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05/11/23

Cheppoi la Palestina

Cheppoi mi rifugio nel mio eden di buoni sentimenti e manifestazioni. Passo le giornate ad ascoltare Woody, a leggere Bertolt,  rifugiandomi dentro questa folle idea che sia ancora possibile cantare il presente, magari, perché no, sognare il futuro.

Cheppoi le bombe aumentano e le immagini anche, e le voci. Cosa fare se non sentirsi colpevoli anche quando si è innocenti? 

Cheppoi noi, loro, quelli, io.

Cheppoi torno ad ascoltare un concerto del '70 dedicato a Guthrie, chiudo gli occhi e piango.

Cheppoi "scrivo le cose che vedo, le cose che ho visto, le cose che spero di vedere, da qualche parte, in un posto lontano".

29/04/23

incontri

Poi sono solo gli occhi e la mano di lei che gli sfiora il viso prima di un bacio leggero, prima di un veloce allontanarsi. 

La fanciulla viene verso di me e sorride ancora un attimo prima di decidere di voltarsi per vederlo andare. Lui ha sistemato meglio lo zaino sulle spalle ed è fuggito svelto come fosse già in ritardo, come fosse importante il tempo. 

Quando la supero ha ancora qualcosa addosso, una luce, che non si può non chiamare amore e la pioggia leggera che la bagna, che ci bagna, ha solo il sapore dolce di una benedizione. 

Ricorderanno tutto questo, mi domando, e se ci riusciranno potrà fargli male?

14/09/22

fratelli della costa -1-

Si rimane lentamente abbarbicati a un'età, a un anno, a un momento, a qualcosa che, ricreata, rimodellata, a nostro piacere diviene il punto zero di un’intera esistenza. A partire da quello possiamo navigare con sicurezza nelle nostre inezie quotidiane, nei nostri sogni, nelle nostre nostalgie. A quel porto poi, invecchiando, torniamo sempre più spesso, quasi sempre a mani vuote, a volte con inaspettati tesori, altre solo sbarcando simulacri o cantando la stanchezza della navigazione. Ecco, in fondo siamo solo i pirati di una immaginaria Tortuga e lì, sull'isola, padroni del nostro fantasticare, intessiamo relazioni e odi, ci prostituiamo e imperiamo, sopravviviamo.



20/06/20

[condomini] elegia d'amore

A iunnata era china di suli. A temperatura chidda giusta. Tannicchia di ventu a rinfriscari na testa e la sensazione di essiri a mità strada. No cori come a una leggerezza. Nciauru di gelsomino.
Totò camminava attento a tuttu chiddu che ciaveva attorno e fu accussì che u visti. Un ciuri di campagna meraviglioso. Come a quello dei buchè di sposa. Però chistu era vero che quelli invece parunu tutti di prastica. Qualcosa che Totò non si aspettava. Qualcosa ca ci pigghiau tutti i pinseri.
Si firmau a taliarlo meglio. A odorarlo. A carezzare come a un ciato leggero i delicati petali.
Era in dubbio. Pigghiarlo e portarlo no so viaggiu? Lasssallu na sò terra a crisciri e moriri?
Tuttu chinu di sti pinseri mancu saccurgiu do tempu ca cangiava. Delle nuvole ca tingevunu di niuru u munnu. Quannu lacqua pigghia na testa improvvisa non poi fari nenti. Ti tocca circari riparu o assuppari e iri avanti. E accussì Totò fici.

04/12/19

una rosa

Cera una rosa che maspettava.
Tutta ianca, sinni stava affacciata alla finestra. No niuru che la circondava, pareva ca parrava sulu ammia: "No viri ca sugnu ca?" diceva.
Però non cera astiu, no, na sò dumanna e mancu scantu a farisi viriri in tutta a so biddizza in nda strada deserta, nella notte.
"I paroli veri su muti, fatti sulu picchì i sapi ascutari" pinsai e trasii a casa a inchiri u bicchieri.
A darici acqua, a darimi acqua.

27/11/19

Luisa

“Sai, a me pare che ogni cosa che facciamo si fermi, alla fine, allo scrimolo. Mi sono chiesto tante volte perché ciò accada, cosa questo indichi, ma credo che la risposta sia banale… è lì che diventa possibile cedere alle lusinghe dell’incompletezza.”
“Parli di noi?”
Luisa mi chiede quasi indagando.
Seduta vicino a me accarezza il calice di vino. Lo sguardo e la sua attenzione, si spostano veloci dal tavolo al mio viso, dalle luci e dai suoni che giungono dalla strada a invisibili punti nello spazio che mi escludono, che vivono solo nella sua mente.
Sorrido, non mi va di risponderle e del resto non saprei neanche cosa dirle.
“Io credo solo che tu ti diverta con le parole, con il loro suono più che con il loro significato...”
I suoi occhi ora mi fissano con più insistenza, mentre le mie dita continuano a segnare il perimetro dei suoi fianchi.
 “… e poi alla fine la verità è che vorresti solo scoparmi”
Ride. Ridiamo insieme.
“Strutture… sovrastrutture” provo a dire.
“Fica… culo” aggiunge.

04/10/19

scomposti amori

Il terzo frammento illumina un treno che corre, un’auto ferma da tempo, il mondo che si espande fino a divenire palla di vetro, noi nudi a raccoglierci tra le mani come neve.

Il settimo frammento inquadra un letto. Lei dorme. Lui ancora finge di non sapere.

