Invece voglio qui fare l'elogio dei principianti: ma non i principianti che già tengono d'occhio qualcuno e sperano che un critico prima o poi tenga d'occhio loro. Questi sono già sulla via dell'outsider, anche se in questo sistema sembra non si possa mai essere fuori davvero, ma ci sia solo un fuori di ciascuno rispetto ad un altro.
Faccio l'elogio dei principianti che si aggirano e non sanno che c'è una battaglia, non la vedono, non se ne interessano, non studiano la posizione altrui per sorpassarla. [...]
Un principiante non è un ignorante, è solo uno che ha una qualche urgenza di scrivere, per cui bada solo a quello che scrive, e prende su dalle forme linguistiche costituite quel che gli serve, così come prende le regole della sintassi e ci si attiene, oppure non ci si attiene, a seconda di come gli viene. E poi un principiante ogni volta che ricomincia, cioè quando gli prende l'uzzo o la smania di ricominciare (ad esempio ad appuntarsi per iscritto le idee), è sempre daccapo; perciò è un principiante; aver già scritto non gli serve molto, perchè ogni volta è un caso unico e nuovo, e se non sa più andare avanti non serve il mestiere, perchè non c'è mestiere, è come se fosse un povero bimbo al suo primo esercizio. Ma il principiante tendenzialmente dice solo la verità semplice, il che lo aiuta; non fa della letteratura. Che cosa fa? Parla. Solo che lo fa in solitudine e a puntate. La solitudine è una grande occasione, e anche il fatto di poter tornare al foglio o al computer. Che cosa sono in definitiva le sue? Sono fantasticazioni.
Ermanno Cavazzoni, Il limbo delle fantasticazioni, Quodlibet Compagnia Extra