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05/10/10

Non è un caso

Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, 
Rocco Marzo, Bruno Santino, Rosario Rodino' e Giuseppe Demasi.

''Non potevamo credere ai nostri occhi''. Cosi' il pm Raffaele Guariniello, al processo per i 7 operai morti in seguito all'incendio del 6 dicembre 2007 alla Thyssenkrupp di Torino ha cominciato questa mattina la sua requisitoria di fronte alla sezione della Corte d'Assise di Torino presieduta da Annamaria Iannibelli, per manifestare il suo sconcerto di fronte alle risultanze che le indagini seguite all'incidente stavano riscontrando.

Per Guariniello, l'amministratore delegato di Thyssenkrupp Italia Harald Espenhan, accusato di omicidio volontario, aveva accettato consapevolmente il rischio di un incidente anche mortale o di un incendio nella fabbrica torinese.

''Questo e' il primo grande processo in materia di sicurezza sul lavoro che si celebra in corte d'Assise - ha esordito il pm - perche' uno degli imputati ha agito con dolo''. Un dolo, ha spiegato Guariniello, contestato ''non per la gravita' delle conseguenze, ne' per la commozione che l'incidente suscito' nella opinione pubblica, ne' per dare una risposta alle famiglie delle vittime che invocano giustizia.

Certo - ha aggiunto Guariniello - sette persone morte e' una ferita non rimarginabile, ma la contestazione del dolo non e' frutto di una scelta emotiva o filosofica, e' una scelta meditata. Tant'e' che - afferma ancora Guariniello - nell'immediatezza dei fatti mai per un attimo abbiamo pensato di contestare il dolo''. Sono state le indagini, le perquisizioni nei locali e nei pc, spiega il magistrato, ''a farci scoprire perche' sette lavoratori sono morti'' a cominciare dalla decisione di ritardare investimenti di sicurezza sulla linea 5, dove divampo' il rogo, a dopo il trasferimento della stessa all'impianto di Terni. ''E' nostra opinione - ha detto Guariniello - che l'imputato Espenhan si sia rappresentato la concreta possibilita' di infortuni anche mortali e di incendi sulla linea 5 e che malgrado questo non abbia desistito dalla sua condotta. Non e' una caso che i lavoratori siano morti alla Thyssenkrupp di Torino - ha detto Guariniello - perche' sia l'impianto torinese che i dipendenti furono lasciati in condizioni di crescente insicurezza e abbandono''.

''Le vittime della Thyssenkrupp avrebbero potuto morire anche in altri modi in quello stabilimento e se non fosse capitato a loro avrebbe potuto capitare ad altri lavoratori in altri luoghi di quell'impianto''. Erano morti prevedibili, previste e nessuno ha fatto nulla per impedirlo. La tragedia della Thyssenkrupp e' insomma la cronaca di una tragedia annunciata in uno stabilimento alla deriva. Cosi' il pm Laura Longo ha proseguito la requisitoria avviata questa mattina dal collega Raffaele Guariniello nel corso del processo per i sette morti nell'incendio scoppiato il 6 dicembre 2007, giunto alla sua fase finale.

La Thyssenkrupp di Torino era una realta' anomala nel panorama del gruppo siderurgico, ha detto la Longo. La situazione di ''crescente abbandono e insicurezza della fabbrica torinese era la cornice in cui si inseriscono tutti i reati contestati''. Il pm ha sottolineato che lo stabilimento faceva parte delle industrie a rischio di incidente rilevante e che pero' era sprovvista del certificato di prevenzione antincendio. Gran parte dell'intervento della Longo e' stato dedicato a sottolineare il progressivo impoverimento di professionalita' dello stabilimento torinese, in vista della chiusura decisa nel 2005, a scapito della sicurezza, e a partire dai ruoli di gestione degli interventi di emergenza che progressivamente furono affidati, a persone non formate. Lo stesso capo turno Rocco Marzo, anche lui morto nel tragico incendio, e unico capoturno presente la notte della tragedia, non aveva avuto la formazione specifica per il ruolo che gli era stato affidato. Da parte dei responsabili dell'azienda, attraverso la prova delle numerose mail sequestrate ''non vi era nessuna intenzione di effettuare interventi di miglioramento della sicurezza (relativamente agli impianti antincendio, ndr)'', in vista del trasferimento delle linee allo stabilimento di Terni.

Fonte:  http://www.asca.it/

08/04/09

Il bottone, gli operai, la voce del padrone



Antonio Schiavone 36 anni
Roberto Scola 23 anni
Angelo Laurino 43 anni
Bruno Santino 26 anni
Rocco Marzo 54 anni
Rosario Rodinò 26 anni
Giuseppe Demasi 26 anni


