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31/12/08

2009 - Speranze-


Get Up, Stand Up
Get up, stand up
Stand up for your rights
Get up, stand up
Stand up for your rights
Get up, stand up
Stand up for your rights
Get up, stand up
Don't give up the fight
Preacher man don't tell me
Heaven is under the earth know you don't know
What life is really worth
It's not at all that glitters is gold
Half the story has never been told
So now you see the light
Stand up for your rights
Get up, stand up
Stand up for your rights
Get up, stand up
Stand up for your rights
Get up, stand up
Stand up for your rights
Get up, stand up
Don't give up the fight
Most people think
Great good will come from the skies
Take away everything
And make everybody feel high
But if you know what life is worth
You would look for yours on earth
And now you've seen the light
You stand up far your rights
Get up, stand up
(Yeah Yeah)
Stand up for your rights (Oh)
Get up, stand up
(Get up, stand up)
Don't give up the fight
(Life is your right)
Get up, stand up
(So we can't give up the fight)
Stand up for your rights
(Lord Lord) Get up, stand up
(People struggling on)
Don't give up the fight (yeah)
We're sick and tired of your easing kissing game
To die and go to heaven in Jesus' name
We know and understand
Almighty God is a living man
You can fool some people sometimes
But you can't fool all the people all the time
And now we've seen the light
(What you gonna do)
We gonna stand up for our rights
Get up, stand up -
Stand up for your rights
Get up, stand up -
Stand up for your right
Get up, stand up -
Stand up for your rights
Get up, stand up
Don't give up the fight
Alzatevi, ribellatevi
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Non arrendetevi
Predicatore, non raccontarmi
Che il Paradiso è sottoterra
So che non sai
Quel che vale davvero la vita
Non è tutto oro quel che luccica
Metà della storia non è mai stata narrata
Così ora che vedete la luce
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Non arrendetevi
La maggior parte della gente pensa
Che il Bene scenderà dal Cielo
Porterà via ogni cosa
E renderà tutti felici
Ma se capiste quanto vale la vita
Badereste alla vostra su questa terra
E ora che avete visto la luce
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi (Sì sì)
Ribellatevi per i vostri diritti (Oh)
Alzatevi, ribellatevi
(Alzatevi, ribellatevi)
Non arrendetevi
(La vita è un vostro diritto)
Alzatevi, ribellatevi
(Quindi non possiamo arrenderci)
Ribellatevi per i vostri diritti
(Signore Signore)
Alzatevi, ribellatevi
(Il popolo continua a lottare)
Non arrendetevi (Sì)
Siamo esasperati dal vostro facile gioco ruffiano
Morire e andare in
Paradiso nel nome di Gesù
Sappiamo e comprendiamo
Che Dio Onnipotente è un uomo vivente
Talvolta potete ingannare un po' di gente
Ma non potete ingannare tutto il popolo tutto il tempo
E ora che abbiamo visto la luce (Cosa farete?)
Noi ci ribelleremo per i nostri diritti
Alzatevi, ribellatevi-
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi-
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi-
Ribellatevi per i vostri diritti
Alzatevi, ribellatevi
Non arrendetevi

2009 - Auguri -

"Per una comunità umana una cosa è plasmare il proprio mondo, un'altra è conservare la forma che gli si è data; specie se, come sempre avviene, quella forma è in qualche modo arbitraria, se la sua creazione ha richiesto delle esclusioni e se gli esclusi stessi sono affamati. In questo caso occorrono anche delle regole tese alla sua salvaguardia. [...] Chiunque riesca a infrangere queste regole, a mettere a dormire i guardiani, a oltrepassare la soglia del sacro prato e inondarlo di contingenza, a rubare le pietre che contrassegnano i confini, eliminerà l'incantesimo che protegge il disegno che presiede a quella creazione"
[pag.244]

