i figli.  Ora, tornato alla posizione iniziale, scuote la testa e sorride. È in questo momento che sembra accorgersi di Giulia. Lei automaticamente accavalla le gambe e mette conserte le braccia distogliendo lo sguardo, poi si alza e ricomincia a camminare. Ha deciso di tornare a casa. Di parlare con Michele.
Ripercorre in senso inverso la stessa strada dell’andata, ma questa volta è più tranquilla e l’aria è decisamente più fresca. Si ferma a prendere un succo e ne approfitta per andare in bagno e sciacquarsi il viso. Quando finalmente rientra Michele è già lì. Una birra nelle mani e la musica di This Is The Day  a riempire la stanza.  


«This is the day that love chose to play,
The day love came to stay,
This kiss is for the first time,
And this kiss is for that time
Love to ride

This is the day that love chose to play
One minute here, one minute there
Love spent time everywhere,
This day that love chose to stay

This is the day that love chose to play,
The day love came to stay,
This kiss is for the first time,
And this kiss is for that time
Love to ride

This is the day that love chose to play
One minute here, one minute there
Love spent time everywhere,
This day that love chose to stay»     

24/07/15

De Gregori, case e fughe


Escono un po’ ubriache dal locale. Vanno prima a casa di Graziana e lì Giulia prende qualche vestito e dei libri per portarli con sé. L’amica l’accompagna con l’auto non prima, però, di aver riprovato davanti a lei i nuovi acquisti e di aver, casualmente, chiacchierato su comuni conoscenze.
“Bene, allora ti lascio” le dice mentre Giulia scende dall’auto.
“Sì, ci vediamo tra qualche giorno al lavoro”
“Ok” risponde Graziana e riparte senza aggiungere altro, chiudendo in fretta per riconquistare un po’ di fresco dentro la vettura mentre già inizia a sudare.
Giulia ha messo tutto in una busta capiente. In realtà non sa dove sistemare quelle sue poche cose e così abbandona tutto sopra il divano, si spoglia e decide di leggere. Non ha voglia di andare da Michele ma prima gli telefona per dirglielo:
“Ciao, dove sei?”
“Mi ero addormentato”
“Ma dai! E dove?”
“Su una panchina. Non ci crederai, ma sai lo gnomo?”
“Quello che incontri spesso?”
“Sì proprio lui. Beh! Gli ho parlato! Cioè è lui che mi ha parlato. Conosceva anche il mio nome”
“E cosa ti ha detto?”
“Di stare attento”
“Perché”
“Non so. Non ho capito bene”
“Ma ti ha minacciato?”
“No, no. Insomma mi sembra tutto così strano”
“Magari ne parliamo, se ti va”
“Sì, ne avrei bisogno. Ora vado non mi sono reso conto che è già tardi, ma tu dove sei? Hai deciso se venire?”
“Non lo so Michele. Credo di no. Sono a casa e leggo. Ho portato qui qualche cosa”
“Bene, a più tardi allora”
“Sì, a più tardi”
Giulia chiude la telefonata e ricomincia a leggere, ma le è passata la voglia. Apre il frigo, ma non c’è quasi nulla a esclusione delle birre e allora si riveste e va a comperare qualcosa. Quando ritorna è ancora perplessa, confusa. Sistema acqua, succhi e yogurt in frigo poi apre una confezione di croccantini al sesamo. Si ritrova a girare in quell’unica stanza, a sollevare fogli, libri e dischi. A osservare la polvere e i muri scrostati. A odorarne l’essenza. Come non fosse mai stata lì. Come fosse la prima volta.
Vorrebbe dare una sistemata a tutto, fare un po’ di ordine, di spazio, ma si trattiene. Non vuole assolutamente senza che ci sia Michele e poi c’è ancora troppo caldo per qualsiasi movimento che superi l’ordinario.
Prende un succo e ritorna sul divano. Quando squilla il telefono è indecisa su cosa fare, ma poi risponde.
“Pronto?”
“Pronto? Ciao! Sei Giulia?”
“Sì, sono io. E tu chi sei?”
“Non ci conosciamo. sono un’amica di Michele. mi chiamo Gilda. mi ha parlato lui di te. sei la sua ragazza vero? c’è Michele?”
“No, ora no. Vuoi che gli dica qualcosa?”
“No, grazie, nulla. magari provo a chiamare un altro giorno”
“Ok! Come vuoi tu”
“Ciao allora. sono contenta di averti conosciuto”
“Ciao”
“Ciao”
La telefonata si interrompe. Giulia prende un altro succo, afferra il libro tra le mani e inizia a leggere ad alta voce camminando nella stanza. E’ una raccolta di poeti del Mediterraneo. Quando finisce le pagine cerca tra i cd di Michele e mette De Gregori ritrovandosi, poco dopo, a urlare il nome di Carmela.
Si sente opprimere in quella stanza, in quella casa. Decide per una doccia poi si riveste ed esce. 




«La cucina era vuota
il bicchiere a metà
l'uomo guardava serio il muro
e poi seguiva il fumo che saliva lento
verso la lampadina
la stagione era quasi finita
l'uomo pensava "questa è casa mia"

Nella stanza del letto
la donna grassa e nervosa
guardava su un giornale a colori
la vita di una donna bionda famosa e ricca
"con qualche anno in meno" pensò
"qualche anno di meno
e lei somiglierebbe a me"

E il tempo passa come una colomba
sulla casa dell'uomo e della donna
dentro una città pulita e violenta
la donna partorì una stella e la chiamò Carmela
figlia di suo padre e sua madre
fiocco rosa da crescere in fretta
rideva quasi sempre
piangere non piangeva mai»

