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[Alfredo] innamorarsi

Ogni volta che Alfredo si è innamorato il mondo ha smesso di essere, per lui, così come era. Non che sia successo tante volte, non è il tipo Alfredo, però è andata in questo modo ogni volta e ogni volta lui se ne è accorto solo dopo, quando tutto, come ogni cosa, era già finito. 

Ora che rimanevano il suo albero e la sua panchina aveva però tempo di osservare gli altri, di indagare, con cortesia, se stesso.

 Ecco, a guardarlo bene il copione era sempre simile. Lo leggevi negli occhi, nello sfiorarsi dei corpi. Lo capivi dall’ascolto attento, dalla curiosità per l’altro. Lo vivevi nei baci, nel ridere sorpresi, nell’ intrecciarsi mai casuale delle dita. Era successo a lui, lo vedeva succedere alle  coppie che incontrava, qualunque fosse la loro età, il loro sesso.

“Quello che pensi è da baci Perugina” gli aveva detto un amico per canzonarlo un po’ e Alfredo gli aveva dato ragione perché è proprio quello lo stato di chi è innamorato. L’essere un dolce, tenero, sincero, imbecille.

[Alfredo] tutta colpa del caldo

Alfredo è svuotato, prosciugato. Alfredo è un calzino steso per troppo tempo al sole, un panno non più ritirato. 

Rincantucciato sul divano, il ventilatore perennemente in funzione, attende da giorni solo che faccia sera. Il frigo è quasi vuoto, anche le scorte in dispensa iniziano a scarseggiare. Forse sarebbe necessario farsi una doccia, uscire, ma Alfredo non ne ha proprio voglia. La tivù è spenta, leggere è quasi una fatica, resiste la musica, resiste Bach, resiste il liuto che riempie la stanza, che senza sforzo riempie anche la mente.

"Andiamo stasera?" "Andiamo domani?" Alfredo declina e inventa. Forse vuole solo provare fino a che punto riuscirà a resistere, forse è solo prostrato, forse non è felice. Sarà l'età Alfredo? Sarà questo caldo che sfianca? Sarà quella scintilla che manca? Quella scintilla che ti ostini a chiamare amore? Sarà per quello il dolore? Alfredo scuote la testa, si alza e va a pisciare. Quando lava le mani lo specchio gli fa un po' paura così, per dispetto, Alfredo inizia a fargli le boccacce e continua e continua fin quando non inizia a ridere e lo specchio con lui.

[Alfredo] voli pindarici

Alfredo a volte sogna cose mai successe, inventa ricordi mai posseduti, vive avvenimenti impossibili. In questo strano sognare tenta di legarli tra loro come fossero un colorato mazzo di rose da regalare a chi si vuol bene o ne fa fascine per futuri fuochi da accendere con gli amici. 

Gli accade, a volte, questo sognare, quando, seduto da tempo sulla sua panchina, alza gli occhi dal libro che sta leggendo o smette di mettere a fuoco quello che ha attorno. Ecco che allora, per brevi istanti, si uniscono per lui fantasia e realtà come fossero innamorati che placidamente, morbosamente a volte, si incontrano prima di svanire, precipitevolissimevolmente, uno alla vista dell’altro.

E' un suo antico vizio in fondo, sorride Alfredo pensando a quando da ragazzino qualcuno a teatro si voltò verso di lui a chiedergli di far silenzio, di smetterla con quei suoi voli pindarici. 

Sì, disse proprio così quel signore: "voli pindarici" e Alfredo tornato a casa cercò sull'enciclopedia quell'espressione da lui fino a quel momento mai sentita. Non se ne dispiacque.

[Alfredo] Incendi

 Alfredo cammina nella città quasi deserta. Sono le prime ore del mattino. Ancora poche auto in giro. Nell’aria l’odore di recenti incendi.

Il giorno prima è andato a fuoco anche parte del suo parco, lo hanno detto alla radio, e così Alfredo si è deciso a sfidare il caldo per andare a trovare il suo amico. Chiedergli notizie, scoprire se è riuscito a resistere. Quando raggiunge la panchina sorride, l’albero è ancora lì. Gioca con i primi raggi del sole e un vento leggero si nasconde tra i suoi rami. Si ferma, corre, inizia a solleticare le foglie, a infastidire i rami quasi volesse farsi catturare prima di nascondersi dietro al tronco, prima di ricominciare. Poco lontano qualche vittima alza ancora le mani bruciate al cielo.

