Alfredo ci gira intorno, le osserva, cerca, senza neanche rendersene conto, nuovi graffiti su cui costruire strampalate storie, poi desiste. Sceglie quella più illuminata. Lì dove il sole ha già riscaldato il legno, baciato il grigio scuro della ghisa.
Allunga un po' le gambe, Alfredo, poggia la schiena con delicatezza e chiude gli occhi. Ecco, lei è di nuovo lì e insieme bevono qualcosa e parlano, ridono anche.
Lui si è portato da casa (vicina, pochi passi) una candela e tenta di accenderla senza riuscirci, forse non è a suo agio, forse è soltanto felice. Lei, velocemente, afferra l’accendino da quelle mani e risolve la scena.
Le parole continuano ad accumularsi come fossero fiocchi di neve e bagnano le dita e i volti e gli abiti e il cuore anche, eppure, è come se non ci fossero, come se tutto fosse concentrato in un gioco di misteriose attese, di dichiarata finzione.
Alfredo non riesce a staccare i suoi occhi da quel volto, a cercare con le mani quelle di lei. Sa benissimo di avere ancora una volta perso, che quello è solo un istante, ma non intende lo stesso rinunciare a quella sconfitta.
“Rientriamo? Ho freddo” lei gli sussurra, quasi sentisse quel pensiero, sicura, però, di poter evitare qualsiasi timido tentativo di strappare quella comoda fiaba. I due si alzano. Alfredo le cinge la vita, lei si abbandona per un attimo quasi avesse dimenticato, quasi fosse tutto vero.
Sulla panchina la candela continua lentamente a illuminare quello che è già solo ricordo.
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