23/07/15

Janis, disfunzioni e curiosità


Graziana la invita ad andare insieme a mangiare in un ristorante del centro.
“Puoi sempre prendere una pizza se non ti piace nulla lì” le dice per invogliarla e tra una parola e l’altra trascina con se tutte le buste degli acquisti fino all’auto, le carica nel portabagagli e poi invita l’amica a entrare. Gli altoparlanti esterni continuano a trasmettere musica. Ora tocca alla Joplin. Giulia si è fermata. Sta guardando una vecchia bandiera sbrindellata issata su un pennone all’entrata del centro commerciale. Una leggera brezza la agita di quel poco che permette di cogliere i suoi colori sbiaditi ma non la scritta. “Sarà il logo della proprietà” pensa lei, mentre l’amica la chiama nuovamente per andare.
“Come si chiamava questo pezzo?” le chiede Graziana
“Piece of my heart  - risponde distratta Giulia - sai di chi è questo centro?”
“Bello, non lo conoscevo. Il centro credo sia di una società di ex industriali milanesi, me ne ha parlato un amico tempo fa. Alessandro, ricordi? Quello con quel culo da favola?”
“Quello che non è riuscito a scoparti”
“Già, che peccato. Credi sia stata io? Forse sono stata troppo aggressiva. Per fortuna è stata l’unica volta in cui mi è capitato. Sai che pena stare lì a consolarlo mentre la mia voglia spariva”
Giulia ride. Si sono conosciute in ufficio con Graziana e sono andate subito d’accordo. È più grande di lei, ma è rimasta una ragazzina. Con le insicurezze e le voglie di una donna in perenne crisi ormonale. Da allora, anche se non è passato moltissimo tempo, sono cambiate parecchie cose.  Appena la vecchia coinquilina di Graziana è andata via lei ne ha preso il posto e sempre Giulia, dentro lo studio, ha convogliato tutto il lavoro importante su di sé fin quasi, manca poco ormai, a divenire socia della ditta. Graziana però non si è mai lamentata di questa rapida carriera, anzi l’ha sempre incoraggiata. 
“Magari è meglio così, che sia successo così la vostra prima volta, dico. Ma che società è?”
“Tecno qualcosa mi pare. Ma se vuoi chiedo a lui. Credo siano suoi clienti”
“No, no. Era solo curiosità. Non riuscivo a leggere il nome sulla bandiera”
Graziana guarda dritto la strada deserta, le mani sono sul volante. Continua a parlare cambiando argomento.
“Michele? Avete problemi? Mi sembri troppo assente oggi. Non avete risolto?”
“Sì, sì. Mi ha chiesto di vivere con lui”
“Oh, mi dispiace! Cioè non è che mi dispiace per te, per voi… è che noi. Insomma mi trovo bene con te a casa”
“Sì, anch’io. Ma non ti preoccupare non so se…”
“Ma che dici? Ma se ieri mi hai detto che pensi di amarlo”
Sì, ma non è così semplice. E poi credo ci sia un’altra”
“Ma che bastardo! Ma veramente? Dai… non ci credo. Scusami se te lo dico, ma non ce lo vedo proprio Michele… non mi sembra avere le palle ecco, per una storia segreta”
“Non è segreta”
“Oh, oh! La cosa si fa interessante. Ti ha proposto cose strane?”
Giulia scoppia a ridere.
“No, no. Solo a te possono venire queste cose in testa”
“Che male c’è? Io una volta…”
“Dai Graziana. Basta. Non è così. Mi ha detto solo che è andato a cena con una donna”
“Beh, non ci vedo nulla di male”
“Sì lo so è che me lo stava nascondendo e poi… non lo so qualcosa non mi quadra”
“Glielo hai detto?”
“Ecco è questo il punto. Non riesco a chiederglielo. Non voglio sapere, forse”
Le due donne sono arrivate al ristorante. Graziana parcheggia l’auto all’interno di un cortile poi entrano insieme. Il cameriere le guida verso un tavolo tranquillo abbastanza lontano dagli altri già occupati.
“Carino qui” dice Giulia
“Sì vero? Ci sono venuta con Luca tempo fa”
“Il capo?”
Graziana sorride.
“Era solo un invito. Cioè sì, ci ha tentato insomma, ma… “
“Dai Graziana… “
“E comunque non è successo nulla. Gli ha telefonato la moglie e lui è dovuto correre a casa per un problema con la figlia”
“Lo sai cosa penso”
“Lo so, lo so. Mai unire sesso e lavoro”
“Ecco, brava”
Si guardano negli occhi e ridono. Attorno a loro nessuna famiglia o gruppo vociante a dar fastidio.
“Hai visto il cameriere?”
“È un ragazzino”
“Sì, ma è bellissimo. C’era anche l’ultima volta. Sai credo che questo posto sia solo per le coppie “
Giulia si guarda intorno, lo aveva notato anche entrando, in effetti sembra anche a lei che sia così-
“Allora siamo una coppia anche noi”
“Ecco sì - dice ridendo Graziana - facciamo finta che sia anche per noi così. Ecco dammi la mano amoruccio”
“Sei la solita pazza”
“E dai! Forza…non vorrai mica farmi aspettare”
Graziana ha la mano destra sul tavolo e Giulia la copre con la sua. Le loro dita si intrecciano mentre continuano a ridere e a guardarsi in giro un po’ imbarazzate.


«Oh, come on, come on, come on, come on!

Didn't I make you feel like you were the only man — yeah!
An' didn't I give you nearly everything that a woman possibly can ?
Honey, you know I did!
And each time I tell myself that I, well I think I've had enough,
But I'm gonna show you, baby, that a woman can be tough.

I want you to come on, come on, come on, come on and take it,
Take it!
Take another little piece of my heart now, baby!
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart now, darling, yeah, yeah, yeah.
Oh, oh, have a!
Have another little piece of my heart now, baby,
You know you got it if it makes you feel good,
Oh, yes indeed.

You're out on the streets looking good,
And baby deep down in your heart I guess you know that it ain't right,
Never, never, never, never, never, never hear me when I cry at night,
Babe, and I cry all the time!
But each time I tell myself that I, well I can't stand the pain,
But when you hold me in your arms, I'll sing it once again.

I'll say come on, come on, come on, come on and take it!
Take it!
Take another little piece of my heart now, baby.
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart now, darling, yeah,
Oh, oh, have a!
Have another little piece of my heart now, baby,
You know you got it, child, if it makes you feel good.

I need you to come on, come on, come on, come on and take it,
Take it!
Take another little piece of my heart now, baby!
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart, now darling, yeah, c'mon now.
Oh, oh, have a
Have another little piece of my heart now, baby.
You know you got it — whoahhhhh!!

Take it!
Take it! Take another little piece of my heart now, baby,
Oh, oh, break it!
Break another little bit of my heart, now darling, yeah, yeah, yeah, yeah,
Oh, oh, have a
Have another little piece of my heart now, baby, hey,
You know you got it, child, if it makes you feel good.»

22/07/15

Penguin, costumi e pizze



Giulia gira tra gli scaffali in cerca di qualcosa che possa darle una emozione, un sussulto. Vede solo ciarpame e a nulla servono i gridolini di Graziana.
“Guarda non è fantastico?”
Ha in mano un bikini. Lo osserva quasi golosa a caccia di taglia e prezzo.
“Lo provo? Guarda! Costa veramente poco”
Giulia è già in direzione dei camerini, spera solo non ci sia troppa confusione, poi improvvisamente si volta:
“Forse è meglio prendere anche qualche altra cosa da provare”
“Sì, sì. Perché non vedi quel vestitino?”
“Quale? Quello con le righe?”
“Sì, sì. Provalo”
“No, non mi va. Perché invece non prendi anche quell’altro costume…”
“Quello intero?”
Giulia vede per un secondo l’amica intristirsi.
“Sì – le risponde - ma anche quell’altro, quello tutto rosso”
“Sì, sì. Hai ragione”
I camerini come prevedibile sono pieni. È solo il secondo giorno di saldi e tutti sono a caccia dell’affare dell’anno.
“Vai a vedere se trovi qualcosa per te. Io aspetto la fila qui”
Giulia non aspettava altro. Michele l’ha messa di cattivo umore. Forse non vuole solo confessare a se stessa di essere gelosa. Gira ancora senza realmente guardare nulla. Si ferma nel reparto dell’intimo e sfiora con le dita la lingerie più sexy. I pizzi, i reggiseni, i perizoma invisibili. È sicura che quella donna li indossi. È sicura che tra loro sia successo qualcosa. Non resterebbe da fare che chiedere, sorridere e andarsene, se è il caso. È già successo, lo ha già fatto come tradita e come traditrice, eppure sente che questa volta non è così. Cosa è Michele per lei? È proprio vero che lo ama? Non avrebbe mai voluto dire quella parola.
Si sono conosciuti nel più classico dei modi: amici, uscita, corteggiamento. Fa un passo indietro con i pensieri, in realtà si sono quasi ignorati per sei mesi e lei pensava che lui fosse solo uno dei tanti con cui sedersi a un tavolo o andare a una festa. Quando avevano parlato veramente per la prima volta era stato solo perché avevano scoperto di essere i soli a conoscere i Penguin Cafe Orchestra. In una pizzeria. Tra discorsi idioti e risate di circostanza. La volta successiva si erano baciati e poi avevano fatto l’amore. Doveva ammettere che le era piaciuto e anche parecchio, ma non aveva mai creduto potesse continuare. Non era possibile.
“Giulia! Giulia!”
Per fortuna non è molto lontana dai camerini, si è quasi dimenticata di Graziana. La raggiunge e solleva la tenda. Lei ha già indossato il bikini e ha il volto imbronciato.
“Guarda è un disastro! Guarda che rotoli che mi ritrovo! E se prendessi una taglia più grande?”
“Prova gli altri prima”
Giulia le sorride confortandola, aveva già immaginato la scena e anche quella successiva e la scelta finale obbligata: il costume intero.  