Dal nulla un bambino lo raggiunge: “Ciao!” Gli dice e poi gli porge un fiore. “Per me? Grazie!” Mormora Alfredo portandolo al naso per cercarne il profumo. Tutto si svolge velocemente. Il piccolo scappa via richiamato da una voce lontana e poi sparisce lì dove piccoli arbusti formano un piccolo muro verde che lo nascondono. 

Il fiore è ancora tra le sue dita. Il silenzio ora è rotto dal gracidare lontano di elicotteri, dal canto di sirene. Una solitaria nuvola osserva tutto con calma cullandosi alta nel cielo.

[Alfredo] una birra, grazie

Si continua, seduti al tavolino del bar, a chiacchierare, a inventare e distruggere mondi, a litigare. Ogni tanto lo sguardo va altrove: le bolle allegre del bimbo in carrozzina, il girovagare stanco degli ausiliari in cerca di qualcuno da multare, una bella donna distratta. Ci sono strade dove tutto scorre uguale altre, come quella in cui si trovano, in cui il mondo si affaccia e prende fiato.

Alfredo  e il suo amico sorseggiano una birra fresca, leggera. "Non pensi che ormai non spetti più a noi?" gli fa quello raccogliendo l'ultimo triangolo di pizza rimasto.

Ha qualche anno meno di Alfredo eppure è come se ci fosse stato a un certo punto della loro vita, prima ancora di conoscersi, qualcosa che li ha resi per sempre diversi. Almeno è questo che Alfredo ha sempre pensato. Una cesura, qualcosa di indipendente da quello che si è stati, da quello che si è diventati, dalla stessa comunanza di idee. Un cambio di archetipo, di paradigma, avrebbe detto Alfredo se fosse stato un altro, ma lui si accontava di ipotesi, di piccole suggestioni che arrivavano come fossero pensieri sempre stati lì, nella sua testa.

Ecco, per Alfredo il mondo era cambiato alla prima telenovela di massa, al primo spettacolino televisivo di comicità innocua, alla prima piazza invasa dall'eroina, all'apparire di tante narcotizzanti movida. In meglio? In peggio? Aveva importanza? Non molta per Alfredo. Era accaduto, accadrà ancora.

"C'è sempre spazio per un nuovo Pereira" risponde all'amico, prima di riprendere in mano la birra e ordinarne una nuova, più fresca.

  

[Alfredo] così la vita di ciascuno è la materia dell’arte di vivere

Ama poco i personali ricordi Alfredo. "La vita è presente" dice e anche ora, anche in questo momento, mentre il suo amico parte con un "Ti ricordi quando..." lui si trova con poco da dire. Certo l'infanzia, certo l'adolescenza, i primi amori, il lavoro, ma per Alfredo tutto questo ha ora poca importanza. 

"Si, mi ricordo - dice - ma adesso? Io? Noi? Cosa siamo adesso? Cosa facciamo adesso?"

L'amico abbozza un sorriso, lo conosce da tempo e sa di quella sua ritrosia. Così inizia a parlare della guerra, dell'Italia. Alfredo si desta, risponde, ribatte. Affiora, dentro le sue frasi qualche episodio della loro amicizia, il tenero ricordo di un vecchio amore. 

"Ecco, gli scappa nel pieno della discussione, legare il presente al passato per quello che è avvenuto, per quello che è stato. Questo è necessario". L'amico annuisce e smette di parlare. 

Anche Alfredo si ferma. Guarda verso il fiume, poi riprende quasi sottovoce: "Mi ricordo come ero perché so come sono".

I due sorridono. Sul fiume un pallone galleggia placido lontano dalle sponde. Lo seguono in silenzio fino alla prima ansa, poi si avviano verso il bar. Il sole è ancora alto.

[Alfredo] la scuola è finita

Nelle ancora fresche serate di giugno piccoli stormi di alunni, di insegnanti, di famiglie, si spostano dalle calde aule scolastiche verso bar e pizzerie. Alfredo li vede volteggiare in giro, li osserva seduti ai tavoli, li ascolta nel loro rumoroso transitare tra le vie della città. Non sono pericolosi, ma possono essere gravosi soprattutto quando si lasciano andare a cori, applausi e urletti fastidiosi agli occhi e alle orecchie degli altri avventori. 

I ragazzi paiono i più saggi abituati, come sono, a quelle sortite proprie, da sempre, di ogni generazione. 