Il primo frammento vive nella luce di uno schermo. Dita che si sfiorano. Un mouse a unire.

Il quarto frammento sorride nel riflesso sincero di uno specchio.

Il secondo frammento profuma di sogno. Una scala che porta al primo piano, al piano terra.

Il sesto frammento è tempo. Sono ore. Sono mesi. Sono attesa.

L’ottavo frammento sa troppo di tappo. Puzza di distacco, di stanchezza.

Il nono frammento. Nebbia.

Il quinto frammento canta tante parole senza controllo, desideri, sospiri.

Il decimo frammento scorre ancora tra i salti del rullo, i baci. Appaiono, distratti estranei, gli inevitabili titoli di coda.

18/09/19

Etna e poesie


Carlo cerca spazio. Fatica un po’ a sedersi, a incrociare le gambe. Gli acciacchi dell’età, pensa.
Il cerchio è quasi formato, il fuoco acceso. 
Vicino a lui vagano dei sorrisi, qualche sussurro, il cigolare del legno fresco. Non sono tantissimi. Visti da lontano li si potrebbe credere scout in gita se non fosse per quel loro composto silenzio che sa di attesa.
Tutto ora sembra pronto. Qualcuno si alza, presenta la serata, dopo è solo un susseguirsi di emozioni,  di celate paure. Dopo è solo il sedimentarsi rapido di un ricordo. 
Carlo ha il tempo d'innamorarsi di un volto, di una frase, del solco di una clavicola, di una parola pronunciata con un accento strano, di una stella che improvvisa cade a far festa, del vino che viene distribuito a fine serata.
Infine tutto tace. La notte riprende il suo spazio. 
Carlo saluta, si incammina, forse è solo, forse ha qualcuno a fianco.
La montagna, che non ha smesso un attimo di osservarli, borbottando li benedice.

01/09/19

[Diario parmigiano] 7

La donna ha in una mano una piccola busta da cui fanno capolino dei fiori. Credo siano rose. 
Inizio meccanicamente a cercare di ricordarne i vari significati: rossa è amore, passione; arancio bellezza, desiderio; bianca innocenza, amore puro; rosa amicizia, gratitudine; gialla gelosia, incertezza. Li avevo imparati per uno dei miei primi regali importanti su suggerimento di una seducente signora. Io sedicenne idealista e brufoloso, lei quindicenne innamorata dell'anima dei muri, la fioraia divertente, divertita e pettoruta.
Ritorno, con i pensieri e lo sguardo, alla donna. Ha una naturale eleganza che l'accompagna come un'aura tra la gente. Non credo sia molto anziana, non più di me di certo. I pantaloni chiari e la camicia rivelano un fisico ben curato. Eppure il suo volto appare stanco, quasi provato. Si ferma. Le dita corrono veloci a cercare qualcosa sullo schermo del telefonino, gli occhi rimbalzano tra quello e la strada. Forse rincorre un appiglio visivo che la porti in qualche luogo, forse attende qualcuno. Improvvisamente la vedo decisa. Il passo non è affrettato, l'andatura sinuosa. Non fa, però, in tempo ad allontanarsi da me, per svoltare alla sua destra, che una bici distratta le va addosso. Una ruota si intrufola tra le sue gambe.
Non succede nulla di grave per fortuna. Il giovane conducente chiede scusa e va subito via. I pantaloni della donna, però, si sono sporcati e a nulla serve cercare di pulirli. Lei reprime con garbo la sua stizza, io mi piego per aiutarla a raccogliere la busta sfuggita nel piccolo incidente. Faccio in tempo a osservare al suo interno, ancora intatto, un piccolo vaso di rose bianche. 
La donna mi ringrazia con un sorriso, poi si allontana.
Ripenso al mio strafare da adolescente, avevo scelto rose rosse e bianche: amore indissolubile.

07/08/19

[Diario parmigiano] 6


Due serate passate fuori, ché a volte bisogna uscire per quanto sia comodo rifugiarsi in un buon libro, una piccola cena, un bicchiere di vino.
Nonostante il caldo, non è poi moltissima la gente in strada. In centro una coppia francese fotografa i luoghi un po’ a caso e si rincorre divertita tra vie quasi deserte. Avranno poco meno di trentanni.
Lei è molto carina e desiderabile nel suo vestitino leggero che la fascia con precisione. I colori dell’abito sono delicati ma non spenti, i capelli ribelli le coprono spesso il viso e lei li ricaccia indietro un po’ sbuffando, un po’ ridendo. Ha questo piccolo vezzo di portarsi spesso le mani in testa ad acciuffare quelle giovani onde e per un attimo farne un piccolo fiume di luce prima di lasciarle di nuovo andare.
Lui è indubbiamente di origini indocinesi. A tratti ha un fare serioso.
Parlano ora e i loro occhi non vedono che l’altro, poi riprendono a camminare.
L’uomo sembra volersi un po’ atteggiare a interessato turista, quasi a nascondere il suo star bene. Si lascia andare a un sorriso pieno, innamorato, solo quando si accorge che lei lo sta filmando da qualche minuto mentre lui continuava a camminare distratto e stupito col naso all'insù.
Due serate, due concerti, o meglio un quasi concerto e una commemorazione, o ancora di più un piccolo viaggio discorsivo-musicale sul sud degli Stati Uniti (il Delta blues, le armi, i due milioni di “schiavi” morti nella traversata atlantica) e il ricordo, sbiadito nella calca della serata, di centomila vittime a Hiroshima per mano della stessa nazione. “In God We Trust”

