La donna ha in una mano una piccola busta da cui fanno capolino dei fiori. Credo siano rose.
Inizio meccanicamente a cercare di ricordarne i vari significati: rossa è amore, passione; arancio bellezza, desiderio; bianca innocenza, amore puro; rosa amicizia, gratitudine; gialla gelosia, incertezza. Li avevo imparati per uno dei miei primi regali importanti su suggerimento di una seducente signora. Io sedicenne idealista e brufoloso, lei quindicenne innamorata dell'anima dei muri, la fioraia divertente, divertita e pettoruta.
Ritorno, con i pensieri e lo sguardo, alla donna. Ha una naturale eleganza che l'accompagna come un'aura tra la gente. Non credo sia molto anziana, non più di me di certo. I pantaloni chiari e la camicia rivelano un fisico ben curato. Eppure il suo volto appare stanco, quasi provato. Si ferma. Le dita corrono veloci a cercare qualcosa sullo schermo del telefonino, gli occhi rimbalzano tra quello e la strada. Forse rincorre un appiglio visivo che la porti in qualche luogo, forse attende qualcuno. Improvvisamente la vedo decisa. Il passo non è affrettato, l'andatura sinuosa. Non fa, però, in tempo ad allontanarsi da me, per svoltare alla sua destra, che una bici distratta le va addosso. Una ruota si intrufola tra le sue gambe.
Non succede nulla di grave per fortuna. Il giovane conducente chiede scusa e va subito via. I pantaloni della donna, però, si sono sporcati e a nulla serve cercare di pulirli. Lei reprime con garbo la sua stizza, io mi piego per aiutarla a raccogliere la busta sfuggita nel piccolo incidente. Faccio in tempo a osservare al suo interno, ancora intatto, un piccolo vaso di rose bianche.
La donna mi ringrazia con un sorriso, poi si allontana.
Ripenso al mio strafare da adolescente, avevo scelto rose rosse e bianche: amore indissolubile.
"La poesia è scritta da qualcuno che non è lo scrittore a qualcuno che non è il lettore" - Paul Valéry -
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01/09/19
07/08/19
[Diario parmigiano] 6
Due serate passate fuori, ché a volte bisogna uscire per quanto sia
comodo rifugiarsi in un buon libro, una piccola cena, un bicchiere di
vino.
Nonostante il caldo,
non è poi moltissima la gente in strada. In centro una coppia
francese fotografa i luoghi un po’ a caso e si rincorre divertita
tra vie quasi deserte. Avranno poco meno di trentanni.
Lei è molto carina
e desiderabile nel suo vestitino leggero che la fascia con
precisione. I colori dell’abito sono delicati ma non spenti, i
capelli ribelli le coprono spesso il viso e lei li ricaccia indietro
un po’ sbuffando, un po’ ridendo. Ha questo piccolo vezzo di
portarsi spesso le mani in testa ad acciuffare quelle giovani onde e
per un attimo farne un piccolo fiume di luce prima di lasciarle di
nuovo andare.
Lui è indubbiamente
di origini indocinesi. A tratti ha un fare serioso.
Parlano ora e i loro
occhi non vedono che l’altro, poi riprendono a camminare.
L’uomo sembra
volersi un po’ atteggiare a interessato turista, quasi a nascondere
il suo star bene. Si lascia andare a un sorriso pieno, innamorato,
solo quando si accorge che lei lo sta filmando da qualche minuto
mentre lui continuava a camminare distratto e stupito col naso
all'insù.
Due serate, due
concerti, o meglio un quasi concerto e una commemorazione, o ancora
di più un piccolo viaggio discorsivo-musicale sul sud degli Stati
Uniti (il Delta blues, le armi, i due milioni di “schiavi” morti
nella traversata atlantica) e il ricordo, sbiadito nella calca della
serata, di centomila vittime a Hiroshima per mano della stessa
nazione. “In God We Trust”
05/08/19
[Diario parmigiano] 5
Ho tagliato le foto del basilico per aromatizzare l’olio e le nuove
piante, che ho messo alla finestra, lentamente stanno provando ad
arrampicarsi su per la leggera grata che mi separa dal mondo. Ho
anche fatto colazione al bar stamani, scambiando parole di viaggio
con la proprietaria, e, appena entrato, il tabaccaio mi ha porto le
sigarette senza chiedermi cosa volessi.