Le famiglie tentano di mantenere un generale riserbo. Domina ancora, per lo più, l'occhio sociale, la falsa speranza del poter mentire agli altri su se stessi senza essere scoperti, l'illusione di un sentire comune verso i figli. Questi comportamenti scompaiono quando si ritorna liberi e i pargoli son lontani a giocare. Ecco che allora possono riaffiorare i conflitti, le rivincite su torti mai subiti, le fantasie accusatorie, i disturbi paranoidi di personalità.

La specie più divertente o più spaventevole è quella dei docenti. Agli occhi di Alfredo sembrano semplicemente spaesati. In difficoltà. Come se la compressione di intere stagioni esplodesse in brevi secondi. Alfredo li sente starnazzare tra tentativi goliardici portati all'estremo approdo del pecoreccio e pettegolezzi mal nascosti sugli assenti. Le loro voci si alzano a onda, si placano, riiniziano per poi divampare prima di un affranto silenzio, di un inatteso momento di lucidità. A quel punto si ode un suono flebile emesso dal più timido, dalla più timida, subito spento dall'emergere chiassoso di una nuova piroetta vocale di gruppo. A volte alcuni di essi sono accompagnati da capi stormo, spesso è possibile riconoscerli per un loro malcelato dispetto che li fa volare via  in anticipo sul resto del manipolo.

Tra breve quasi tutti si disperderanno prima di tornare a nidificare a settembre. Alfredo lo sa. Attende.

[Alfredo] vittime collaterali

Stanotte Alfredo non è riuscito a dormire bene. 

Alla radio continuavano a parlare di attacchi, di distruzione e lui non era riuscito a staccarsi da quelle parole. Il caldo poi aveva fatto il resto in quel confuso dormiveglia e così Alfredo, già quasi prima dell'alba, aveva rimesso gli abiti del giorno prima ed era uscito in cerca di un po' di fresco per l'anima.

Le città al risveglio sono strane, sembra che sussurrino, sembra che ti guardino come si guarda un estraneo che si avventura nel tuo territorio. E sono curiose e timorose e ti seguono fin quando non si abituano a te. Fin quando non ritorni a far parte di esse.

Alfredo si è lasciato guidare da quei sussurri, dalle strisce di luce, dai piccoli movimenti dei gatti guardinghi, dal risvegliarsi degli uccelli. Sui muri ogni tanto una targa: l'eroe risorgimentale, le parole dei re, dei duchi, dei principi, la nascita di questo o quello. Non si fa quasi caso a queste cose che il tempo è poco. Si ha fretta. Si dimentica. 

Quando Alfredo si ferma trova una vecchia panchina ad attenderlo. Di fronte a lui su di un cippo malandato un elenco di nomi. Un bombardamento. Un rifugio colpito. Caduti per errore c'è scritto.

[Alfredo] mercatini

Quando Alfredo si sposta verso il centro lo fa con cautela. Ama poco trovarsi tra tanta gente. Ama poco le loro, la propria, manifeste solitudini, ma anche i sorrisi forzati della finta gioia con gli amici o gli sguardi famelici di chi vive solo per un "e dopo?"

Alfredo preferisce i luoghi che conservano qualcosa che lui definisce vita vera anche se non saprebbe spiegare meglio il significato di quelle parole. Così costeggia le vie affollate. Cerca i piccoli bar nascosti e quasi vuoti di turisti. L'ombra dei piccoli giardini. 

Alfredo, però, cede ai mercatini. È attratto dalle dita che valutano veloci. Dagli sguardi in cerca di qualcosa che ancora non si sa bene cosa sia. Dai piccoli dialoghi tra i venditori quando questi iniziano a sistemare la merce per andare via.

Li frequenta da sempre Alfredo, i mercatini. Come per uno strano sortilegio in essi tutto nel tempo è rimasto uguale. Tutto è mutato. Come se un piccolo mago avesse solo cambiato gli attori e le merci per mantenere intatta la sequenza del film. 

Alfredo sorride alla maghrebina che ha appena venduto dei calzini a una turista francese. Sorride alla sua domanda "sei italiano?" arrivata subito dopo aver chiesto lui, con un cenno, il costo di una maglietta. Sorride al suo "meno male" quasi a scusarsi del cattivo inglese tentato in precedenza. 

Alfredo non ama molto la gente. "Amo le persone" pensa mentre va verso casa con la sua maglietta nuova.