21/07/15

Simoncino, Gea e le fisionomie



Quando finisce decide di andare verso un giardino lì vicino. Avrà un po’ di ombra, un chioschetto per le birre e il tempo di riposarsi. L’aria è quasi irrespirabile. L’asfalto delle strade vuote riverbera il calore, ogni passo costa parecchia fatica.
In lontananza il cancello d’ingresso del parco gli sembra quasi un miraggio. Cammina sfruttando ogni residua ombra, saltellando da un lato all’altro della strada. Finalmente arriva. Va subito in direzione della grande fontana che, ricorda, riempie la piazza centrale del giardino, ma nessun getto d’acqua rinfresca l’aria.
Michele rivede la statua di Acca Larenzia. Manca uno dei due bambini che la dea pennuta, la prostituta divina, la grande madre Terra, teneva tra le braccia e anche il manto alla base appare danneggiato. Michele gira intorno alla grande vasca per osservare meglio. Terra, lattine, bottiglie di plastica, anche il bordo della vasca in parecchi punti ha crepe e lesioni.
“Brutta cosa vero?”
Michele neanche si gira a scoprire da dove venga la voce, soltanto immagina di ascoltare se stesso.
“Sì, brutta cosa” risponde.
“Pensi, è così da anni ormai. Del resto a chi vuole che importi di questa brutta copia?”
“A me non sembrava brutta”
“Ma sì, è solo una copia. Cosa credeva?”
“Non mi sembra un buon motivo per distruggerla così”
“Perché no? Quale morte più gloriosa per la Terra che essere vittima di se stessa?”
“Di se stessa? Io parlerei di vandali”
“Son sempre suoi figli. Come tutti i suoi figli morranno e poi rinasceranno. Forse nelle stesse vesti, forse come creature mai viste”
“Ho caldo”
“Ha ragione, perché non prende una birra? Guardi è proprio alle sue spalle”
Tutto tace. Michele si gira giusto il tempo di intravvedere lo gnomo sparire dietro un cespuglio. Avanti a se il piccolo chiosco delle bibite. Si avvia verso quello, sceglie una birra ghiacciata pescando dal fondo del frigo e si siede su una panchina all’ombra di un frassino gigantesco dalla chioma larghissima. 
Prova a pensare a tutte le volte che ha visto quello strano personaggio. Pesca il taccuino dalla borsa e cerca di aiutare la memoria rivedendo i luoghi in cui è stato. Dura poco, continua a pensare al caso e archivia tutto senza dare peso a quegli incontri. La birra finisce rapidamente, ne prende una nuova e si sdraia sulla panchina utilizzando lo zainetto come cuscino. C’è ancora tempo per il bar.
Ha appena chiuso gli occhi che qualcuno bussa sulla sua spalla.
“Michele. Ehi! Michele!”
Riapre gli occhi e accanto a lui, ritto, sta ancora lo gnomo. Nessun tic, questa volta, ne marca i movimenti.  La stessa voce gli appare tranquilla. Michele la riconosce subito, è la stessa che prima ha ascoltato alla fontana.
“Perché mi segue? E come conosce il mio nome?”
“Sei sicuro di non saperlo? Dai Michele! Ti facevo più furbo”
Lui cerca, si sforza, di ricordare ma non gli viene in mente nulla.
Lo gnomo sembra accorgersene.
“Non riesci, vedo. Non ti preoccupare. Volevo solo dirti di stare attento”
“Attento? Attento a cosa?”
“A non perderti, Michele.  A non confondere, a ricordare, a saper scegliere”
Michele non ribatte. Cerca di fissare le fattezze di quell’essere. Al netto di tatuaggi e piercing gli ricorda Simoncino, un rapper romano. Poi però pensa che probabilmente è un suo semplificare sulle fisionomie. Cerca allora di concentrarsi meglio, ma già quello non c’è più e lui invece dorme.

Non m'arrendo by Simoncino

20/07/15

Simone, robot e valanghe


Passano la notte dandosi le spalle. Ognuno di loro ai margini del letto, troppo caldo per stare più vicini. E’ Giulia a svegliarsi per prima. Doccia, colazione con dei biscotti e un caffè. Lo sta ancora sorseggiando quando vede Michele destarsi.
“Buongiorno” gli dice.
Lui è ancora intontito. “Che ore sono?” le domanda.
“Quasi le dodici…” risponde lei e nel frattempo inizia a lavare la moka e la tazza “…vuoi che faccia dell’altro caffè?”
E ancora nuda. Michele la osserva un po’ sorpreso, non l’ha mai vista così tranquilla. Giulia si gira e si avvicina a lui. Passa le mani ancora umide sulle gambe dell’uomo, risale fino all’inguine e inizia a masturbarlo. Michele non dice nulla, non fa nulla. Continuano solo a guardarsi negli occhi fin quando lui viene. Poi Giulia si alza e inizia a vestirsi.
“Dove vai?” Le chiede cercando dei fazzolettini accanto al letto.
“Devo uscire con Graziana oggi” risponde lei “e poi dovrò portare qualcosa di mio qui. Non ho quasi nulla”
Gilda sembra quasi assente. Come se in realtà non fosse lì. Michele chiude gli occhi e immagina che in realtà stia ascoltando un risponditore automatico artificiale. Per questo, per metterlo alla prova, continua a fare delle domande. 
“Vuoi che andiamo insieme? Magari ti aiuto”
“No, no. Grazie, preferisco di no”
“Ok. Oggi sono al bar vicino ai laghetti, vieni?”
“Non so, magari ci vediamo stasera. Se torni”
“Sì, certo. Stasera”
Michele rinuncia a continuare. Riapre gli occhi e si alza per andare in bagno. Sente il suo “Ciao!” mentre è ancora sotto la doccia e il suo profumo quando ritorna nella stanza.
Si veste e decide di pranzare fuori. C’è un ristorante gestito da cinesi a metà strada tra casa sua e il bar che deve osservare quel giorno.
Attende l’autobus riparandosi sotto un grande cedro sull’altro lato della strada. Il rettilineo che precede la fermata gli consente di controllare senza tanta apprensione l’eventuale arrivo del mezzo. Di fronte a lui nota lo stesso ragazzino che pochi giorni prima gli aveva chiesto il biglietto. Ha ancora le cuffie e gli stessi indumenti, ma di quest’ultima cosa Michele non è sicuro.
Quando l’autobus arriva sono loro gli unici passeggeri. Si siede dietro l’autista mentre il ragazzo va fino in fondo e rimane a fissare il paesaggio senza nessuna espressione. Michele cerca di ricordare se stesso a quell’età. Gli sembra siano passati secoli. Come se la storia umana avesse iniziato a rotolare sempre più veloce e lui ora non sapeva dire se verso un dirupo o una valle. Forse non se lo era mai chiesto in quegli anni. Aveva soltanto lasciato che tutto accadesse adeguandosi a quello che aveva attorno. Però di una cosa era sicuro. Lui era in quella palla di umanità che rotolava. Lo sentiva nello scricchiolare delle ossa. Lo vedeva nel caos confuso dei paesaggi che attraversava.
Michele ha sentito il campanello della prenotazione suonare e si è girato automaticamente per guardare. Il ragazzo lo ha fissato per un istante poi è sparito alla sua vista.
Il ristorante è mezzo vuoto. Michele attende che il cameriere gli indichi il tavolo tra i tanti liberi poi procede a scegliere le pietanze. Non va matto per quel cibo, ma costa poco e sazia. Si fa anche portare un grosso boccale di birra e inizia lentamente a mangiare. Improvvisamente tra le canzoni in sottofondo Michele riconosce una canzone cantata da una donna.Ci pensa un po'. Sa che quel motivo lo ha già ascoltato. Franco Simone, ecco. Scuote la testa e sorride. Un ritmo latino-americano per una vecchia canzone italiana in un moderno locale cinese. La palla continua a rotolare. 