05/08/19

[Diario parmigiano] 5


Ho tagliato le foto del basilico per aromatizzare l’olio e le nuove piante, che ho messo alla finestra, lentamente stanno provando ad arrampicarsi su per la leggera grata che mi separa dal mondo. Ho anche fatto colazione al bar stamani, scambiando parole di viaggio con la proprietaria, e, appena entrato, il tabaccaio mi ha porto le sigarette senza chiedermi cosa volessi.
Ecco forse è in questo leggero scorrere delle cose, nel formarsi di piccole abitudini, nella ripetizione che rimane sempre nuova il senso.
Tornando verso casa mi sono accorto, a poche decine dal portone, di un altarino posto tra due palazzi. È parecchio alto rispetto al piano stradale, forse è per questo che mi era fin a ora sfuggito. È stato ritinteggiato, cosi come le mura delle case che lo inglobano, ed è più grande di quelli che solitamente osservo a Catania. È pulitissimo e vuoto, quasi fosse il ricordo del sacro incastonato nel reale o solo un reale che del sacro possiede, nascosta ai distratti, la struttura, il fiato.
Credo sia ora di prepararmi un nuovo caffè.

02/08/19

[Diario parmigiano] 4


Arriva Agosto e, improvvisamente, a ogni angolo di strada trovo dei lavori in corso. Si asfalta, si buca, si sistema il pavé... credo che mi innervosirei parecchio se dovessi attraversare la città in auto, ma non è il mio caso. Continuo a gironzolare quasi senza meta a piedi. Parma alla fin fine è un paesotto un po’ cresciuto nonostante la grandeur di una città ancora orfana di Maria Luigia. Qui si arriva senza difficoltà da est a ovest, da nord a sud e, per fortuna e civica oculatezza, quasi sempre in sicurezza.
I numerosi parchi che capita di attraversare hanno pubblico e abitanti diversi. Non so se tutto corrisponda a una dislocazione abitativa sedimentatasi per nazionalità o solo l’affermarsi di una lenta tradizione, ma si incontra il luogo popolato da filippini intenti a consumare pasti collettivi, come quello in cui vedi conversare tra loro quasi esclusivamente donne dell’est o quell'altro in cui torme di ragazzi di colore giocano a pallone. Io approfitto della quiete estiva per camminare con calma, per chiedermi, senza nessuna speranza di risposta, che albero o fiore sia quello che attira la mia attenzione.
In realtà però non mi limito a questo, confesso che mi piace anche molto osservare le persone. Inventare vite e situazioni attorno alla gente che incontro. Fantasticare senza ferire, senza paura di poter sbagliare. Credo che in parte siano gli stessi meccanismi che attivo quando vengo preso dalle pagine di un libro o forse è solo il riaffiorare del fanciullo che si annoiava da solo in casa.

30/07/19

[Diario parmigiano] 3


I lavori proseguono veloci. I muratori hanno tutti accenti del sud Italia e si scambiano battute tra loro credendo, a torto, di non essere capiti. Sono parole salaci, sfottò divertiti.
All'ora di pausa arrivano pizze e birre. A portarle un ragazzo di colore, con la sua bici d’ordinanza. Nonostante il caldo non è affatto sudato. Consegna e scappa via, veloce. Non ho capito se avesse, con sé, altro da distribuire.
Qualcuno dei manovali rimane all'interno delle abitazioni in ristrutturazione, qualcun altro ne approfitta per spostarsi nella vicina piazza all'ombra striminzita di bassi palazzi, uno sceglie la piazzetta più isolata e assolata, quella accanto casa mia.
Lo sento parlare. Lui, immagino, seduto sulle lunghe panchine scrostate, io chino a scrivere accanto alla finestra.
Per qualche strano gioco di rimbalzi qui arrivano le voci delle persone che attraversano i dintorni, ma non i segnali delle compagnie telefoniche. Niente 2G, 3G, 4G... niente squilli inopportuni. Sarà un vendicarsi delle antiche mura o uno scherzo acustico dei vecchi costruttori.
L’uomo parla con la famiglia, mi pare. Racconta la giornata, quello che ha fatto, quello che gli rimane da fare. Credo siano le stesse parole di chiunque abbia dovuto abbandonare i propri affetti per poter lavorare. Quando finisce io sono già uscito per andare a prendere un caffè al bar. Lo vedo addentare con gusto un panino farcito con del crudo dal buon colore. Magari parlerà anche di questo quando tornerà a casa.

28/07/19

[Diario parmigiano] 2


Oggi è domenica. Piove. 
La vecchia continua a urlare contro i suoi invisibili nemici e io non so bene se decidermi a pulire un po’ casa. 
Oggi non è passata la coppia che fa compagnia alle mie colazioni. Forse la pioggia o i locali chiusi.
Lui strascina un po’ i piedi, fatica a muoversi, ma dal tono, seppur stanco, della voce credo fosse un uomo abituato a comandare, a imporsi. È curatissimo nelle sue giacche di buona fattura, nel volto rinsecchito appena sbarbato. 
Lei è una trottolina canuta, zampetta tra lunghe gonne svolazzanti e sorrisi che sembrano non potersi spegnere. Lo rincuora quando gli è a fianco. Lo precede spesso, ma poi si volta a controllare e allora lo attende paziente. E però anche in quegli attimi non sta ferma, parla, gli chiede dolcemente, ogni mattina, cosa desideri al bar, gli ricorda le cose ancora da fare, i luoghi da raggiungere e ripete tutto più volte quasi a voler essere sicura di aver capito bene, di non sbagliare. Non credo che questo le serva veramente, credo, piuttosto, che lo faccia per lui.
Durante il breve tratto in cui mi è possibile osservarli vedo questo loro costante andamento a elastico. Due anime abituate ad attrarsi e respingersi. Due tortore, forse.
A volte mi è capitato di vedere il loro sguardo, anche. E me ne sono innamorato.