[Alfredo] u verru

Quando il tempo lo permette Alfredo esplora i piccoli sentieri che dal parco, dai palazzi di una periferia sempre in movimento, sempre diversa, conducono fino a quello che resta dei campi, fino alle balle di fieno nei loro cerchi perfetti, fino ai casolari diroccati, fino al limite di paesi senza vita, di dormitori legalizzati. 

Uno dei percorsi più belli passa sotto la tangenziale. Lo si percorre attraversando prima un piccolo e ombroso parco di tigli. In estate l'odore dei fiori è così forte che Alfredo fatica quasi ad attraversarlo. L’allergia da polline lo ha preso da adulto e non è più andata via.

Di là dalla tangenziale un largo terreno incolto, paradiso del tarassaco, precede un campo di susine, dove a volte Alfredo raccoglie delle prugne piccolette buonissime che maturano a luglio, quando il caldo le protegge dai curiosi e dai camminatori.

Oggi Alfredo ha deciso di percorrerlo dopo aver ascoltato la radio a casa, dopo aver sentito di un uomo, di un carnefice, lasciato libero dopo aver ucciso bambini e magistrati, mafiosi e "sbirri". Lungo il cammino ogni tanto ha raccolto dei fiori di campo, fino a farne un mazzetto, per poi lasciarli all'ingresso del sottopassaggio. 

Si è fermato un po’ lì Alfredo, ad ascoltare il rumore delle auto che passavano veloci e a ubriacarsi per l’odore dei fiori, a pensare; poi ha chiuso gli occhi per il prurito insopportabile prima di iniziare lentamente a tornare indietro, prima di smettere di trattenere le lacrime.

[Alfredo] Ettore

Oggi al parco era solo un annusare l'aria e pisciare e bere da bicchieroni di plastica. Alfredo aveva dimenticato l'evento annuale, la grande festa dell'inutile esagerare. 

Aveva camminato a lungo Alfredo per liberarsi da quel tanfo, ma poi si era arreso. Troppo caldo. Troppa strada fatta. Il suo cedere comunque aveva prodotto un boccale di vetro e della birra passabile. 

Seduti di fronte a lui una delle tante famiglie uguali discuteva, sui capricci dell’unico figlio, cosa ordinare. Alle sue spalle il tubare ridanciano di ragazzini in calore. Il tavolo di Alfredo, per sua gioia, rimaneva vuoto. La birra rapidamente diventava più calda, ma Alfredo non aveva voglia di fare in fretta, dava piccoli sorsi poi continuava a perdersi senza mete. Lontano le voci dei musicisti che allestivano il palco, vicino il mugolare di un cane. Guardava Alfredo e aspettava. Una carezza? Cibo? Solo uno sguardo? 

Alfredo lo fa salire sulla panca, poi con decisione improvvisa si alza, ma prima si raccomanda: “Stai qui! Non ti muovere! “

Alfredo sa che a pochi passi c'è una fontana, spera solo non l'abbiano chiusa per non danneggiare i padroni dei camioncini paganti. Funziona, per fortuna. Svuota il boccale e lo sciacqua prima di riempirlo. L'acqua è quasi più fresca della birra. Alfredo torna in fretta. Il cane è sempre lì, lo ha seguito nei suoi spostamenti, ora scodinzola. 

Alfredo gli porge il boccale e lo carezza. Sono solo pochi minuti per quella nuova amicizia. 

"Ettore! Ettore" Il cane alza lo sguardo, sembra sorridere. Una leccata alla mano di Alfredo e sparisce. La folla lo nasconde, Alfredo si allontana dalla panca e si avvia verso casa.

[Alfredo] felicità

 Le gambe fanno un po' male oggi, anche il peso è aumentato e le sigarette, anche. 

Alfredo però non può rinunciare a salutare il suo albero e la sua panchina e così si incammina, molto presto però,  affinché il sole non ferisca, affinché i passi raccontino solo la storia tra lui e il prato che scricchiola contento. 

A volte Alfredo se lo è chiesto cosa fosse la felicità, non si è mai risposto però. Il fatto è che risposte per lui non ce n'è. Gli era capitato di parlarne con gli amici, certo. Ognuno portava i propri esempi e lui in genere rispondeva con parole come queste: “Non pensiamo di essere stati felici quando guardiamo al passato? Quando dimentichiamo le scortesie, i litigi, le delusioni per ricordare invece solo le immagini, i baci, i sapori di pochi piccoli istanti? Ma siamo stati veramente felici in quei momenti? Insomma ne abbiamo mai avuto consapevolezza? Certo, se è successo, forse è stato solo per casuali coincidenze, per grandi moti dell’anima, per brevi fughe d’amore. Che senso ha, allora, dare definizioni alla felicità?” 