http://www.bollatiboringhieri.it/scheda.php?codice=9788833912509
Lewis Hide

Il briccone fa il mondo. Malizia, mito e arte 
via kwout

30/12/08

Filu di vespru - 3 -

Il caruso dellelettrauto stava finendo di distruggere una lanna a colpi di martello. Non sembrava che ci fosse molto lavoro da quelle parti, il garage era vuoto e quello che forse era il padrone stava stravaccato sopra a una seggia di paglia taliandosi la scena e arraspannusi la panza. La maglietta cera acchianata fino quasi alle minne e i piedi stavano dentro a due zoccoli cunsunti. Una fontana, misa di latu, doveva garantire da bere a tutte le abitazioni. Aggratisi naturalmente, pecchè a quella era stato aggiunto, no cannolu dellacqua, un tubo di gomma che spariva sotto a una gittata di cemento sistemata lì per farici passare le machine. Lo stesso tubo poi, con tante derivazioni, ricompariva nelle vicinanze delle porte delle case. Case insomma, si fa per dire. Sicunnu mia erano tutte vecchie stalle e qualcuna forse faceva ancora il vecchio servizio a giudicare dai resti di pagghia che si vedevano qui e là. Sopra a due di queste abitazioni era stato però costruito una specie di primo piano unico, con un balcone lungo lungo che era proprio dirimpetto a quello dove stavo io.
Maddumai una sigaretta e malirissi a me minchia per quella uscita.
Stavo per rientrare quando una cristiana si affacciò per stendere i robbi. Poteva avere una cinquantina di anni e, forse, una decina di figghi a giudicare dai cianchi e dalle mutanne bagnate che tirò fuori dalla cesta.
"Buongiorno" ci fici, ma lei, per tutta risposta, mi taliau storto e con una sputazzata che cadendo sfiorò il martellatore mi salutau e sarritirò a so casa lassannu stari macari il travagghio che stava facendo. Questa scena però, o a me vuci, attirò lattenzione dei lavoratori di sutta.
"Buongiorno" mi fece u panzuni.
"Buongiorno" ci risposi.
Poi però nessuno di noi due tirò chiù fuori una parola. Il ragazzino invece, dopo avere posato il martello, sera messo a taliarimi con curiosità. Mimmaginai che voleva chiedermi qualcosa e infatti, dopu tannicchia, si avvicinò al balcone e rapiu a ucca:
"Comè vistuta oggi?"
Per un attimo non ciarrivai a capire, poi però accuminciai a spiegarici  il colore della gonna e...
"Buongiorno signor Buonamico "

29/12/08

28/12/08

Una casa felice


Sammazzau  di fronte a Mario u iettabummi. Prima sava fattu fora tutta la famigghia. Accussì. Senza un motivo che uno putissi anche pensare che può capitare a tutti di nesciri pazzu per quello. Una casa felice. Il barista mu cuntau dopo un misi. Prima con tutto che lui è uno abituato non ce la faceva. Ci veniva difficili. Poi finalmente si sfogò.
"Totò ancora ciaiu tutto nella testa. Lui è entrato come tutte le altre volte che si pigghiava u cafè. No. Non era un cliente fisso. Ma insomma capitava. E poi io lavevo visto tante vote passare ca sò famigghia davanti al bar. Insomma lui è entrato e quando ciò chiesto che voleva lui nisciu fora con questa discussione...

macchissacciu! una birra. un liquore. mi rassi quello che vuole. tanto... no! non cinnaiu problemi. picchì? lei li sapi sempre le cose che vuole? a me certe volte mabbasta sapere che posso scegliere. poi di quello che capita me ne fotto. tanto... bella quella foto! cu ie? a so famigghia? macari io ciò due figghi. ciavevo insomma. come? no! no! i miei sono chiù nichi. ma. ma mi luvassi una curiosità. comè che si ciarriva alla sua età? comè insomma che passano i ionna e le notti e poi uno si fa una foto così che arrirri. che pare tutto felice e senza pinseri? sì certo anche io ci voglio bene ma unne la scelta? vabbene và. minnirassi unaltro. cosera? vodka? vabbe a scusari! io non è che bevo sempre. anzi. mi pareva la bottiglia. usapi quella della pubblicità. come si chiama? ce una. un pacchiuni. assumigghia tannicchia a me mugghieri. picchi arriri? non ci crede? vabbè canciamu discorso. tanto... ma a lei se ci venisse come un senso di accupazione. se si sintissi mancare laria. il respiro. che farebbe? comu chi significa? chissaccciu. fare sempre le stesse cose. dire sempre le stesse parole. macari sintirisi dire che è un uomo fortunato. no! na pusassi quella bottiglia! unaltro! ne voglio unaltro! no. non mincazzo! ce lo da pagare lo sa? chiffà i voli? dimmelo che vuoi solo i soldi bastardo! dimmelo! anzi ora ti rugnu. e macari chista ti rugnu. a viri? talia comè lucida! e allora? ora cillai una scelta vero? chiffazzu? tammazzu? tanto... me mugghieri nemmeno lei ci credeva. e mancu i me figghi allinizio. chinni sapevano ancora della vita mischinazzi! no! non ti scantari. a viri? è cà. vicino alla mia testa. tanto...