27/07/19

[Diario parmigiano] 1


“L'amore ti rimane appiccicato addosso come fosse chewing gum sulla punta delle scarpe e diventa inutile che tu ti dia pena a sfregare che tanto qualcosa resta sempre, anche solo la macchia sulla pelle”
Era la quarta volta che il vecchio mi ripeteva questa frase e io non facevo altro che sorridere e muovere il capo ad acconsentire. Cosa altro potevo fare?
L'uomo mi raccontava la sua vita e, in quel momento, io ero lì per lui; del resto sono stato sempre un buon ascoltatore.
Forse è proprio vero che la gente si divide tra chi parla e chi ascolta e poi tra chi parla sbraitando e chi lo fa con calma e tra chi ascolta con attenzione e chi, invece, con sufficienza e ancora tra chi sbraita c’è chi lo fa per paura o per stupidità mentre tra quelli che parlano con calma di sicuro c'è chi lo fa pesando bene le parole, ponderandole, e chi invece esercita solo una professione e, ancora, tra chi ascolta con attenzione c'è il buono di cuore e chi, per interesse, ha imparato a fingere così come tra chi lo fa con sufficienza emergono l'uomo cortese e lo stupido. Insomma potremmo giocare e fare un po’ di ordine a questo mondo, trovare le giuste intersezioni. Consegnare, ad esempio, l'urlatore stupido al suo stolto pubblico o il pauroso all'interessato, ma sono così tante le variabili e i sottogruppi di queste poche voci che solo a immaginare mi passa la voglia. Allora rimango qui ad ascoltare il vecchio e a sorseggiare il mio pinot grigio.
Quando ritorno al mio borgo mi aspettano i pianti continui del bimbo dei vicini di casa e le urla serali della pazza in fondo alla via. Confesso che mi stanno entrambi simpatici.
Il primo per come viene rincuorato dai genitori, la seconda per quel suo urlare frasi sconnesse in perfetto italiano. Stasera, mentre sto per aprire il portone, mi sorprende con un “bricconcello” che mi ricorda l'infanzia. “Prendila nel culo” aggiunge.
Come non essergliene grato?

13/11/18

[Alfredo] Ora

Alfredo non ha fretta. Cammina, mani in tasca, tra i vicoli e le piazze, costeggia parchi, canali, s’intrufola tra la gente senza farsi notare, fantasma. A volte inciampa nella bellezza Alfredo e allora si ferma. Guarda con attenzione e i sensi sembrano risvegliarsi, il cuore battere.
“Ora” dice Alfredo a se stesso e chiude gli occhi. "Ora". Poi li riapre e riprende a camminare.

