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01/09/19

[Diario parmigiano] 7

La donna ha in una mano una piccola busta da cui fanno capolino dei fiori. Credo siano rose. 
Inizio meccanicamente a cercare di ricordarne i vari significati: rossa è amore, passione; arancio bellezza, desiderio; bianca innocenza, amore puro; rosa amicizia, gratitudine; gialla gelosia, incertezza. Li avevo imparati per uno dei miei primi regali importanti su suggerimento di una seducente signora. Io sedicenne idealista e brufoloso, lei quindicenne innamorata dell'anima dei muri, la fioraia divertente, divertita e pettoruta.
Ritorno, con i pensieri e lo sguardo, alla donna. Ha una naturale eleganza che l'accompagna come un'aura tra la gente. Non credo sia molto anziana, non più di me di certo. I pantaloni chiari e la camicia rivelano un fisico ben curato. Eppure il suo volto appare stanco, quasi provato. Si ferma. Le dita corrono veloci a cercare qualcosa sullo schermo del telefonino, gli occhi rimbalzano tra quello e la strada. Forse rincorre un appiglio visivo che la porti in qualche luogo, forse attende qualcuno. Improvvisamente la vedo decisa. Il passo non è affrettato, l'andatura sinuosa. Non fa, però, in tempo ad allontanarsi da me, per svoltare alla sua destra, che una bici distratta le va addosso. Una ruota si intrufola tra le sue gambe.
Non succede nulla di grave per fortuna. Il giovane conducente chiede scusa e va subito via. I pantaloni della donna, però, si sono sporcati e a nulla serve cercare di pulirli. Lei reprime con garbo la sua stizza, io mi piego per aiutarla a raccogliere la busta sfuggita nel piccolo incidente. Faccio in tempo a osservare al suo interno, ancora intatto, un piccolo vaso di rose bianche. 
La donna mi ringrazia con un sorriso, poi si allontana.
Ripenso al mio strafare da adolescente, avevo scelto rose rosse e bianche: amore indissolubile.

07/08/19

[Diario parmigiano] 6


Due serate passate fuori, ché a volte bisogna uscire per quanto sia comodo rifugiarsi in un buon libro, una piccola cena, un bicchiere di vino.
Nonostante il caldo, non è poi moltissima la gente in strada. In centro una coppia francese fotografa i luoghi un po’ a caso e si rincorre divertita tra vie quasi deserte. Avranno poco meno di trentanni.
Lei è molto carina e desiderabile nel suo vestitino leggero che la fascia con precisione. I colori dell’abito sono delicati ma non spenti, i capelli ribelli le coprono spesso il viso e lei li ricaccia indietro un po’ sbuffando, un po’ ridendo. Ha questo piccolo vezzo di portarsi spesso le mani in testa ad acciuffare quelle giovani onde e per un attimo farne un piccolo fiume di luce prima di lasciarle di nuovo andare.
Lui è indubbiamente di origini indocinesi. A tratti ha un fare serioso.
Parlano ora e i loro occhi non vedono che l’altro, poi riprendono a camminare.
L’uomo sembra volersi un po’ atteggiare a interessato turista, quasi a nascondere il suo star bene. Si lascia andare a un sorriso pieno, innamorato, solo quando si accorge che lei lo sta filmando da qualche minuto mentre lui continuava a camminare distratto e stupito col naso all'insù.
Due serate, due concerti, o meglio un quasi concerto e una commemorazione, o ancora di più un piccolo viaggio discorsivo-musicale sul sud degli Stati Uniti (il Delta blues, le armi, i due milioni di “schiavi” morti nella traversata atlantica) e il ricordo, sbiadito nella calca della serata, di centomila vittime a Hiroshima per mano della stessa nazione. “In God We Trust”