«No, non è che questa volta
tutto sia diverso
di momenti come questo
ne ricordo tanti
non si può pensare al caldo
quando c'è la neve
lascia scorrere un momento
e poi ritroveremo amore

E poi la logica del mondo
non ci ha mai toccati
l'incertezza di ogni giorno
non ci ha mai schiacciati
nei momenti in cui sembrava
di dover partire
nascondevamo le valigie
sempre per ricominciare

Tu non potrai mancare
quando tutto il resto
non ci sarà più

Tu
l'aria che respiro
in quel paesaggio dove vivo io


io mi affaccio quando
serve del coraggio
per non andar via
per non andar via

Qui di decisioni assurde
non ne abbiamo prese
ogni angolo ha un'impronta
una sua difesa
qui ci siamo abbandonati
per caderci ai piedi
qui ci siamo finti persi
qui ci siamo ritrovati

Tu non potrai mancare
quando tutto il resto
non ci sarà più

Tu
l'aria che respiro
in quel paesaggio dove vivo io


io mi affaccio quando
serve del coraggio
per non andar via
cosa ci vedrei?

C'è la voglia di sentirmi
grande quanto basta per avere te
cosa le farei?

No, non è che questa volta
tutto sia diverso
di momenti come questo
ne ricordo tanti
non si può pensare al caldo
quando c'è la neve
lascia scorrere un momento
e poi ritroveremo amore...»

19/07/15

Waits, ice cream e palette


Fanno la strada in silenzio, ogni tanto lei poggia la sua guancia sulla spalla di lui. L’aria inizia a rinfrescarsi e loro ne approfittano per allungare il percorso fino ad arrivare a una gelateria dove si fermano. Lei lo aspetta su una panchina lì vicino e quando arriva subito gli domanda:
“Come mai ti sei fermato fuori a cena?”
Michele le porge il cono, yogurt e cannella, si gratta un po’ il naso poi si siede anche lui. Ha scelto di prendere una coppetta alla fragola.  
“Ero con una donna” le dice concentrandosi sulla paletta che ha tra le dita. Raccoglie con precisione il gelato e poi si volta verso lei
“Ah!” Giulia cerca i suoi occhi, ma lui si è già girato. 
“L’ho conosciuta in una bar e ci siamo nuovamente incontrati lì” Il gelato si scoglie subito scivolando dal piccolo cucchiaio di plastica.
“L’hai invitata tu?” Lei non ha smesso di fissarlo. Una goccia bianca le attraversa il dorso della mano. Giulia ci passa la lingua e poi lecca tutti i bordi del cono.
“No, te l’ho detto. Ci siamo incontrati lì” ripete Michele.
“Com’è?” Ora fissa in avanti senza un obiettivo preciso. Il gelato lentamente perde volume.
“Lei?” Michele pulisce la coppetta prima di alzarsi per gettarla in un cestino lì vicino.
“Chi se no?”  Giulia porta le labbra sul cono succhiandolo leggermente.
“Insomma… una cinquantenne”
“Ti piace?” Le due frasi si sono quasi sovrapposte. E il loro sguardi, anche. 
“È simpatica, sì”
“Ho capito…”
“Cosa?”
“Che è simpatica”
Le ultime frasi si sono inseguite come se nessuno dei due avesse avuto voglia di pronunciarle o udirle. Giulia finisce il gelato poi sbriciola tra le dita la punta del cono. Si rialzano dalla panchina e proseguono verso casa.
La stanza è caldissima. Michele apre la finestra e lascia lanche la porta d’ingresso semi accostata sperando in una piccola corrente d’aria. Giulia sì è tolta tutto e si è precipitata sotto la doccia, ne emerge poco dopo ancora gocciolante.
“Va meglio?” le chiede Michele inserendo Closing Time di Tom Waits. Lei non risponde, cerca tra le tracce del disco "Ice Cream Man" e poi lo abbraccia. Lui sente il suo corpo premere sul suo. Le sue labbra mordicchiargli il collo. Improvvisamente lei preme sulle sue spalle. Lo spinge sotto di lei. Cerca le sue labbra tra le gambe.
“Potrebbero sentirci, vederci” sussurra debolmente Michele, ma Giulia non gli dà retta.


«I'll be clickin' by your house about two forty-five
Sidewalk sundae strawberry surprise,
I got a cherry popsicle right on time
A big stick, mamma, that'll blow your mind

'Cause I'm the ice cream man, I'm a one-man band (yeah)
I'm the ice cream man, honey, I'll be good to you.

Baby, missed me in the alley, baby, don't you fret
Come back around and don't forget,
When you're tired and you're hungry and you want something cool,
Got something better than a swimming pool

'Cause I'm the ice cream man, I'm a one-man band
I'm the ice cream man, honey, I'll be good to you.
'Cause I'm the ice cream man, I'm a one-man band
I'm the ice cream man, honey, I'll be good to you.

See me coming, you ain't got no change
Don't worry baby, it can be arranged:
Show me you can smile, baby just for me
Fix you with a drumstick, I'll do it for free

'Cause I'm the ice cream man, I'm a one-man band
I'm the ice cream man, honey, I'll be good to you.
Be good to you, be good to you,
Good to you yeah, good to you yeah, good to you yeah, good to you yeah,
Good to you yeah, good to you, I'll be good to you, I'll be good to you...»