(ASCA) - Torino, 7 apr - L'incidente alla Thyssenkrupp fu provocato dal mancato azionamento del pulsante di emergenza: l'aspo sul carrello fu collocato erroneamente , la lamiera avrebbe sbandato verso il lato dell'operatore con un fenomeno vistosissimo di attrito, con scintille, fumi e surriscaldamento sia della lamiera che della carpenteria. Il surriscaldamento e non le scintille avrebbero provocato l'incendio della carta accumulatasi lungo la linea, anche per il mancato azionamento del segnalatore automatico. Gli operai sarebbero intervenuti circa dieci minuti dopo l'avvio non in linea del nastro, ma se fosse stato premuto il pulsante di arresto d'emergenza, a soli venti centimetri di distanza sulla plafoniera,e utilizzato per ben quattro volte il giorno prima della tragedia, si sarebbe bloccato il flusso dell'olio e si sarebbe evitato il disastro. E' quanto hanno sostenuto oggi i periti della difesa, al processo contro i sei dirigenti dell'acciaieria tedesca, per la morte dei sette operai avvenuta in seguito all'incendio del 6 dicembre 2007. Secondo i periti inoltre gli estintori erano efficienti e in grado di spegnere un inizio di incendio sulla carta come hanno cercato di dimostrare con un esperimento, il cui video e' stato proiettato in aula. La ricostruzione, che ha sostenuto anche la sostanziale idoneita' della linea cinque, dove e' avvenuto il disastro, contrasta con quella fornita nelle scorse udienze dai periti di parte civile e della procura che oggi hanno sottolineato con l'impianto non dovesse mai essere in funzione e che il pulsante di emergenza avrebbe dovuto essere premuto continuamente. L'udienza si e' conclusa dopo circa sei ore ed e' stata aggiornata al 21 aprile.

06/12/08

6 Dicembre 2007 - 6 Dicembre 2008

Il 6 dicembre di un anno fa un rogo sprigionatosi all’interno dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino faceva strage di 7 operai. Sette vite bruciate e sette famiglie lasciate nella disperazione. Forte fu la commozione e l’eco in tutto il Paese. Le massime autorità dello Stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica Napolitano, dichiararono che avrebbero fatto l’impossibile affinché stragi come quella di Torino non fossero più avvenute.
Spenti pian piano i riflettori dei mass-media, la questione della sicurezza sul lavoro è sparita dall’agenda politica di governi e parlamenti, sostituita da quella - montata ad arte - della "sicurezza" nelle città, della psicosi dell’immigrato stupratore, rapinatore, pirata della strada o altro, dimenticando che secondo studi della stessa UE, le città italiane sono le più "sicure" d’Europa...
Ma tant’è. Si mandano forze di polizia e militari nelle città, ma non si fa un passo per garantire incolumità e sicurezza a chi vive di lavoro. La strage di Torino non è stata la prima e, purtroppo, non è stata l’ultima: i circa 4 morti al giorno nei luoghi di lavoro dovrebbero suonare come un sonoro schiaffo per qualsiasi società che abbia la presunzione di definirsi "civile".
Ma in Italia no: qui non solo si continuano a varare provvedimenti assolutamente insufficienti, soprattutto dal punto di vista delle azioni di contrasto e di sanzione nei confronti delle aziende, come da quello dei poteri e delle agibilità degli RLS e degli ispettori INPS o INAIL (come il nuovo Testo Unico, Legge 81/2008), ma a questi si affiancano leggi e decreti come quello sulla detassazione degli straordinari (Legge 126/24 del luglio 2008), quello sulla deregolamentazione del mercato del lavoro (Legge 133 del 5 agosto 2008), la direttiva del Ministero del Lavoro che indebolisce i servizi ispettivi del ministero stesso e dell’INPS (settembre 2008), e, ultimo solo per tempo, il ddl 1441 quater, attualmente in discussione alla Camera, che vorrebbe sterilizzare i processi e legare le mani ai giudici del lavoro. Il segnale è purtroppo molto chiaro: da un parte si continuano a garantire condizione di massima redditività delle aziende (cioè massimi profitti), dall’altra si aumenta la precarietà, si allunga l’orario di lavoro, si controllano di meno le violazioni in termini di sicurezza, diminuendo quindi la tutela della salute e dell’incolumità del lavoratore, così come di chi vive in città o quartieri vicini ad impianti industriali: ecco che, quindi, l’immigrato che lavora nel cantiere si trova nella stessa barca con l’operaio Fiat, con l’abitante di Taranto che respira le polveri tossiche dell’ILVA, o con il valsusino che rischia di morire di amianto se partiranno i lavori del TAV.

Fonte:

30/12/07

Si festeggi

Antonio Schiavone 36 anni
Roberto Scola 23 anni
Angelo Laurino 43 anni
Bruno Santino 26 anni
Rocco Marzo 54 anni
Rosario Rodinò 26 anni
Giuseppe Demasi 26 anni

L'operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza [...]
L'operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci.[...]
Il lavoro resta esterno all'operaio [...]
Il lavoro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni a esso. La sua estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d'altro genere, il lavoro è fuggito come una peste. [...]
Il risultato è che l'uomo (il lavoratore) si sente libero ormai soltanto nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e nel generare, tutt'al più nell'aver una casa, nella sua cura corporale, ecc., e che nelle sue funzioni umane si sente solo più una bestia. Il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale.
Il mangiare, il bere, il generare, ecc., sono in effetti anche schiette funzioni umane, ma sono bestiali nell'astrazione che le separa dal restante cerchio dell'umana attività e ne fa degli scopi ultimi e unici. [...]
Se il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura, ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell’uomo.

K. Marx, Manoscritti economico-filosofici