05/08/19

[Diario parmigiano] 5


Ho tagliato le foto del basilico per aromatizzare l’olio e le nuove piante, che ho messo alla finestra, lentamente stanno provando ad arrampicarsi su per la leggera grata che mi separa dal mondo. Ho anche fatto colazione al bar stamani, scambiando parole di viaggio con la proprietaria, e, appena entrato, il tabaccaio mi ha porto le sigarette senza chiedermi cosa volessi.
Ecco forse è in questo leggero scorrere delle cose, nel formarsi di piccole abitudini, nella ripetizione che rimane sempre nuova il senso.
Tornando verso casa mi sono accorto, a poche decine dal portone, di un altarino posto tra due palazzi. È parecchio alto rispetto al piano stradale, forse è per questo che mi era fin a ora sfuggito. È stato ritinteggiato, cosi come le mura delle case che lo inglobano, ed è più grande di quelli che solitamente osservo a Catania. È pulitissimo e vuoto, quasi fosse il ricordo del sacro incastonato nel reale o solo un reale che del sacro possiede, nascosta ai distratti, la struttura, il fiato.
Credo sia ora di prepararmi un nuovo caffè.

02/08/19

[Diario parmigiano] 4


Arriva Agosto e, improvvisamente, a ogni angolo di strada trovo dei lavori in corso. Si asfalta, si buca, si sistema il pavé... credo che mi innervosirei parecchio se dovessi attraversare la città in auto, ma non è il mio caso. Continuo a gironzolare quasi senza meta a piedi. Parma alla fin fine è un paesotto un po’ cresciuto nonostante la grandeur di una città ancora orfana di Maria Luigia. Qui si arriva senza difficoltà da est a ovest, da nord a sud e, per fortuna e civica oculatezza, quasi sempre in sicurezza.
I numerosi parchi che capita di attraversare hanno pubblico e abitanti diversi. Non so se tutto corrisponda a una dislocazione abitativa sedimentatasi per nazionalità o solo l’affermarsi di una lenta tradizione, ma si incontra il luogo popolato da filippini intenti a consumare pasti collettivi, come quello in cui vedi conversare tra loro quasi esclusivamente donne dell’est o quell'altro in cui torme di ragazzi di colore giocano a pallone. Io approfitto della quiete estiva per camminare con calma, per chiedermi, senza nessuna speranza di risposta, che albero o fiore sia quello che attira la mia attenzione.
In realtà però non mi limito a questo, confesso che mi piace anche molto osservare le persone. Inventare vite e situazioni attorno alla gente che incontro. Fantasticare senza ferire, senza paura di poter sbagliare. Credo che in parte siano gli stessi meccanismi che attivo quando vengo preso dalle pagine di un libro o forse è solo il riaffiorare del fanciullo che si annoiava da solo in casa.

30/07/19

[Diario parmigiano] 3


I lavori proseguono veloci. I muratori hanno tutti accenti del sud Italia e si scambiano battute tra loro credendo, a torto, di non essere capiti. Sono parole salaci, sfottò divertiti.
All'ora di pausa arrivano pizze e birre. A portarle un ragazzo di colore, con la sua bici d’ordinanza. Nonostante il caldo non è affatto sudato. Consegna e scappa via, veloce. Non ho capito se avesse, con sé, altro da distribuire.
Qualcuno dei manovali rimane all'interno delle abitazioni in ristrutturazione, qualcun altro ne approfitta per spostarsi nella vicina piazza all'ombra striminzita di bassi palazzi, uno sceglie la piazzetta più isolata e assolata, quella accanto casa mia.
Lo sento parlare. Lui, immagino, seduto sulle lunghe panchine scrostate, io chino a scrivere accanto alla finestra.
Per qualche strano gioco di rimbalzi qui arrivano le voci delle persone che attraversano i dintorni, ma non i segnali delle compagnie telefoniche. Niente 2G, 3G, 4G... niente squilli inopportuni. Sarà un vendicarsi delle antiche mura o uno scherzo acustico dei vecchi costruttori.
L’uomo parla con la famiglia, mi pare. Racconta la giornata, quello che ha fatto, quello che gli rimane da fare. Credo siano le stesse parole di chiunque abbia dovuto abbandonare i propri affetti per poter lavorare. Quando finisce io sono già uscito per andare a prendere un caffè al bar. Lo vedo addentare con gusto un panino farcito con del crudo dal buon colore. Magari parlerà anche di questo quando tornerà a casa.