Piuttosto camminare qui nel silenzio, pensa Alfredo, raggiungere il mio albero, la mia panchina, guardare il cielo, vivere.

[Alfredo] Ocimum Basilicum

Non riesce più a dormire fino a tardi Alfredo e allora ne approfitta per sistemare casa, il poco che c'è da fare in quel piccolo spazio, o per godersi la sua pianta di basilico illuminata dal primo sole. 

La guarda Alfredo, ne esamina le foglie, la carezza per lasciare che il profumo arrivi alle narici, lo risvegli completamente. 

Accanto al basilico ha messo da poco delle piantine di pomodoro e già iniziano a scorgersi i piccoli frutti acerbi, timidi nel loro nascondersi tra le foglie eppure già cosi sfrontati nel loro  pesare sul fragile fusto.  Alfredo non sa bene cosa ne farà. Certo ha immaginato pesti profumatissimi e insalate dolcissime, ma in realtà sarebbe più contento se potesse fermare qui il corso degli eventi, se fosse possibile intrappolare tutto quel piccolo splendore in un istante, come in una foto, come in una pagina di Wilde. 

Alfredo però questi pensieri non li confessa a se stesso, con le dita smuove un po' la terra, osserva ancora il terreno per capire se sia umido a sufficienza,  poi alza lo sguardo verso l'esterno: gli alberi quasi in fiore, le grandi aiuole già falciate, i ragazzi verso scuola che si inseguono leggeri. 

Una piccola foglia verde gli è rimasta in mano, Alfredo la soffia via, la vede volteggiare con allegria fino alla strada sorretta a tratti da un leggero vento che sembra abbandonarla per poi di nuovo rincorrerla, quasi fosse un gioco, quasi fosse vita.

[Alfredo] al teatro Farnese ad ascoltare Nori e Sostakovic

 "Si può andare in un posto bellissimo, ascoltare della buona musica, riflettere su belle parole eppure non essere contenti" Alfredo continua a pensarci a questo suo scontento e si chiede perché e si domanda cosa sia stato. 

Alfredo ci è capitato quasi per caso in quel posto. Certo gli piace ascoltare musica, riesce anche a capire la bontà di molte parole,  ma aveva  scoperto tardi quella iniziativa e pensava di non trovare più un biglietto d'ingresso. Gratis, naturalmente che la cultura costa.

Alfredo era stato felice di aver trovato un posto libero. Che fortuna. Solo quattro posti per un teatro affollato, forse una rinuncia arrivata all'ultimo minuto. Un sogno, insomma.

Si era seduto, aveva ascoltato l'introduzione retorica, i suoni, la voce... eppure ora sentiva quella insoddisfazione.

"Forse perché ci sono andato solo" si era giustificato, ma Alfredo va in giro sempre da solo. Vive da solo, mangia, beve, commenta, sorride, bestemmia, ama la vita da solo Alfredo. Si è abituato. Ci sta bene. 

Il fatto è che tutta quella gente ben educata, ben vestita, democratica, competente, morta, tutta quell'introduzione, quelle parole, quella musica gli sono sembrate all'improvviso un grande esercizio di ipocrisia. Io parlo a te, che mi comprendi e che se anche non mi comprendi fai finta di farlo e ti faccio vedere, mi faccio vedere, come tu ti fai vedere.

Alfredo è rientrato a casa e ha messo su una tammurriata e ha ballato e ha abbracciato la sedia e il cuscino anche. Ha dato un bacio al buio, ha bevuto Alfredo e scoreggiato rumorosamente. Poi ha dormito, di un buon sonno e la tammuriata e Sostakovic erano una sola cosa e Blok danzava con lui mentre l’Achmatova lo baciava con passione in una piazza piena di gente che rideva e ascoltava e parlava e viveva.  

[Alfredo] piccole chance

 Manca poco, la prossima fermata. La ragazzina inizia ad agitarsi. Sposta lo zaino da un lato all'altro delle spalle, mette via il cellulare, passa le mani tra i capelli, abbozza un sorriso che sa di prova. 

