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07/08/19

[Diario parmigiano] 6


Due serate passate fuori, ché a volte bisogna uscire per quanto sia comodo rifugiarsi in un buon libro, una piccola cena, un bicchiere di vino.
Nonostante il caldo, non è poi moltissima la gente in strada. In centro una coppia francese fotografa i luoghi un po’ a caso e si rincorre divertita tra vie quasi deserte. Avranno poco meno di trentanni.
Lei è molto carina e desiderabile nel suo vestitino leggero che la fascia con precisione. I colori dell’abito sono delicati ma non spenti, i capelli ribelli le coprono spesso il viso e lei li ricaccia indietro un po’ sbuffando, un po’ ridendo. Ha questo piccolo vezzo di portarsi spesso le mani in testa ad acciuffare quelle giovani onde e per un attimo farne un piccolo fiume di luce prima di lasciarle di nuovo andare.
Lui è indubbiamente di origini indocinesi. A tratti ha un fare serioso.
Parlano ora e i loro occhi non vedono che l’altro, poi riprendono a camminare.
L’uomo sembra volersi un po’ atteggiare a interessato turista, quasi a nascondere il suo star bene. Si lascia andare a un sorriso pieno, innamorato, solo quando si accorge che lei lo sta filmando da qualche minuto mentre lui continuava a camminare distratto e stupito col naso all'insù.
Due serate, due concerti, o meglio un quasi concerto e una commemorazione, o ancora di più un piccolo viaggio discorsivo-musicale sul sud degli Stati Uniti (il Delta blues, le armi, i due milioni di “schiavi” morti nella traversata atlantica) e il ricordo, sbiadito nella calca della serata, di centomila vittime a Hiroshima per mano della stessa nazione. “In God We Trust”

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