28/07/19

[Diario parmigiano] 2


Oggi è domenica. Piove. 
La vecchia continua a urlare contro i suoi invisibili nemici e io non so bene se decidermi a pulire un po’ casa. 
Oggi non è passata la coppia che fa compagnia alle mie colazioni. Forse la pioggia o i locali chiusi.
Lui strascina un po’ i piedi, fatica a muoversi, ma dal tono, seppur stanco, della voce credo fosse un uomo abituato a comandare, a imporsi. È curatissimo nelle sue giacche di buona fattura, nel volto rinsecchito appena sbarbato. 
Lei è una trottolina canuta, zampetta tra lunghe gonne svolazzanti e sorrisi che sembrano non potersi spegnere. Lo rincuora quando gli è a fianco. Lo precede spesso, ma poi si volta a controllare e allora lo attende paziente. E però anche in quegli attimi non sta ferma, parla, gli chiede dolcemente, ogni mattina, cosa desideri al bar, gli ricorda le cose ancora da fare, i luoghi da raggiungere e ripete tutto più volte quasi a voler essere sicura di aver capito bene, di non sbagliare. Non credo che questo le serva veramente, credo, piuttosto, che lo faccia per lui.
Durante il breve tratto in cui mi è possibile osservarli vedo questo loro costante andamento a elastico. Due anime abituate ad attrarsi e respingersi. Due tortore, forse.
A volte mi è capitato di vedere il loro sguardo, anche. E me ne sono innamorato.

27/07/19

[Diario parmigiano] 1


“L'amore ti rimane appiccicato addosso come fosse chewing gum sulla punta delle scarpe e diventa inutile che tu ti dia pena a sfregare che tanto qualcosa resta sempre, anche solo la macchia sulla pelle”
Era la quarta volta che il vecchio mi ripeteva questa frase e io non facevo altro che sorridere e muovere il capo ad acconsentire. Cosa altro potevo fare?
L'uomo mi raccontava la sua vita e, in quel momento, io ero lì per lui; del resto sono stato sempre un buon ascoltatore.
Forse è proprio vero che la gente si divide tra chi parla e chi ascolta e poi tra chi parla sbraitando e chi lo fa con calma e tra chi ascolta con attenzione e chi, invece, con sufficienza e ancora tra chi sbraita c’è chi lo fa per paura o per stupidità mentre tra quelli che parlano con calma di sicuro c'è chi lo fa pesando bene le parole, ponderandole, e chi invece esercita solo una professione e, ancora, tra chi ascolta con attenzione c'è il buono di cuore e chi, per interesse, ha imparato a fingere così come tra chi lo fa con sufficienza emergono l'uomo cortese e lo stupido. Insomma potremmo giocare e fare un po’ di ordine a questo mondo, trovare le giuste intersezioni. Consegnare, ad esempio, l'urlatore stupido al suo stolto pubblico o il pauroso all'interessato, ma sono così tante le variabili e i sottogruppi di queste poche voci che solo a immaginare mi passa la voglia. Allora rimango qui ad ascoltare il vecchio e a sorseggiare il mio pinot grigio.
Quando ritorno al mio borgo mi aspettano i pianti continui del bimbo dei vicini di casa e le urla serali della pazza in fondo alla via. Confesso che mi stanno entrambi simpatici.
Il primo per come viene rincuorato dai genitori, la seconda per quel suo urlare frasi sconnesse in perfetto italiano. Stasera, mentre sto per aprire il portone, mi sorprende con un “bricconcello” che mi ricorda l'infanzia. “Prendila nel culo” aggiunge.
Come non essergliene grato?