Alfredo capisce subito se lui è salito o meno. Nel primo caso lei inizia a guardare oltre il finestrino, assente, mentre lui, in genere, comincia a giocare con il telefonino. Nel secondo, invece, quasi sempre la ragazza, se ha spazio, mette a terra lo zaino e china un po' la testa, delusa, poi riprende in mano il cellulare e inizia a scrivere. Forse alle amiche, forse ha una sorta di diario, pensa Alfredo.

Chissà se il nostro principe si è mai accorto di quello che le passa per la testa, chissà se lei si è mai confessata a lui. 

Alfredo non sa se vadano nella stessa scuola perché scendono a fermate diverse e anche il punto in cui si incontrano è abbastanza lontano da quello in cui lei inizia il viaggio. Forse hanno amici in comune, forse altro, chissà. 

Solo una volta ad Alfredo è sembrato di vedere un fugace saluto tra loro, qualcosa che andasse oltre lo sguardo chiuso di lei, oltre l'indifferenza di lui. Comunque ogni volta che gli capita di vederli Alfredo non può fare a meno di costruire piccole storie su di loro, o forse piccole storie su se stesso, su quello che è stato, su quello che ha visto.

Alfredo alla fine crede non sia cambiato molto, in questi mancati scambi, insomma, nei rapporti tra anime. 

Anche se lei fosse stata lui e viceversa. Anche se fossero state due donne o due uomini. Anche fosse stato solo il desiderato sogno dell'altro.

[Alfredo] cortei

 Quando Alfredo si è intrufolato nel lungo corteo non pensava a nulla. 

Non ricordava le lotte di un tempo, gli scontri. Non ricordava la botte ricevute, quelle date. 

Quando Alfredo si è intrufolato nel corteo pensava solo che fosse giusto essere lì, anche se non conosceva nessuno anche se non riconosceva nessuno. 

Perché i cortei hanno sempre qualcosa di speciale "è il potere delle folle" una volta gli avevano spiegato, ma Alfredo pensava invece che fosse il potere dei cuori perché allora nulla gli avrebbe impedito di seguire una di quelle marcette nere che sempre più spesso apparivano sui giornali. 

No, non erano cortei quelli. non erano cuori che pulsavano, non erano. 

Quando Alfredo si è intrufolato nel lungo corteo ha guardato le bandiere e gli striscioni e i volti della gente e allora ha iniziato a diventare più giovane sempre più giovane e a sorridere e a bisbigliare slogan prima di urlarli, prima di cantare, prima di perdere la voce. 

Quando Alfredo si è intrufolato nel lungo corteo gli è rinata la speranza.

[Alfredo] sala d'aspetto

Lo studio medico è abbastanza pulito, Alfredo lo ha scelto a caso tra quelli più economici, più distanti dal centro città. Non ama molto i medici Alfredo, anche se in fondo lui è lì solo grazie a loro, ma forse è proprio quello il motivo. 

Il fatto è che ricorda ancora le lunghe file di letti in ospedale dove era stato da piccolo, i giorni passati in solitudine ad attendere l'orario di visita, il cibo scadente. Ora invece è seduto in questa stanza, “abbastanza pulita” torna a dirsi per farsi coraggio. 

Alle pareti quadri senza valore e qualche avviso. Nessuno vi presta attenzione e anche loro paiono ad Alfredo consci della loro inutilità. 

Ecco, però, forse una parete  tutta bianca sarebbe molto più triste, pensa, e allora Alfredo si aggrappa a questa possibilità per dar loro un senso. Si concentra su uno di quei quadri, lo osserva con attenzione. Mostra strisce orizzontali che si accumulano, si passa dal giallo all’azzurro e ogni linea è sovrapposta alla precedente, viene coperta dalla successiva. A volte una pennellata acquista densità e si formano increspature che ad Alfredo paiono piccoli omini protesi verso il vuoto. Come volessero scappare, come volessero vivere in un altro luogo. Altre linee invece risultano piatte e quasi non si distingue la loro esistenza reale sulla tela, quasi fossero semplici macchie della stessa, come se il loro creatore si fosse dimenticato di dar loro una anima. 

Alfredo è così assorto che non si accorge che qualcuno lo ha chiamato, che ora è il suo turno. 

[Alfredo] Attese

Alfredo guarda le ultime notizie, ma non ascolta. Non riesce.  È seduto al tavolino di un bar: la tazzina di caffè davanti a lui, un cornetto già sgonfio in mano, lo scontrino sotto il bicchiere d’acqua, un fiore finto dentro un piccolo vaso di vetro.