Io non ciò fatto in tempo a fermarlo Totò. Non ciò fatto in tempo" 

27/12/08

Proposizioni principali e secondarie

 
Accendo una MS.
Parli.
Potrei cambiare marca. Non fumare affatto.
Penso ai morti 
per cancro.
Ai parenti.
Il presepe illumina la stanza.
Accendo un'altra sigaretta.
T'ascolto. Tossisci.
La finestra è
chiusa.
La indichi come fosse un regalo.
"Da fare" mi segno.
Il breve silenzio mi coglie impreparato.
Sfioro i tuoi capelli come fossero fumo.
Riprendi a dire
mentre io vorrei solo pisciare.
Svuotarmi.
"Vado in bagno" borbotto.
Dubita il tuo sguardo.
Mi baci. Ti bacio.
Buonanotte.

26/12/08

Filu di vespru - 2 -

Lo studio Grotz si trovava in Via Amantia, una via alle spalle della piazza del Fortino. E' questa una piazza con una specie di porta gigante che però è finta e che serve a farici fare una passiata ai Turisti. Loro arrivano ci fanno una foto e sinni vannu che lo capiscono subito che il monumento è una minchiata e il resto agli stranieri non ci interessa.
Io invece se ciavissi una machina fotografica come a quella loro ve lo farei vedere meglio questo posto. I vecchi che ci stanno assittati nelle panchine con le carte della scopa o davanti alla putia a parrari di cosi inutili. I ladri che furiano che tutti li conoscono ma loro se ne fottono che tanto qualche pollo si trova sempre. Quelli che la sera vendono sangeli con pignate gigantesche e fumanti. Le case intorno che parunu paisi dimenticati e che sono invece in mezzo alla città. Ecco io dentro alle foto ci mittissi queste cose ma non cillaiu sta machina maggica e allora, se proprio volete, ve la procurate voi una foto o ci iti, tantu ammia chimminnifutti di spiegarvelo.
Io ve lo volevo dire solo pecchè quellindirizzo era una cosa strana per un notaio, e ci ariflittii assai sopra a questa cosa, ma poi arrivai a concludere che forse quello aveva i suoi clienti migliori in mezzo a altri mortazzi di fame come a mia e accussì non ci pinsai chiù.
All'ingresso cera quel pezzo di sticchio che mi era venuta a trovare a casa: "Buongiorno Signor Buonamico. Prego si accomodi, il notaio la riceverà immediatamente"
Senza taliarla, che già solo la voce mi faceva sbrugghiari, massittai sopra a una seggia che cera dopo lingresso ma la voce di lei mi fermò prima che io fossi riuscito a trovare una posizione comoda per le mie ossa.
"No, non lì! - urlò- prego venga, mi segua"
Dall'ingresso la Signorina mi portò, con quel suo culo addisignatu, in una stanza misa alla fine di un corridoio lunghissimo e senza finestre e lì mi lassau. Sulu, con due poltrone e un tavolino come coreografia.
Cercai subito un posto dove affacciarmi che con tutto quel taliare avevo bisogno daria.