25/07/18

[Alfredo] Strade -uno-


C’è un passaggio verso la campagna, un sentiero, non lontano dall'abitazione di Alfredo che lui non ha mai finito di esplorare.
È stretto. Accarezza il retro di poche case basse, inizialmente. L’intonaco sbriciolato, rigonfio, di quelle ne segna i confini. Poi prati stabili ad affiancarlo, altre case, l’orizzonte.
Alfredo ne è stato sempre affascinato ed è pure successo che ne abbia percorso qualche piccolo tratto iniziale: una volta fin quasi ad arrivare alla pianura. La quasi totale assenza di alberi, di ombra dove rifugiarsi e sparire, lo aveva, però, sempre fatto desistere.
Il fatto è che Alfredo credeva che loro non fossero ancora pronti a quel passo.
Aveva sempre pensato che ogni cosa, tutto quanto esiste, deve poter essere libera di accogliere e di essere accolta, anche se, nello stesso tempo, aveva sempre sostenuto che per tutto ciò che ci è dato desiderare fosse anche possibile considerare una forzatura. Il provare, comunque, un contatto, un’unione.
Oggi Alfredo ha preso con se una bottiglia d’acqua, calzato un cappello di paglia un po’ sbrindellato e mosso i primi passi. Il sentiero, sentendolo arrivare così deciso, sembrava nascondersi timoroso tra le mura.
“Ormai è inutile, è passato il tempo” gli sussurrò quello, quasi accarezzandolo con la propria voce. E poi "Sei vecchio! Non riuscirai, non riusciremo. Ti prego" aggiunse, cambiando intonazione così rapidamente da renderne quasi indistinguibili le parole.
Alfredo continuò ad avanzare.
I passi erano lenti, ma non per la fatica. Aveva imparato con gli anni l’inutilità di ogni spreco, il gusto del tranquillo possesso, l’energia trasmessa da uno sguardo.
I primi campi lo accolsero sorridendo.
“Dove vai? Dove vai Alfredo? Non senti come inizia a diventare calda questa giornata? Non vedi quanto ancora ti manca?”
Alfredo si guardò attorno, pensò dapprima all’alto fusto di quell’erba viperina che sembrava essersi piegata al suo passaggio, ma poi si rese conto che non potevano essere che quelle birbe di pratoline.
“Avete anche cambiato il tono di voce per fermarmi?”
“Ma noi lo diciamo per te” rispose un gruppo.
“Lo sai che ti vogliamo bene” aggiunse un altro.
“Lo so, lo so” disse loro Alfredo, ma in realtà si fidava poco di quelle fanciulline sempre innamorate. Prese un sorso d’acqua e continuò a camminare.
Alle sue spalle le margheritine continuavano a chiamarlo, ma ormai, davanti ai suoi occhi, c’era solo una lunga e fitta distesa di bassi ciuffi d’erba.
Aveva già percorso un lungo tratto di strada, ma il sentiero continuava a tacere. Alfredo si fermò un attimo per guardare indietro.
“È una cosa che non si dovrebbe mai fare questa!” disse, bonariamente, a se stesso e subito gli tornarono in mente le storie ascoltate e lette da bambino, quelle che lo affascinavano perché a lui incomprensibili. Quelle ormai dimenticate.
Ricomparve, nei suoi occhi, Orfeo che portò con sé la sua Euridice, ma dietro di loro era la moglie di Lot, la statua di sale, a fissarlo.
Alfredo ripensò alla suora che dalla cattedra aveva raccontato al gruppo dei minuscoli discenti quella storia. Nessuna spiegazione, nessuna enfasi nelle parole di quel basso e già vecchio corvo nero. Solo la piatta lettura del passo della Bibbia. Del resto cosa, come, spiegare a dei bambini verità così peccaminose, impure.
Chissà, allora, perché la scelta di quel brano. Forse la donna pensava a se stessa, oppure quella volta le dita, sempre dolci tra la testa e il taglio della sua piccola Bibbia, le erano scivolate, nell’imprevedibilità di ogni cosa, proprio tra quelle pagine.
Alfredo aveva ripensato per giorni a quella donna e alla sua città. Quale era stata la colpa di quei luoghi? Perché proibire alla sfortunata quel gesto?
Poi il ricordo era andato via, sommerso da giochi e interrogazioni. Dalla vita di un fanciullo diventato uomo. Erano trascorsi decenni prima che riaffiorasse proprio lì, proprio in quel momento.
“Vedi come sia difficile evitare di voltarti, Alfredo?”
Finalmente il sentiero tornava a parlare.
“Vedi come è difficile, duro, il rimpianto?”
Alfredo si era fermato per ascoltare meglio, ma la voce prestò sparì per riapparire pochi attimi dopo, non appena l'uomo aveva ripreso il cammino.
“Capiterà anche a te, Alfredo. Capiterà anche a noi”
L’uomo sorrise come solo sanno fare i bimbi.
Era già passato parecchio tempo da quando era partito e il sole diventava sempre più alto.
Tutt'intorno solo erba, ma non molto lontano finalmente qualcosa sembrava esistere oltre quel soffice verde.
“Deve essere una quercia...” pensò “...nulla può essere qui così solenne”
Abbandonò, dunque, la strada e iniziò a dirigersi verso la grigia corteccia. L'albero lo accolse come se già sapesse.
“Ti aspettavo da tempo, riposati dunque” ordinò quasi al pellegrino, ma non era necessario insistere tanto Alfredo si accorse di essere stanco. Si sdraiò dunque sull'erba a guardare la luce passare tra la chioma, a immaginare il cielo.
“Hai mai rimpianti?”
“Rimpianti di cosa Alfredo? Delle cose avvenute? Di quelle non realizzate?”
“Rimpianti, insomma. Io non credo di averne, di averne veramente intendo. Forse in un solo caso, ecco ma quello credo sia diverso. E poi non ne voglio parlare. Credo sia una cosa personale. Ecco io penso ai rimpianti ordinari. Certo... quello che è successo, quello che sarebbe potuto succedere. A me capita di giustificarmi. No, non è questo che voglio dire. Insomma è come se mi rendessi conto di aver cercato ogni volta di… di tracciare la strada, ecco. Di aver tentato”
“Lo credi davvero?”
“Sì, si. Credo sia così. E tu?”
“Io sono qui. Vedo le cose passare. Non ho tempo per i rimpianti”
“E si può vivere senza? Sì lo so, prima ti ho detto di non averne veramente mai avuto la sensazione, di non averne provato la tristezza. E però credo siano necessari. Come vivere senza? Senza ricordo, senza immaginazione, senza paura che possa succedere di nuovo”
“Lo hai descritto. Il rimpianto è un vagare da un luogo all'altro. Capisci ora come e perché esso non mi appartenga? Riposati però ora, hai ancora tanta strada da fare”
Alfredo diede un cenno di assenso con il capo e riprese a fissare il cielo. L’erba era comoda e fresca. Ne strappo un filo e lo portò alle labbra. Era acidula, ma buona. Il sole lo accarezzava e gli ridava forza, ma aveva ancora voglia di chiedere.
“ E tu allora come fai?”
“Io accolgo il presente, Alfredo. Lo faccio mio e lo lascio andare. Nulla chiedo di ciò che è successo, nulla saprò di ciò che accadrà”