Il brusio attorno è così forte che è impossibile sentire qualcosa e così Alfredo guarda, guarda e cerca di capire, guarda e pensa. Vicino a lui altri tavoli, qualche gruppo di ragazzi a far caciara, una donna che chiacchiera con la barista, una coppia che gioca a un antico gioco sfiorandosi quasi di nascosto le mani mentre i loro occhi si perdono in quelli dell'altro. 

Alfredo pensa che forse è lì per attendere qualcuno, qualcosa, ma non è ben sicuro sia così, forse lo ha solo sognato, forse ha solo voglia che accada. 

“Le serve qualcos’altro?” La cameriera è gentile anche se lo guarda come fosse un alieno. “No, no, grazie va bene così” risponde Alfredo ma poi subito dopo si da una occhiata veloce per vedere se tutto è in ordine, se magari quello sguardo volesse segnalargli qualcosa. 

Quando lei arriva Alfredo si alza subito in piedi: “Eccoti! Eri tu allora!”

Lei lo guarda un po' imbarazzata, quasi nervosa. Passa oltre e si ferma a parlare con la barista. Alfredo vede che le due donne lo indicano, lo fissano strano prima che a loro si unisca anche la cameriera. 

Non si siede, Alfredo. Esce. Respira. Fuori è primavera.

[Alfredo] Finirà presto

 "Finirà presto" si dice Alfredo e chiude la porta e sente il cane dei vicini abbaiare e poi con calma inizia a dirigersi verso il supermercato. 

Un panino e un etto di mortadella, non ci vuole molto. 

"Finirà presto" continua a ripetersi e rientra e si siede e taglia il pane per farcirlo. 

"Finirà presto" pensa e morde e mastica e apre una bottiglia di birra da cui beve appena un sorso. 

"Finirà presto, non è possibile altro"

Il sole invade il balcone e la stanza e poi si ritira ed è di nuovo notte. 

"Finirà presto" sogna Alfredo e tira su la coperta per coprirsi, per  tornare bambino.

[Alfredo] amnesie

 "… non c'è più educazione e poi come si vestono! Le ragazze poi!  Sembrano tutte zoccole poco eleganti. Ma li ha sentiti parlare a quegli zulu? Sembra di essere tornati in Africa"

Alfredo lo guarda e nel frattempo guarda lontano, di là dai vetri dell'autobus, verso il fiume che scorre lento, verso gli alberi che marciano ordinati, verso il cielo che sembra di nuovo imbruttirsi. Quello continua a parlare e non si accorge di quella disattenzione, di quel rifiuto. Come se quel lungo sfiatare sia solo il necessario svuotarsi di una pentola lasciata troppo da sola sul fuoco.

Mancano ancora molte fermate, ma Alfredo decide che forse è già abbastanza. Si alza, saluta con il capo educatamente e fugge via da quel vuoto, da quel ciarlare. 

Sul marciapiede nessuno, quella è una fermata secondaria. La campagna è vicina e sull'altro lato della strada solo un vecchio edificio con un piccolo bar. Alfredo decide che prenderà un caffè e tornerà indietro; un'auto lo sfiora mentre attraversa la strada, lui sembra quasi non farci caso impegnato com'è a rintracciare un ricordo.

Era stato qualche giorno prima, vicino ai portoni di una scuola, in un piccolo spazio ricavato tra due palazzi, quasi un proscenio non voluto da nessun architetto. Aveva sentito cantare dei ragazzini. Non era riuscito a capire bene quelle parole strette tra un inglese inventato e un gergo  a lui sconosciuto,  ma il gruppetto sembrava ridere felice, e urlavano e si dimenavano senza sosta. 

Subito gli era tornato in mente un romanzo letto molti anni prima, l'autore raccontava di una donna sentita cantare al balcone e concludeva che c'era ancora speranza se questo tornava a succedere. Alfredo per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare altro di quel testo, di quello scrittore, ma di certo non avrebbe potuto chiederlo al suo vicino sull'autobus se il ricordo gli fosse affiorato prima, forse nemmeno a quei ragazzi persi nel loro vivere. 

Alfredo sorride pensando che lo avrebbero di certo deriso se si fosse avvicinato loro con quel dubbio e di sicuro avrebbero avuto ragione.