18/07/15

Paul, stuzzichini e mancate confessioni


Si sono appena seduti. Michele riprende a sorseggiare il suo Negroni, Giulia ordina una birra.
“Volete altri stuzzichini? ” chiede la cameriera. Tutti e due rispondono sì prima di guardarsi negli occhi e ridere.
“E allora? Dove eri sparita?”
“Tu non capisci mai un cazzo, Michele”
“Cosa dovrei capire? Che sei fuggita il giorno dopo avermi detto ti amo?”
“Ecco, almeno a questo ci sei arrivato”
“Guarda che ho paura anch’io. Ho paura del mio modo di guardarti, del mio desiderarti, di come tu sia capace di cambiare la mia vita…”
“Questa è bella. Cioè?”
“Le mie azioni… ecco le mie azioni non sono più le stesse”
“Continuo a non capire”
“Non lo so spiegare meglio”
“Mah! E comunque se sono sparita è solo perché avevo bisogno di pensare, di starti lontana, di capire”
“Mi sembra una vecchia storia, un classico…”
“Cosa?”
“Sai quelli che prendono una pausa di riflessione o ti lascio perché ti amo troppo”
Giulia ride. Michele ha uno sguardo perplesso.
“Stupido!”
“Allora, cosa fai? Telefoni a Graziana”
“Sì. Sì. E’ vero! Lo faccio subito!”
Mentre Giulia parla Michele riprende a guardarsi attorno, qualche altro tavolino è già stato occupato: succhi di frutta, acqua tonica, gelati. Segna tutto sulle sue colonne e attende la fine della telefonata.
“Graziana preferisce rimanere a casa, non voglio disturbare i due piccioncini mi ha detto”
“Allora rimaniamo qui”
“Sì”
“Vuoi mangiare?”
“No, no. Prenderò un altro piatto di questi” gli risponde Giulia indicando uno dei due piccoli vassoi con i salatini, il pane imburrato e le pizzette.
“Va bene. Facciamo così allora”
Michele si alza e va verso il bancone a ordinare un altro cocktail e un’altra birra. Ha visto la ragazza del bar impegnata in un difficile dialogo con un gruppo di badanti con mariti a seguito e non vuole disturbarla. Attende fino a quando il barista non prepara tutto, poi torna accanto a Giulia.
“Allora hai riflettuto?” le chiede.
“Non c’è voluto molto, ma volevo parlarne con te e tu non c’eri”
“Sono rimasto a cena nel locale che ho visitato ieri”
Michele tace di Gilda. Non gli sembra il momento giusto, anche se così sa benissimo che sarà difficile farlo dopo.
“Avevo bisogno di trovarti, mi hai fatto proprio incazzare”
“Uhm… ti è mai capitato di incontrare uno gnomo?”
“Cosa c’entra lo gnomo ora?”
“Niente è che in questa settimana ne ho incontrato uno parecchie volte. Sempre lo stesso”
“Uno gnomo?!”
“Sì, insomma… l’ho chiamato io così. E’ un tipo strano con dei tic però sono sempre diversi…”
“Cosa?”
“I tic. I movimenti che fa. E’ veramente strano. L’ultima volta è stato ieri, mi ha sorriso”
“Gli sembrerai strano anche tu”
“Beh sì. Può essere” Michele sorride e nel farlo gli torna in mente il sorriso di quello.
“È possibile sorridere a metà?” Chiede a Giulia.
“Un ghigno, vuoi dire?”
“No, no. Proprio sorridere a metà”
“Non so. Non ci ho mai provato. Credo di no, perché?”
“Mi ha sorriso così ieri. Proprio a metà”
Ora l’aria si è fatta più fresca. Per un po’ stanno in silenzio a spiluccare e a bere. Michele ripensa a Gilda.Sta quasi per parlargliene, ma poi rinuncia. Segna le ultime ordinazioni, poi paga con la carta alla cassa. Dentro il locale la musica parla della signora Jones. A Michele scappa un sorriso. Per fortuna non è ancora a quel punto.
“Andiamo?”
“Dove?”
“A casa nostra?”
“Nostra?”
“Sì, nostra”
Michele la prende per mano. Iniziano a camminare verso la fine della piazza quasi fossero in un film di Chaplin.


«Me and Mrs Jones, we got a thing going on
We both know that it's wrong
But it's much too strong to let it cool down now

We meet ev'ry day at the same cafe
Six-thirty I know she'll be there
Holding hands, making all kinds of plans
While the jukebox plays our favorite song

Me and Mrs, Mrs Jones, Mrs Jones, Mrs Jones
Mrs. Jones got a thing going on
We both know that it's wrong
But it's much too strong to let it cool down now

We gotta be extra careful
That we don't build our hopes too high
Cause she's got her own obligations and so do I
Me, me and Mrs, Mrs Jones, Mrs Jones, Mrs Jones
Mrs Jones got a thing going on
We both know that it's wrong
But it's much too strong to let it cool down now

Well, it's time for us to be leaving
Iit hurts so much, it hurts so much inside
Now she'll go her way and I'll go mine
But tomorrow we'll meet the same place, the same time
Me and Mrs Jones, Mrs Jones, Mrs Jones»

17/07/15

Them, Negroni e sandali


Michele passa il pomeriggio dormendo. Si risveglia che sembra essere appena uscito da una sauna. La sua orma liquida sul divano copia perfettamente il corpo e lui rimane a fissarla intontito come uno sfatto Narciso. A bisogno di qualcosa di energico. “The Angry Young Them” nell’hi-fi, caffè e doccia. Urla “Gloria” mentre tenta di asciugarsi. Ora può uscire. 
Il locale di oggi è proprio vicino casa. Ha tutto il tempo. Il bar è su una piazza abbastanza grande da poter ospitare settimanalmente il mercatino di quartiere. Michele ci passa spesso per acquistare quello che gli serve: mutande, calzini, frutta. Tra le bancarelle ce n’è una che non manca mai di visitare. È di un ragazzo toscano che porta lì roba usata. Ci si fanno buoni acquisti a prezzi ragionevoli e poi Michele lo trova simpatico.
Quando arriva c’è ancora poca gente. In genere la piazza ospita badanti, con il loro carico di vecchie vite, e bimbi, entusiasti per i primi giri in bici. Le prime stanno abitualmente ai margini della piazza, all’ombra dei grandi alberi che ne segnano il confine. I secondi, invece, occupano con baldanza lo spazio centrale libero da ostacoli. Rischiano mille volte lo scontro, ridono, a volte rimangono fermi a terra accanto alle piccole bici capovolte in attesa di un adulto che li consoli.
Il bar è al centro di uno dei due lati più grandi. Quello che, con i suoi palazzi costruiti quasi a ridosso della piazza, offre l’unico lato libero dalle auto. La piccola strada che divide i portoni dagli alberi è un segmento chiuso da cinesini in cemento legati l’uno all’altro da catene lucide che oggi luccicano al sole come oro. I gestori del bar hanno pensato bene di piazzare una decina di tavoli davanti al locale, approfittando forse del loro vero monopolio sulla piazza. Normalmente c’è sempre gente lì, ma oggi è ancora troppo presto. Troppo caldo per sedersi al sole. Gli alberi proiettano la poca ombra sulla piazza, mentre alcuni dei tavolini sono protetti dall’ombra dei palazzi. Michele ne avvista uno da lontano e lo punta, ma non fa in tempo perché è anticipato da alcune donne che si siedono lì per mangiare un gelato. Riesce a trovarne comunque uno, ancora parzialmente al sole ma prossimo candidato all’ombra.
Una ragazzina arriva subito a chiedere l’ordinazione, una studentessa in vacanza pensa Michele. Annota subito tutto sul suo bloc-notes dopo aver chiesto un Negroni e stuzzichini. Si sente un po’ a casa sua e stranamente rilassato e poi sa di potersi fidare sulle parti di gin, campari e vermut servite.    
E’ a meta del cocktail quando vede, sul lato opposto della piazza Giulia. Lascia tutto e correndo attraversa la piazza fino a raggiungerla. Lei gli è di fronte, ma non sembra essersi accorta di lui. Cammina a testa bassa quasi zigzagando tra le piastrelle che si alternano nei colori ad abbellire la pavimentazione. Indossa un leggero vestitino colorato che le lascia le spalle scoperte e sandali bassi ricchi di cristalli sfaccettati. I capelli raccolti esaltano le efelidi sul viso. Michele si ferma un attimo a guardarla prima di chiamarla
“Che ci fai qui?” Giulia alza gli occhi e si ferma.
“Lavoro” risponde Michele.
“Ah!” Giulia incrocia le braccia e lo guarda perplessa.
“Prendi qualcosa con me? Sono seduto lì” le chiede lui indicandole il bar.
“Non so, dovrei comprare qualcosa per cenare con Graziana”
“Aspetterà, anzi magari potresti chiamarla e chiederle di raggiungerci. Che ne pensi?”
“Non so”
“Dai…” Michele le si avvicina sorridendo. Porta la sua mano sinistra sul braccio destro di lei, quasi come una carezza.
Giulia non risponde. Cambia solo direzione. Ora si avviano verso il tavolino. Lì dove sono rimasti il libro aperto, il Negroni e il taccuino. Michele cerca la sua mano, ma lei si ritrae.