24/12/08

23/12/08

"Pensieri mentre Facebook mi fa cagare" di Piero Vereni

[...]
Sto cercando di ragionare sulle motivazioni per cui le reazioni a Facebook sembrano fortemente emotive non solo da parte della stampa sensanzionalistica ma anche da parte degli utenti.
[...]
Sono circolati in rete testi bellissimi per intensità e profondità di analisi, come quelli di Mariasole Ariot su Nazione Indiana, di Sergio Baratto su Ilprimoamore, e di Andrea Tarabbia, sempre su Ilprimoamore. Si tratta però sempre di testi carichi emotivamente, che sembrano "avercela" con Facebook. Mariasole Ariot dice:
Facebook in effetti, non dice niente.
Più che buco della serratura da cui spiare l’altro, un dito nel buco del mondo che del mondo vuole vedere solo il culo.
Per quanto icastica, questa non è una descrizione accurata di quel che succede in Fb.
Lo sciopero in Egitto del 6 aprile 2008, che ha scosso almeno in superficie il granitico controllo politico di Mubarak, è stato organizzato anche e soprattutto attraverso Facebook, e sono gli stessi protagonisti ad ammetterlo.
Esraa Abdul Fattah, una delle fondatrici del gruppo "6 aprile, il giorno della sciopero" è stata arrestata e trattenuta in carcere per diciotto giorni proprio con l'accusa di aver sobillato la folla, dato che il gruppo al momento dello sciopero aveva più di 70.000 iscritti. La storia del ruolo di Facebook in Egitto (e del timore che il regime ha manifestato per questo sito) è stata raccontata con dovizia di dettagli. Qui c'è un video che racconta in dettaglio l'uso politico di Facebook in Egitto. E' forse il caso più famoso, ma certo non è l'unico e ricordo che in Birmania nell'agosto 2007 la "rivoluzione zafferano" si è appoggiata su un gruppo di Facebook che ha aggregato 440.000 utenti, L'uso politico di Facebook è diventato comune, e se da noi si fanno campagne casarecce sulla Gelmini con o senza palle, appena si esce un poco dal guscio domestico (internet dovrebbe essere lì anche per quello, no?) si vede le l'attivismo è cosa seria, e Facebook sta diventando un suo strumento, soprattutto in paesi dove il controllo dei media da parte del potere istituzionale è forte.
Quindi non si può dire che Fb non dice niente, semplicemente perché non è vero, e quel che dice Fb dipende da cosa gli facciamo dire noi, come per qualunque altra applicazione.
Facebook ha la capacità di aggregare rapidamente un numero altissimo di persone, e questa, secondo me, è la ragione principale del risentimento che solleva. Facebook è cafone.
[...]
Sergio Baratto, nel suo post su Ilprimoamore, ha detto tutto nel primo paragrafo:
All'improvviso ho capito perché c'è molto meno movimento intorno ai blog: si stanno buttando tutti su Facebook. Sono quasi tutti emigrati lì, verso forme meno raffinate e impegnative di cazzeggio. Vorrai mica paragonare lo sforzo di inventarsi un post di X righe a quello di scrivere una frasetta di quattro o cinque parole alla terza persona singolare?
[...]
La tesi di Baratto è assunta in pieno da Andrea Tarabbia:
[...]
Ho l'impressione che questo insistere sulla dimensione simil-Twitter di Facebook, che non è necessariamente la sua principale, serva all'argomentazione distintiva: noi che abbiamo qualcosa da dire (e sappiamo anche come dirla) ci troviamo in imbarazzo in un ambiente a cui possono accedere anche quanti non solo non hanno nulla da dire, ma per di più non maneggiano neppure con scioltezza le strutture per dirlo.
Andarsene da Facebook, allora, diventa un modo per dichiarare la propria distanza dalla folla, che invece non ha nulla da dire e prova a dirlo comunque, per di più male.
La folla cafona è arrivata su Internet: questo il grido di dolore che fa da bordone ai lamenti su Facebook (per evitare malintesi: sto parlando anche e prima di tutto dei MIEI lamenti, del mio terrore di essere confuso con la folla).
Noi, che abbiamo sudato sui sistemi operativi del DOS, che ci siamo iscritti alle BBS prima che arrivasse Internet, che abbiamo provato a trafficare con le copie piratate di Dreamweaver perché volevamo farci il sito nostro (o perché, come me, lavoravamo per case editrici che volevano ci occupassimo di aggiornare i contenuti del sito). Oppure noi che quando è arrivato splinder ci si è aperto un mondo e abbiamo capito che finalmente non avevamo bisogno di elemosinare una colonna nel giornale di provincia, che non dovevamo più fare la fila dall'editore, e che potevamo coltivare il sano, estetico, profondo bisogno di comunicare i nostri profondi pensieri al mondo intero con IL NOSTRO BLOG. E questo blog era la migliore garanzia della nostra assoluta unicità, del nostro essere, in fondo, dei figaccioni incredibili, e potevamo anche fare finta di non esserlo e potevamo giocare a fare i modesti, gli impegnati (tanto c'era il blog a garantire la nostra assoluta figaggionitudine). Eccoci qua, noi, distinti, separati, finalmente e chiaramente riconosciuti anche grazie al generoso incrocio tra competenza tecnologica e volontà di esprimerci, nell'arco di sei mesi ci troviamo sommersi, annichiliti in una folla di buzzurri, geometri del Cepu, sciampiste di Scaltenigo, panettieri lucani, svogliati studenti di Scienze della comunicazione, che porca puttana scrivono sul loro loculo su Facebook che sono diventati fan di Gigi D'Alessio (o membri del gruppo "Aboliamo Gigi D'Alessio") e hanno un numero di lettori che è dieci o venti volte superiore al numero di contatti medio del nostro blog!
In questa folla pacchiana che ci stiamo a fare? Ci siamo entrati come si entrava in un circolo comunque ristretto, e ci siamo ritrovati con la massa, ma massa vera. Non si può fare, così non va.
[...]
Le masse di liceali fankazzisti, impiegati fannulloni, commesse a progetto che diventano fan di Braccobaldo o di Max Gazzè possono farci anche orrore, ma non è che smettono di esistere se noi usciamo da Facebook: continuano ad esserci, a vivere la loro vita ogni giorno (e probabilmente a votare in modo che a noi dà fastidio). Solo che dentro Facebook si rendono visibili anche al nostro sguardo, e vanno a occupare uno spazio di visibilità per il quale pretendiamo di avere la precedenza, e cioè la visibilità degli happy few che accedono alla Rete.
Pensateci un momento: siamo ormai dentro una società in cui l'esistenza stessa dei soggetti è garantita non dal fare, e neppure più dal sentire, ma dalla possibilità di essere riconosciuti dagli altri. Da questo punto di vista, la partecipazione all'Isola dei Famosi (o a qualunque altro reality televisivo) è l'unico evento REALE (e infatti come tale è vissuto da chi vi partecipa) perché è l'unica forma di evento che esiste come atto costitutivo di messa in vista (è insomma un "evento mediatico" in senso tecnico). Ma se l'Isola dei Famosi è la versione plebea della messa in vista, noi happy few avevamo finora goduto del sex appeal selettivo della Rete: i nostri blog, i nostri MySpace, erano la versione certo più elitaria di una comparsata al Grande Fratello, ma con lo stesso obiettivo: esistere in quanto riconosciuti dagli altri.
Ora, con Facebook, vediamo le folle dei fan di Simona Ventura e Maria De Filippi entrare a occupare spazi che pensavamo nostri, e la cosa semplicemente ci "fa vomitare".
Ecco, ci fa vomitare che Internet sia diventata profondamente, paradossalmente, vergognosamente democratica. Che sia diventata di tutti, anche di quelli che, secondo noi (che siamo colti e raffinati) non se la meritano.