Fonte immagine: Magicphil MontesL'Abergement, Switzerland

24/07/18

[Alfredo] Strade +4



C’è un passaggio, un sentiero, non lontano dall'abitazione di Alfredo che lui non ha mai esplorato fino alla fine.
È stretto. Accarezza il retro di poche case basse, inizialmente. L’intonaco sbriciolato, rigonfio, ne segna i confini. Poi campi ad affiancarlo, altre case, l’orizzonte.
Alfredo ne è stato sempre affascinato ed è pure successo che ne abbia percorso qualche piccolo tratto. Una volta fin quasi ad arrivare alla pianura. Poi, però, la quasi totale assenza di alberi, di ombra dove rifugiarsi e sparire, lo aveva sempre fatto desistere.
Il fatto è che Alfredo avvertiva il loro non essere pronti.
Aveva sempre pensato che ogni cosa, tutto quanto esiste, deve poter avere la libertà di accogliere e di essere accolta, ma nello stesso tempo aveva sempre creduto che per tutto ciò che di importante ci è dato considerare sia sempre, sempre, necessario provare un contatto, un’unione.
Oggi Alfredo ha preso con se una bottiglia d’acqua e ha fatto i primi passi. Il sentiero sembrava nascondersi timoroso tra le mura.
“Ormai è inutile, è passato il tempo” gli sussurrava quello, quasi accarezzandolo con la propria voce. E poi "Sei vecchio! Non riuscirai, non riusciremo. Ti prego" aggiunse, cambiando intonazione così rapidamente da rendere quasi indistinguibili le parole.
Alfredo continuò ad avanzare.
I passi erano lenti, ma non per la fatica. Aveva imparato l’inutilità di ogni spreco, il gusto del tranquillo possesso, dello sguardo. I primi campi lo accolsero sorridendo.
“Dove vai? Dove vai Alfredo? Non senti come inizia a diventare calda questa giornata? Non vedi quanto ancora ti manca?”
Alfredo si guardò attorno, pensò dapprima all’alto fusto di quell’erba viperina che sembrava essersi piegata al suo passaggio, ma poi si rese conto che non potevano essere che quelle birbe di pratoline.
“Avete anche cambiato il tono di voce per fermarmi?”
“Ma noi lo diciamo per te” rispose un gruppo.
“Lo sai che ti vogliamo bene” aggiunse un altro.
“Lo so, lo so” disse loro Alfredo, poi prese un sorso d’acqua e continuò a camminare.
Alle sue spalle quelle continuavano a chiamarlo, ma ormai, davanti ai suoi occhi, c’era solo una lunga distesa di piccoli ciuffi d’erba.
Aveva già percorso un lungo tratto di strada. Il sentiero, però, continuava a tacere. Alfredo si fermò un attimo per guardare indietro.
“È una cosa che non si dovrebbe mai fare questa!” disse bonariamente a se stesso e subito gli tornarono in mente le storie ascoltate e lette da bambino, quelle che lo affascinavano perché non riusciva a capirle. Quelle ormai dimenticate.
E ricomparve Orfeo che portò con sé la sua Euridice, ma dietro di loro era la moglie di Lot, la statua di sale, a fissarlo.
Alfredo ripensò alla suora che dalla cattedra aveva raccontato al gruppo dei silenziosi bambini quella storia. Nessuna spiegazione, nessuna enfasi nelle parole di quel piccolo e ormai vecchio corvo nero. Solo la piatta lettura del passo della Bibbia. Del resto cosa, come, spiegare a dei bambini verità così peccaminose, impure.
Chissà, allora, perché la scelta di quel brano. Forse la donna pensava a se stessa oppure le dita sempre dolci tra la testa e il taglio della sua piccola Bibbia, le erano scivolate per caso proprio tra quelle pagine quella volta. Nell’imprevedibilità di ogni cosa.
Alfredo ci aveva ripensato per giorni. Quale era stata la colpa di quella città? Perché impedire alla sfortunata quel gesto?
Poi il ricordo era andato via, sommerso da giochi e interrogazioni. Dalla vita di un fanciullo diventato uomo. Erano trascorsi decenni prima che riaffiorasse proprio lì, proprio in quel momento.
“Vedi come ti sia difficile evitare di voltarti Alfredo?”
Finalmente il sentiero tornava a parlare.
“Vedi come è difficile, duro, il rimpianto?”
Alfredo si era fermato per ascoltare meglio, ma la voce prestò sparì per riapparire pochi attimi dopo, non appena l'uomo aveva ripreso il cammino.
“Capiterà anche a te, Alfredo. Capiterà anche a noi”
L’uomo sorrise come solo sanno fare i bimbi.
Era già passato parecchio tempo da quando era partito e il sole diventava sempre più alto.
Tutt'intorno, vicino, solo erba, ma lontano nei campi finalmente qualcosa sembrava esistere.
“Deve essere una quercia...” pensò “...nulla può essere qui così solenne”
Abbandonò, dunque, la strada e iniziò a dirigersi verso quella grigia corteccia. L'albero lo accolse come il più atteso tra i pellegrini.
“Ti aspettavo da tempo, riposati dunque”
Alfredo accolse subito l’invito, era improvvisamente stanco. Si sdraiò dunque sull'erba a guardare la luce passare tra la chioma, a immaginare il cielo.
“Hai mai rimpianti?”
“Rimpianti di cosa Alfredo? Delle cose avvenute? Di quelle non realizzate?”
“Rimpianti, insomma io non credo di averne, di averne veramente intendo. Forse in un solo caso, ecco ma quello credo sia diverso. E poi non ne voglio parlare. Ecco i rimpianti… certo penso a quello che è successo, a quello che sarebbe potuto succedere… ma poi è come se mi giustificassi. No, non è così. È che so di aver cercato ogni volta di… di tracciare la strada, ecco. Di aver tentato”
“Lo credi davvero?”
“Sì, si. Credo sia così. E tu?”
“Io sono qui. Vedo le cose passare. Non ho tempo per i rimpianti”
“E si può vivere senza? Sì lo so, prima ti ho detto di non averne veramente mai avuto la sensazione e però credo siano necessari. Come vivere senza? Senza ricordo, senza immaginazione, senza paura che possa succedere di nuovo”
“Lo hai descritto. Il rimpianto è un vagare da un luogo all'altro. Capisci ora come e perché non mi appartenga? Riposati però ora, hai ancora tanta strada da fare”
Alfredo diede un cenno di assenso con il capo e riprese a fissare il cielo. L’erba era comoda e fresca. Ne strappo un filo e lo portò alle labbra. Era acidula, ma buona. Il sole lo accarezzava e gli ridava forza. Alfredo si rialzò per riprendere il cammino.