«Like to tell ya about my baby
You know she comes around
She about five feet four
A-from her head to the ground

You know she comes around here
At just about midnight
She make ya feel so good, Lord
She make ya feel all right

And her name is G-L-O-R-I
G-L-O-R-I-A (Gloria)
G-L-O-R-I-A (Gloria)
I'm gonna shout it all night (Gloria)
I'm gonna shout it everyday (Gloria)
Yeah-yeah-yeah-yeah-yeah-yeah

She comes around here
Just about midnight
Ha, she make me feel so good, Lord
I wanna say she make me feel alright

Comes a-walkin' down my street
When she comes to my house
She knocks upon my door
And then she comes in my room
Yeah, an' she make me feel alright

G-L-O-R-I-A (Gloria)
G-L-O-R-I-A (Gloria)
I'm gonna shout it all night (Gloria)
I'm gonna shout it everyday (Gloria)
Yeah-yeah-yeah-yeah-yeah
Looks so good (Gloria) alright
Just so good (Gloria) alright, yeah»

16/07/15

Consoli, risposte e basilico


“Dove sei? Ero tornata per parlare con te. Per dirti che non ha senso fuggire, allontanarsi, avere paura. Ti ho atteso un po’, ho mangiato i frollini al cioccolato che abbiamo comprato insieme, ascoltato un cd, lette alcune pagine dai tuoi libri, ma tu non tornavi! Dove sei? Cazzo, dove sei? Ti rendi conto che stai riuscendo a mutarmi? Che mi trovo diversa? Che ho una stramaledetta paura di perdermi? Di non avere difese? Ti rendi conto che ti odio?”
Il biglietto è poggiato sull’hi-fi, accanto alla copertina del secondo album della Consoli. Michele lo legge poi inserisce il disco e ascolta. Vorrebbe richiamarla ma non lo fa. Immobile chiude gli occhi e si concentra sull’immagine di lei e sulle parole delle canzoni. Ne canticchia qualcuna, si domanda quando siano distratte le sue di risposte.
Quando finisce il disco si ridesta. Decide di prepararsi un buon pranzo, si viveste in fretta ed esce verso il market vicino casa. L’aria è torrida. Inizia a sudare, la maglia si attacca al corpo come una seconda pelle. Quando varca le porte del negozio è come se avesse abbandonato l’inferno. Pochissime persone, due sole casse aperte. Si aggira sicuro tra gli scaffali: una scatola di pelati, la ricotta salata, una melanzana, aglio, basilico. Quando ritorna verso casa è già pronto, sa già del caldo che lo aspetta.
In casa rimane in mutande. Taglia subito la melanzana coprendo le fette con un po’ di sale e passa poi a preparare la salsa. Mette un pentolina d’acqua a bollire poi lava i pomodori e li immerge nell’acqua bollente. Un attimo prima di sbucciarli e tagliarli. Ora è il momento della salsa. Due spicchi d’aglio dentro l’olio bollente fino a farli dorare e poi i pomodori già tagliati e il basilico mentre l’aglio tirato via dalla padella si scioglie in bocca delicatissimo. Sale, pepe, attesa.
Michele rimane a fissare il rosso sul fornello, ogni tanto rigira attende che lentamente tutto sia pronto. Apre il frigo per una birra e si accorge che ne sono rimaste solo quattro. Spegne il fuoco e si riveste, velocemente riaffronta la calura, lo shock termico, il ritorno. Da fuori la porta un delicato profumo, riesce a sorridere. Ora è turno della melanzana, versa la salsa in una ciotola lava la padella poi la rimette sul fuoco con dell’olio. Sciacqua le fettine di melanzana, le asciuga e le mette nell’olio. Ha già messo sul fuoco una pentola con abbondante acqua. Quando cerca la pasta si accorge che anche quella è quasi finita. Niente penne. Riesce a recuperare il fondo di un pacco di fusilli e dei sedanini. Controlla il tempo di cottura poi mette tutto insieme. Scola la pasta e aggiunge la salsa, poi trasferisce tutto in una insalatiera e aggiunge le melanzane la ricotta e il basilico. Guarda il tutto beato, prende una birra ghiacciata e si sistema a terra con l’insalatiera tra le gambe.


«Non hai mai sentito dire
Che la bellezza delle cose ama
Nascondersi
Ed è forte quello che ho dentro
Distante dalla mediocrità
Ho rischiato di perdere tutto per non… subirla

Non hai mai sentito dire
Che la bellezza delle cose ama
Sorprenderti
Ed è forte quello che ho dentro
Distante dalla mediocrità
Ho bendato i miei occhi da tempo per non… vederla

Ed avrei voluto trovarmi tra le tue parole più belle
Raccogliere un brivido dai tuoi sguardi
Ed avrei voluto trovarmi tra le tue risposte distratte

Abbiamo vagato a lungo in quei discorsi preziosi e contorti
Senza concludere
Ed è forte quello che ho dentro
Distante dalla mediocrità
Ho inseguito il rumore assordante per non… sentirla

Ed avrei voluto trovarmi tra le tue parole più belle
Raccogliere un brivido dai tuoi sguardi
Ed avrei voluto trovarmi tra le tue risposte distratte

Non hai mai sentito dire
Che la bellezza delle cose ama nascondersi»