22/12/08

Filu di vespru - 1 -

Quando andai ad aprire la porta non ci potevo quasi credere, davanti ammia cera una fimmina come poche ne avevo mai viste: alta, minne a inchiririsi locchi, cianchi unni pusari comodo le mani e iammi belle ritte come a colonne... un rialu di Dio, insomma. In pochi secondi me lero cucinata e digerita e mero innamorato anche, però, mannaggia!, mi scappau sulu un:
"Buongiorno! Desidera?"
"Buongiorno - rispose lei- mi scusi se la disturbo, sono la dottoressa Pagnozzi dello studio notarile Grotz. Cercavo il signor Buonamico. So che vive in questo palazzo, lo conosce?"
Minchia che fortuna! Cercava ammia.
"Sì sono io, in che cosa posso servirla? - e poi subito dopo con l'occhio sguercio da pleibboi - Prego, vuole trasiri?"
Lei evidentemente non lo sapeva se ciavevo detto la verità, che per un momento mi passi di vederla dubbiosa, ma comunque, pò sì e pò no, entrò.
Dopo essersi seduta sopra al divano, senza farimi vedere niente, che si chiuriu le cosce accavallandole come a una vera signora, accuminciau a parrari.
"Finalmente la trovo signor Buonamico - e mabbiau un sorriso- probabilmente lei si starà chiedendo il motivo della mia visita... ecco, scusi la mia brutalità ma... credo sia meglio così... ecco...io sono qui perché lei, signor Buonamico. Lei, lei ha un fratello".
Qui fece una pausa pecchè forse saspetttava un mio gesto di sorpresa e, in effetti, un po' di sorpresa da parte mia ci fù, ma solo pecchè la signorina spostandosi per avvicinarsi di più a me, che mi doveva confidare questa minchiata, mostrò ancora meglio quello che cera sotto la camicetta e cè da dire che la natura proprio le voleva bene alla carusidda.
"E allora signor Buonamico?"
Astutai locchi e marrupigghiai.
"Ma mia madre...". Mi nisciu fora.
"Sì lo so, lo so -continuò lei- credo proprio che non le abbia mai detto che...".
"Ma pecchè?" continuai, e qui mi passi di vedere, nellespressione di quella, qualcosa di strano, come una che sa bene di cosa parla.
"Lei era piccolo... sua madre era rimasta da poco vedova, e... insomma... suo fratello ora vorrebbe conoscerla".
Comunque, per farla breve, io, Cirino Buonamico di fu Crispino e Benedetta Brancitelli, mi ritrovai a non essere più figghiu unico.
Questa cosa del fratello, in fondo, non mi dispiaceva assai, che io mai cenavevo avuto di frati, e mancu di soru a dire la verità, pecchè la mamma, Dio labbia in gloria, senera andata non appena maveva visto nesciri dal paradiso e mio padre aveva preferito futtiri a sbafo e senza muddichi invece di maritarisi di novu; infatti, io ero cresciuto di nicunicu con tante zie e con mia nonna Rosa la quale ciaveva avuto il suo bel daffare cummia anche se mi aveva voluto sempre bene, ma questo è un altro discorso.