Fonte immagine: Magicphil MontesL'Abergement, Switzerland

23/07/18

[Alfredo] Strade +3


C’è un passaggio, un sentiero, non lontano dall'abitazione di Alfredo che lui non ha mai esplorato fino alla fine.
È stretto. Accarezza il retro di poche case basse, inizialmente. L’intonaco sbriciolato, rigonfio, ne segna i confini. Poi campi ad affiancarlo, altre case, l’orizzonte.
Alfredo ne è stato sempre affascinato ed è pure successo che ne abbia percorso qualche piccolo tratto. Una volta fin quasi ad arrivare alla pianura. Poi, però, la quasi totale assenza di alberi, di ombra dove rifugiarsi e sparire, lo aveva sempre fatto desistere.
Il fatto è che Alfredo avvertiva il loro non essere pronti.
Aveva sempre pensato che ogni cosa, tutto quanto esiste, deve poter avere la libertà di accogliere e di essere accolta, ma nello stesso tempo aveva sempre creduto che per tutto ciò che di importante ci è dato considerare sia sempre, sempre, necessario provare un contatto, un’unione.
Oggi Alfredo ha preso con se una bottiglia d’acqua e ha fatto i primi passi. Il sentiero sembrava nascondersi timoroso tra le mura.
“Ormai è inutile, è passato il tempo” gli sussurrava quello, quasi accarezzandolo con la propria voce. E poi "Sei vecchio! Non riuscirai, non riusciremo. Ti prego" aggiunse, cambiando intonazione così rapidamente da rendere quasi indistinguibili le parole.
Alfredo continuò ad avanzare.
I passi erano lenti, ma non per la fatica. Aveva imparato l’inutilità di ogni spreco, il gusto del tranquillo possesso, dello sguardo. I primi campi lo accolsero sorridendo.
“Dove vai? Dove vai Alfredo? Non senti come inizia a diventare calda questa giornata? Non vedi quanto ancora ti manca?”
Alfredo si guardò attorno, pensò dapprima all’alto fusto di quell’erba viperina che sembrava essersi piegata al suo passaggio, ma poi si rese conto che non potevano essere che quelle birbe di pratoline.
“Avete anche cambiato il tono di voce per fermarmi?”
“Ma noi lo diciamo per te” rispose un gruppo.
“Lo sai che ti vogliamo bene” aggiunse un altro.
“Lo so, lo so” disse loro Alfredo, poi prese un sorso d’acqua e continuò a camminare.
Alle sue spalle quelle continuavano a chiamarlo, ma ormai, davanti ai suoi occhi, c’era solo una lunga distesa di piccoli ciuffi d’erba.
Aveva già percorso un lungo tratto di strada. Il sentiero, però, continuava a tacere. Alfredo si fermò un attimo per guardare indietro.
“È una cosa che non si dovrebbe mai fare questa!” disse bonariamente a se stesso e subito gli tornarono in mente le storie ascoltate e lette da bambino, quelle che lo affascinavano perché non riusciva a capirle. Quelle ormai dimenticate.
E ricomparve Orfeo che portò con sé la sua Euridice, ma dietro di loro era la moglie di Lot, la statua di sale, a fissarlo.
Alfredo ripensò alla suora che dalla cattedra aveva raccontato al gruppo dei silenziosi bambini quella storia. Nessuna spiegazione, nessuna enfasi nelle parole di quel piccolo e ormai vecchio corvo nero. Solo la piatta lettura del passo della Bibbia. Del resto cosa, come, spiegare a dei bambini verità così peccaminose, impure.
Chissà, allora, perché la scelta di quel brano. Forse la donna pensava a se stessa oppure le dita sempre dolci tra la testa e il taglio della sua piccola Bibbia, le erano scivolate per caso proprio tra quelle pagine quella volta. Nell’imprevedibilità di ogni cosa.
Alfredo ci aveva ripensato per giorni. Quale era stata la colpa di quella città? Perché impedire alla sfortunata quel gesto?
Poi il ricordo era andato via, sommerso da giochi e interrogazioni. Dalla vita di un fanciullo diventato uomo. Erano trascorsi decenni prima che riaffiorasse proprio lì, proprio in quel momento.
“Vedi come ti sia difficile evitare di voltarti Alfredo?”
Finalmente il sentiero tornava a parlare.
“Vedi come è difficile, duro, il rimpianto?”
Alfredo si era fermato per ascoltare meglio, ma la voce prestò sparì per riapparire pochi attimi dopo, non appena l'uomo aveva ripreso il cammino.
“Capiterà anche a te, Alfredo. Capiterà anche a noi”
L’uomo sorrise come solo sanno fare i bimbi.
Era già passato parecchio tempo da quando era partito e il sole diventava sempre più alto.
Tutt'intorno, vicino, solo erba, ma lontano nei campi finalmente qualcosa sembrava esistere.
“Deve essere una quercia...” pensò “...nulla può essere qui così solenne”
Abbandonò, dunque, la strada e iniziò a dirigersi verso quella grigia corteccia. L'albero lo accolse come il più atteso tra i pellegrini.
“Ti aspettavo da tempo, riposati dunque”
Alfredo accolse subito l’invito, era improvvisamente stanco. Si sdraiò dunque sull'erba a guardare la luce passare tra la chioma, a immaginare il cielo.