15/07/15

Young, un biglietto e un sorriso



Gilda si offre di riaccompagnarlo a casa. L’uscita dal locale è diversa da quella dell’entrata sulla stazione. I due sbucano in un cortile interno di un vecchio caseggiato e da lì escono da un cancello su una strada privata lontana dal traffico. “Tutto ben organizzato” pensa Michele anche se non riesce a capirne il motivo. Mentre percorrono la strada che li porta verso l’auto gli pare di riconoscere qualcuno. E’ il piccolo gnomo con i suoi tic. Questa volta porta ossessivamente la testa in avanti come ad assentire a qualcuno, a qualcosa, e nel contempo scuote disordinatamente le braccia. A Michele ricorda un atleta nel pre gara, pronto a scaldarsi prima di scattare verso il traguardo. L’uomo a momenti si ferma. Il corpo rimane immobile mentre strabuzza compulsivamente gli occhi alzando le ciglia innaturalmente. E’ in uno di questi momenti che gli passano accanto. Gilda è silenziosa da quando è uscita dal locale. Non pare nemmeno notare ciò che la circonda. Lui è troppo ubriaco per farsi altre domande.
In auto la donna cerca compulsivamente una stazione radio. Si ferma al suono di  BoxCar, ma già sono a casa. Michele le dà un piccolo bacio sulla guancia, lei continua a guardare la strada poi riparte in silenzio facendo sgommare  i pneumatici.
La notte passa via in un attimo. Quando si sveglia ha un gran mal di testa e ricordi confusi della sera precedente. Telefona subito a Giulia e questa volta lei risponde.
“Finalmente”
“Finalmente cosa?”
“Finalmente ti ho trovato”
“Veramente io sono passata ieri sera ma tu non c’eri”
“Sì, è vero”
“Hai letto?”
“Ho letto cosa?”
“Hai letto il biglietto?”
“Scusami, di cosa parli? Quale biglietto?”
“Sei il solito stronzo, Michele. Ciao!”
“Giulia… Giulia…”
Lei ha riattaccato e Michele è ancora più intontito. Si spoglia, ché si era addormentato sul divano senza neppure farlo, e posiziona il miscelatore della doccia sull’acqua fredda. Lentamente lascia che il corpo si abitui poi va sotto il getto d’acqua cercando la sferzata che lo faccia riprendere. Muove in fretta le mani a massaggiare il corpo e lentamente riemergono frammenti di ricordi sfuggiti tra un bicchiere e l’altro. Gilda che gli propone di seguirla a casa, una coppia che lo guarda come per valutarlo, il conto salato finale, lo sguardo dello gnomo che si incrocia al suo e il sorriso a metà di quello. “Come fosse possibile farlo – pensa – Già, come fosse possibile farlo”. 




«I'm just a passenger
on this old freight train
I ride the boxcar
through the night
It doesn't matter
where I might get off
I doesn't matter where I lie.

I've been to cities,
I've been to countries
I've left a lover in many towns
I don't care if
I ever get back to
Where I'd already been around.

I'm like an eagle,
I like to fly high
I'm like a snake,
I like to lay low
I'm like a black man,
I'm like a white man
Maybe a red man, I don't know.

I'm just a passenger
on this old freight train
I ride the boxcar
through the night
It doesn't matter
where I might get off
I doesn't matter where I lie.»

14/07/15

Beatles, parole e mutande


Il menù propone esclusivamente piatti locali. Michele guarda in giro e solo ora si accorge che in effetti tutti i clienti sembrano italiani, come se quella struttura avesse due facce: un mondo ufficiale esterno fatto di migranti e quello, nascosto, interno riservato ai locali.  A unire i due mondi solo quel corridoio scuro e un comune ridestarsi dei sensi.    
Iniziano a parlare. E’ soprattutto Gilda a farlo, come è già successo la prima volta. Tronca spesso le frasi e salta da un argomento ad un altro, da un racconto a una confessione. Michele riesce a capire che vive da sola e a conoscere qualche altro particolare della sua esistenza, come i tanti viaggi fatti o i molti amori. Michele è affascinato da quella donna, da quella strana unione fisica e mentale di vintage e moderno, da ogni suo gesto. Ogni tanto la interrompe. In genere risponde ad una sua domanda o le chiede qualcosa. 
“… ecco era così e poi c’è stato anche il fatto che. però tu non mi hai detto nulla della tua donna e io invece mi trovo qui a. insomma ho ragione io vero? Perché tu continui ad ascoltarmi e magari ora pensi solo al fatto che vorresti scoparmi e anche io . cioè tu mi piaci mi sei piaciuto subito appena ti ho visto e non è che me freghi tanto se uno mi piace mi piace non credo che sia necessario resistere tanto a quello che ti ordina il corpo e non è che io abbia sempre pensato così sarà la vecchiaia non ridere non  lo dico per farmi fare un complimento o per elemosinare una tua bugia. credo sia solo una questione di percorsi e tu prima sei così e poi sei sempre la stessa ma lentamente sei diventata un’altra un po’ come la pelle in estate a me è sempre piaciuto tirarla via dalle braccia dalle gambe. lo facevo da bambina che i miei mi mettevano un cappellino e io stavo per ore sulla battigia e mia madre stava solo attenta alle onde mi ricordo che lei si perdeva a guardarle mentre mio padre un po’ più lontano discuteva e leggeva il giornale cerano sempre un sacco di amici dei miei e quella casa. perché noi avevamo acquistato una casa che ci permetteva di essere subito sulla spiaggia e allora. Ah! ma ti stavo dicendo della pelle tu hai mai provato a tirarla via? Ecco noi cambiamo pelle e allora magari...”
“Io credo proprio di amarla Giulia, lei si chiama Giulia sai?”
Michele sente la propria voce e si sorprende perché le parole sono venute fuori senza nemmeno pensarle gli sembra. Gilda si ferma come se non stesse aspettando che quello. Come se lo invitasse a proseguire, ma non è necessario farlo ché ora tocca a Michele perdersi tra le parole.
“E anche lei mi ama me lo ha detto prima di sparire che non so dove possa essere andata cosa le sia successo lei vive con un’amica e poi anche con me e con i suoi ogni tanto e poi lei non sa decidere  o non vuole decidere crede di essere debole di essere inadeguata ma è come se trovasse la via più facile quella di denigrare se stessa per avere un alibi che io lo sento quando stiamo insieme che invece potrebbe far tutto potrebbe essere tutto se solo si decidesse a rischiare a mettere via le sue difese a lasciarsi andare che poi lei dice lo stesso di me e insomma forse io sarei l’ultimo a poter pensare questo oppure invece è così che siamo noi insieme la vera forza ed è così veramente è così perché quando sto con lei mi sento capace di ogni cosa e anche lei lo sento che è così. Prima non ci eravamo mai detto queste parole sai i ti amo non ci eravamo mai fatti queste domande e insomma io credo di avere sbagliato a chiederlo che se tu ami qualcuno e ti viene voglia di dirlo lo dici e non è necessario non. Non è necessario ma l’ultima cosa che lei mi ha detto è stata questa e poi è sparita e allora mi chiedo se non sia legata a questa cosa qui il fatto insomma magari ora ha bisogno di pensarci su e se torna io potrò chiederle se ha voglia di vivere con me se possiamo tentare di condividere uno spazio un momento e non mi servono i progetti non ne abbiamo non ne ho i progetti servono solo a nascondere il presente come quelle fotografie le conosci? Quelle di Hamilton quelle con l’effetto flou ecco i progetti mi sembrano come quello sfocare il presente e tutto ti sembra magico bellissimo perché lo immagini e vedi solo quello che desideri vedere. Io non voglio progetti voglio il presente e in questo presente voglio Giulia e sono sicuro che anche lei però ecco anche questo anche questo essere sicuro io non voglio essere sicuro per lei io vorrei solo che lei sentisse questo stesso bisogno ecco non è facile da spiegare e sicuramente non ci riesco ma io vorrei solo che le che le nostre scelte coincidessero che nessuno dei due sia un traino che”
Michele si ferma. China un po’ la testa poggiando il mento sulla mano sinistra. Le dita carezzano il viso. Scorrono sui peli irti del volto. Rialza la schiena e versa ancora del vino a se stesso e alla donna che gli siede di fronte. Ne ha dimenticato il nome. Forse è solo una mia fantasia pensa e si immagina di star sognando di essere a casa nel suo letto. Chiude gli occhi per un po’ e li riapre. Tutto gli gira attorno. No è proprio una brutta sbronza conclude. Sente la donna parlare la vede mentre gli sorride, ma non è più capace di rispondere vorrebbe solo sdraiarsi e dormire. Raduna tutte le forze e si alza strascica uno “scusami vado in bagno” e si allontana.
Deve concentrarsi per evitare di fare disastri spostandosi tra i tavoli, ma alla fine riesce. Inquadra la tazza, sbottona i pantaloni e piscia con piacere come se stesse godendo. Poi mette la testa sotto il rubinetto e fa scorrere l’acqua per un tempo lunghissimo. Non si accorge che qualcuno è entrato nel bagno ed ha chiuso la porta a chiave. Inizialmente non sente neanche le mani che fanno di nuovo scendere i suoi pantaloni. Le braccia che lo fanno girare. La bocca che inizia a stuzzicarlo.
Quando viene le sue mani sono ferme sulla nuca di Gilda e le spingono il capo quasi a soffocarla. La donna lacrima, batte leggermente i pugni sulle gambe di lui, ma non si ritrae. Michele chiude gli occhi e poggia la testa sul muro. Ora le braccia penzolano stanche. Tutto è stranamente silenzioso. Si riprende e riapre gli occhi, sciacqua ancora il volto poi rientra. In sala un blues lunghissimo dei Beatles e gli stessi volti di prima. Gilda è seduta al tavolo, lo attende come non fosse successo nulla.
“Pensavo mi avessi mollata qui. Stai bene?”
“Sì. Sì. Bene grazie”
Non riesce a capire se tutto sia successo veramente. La chitarra di Lennon gli pulsa in testa. Qualcosa di appiccicaticcio nelle mutande lo infastidisce. 