21/12/08

Lu Santu Currau - 13 -

Alla fine si decise, cautamente poggiò la mano sulla maniglia e aprì la porta oltrepassando subito dopo la soglia. Si trovò di fronte ad una piccola stanza malamente illuminata da una finestrella, posta alla sua sinistra, che per posizione e dimensioni gli ricordò quelle raffigurate in numerosi santini seicenteschi. Questi ultimi per lo più descrivevano estasi mistiche illuminate dalla luce divina, orgasmi visivamente appena accennati ma potentemente erotici allo sguardo casto di ogni uomo pio del tempo.
Nulla comunque faceva pensare al favoleggiato boudoir. Sotto i suoi occhi lentamente presero forma una scrivania carica di carte e libri, due dozzinali seggiole in legno, un divano in pelle dalla strana tinta zafferano. Un rapido sguardo al resto della stanza e l'acclarata assenza di ogni segno di vita lo fecero presto desistere da quel suo inutile e poco gentile curiosare.
Richiudendo la porta alle sue spalle il detectus decise dunque di uscire dalla farmacia per farvi magari ritorno in un altro momento della giornata.

17/12/08

Catherine Spaak


Veni pi tutti u mumentu. Quello dove allimprovviso non ha più importanza cù sì e che cosa hai fatto. Quello dove non tabbasta chiù quello che hai. E possono essere tante le occasioni per fariti pensare accussì ma nei masculi però quasi sempre accade che questa cosa succede a una certa età. A un certo momento che incontri carni frisca come mai ti è sembrato di averla vista. E' diventa inutile allora provare a pinsari con la testa. Ci sono fimmineddi che ti votunu e ti furiunu come a una pezza lodda e ogni lotta è come a quella do pisci nella nassa. Io per fortuna ancora non ci sono arrivato ancora a queste cose che la vogghia mè sempre mancata e il travagghiu macari ma però ne ho visti tanti di uomini peddiri la raggione per una suttanedda e addivintari come a Orlando nellopera dei pupi.
Ci pensavo a questa cosa pecchè ho visto alla telivisioni una storia che cera Tognazzi e quella francese che ora certe volte fa i programmi. La Spacc. Lei in questo filmi è una carusidda ma anche ora ai giorni nostri che futtiri è diventato facili come a mangiarisi una angiova senza sali io non penso che ci sarebbe masculo capace di resisterle. Come si può combattere contro alla bellezza miscata alla malizia? Come si può lottare di fronte alla gioventù che ti mostra le sue primizie? La Spacc è il vento che in estate arriva friscu fridscu prima del temporale. E' il ricordo dei desideri di quando taccuminciava a crisciri u sfingiuni ne mutanni. E' la realtà che ti dice che sei vecchio e lei la realtà non te la vorrebbe neppure fare pesare questa cosa se non fosse che tu ti ostini a immaginarla diversamente.
La Spacc è la fottuta che hai sempre sognato. Il motivo che ti ha portato a travagghiare e poi a travagghiare e ancora a travagghiare fino a quando la fatica ti ha fatto dimenticare che era per lei che lo stavi facendo. Per la Spacc. Per lo sticchio.

15/12/08

Giuseppe Pinelli (Milano, 21 ottobre 1928 – 15 dicembre 1969)