Ecco forse è in
questo leggero scorrere delle cose, nel formarsi di piccole
abitudini, nella ripetizione che rimane sempre nuova il senso.
Tornando verso casa mi sono accorto, a poche decine dal portone, di
un altarino posto tra due palazzi. È parecchio alto rispetto al
piano stradale, forse è per questo che mi era fin a ora sfuggito. È
stato ritinteggiato, cosi come le mura delle case che lo inglobano,
ed è più grande di quelli che solitamente osservo a Catania. È
pulitissimo e vuoto, quasi fosse il ricordo del sacro incastonato nel
reale o solo un reale che del sacro possiede, nascosta ai distratti,
la struttura, il fiato.
Credo sia ora di
prepararmi un nuovo caffè.
02/08/19
[Diario parmigiano] 4
Arriva Agosto e, improvvisamente, a ogni angolo di strada trovo dei
lavori in corso. Si asfalta, si buca, si sistema il pavé... credo
che mi innervosirei parecchio se dovessi attraversare la città in
auto, ma non è il mio caso. Continuo a gironzolare quasi senza meta
a piedi. Parma alla fin fine è un paesotto un po’ cresciuto
nonostante la grandeur di una città ancora orfana di Maria Luigia.
Qui si arriva senza difficoltà da est a ovest, da nord a sud e, per
fortuna e civica oculatezza, quasi sempre in sicurezza.
I numerosi parchi
che capita di attraversare hanno pubblico e abitanti diversi. Non so
se tutto corrisponda a una dislocazione abitativa sedimentatasi per
nazionalità o solo l’affermarsi di una lenta tradizione, ma si
incontra il luogo popolato da filippini intenti a consumare pasti
collettivi, come quello in cui vedi conversare tra loro quasi
esclusivamente donne dell’est o quell'altro in cui torme di
ragazzi di colore giocano a pallone. Io approfitto della quiete
estiva per camminare con calma, per chiedermi, senza nessuna speranza
di risposta, che albero o fiore sia quello che attira la mia
attenzione.
In realtà però non
mi limito a questo, confesso che mi piace anche molto osservare le persone. Inventare vite e situazioni attorno alla gente che incontro.
Fantasticare senza ferire, senza paura di poter sbagliare. Credo che
in parte siano gli stessi meccanismi che attivo quando vengo preso
dalle pagine di un libro o forse è solo il riaffiorare del fanciullo
che si annoiava da solo in casa.
30/07/19
[Diario parmigiano] 3
I lavori proseguono veloci. I muratori hanno tutti accenti del sud
Italia e si scambiano battute tra loro credendo, a torto, di non
essere capiti. Sono parole salaci, sfottò divertiti.
All'ora di pausa
arrivano pizze e birre. A portarle un ragazzo di colore, con la sua
bici d’ordinanza. Nonostante il caldo non è affatto sudato.
Consegna e scappa via, veloce. Non ho capito se avesse, con sé, altro da
distribuire.
Qualcuno dei
manovali rimane all'interno delle abitazioni in ristrutturazione,
qualcun altro ne approfitta per spostarsi nella vicina piazza
all'ombra striminzita di bassi palazzi, uno sceglie la piazzetta
più isolata e assolata, quella accanto casa mia.
Lo sento parlare.
Lui, immagino, seduto sulle lunghe panchine scrostate, io chino a
scrivere accanto alla finestra.
Per qualche strano
gioco di rimbalzi qui arrivano le voci delle persone che attraversano
i dintorni, ma non i segnali delle compagnie telefoniche. Niente 2G,
3G, 4G... niente squilli inopportuni. Sarà un vendicarsi delle antiche
mura o uno scherzo acustico dei vecchi costruttori.