Fonte immagine: Magicphil MontesL'Abergement, Switzerland

21/07/18

[Alfredo] Strade +2


C’è un passaggio, un sentiero non lontano dall'abitazione di Alfredo che lui non ha mai esplorato fino alla fine.
È stretto. Accarezza il retro di poche case basse, inizialmente. L’intonaco sbriciolato, rigonfio, ne segna i confini. Poi campi ad affiancarlo, altre case, l’orizzonte.
Alfredo ne è stato sempre affascinato ed è successo che ne abbia percorso qualche piccolo tratto, una volta fin quasi ad arrivare alla pianura. Poi, però, la quasi totale assenza di alberi, di ombra dove rifugiarsi e sparire, lo aveva sempre fatto desistere.
Il fatto è che Alfredo percepiva il loro non essere pronti. Sapeva che le sue paure erano le stesse di quella striscia di terra.
Aveva sempre pensato, Alfredo, che ogni cosa, tutto quanto esiste, deve poter essere libera di accogliere e di essere accolta, ma nello stesso tempo aveva sempre creduto che per tutto ciò che di importante ci è dato sia sempre, sempre, necessario provare.
Oggi Alfredo ha preso con se una bottiglia d’acqua e ha fatto i primi passi. Il sentiero sembrava nascondersi timoroso tra le mura.
“Ormai è inutile, è passato il tempo” gli sussurrò quello, quasi accarezzandolo con la propria voce. E poi "Sei vecchio! Non riuscirai, non riusciremo. Ti prego" aggiunse, cambiando intonazione così rapidamente da rendere quasi indistinguibili le parole.
Alfredo, lento, continuò ad avanzare.
I passi erano lenti, ma non per la fatica. Aveva imparato l’inutilità di ogni spreco, il gusto del lento possesso, dello sguardo. I primi campi lo accolsero sorridendo.
“Dove vai? Dove vai Alfredo? Non senti come inizia a diventare calda questa giornata? Non vedi quanto ancora ti manca?”
Alfredo si guardò attorno, pensò dapprima all’alto fusto di quell’erba viperina che sembrava essersi piegata al suo passaggio, ma poi si rese conto che non potevano essere che quelle birbe di pratoline.
“Avete anche cambiato il tono di voce per fermarmi?”
“Ma noi lo diciamo per te” rispose un gruppo.
“Lo sai che ti vogliamo bene” aggiunse un altro.
“Lo so, lo so” disse loro Alfredo, poi prese un sorso d’acqua e continuò a camminare.
Alle sue spalle quelle continuavano a chiamarlo, ma ormai, davanti ai suoi occhi, c’era solo una lunga distesa di piccoli ciuffi d’erba.
Aveva già percorso un lungo tratto di strada. Il sentiero, però, continuava a tacere. Alfredo si fermò un attimo per guardare indietro.
“È una cosa che non si dovrebbe mai fare questa!” disse bonariamente a se stesso e subito gli tornarono in mente le storie ascoltate e lette da bambino, quelle che a lui affascinavano perché non riusciva a capirle. Quelle ormai dimenticate.
E ricomparve Orfeo che portò con sé la sua Euridice, ma dietro di loro era la moglie di Lot, la statua di sale, a fissarlo.
Alfredo ripensò alla suora che dalla cattedra aveva raccontato al gruppo dei silenziosi bambini quella storia. Nessuna spiegazione, nessuna enfasi nelle parole di quel piccolo e ormai vecchio corvo nero. Solo la piatta lettura del passo della Bibbia. Del resto cosa, come, spiegare a dei bambini fatti così peccaminosi, impuri.
Chissà, allora, perché la scelta di quel brano. Forse la donna pensava a se stessa oppure le dita sempre dolci tra la testa e il taglio della sua piccola Bibbia, le erano scivolate per caso proprio tra quelle pagine quel giorno, nell’imprevedibilità di ogni cosa.
Alfredo ci aveva ripensato per giorni. Quale era stata la colpa di quella città? Perché impedire alla sfortunata quel gesto?
Poi il ricordo era andato via, sommerso da giochi e interrogazioni. Erano trascorsi decenni prima che riaffiorasse proprio lì, proprio in quel momento.

Fonte immagine: Magicphil MontesL'Abergement, Switzerland