A Giuseppe (Pino) Pinelli, anarchico milanese, nato il 21 ottobre del 1928 e morto il 15 dicembre del 1969 precipitando dal quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio, è intestato il nostro archivio. La sua vita in breve. Terminate le scuole elementari Pino Pinelli dovette andare a lavorare, prima come garzone poi come magazziniere. Tuttavia la conclusione degli «studi ufficiali» non lo allontanò dai libri e dagli interessi culturali: lesse centinaia di volumi divenendo appassionato autodidatta. È del periodo della Resistenza l'inizio della sua militanza politica: fu giovane staffetta partigiana nella formazione socialista «Franco» (delle Brigate «Matteotti»). Si avvicinò all'anarchismo nel 1952, frequentando una scuola di esperanto. Fu in quell'occasione che Giuseppe incontrò Licia Rognini, che dopo pochi anni sposò. Pino e Licia ebbero due bambine di nome Silvia e Claudia. Nel 1954 Pino vinse un concorso ed entrò nelle ferrovie come manovratore. Nei primi anni Sessanta alcuni giovani crearono il gruppo Gioventù libertaria; Pino, nonostante avesse una quindicina di anni in più dei fondatori del gruppo, condivise l'esperienza con grande entusiasmo rappresentando un punto di contatto fra i nuovi arrivati all'anarchismo e i vecchi militanti. Nel 1965 è fra i promotori del Circolo Sacco e Vanzetti di viale Murillo, circolo che, nel 1968, si trasferì in piazzale Lugano prendendo il nome di Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa. In questa atmosfera ricca di stimoli e slanci Pinelli si impegnò con grande generosità e capacità promuovendo diverse iniziative (tra cui la Croce nera anarchica e la sezione Bovisa dell'Unione sindacale italiana – USI) e creando occasioni di confronto fra lavoratori e studenti. Poi giunse il dicembre del 1969, con la «strage di Stato» di piazza Fontana, la montatura contro Valpreda e altri anarchici, il fermo «per accertamenti» di Pinelli, la sua uccisione. La immediata e forte campagna di contro-informazione, che coinvolse oltre agli anarchici anche parte della sinistra extra-parlamentare e parlamentare, fece sì che larghi settori dell'opinione pubblica non presero mai sul serio le versioni ufficiali (tra loro per altro contraddittorie) del «suicidio» (polizia) e del «malore attivo» (magistratura).

Fonte:




Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo che caldo faceva
brigadiere apra un po' la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

Signor questore io gliel'ho già detto
lo ripeto che sono innocente
anarchia non vuol dire bombe
ma giustizia amor libertà.

Poche storie confessa Pinelli
il tuo amico Valpreda ha parlato
è l'autore del vile attentato
e il suo socio sappiamo sei tu.

Impossibile grida Pinelli
un compagno non può averlo fatto
e l'autore di questo misfatto
tra i padroni bisogna cercar.

Stiamo attenti indiziato Pinelli
questa stanza è già piena di fumo
se tu insisti apriam la finestra
quattro piani son duri da far.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po' la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

L'hanno ucciso perché era un compagno
non importa se era innocente
"Era anarchico e questo ci basta"
disse Guida il feroce questor.

C'è un bara e tremila compagni
stringevamo le nere bandiere
in quel giorno l'abbiamo giurato
non finisce di certo così.

Calabresi e tu Guida assassini
che un compagno ci avete ammazzato
l'anarchia non avete fermato
ed il popolo alfin vincerà.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po' la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

[E tu Guida e tu Calabresi
Se un compagno ci avete ammazzato
Per coprire una strage di stato
Questa lotta più dura sarà.]


14/12/08

Pause


Cera un cielo di caffè macchiato stamatina.

Alla televisione parravano dei soliti morti. Facevano vedere le solite facce. Vendevano le solite cose.
Io invece non ciavevo niente cheffare. Avevo finito di darici lacqua alle piante. Uscito la carne dal frigo per il pranzo. Fumato la mia sigaretta.
Poi mi ricordai allimprovviso che la sera prima non avevo uscito le robbe dalla lavabiancheria. A questora erano tutte impagghiazzate. Addumai la macchina e ci fici fari unaltro giro. Quando però mi calai per vedere a che punto era maddunai di una cosa niura che abballiriava in mezzo a mutanni e magliette. Pareva un suggi morto. Massittai davanti allo sportello per vedere meglio la scena e maddumai unaltra sigaretta.
Non ci vosi assai.
Quando finiu la centrifuga pigghiai tutte le cose e le stesi al balcone.

Stava accuminciannu a chioviri.

12/12/08

11/12/08

Vulcani



Pioggia di ceneri
oggi,
su questa città, sul mio capo.
Nessun rimorso o lacrima
sul viso stanco. No, nessun pianto,
né suono a rubarne il dolore.
Estraneo mi aggiro
in questo fuggire
tra grigi lapilli,
tra lo stanco bisogno di dire e
un abitudinario tacere.
E' forse vana speranza l'attesa
di un fuoco che brilli.