L’uomo parla con
la famiglia, mi pare. Racconta la giornata, quello che ha fatto,
quello che gli rimane da fare. Credo siano le stesse parole di
chiunque abbia dovuto abbandonare i propri affetti per poter
lavorare. Quando finisce io sono già uscito per andare a prendere un
caffè al bar. Lo vedo addentare con gusto un panino farcito con del
crudo dal buon colore. Magari parlerà anche di questo quando tornerà
a casa.
28/07/19
[Diario parmigiano] 2
Oggi è domenica. Piove.
La vecchia continua a urlare contro i suoi
invisibili nemici e io non so bene se decidermi a pulire un po’
casa.
Oggi non è passata la coppia che fa compagnia alle mie colazioni. Forse la pioggia o i locali chiusi.
Lui strascina un po’ i piedi, fatica a muoversi, ma dal tono,
seppur stanco, della voce credo fosse un uomo abituato a comandare, a
imporsi. È curatissimo nelle sue giacche di buona fattura, nel volto
rinsecchito appena sbarbato.
Lei è una trottolina canuta, zampetta
tra lunghe gonne svolazzanti e sorrisi che sembrano non potersi
spegnere. Lo rincuora quando gli è a fianco. Lo precede spesso, ma
poi si volta a controllare e allora lo attende paziente. E però
anche in quegli attimi non sta ferma, parla, gli chiede dolcemente,
ogni mattina, cosa desideri al bar, gli ricorda le cose ancora da
fare, i luoghi da raggiungere e ripete tutto più volte quasi a voler
essere sicura di aver capito bene, di non sbagliare. Non credo che
questo le serva veramente, credo, piuttosto, che lo faccia per lui.
Durante il breve
tratto in cui mi è possibile osservarli vedo questo loro costante
andamento a elastico. Due anime abituate ad attrarsi e respingersi.
Due tortore, forse.
A volte mi è
capitato di vedere il loro sguardo, anche. E me ne sono innamorato.
27/07/19
[Diario parmigiano] 1
“L'amore ti rimane appiccicato addosso come fosse chewing gum sulla
punta delle scarpe e diventa inutile che tu ti dia pena a sfregare
che tanto qualcosa resta sempre, anche solo la macchia sulla pelle”
Era la quarta volta
che il vecchio mi ripeteva questa frase e io non facevo altro che
sorridere e muovere il capo ad acconsentire. Cosa altro potevo fare?
L'uomo mi raccontava
la sua vita e, in quel momento, io ero lì per lui; del resto sono
stato sempre un buon ascoltatore.
Forse è proprio
vero che la gente si divide tra chi parla e chi ascolta e poi tra chi
parla sbraitando e chi lo fa con calma e tra chi ascolta con
attenzione e chi, invece, con sufficienza e ancora tra chi sbraita
c’è chi lo fa per paura o per stupidità mentre tra quelli che
parlano con calma di sicuro c'è chi lo fa pesando bene le parole,
ponderandole, e chi invece esercita solo una professione e, ancora,
tra chi ascolta con attenzione c'è il buono di cuore e chi, per
interesse, ha imparato a fingere così come tra chi lo fa con
sufficienza emergono l'uomo cortese e lo stupido. Insomma potremmo
giocare e fare un po’ di ordine a questo mondo, trovare le giuste
intersezioni. Consegnare, ad esempio, l'urlatore stupido al suo
stolto pubblico o il pauroso all'interessato, ma sono così tante le
variabili e i sottogruppi di queste poche voci che solo a immaginare
mi passa la voglia. Allora rimango qui ad ascoltare il vecchio e a
sorseggiare il mio pinot grigio.
Quando ritorno al
mio borgo mi aspettano i pianti continui del bimbo dei vicini di casa
e le urla serali della pazza in fondo alla via. Confesso che mi
stanno entrambi simpatici.
Il primo per come
viene rincuorato dai genitori, la seconda per quel suo urlare frasi
sconnesse in perfetto italiano. Stasera, mentre sto per aprire il
portone, mi sorprende con un “bricconcello” che mi ricorda
l'infanzia. “Prendila nel culo” aggiunge.
Come non essergliene
grato?
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