«I want you, I want you so bad
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, I want you so bad babe
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, I want you so bad babe
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, I want you so bad
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

She's so heavy
Heavy, heavy, heavy

She's so heavy
She's so heavy, heavy, heavy

I want you, I want you so bad
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, you know I want you so bad babe
I want you, you know I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad yeah

She's so...»

13/07/15

Girolamo Segato (1792 - 1836) detto il Pietrificatore

La tomba di Girolamo Segato in Santa Croce





Iu quannu era carusu mi piacevano le storie strane che trovavo da leggere e però me lo ricordo ancora comu su fussi oggi quella che mi piaceva chiossai era quella di uno che faceva diventare i cristiani di pietra. Non mi facevo sfuggire una riga quando mi capitava di trovare cose supra a iddu e questo era il Pietrificatore che il nome vero non me lo sono mai ricordato. A essere precisi ce ne sono stati tanti di pietrificatori ma il primo o quello che mi ricordavo di più era uno che cera riuscito così bene che se lo portò nella tomba il segreto di quelloperazione.
Sono passati tanti anni e io melero dimenticate tutte queste fantasie. E poi aieri invece mentre mi riposavo allombra cè stata una testa che mi ha chiamato e una scritta che allinizio non lavevo capita ma che poi addivintau chiara comu lacqua frisca. Era lui. Il Pietrificatore. E ciaveva un nome macari che purazzo era morto giovane e un bello posto pure. Per riposare in eterno.


Qui giace disfatto Girolamo Segato, che vedrebbesi intero pietrificato, se l’arte sua non periva con lui. Fu gloria insolita dell’umana sapienza, esempio d’infelicità non insolito.

09/07/15

08/07/15

Porcupine, baci e cene


Michele sta per pagare quando sente lo squillo.
"Pronto"
"Ciao, stai andando?"
"Veramente sì"
"Dai resta lì, posteggio l’auto e ti raggiungo"
Michele si era quasi dimenticato di Gilda, ma decide di attenderla anche se ora non c’è più neanche un posto libero al bar. La cassiera lo guardo con fare interrogativo e lui decide di pagare lo stesso che quello di prima era lavoro.
Gilda indossa un vestito leggero che si adatta al suo corpo come un soffio di vento. Michele guarda quella foglia avvicinarsi e ha un'erezione, immediata, incontrollabile.
"Scrivi ancora?"
La donna fa un cenno indicando il taccuino che Michele tiene ancora in mano e lui di riflesso cerca di nasconderlo imbarazzato.
"No, no. Ho finito per oggi. Prendi qualcosa?"
"Si, grazie"
E' rimasto ancora qualcosa nella bottiglia che aveva fatto mettere da parte. Un nuovo barista riempie loro i bicchieri e serve degli stuzzichini. E' come se il locale si fosse trasformato. Ora accanto al bancone due lunghe tavole ospitano una serie di antipasti che vengono velocemente cambiati appena stanno per finire. Altra gente continua ad arrivare.
"Volete accomodarvi in sala?"
E' la cassiera a fare la proposta. In effetti Michele non si era accorto di quello spazio a disposizione dei clienti. Vi si accedeva da una porta che in precedenza aveva scambiato per quella dei bagni.
Gilda lo prende per mano, attraversano un piccolo corridoio molto buio rischiarato solo dall'uscita finale: una porta con i vetri parzialmente oscurati. Michele ha un attimo di esitazione. Buio alle loro spalle. Proseguono piano fino a raggiungere la fine. Lui cinge con un braccio i fianchi di lei. Sono morbidi. Il suo profumo è delicato e aromatico al tempo stesso. Michele sente la sua erezione aumentare ancora di più. Stringe Gilda a se e ne cerca le labbra. Le bocche si incontrano. Sembrano due ragazzini al loro primo bacio. Lui sta per alzarle la gonna, ma lei lo ferma.
"Non correre. Non ora"
Fanno un altro passo. Superata la seconda porta, luce e una lieve sensazione di freddo. Michele non può fare a meno di notare i capezzoli di lei indurirsi sotto il vestito. Sono in una sala molto grande. Michele si domanda come non abbia fatto ad accorgersi dell'arrivo di tutta quella gente. I tavoli sono pieni, un efebo li accompagna con cortesia.
"I signori desiderano cenare?"
Gilda e Michele si guardano un attimo e il loro sorriso a dare la risposta. Nonostante il numero di persone presenti l'ambiente è molto tranquillo. Una leggera musica in sottofondo. Riconosce i Porcupine Tree, li aveva scoperti da poco e gli erano piaciuti subito. Nel locale quasi solo coppie variamente formate, non più di tre persone comunque. Molti sguardi innamorati, eccitati. Dita e sguardi che si sfiorano.
"Dove mi hai portata?”
"Francamente non ne ho idea" confessa Michele.
Nelle tre ore precedenti aveva totalmente ignorato l'esistenza di quel luogo e ora però non gli dispiaceva trovarsi lì.






«Waiting to be born again
Wanting the saddest kind of pain
Waiting for the day when I will crawl away
Nothing is what I feel
Waiting for the drugs to make it real
Waiting for the day when I will crawl away
Waiting to be disciplined
Aching for your nails across my skin
Waiting for the day when I will crawl away»

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