09/12/08

"La lezione greca" su SenzaSoste.it

Con questo editoriale, lo confesso, voglio togliermi alcuni “sassolini” dalle scarpe, che tengo da alcuni anni, perché credo che l'Italia sia il regno dell'ipocrisia e delle cose non dette. Cercherò, inoltre, di astrarmi - cosa molto difficile per me - cercando di vedere con occhi non soltanto militanti, ma anche da “democratico” che cerca di porsi domande.
Certo farò dei parallelismi tra due paesi, Grecia e Italia, sorvolando sulle analisi socio economiche, che lascio ad altri, ma che ritengo, nei fatti di questi giorni, ininfluenti perché riguardano comportamenti e opportunità e non interventi politici.
Il primo parallelo con occhi di “democratico” me lo ha suggerito un tale, questa mattina al bar. Davanti agli articoli dei giornali sui fatti di Atene si rivolge ad un amico dicendo: “Certo, hanno ammazzato un ragazzino... Il Governo ha preso e arrestato immediatamente due poliziotti, il ministro ha chiesto pubblicamente scusa e ha rassegnato le dimissioni (poi respinte, n.d.a.). In Italia, invece, hanno assolto i poliziotti della Diaz e hanno detto che Carlo Giuliani è stato ammazzato per colpa di un 'calcinaccio'". Ascolto interessato la discussione quando l'interlocutore risponde: “Anche il Partito Socialista ha attaccato la polizia e ha chiesto le dimissioni del governo. In Italia invece, per il G8, la preoccupazione fu trovare il capro espiatorio che furono identificati nei Black Block (i facinorosi che attaccano la polizia). Invece di condannare chi sparò in testa ad una ragazzo...”.
E' chiaro che il governo greco è un'istituzione formata da un partito lontano da una gestione democratica del potere e della polizia, ma è anche vero che uno stato, membro della UE, ha preso una posizione ferma e immediata sui fatti, mentre tutti ricordiamo i giri di parole del governo italiano e, soprattutto, dell'opposizione sui fatti di Genova 2001. In Italia abbiamo assistito a poliziotti incatenati davanti alla questura per protesta contro chi li accusò e condannò per i pestaggi nella caserma di Napoli, ma non si è mai vista una manifestazione di massa dei partiti della sinistra davanti ad una questura o una caserma. E questo perché si riconosce, anche davanti agli omicidi, una legittimità democratica a chi, negli anni, non negli episodi, ha ampiamente dimostrato di non saper cosa è la democrazia, nemmeno quella che un tempo definivano “borghese”.
Dal punto di vista militante il quadro, in questo parallelismno forzato, e ancora più desolante, per chi come al sottoscritto, poco importa del teatrino politico delle istituzioni e dei partiti.
La rivolta generalizzata in Grecia ci deve insegnare molto. Ci dimostra, in tutta la sua crudeltà, gli errori fatti dal movimento a Genova e dopo. Ci insegna che gli scontri non si simulano né si concordano con la polizia, ci racconta di quanto fu illusorio e sbagliato l'allargamento del movimento a gruppi lontanissimi tra loro per modalità e forme di fare politica, ci dà una visione corretta del concetto di “non violenza”. Ci mostra come la sinistra anticapitalista greca (anche quella presente in Parlamento) non si è dissociata dagli scontri e non ha cercato alibi, come fece, invece, Agnoletto a suo tempo. Ci deve far capire fino a che punto lo Stato si può permettere di reprimere e ci insegna come reagire alla crisi.
Ma più di tutto ci mostra un'altra cosa: la rivolta di domenica, che ha portato al tragico omicidio di un 15enne, è nata dalle proteste contro la riforma scolastica del governo greco, una riforma che, se messa a confronto di quella italiana, è una barzelletta, una storiella buffa in un contesto di crisi economica che la nostra generazione non immaginava nemmeno possibile. In Italia, l'Onda (che adesso pare più una risacca) ha speso troppo del suo tempo nell'affermare di essere "apolitica" e nel differenziarsi dal '68, come se fosse una grave onta, invece di rivendicare una continuità, se non politica almeno morale, con le lotte anticapitaliste che dal vituperato '68 francese hanno rivoltato il mondo per almeno un decennio.
L'Onda ha invece inutilmente invocato il Capo dello Stato come se davvero fosse garante di qualche cosa e non uno dei tanti attori (o burattini) delle istituzioni economiche nazionali ed internazionali.
Almeno una cosa quest'Onda dovrebbe fare propria dall'esperienza del '68, dovrebbe capire e applicare una delle frasi più celebri pronunciate in quegli anni da Ernesto Che Guevara: “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo”: se così fosse i giovani che oggi scendono nelle piazze contro la Riforma Gelmini dovrebbero sentire come proprio il dolore che oggi sentono i giovani greci ed avrebbero sentito il dovere morale di esprimere la solidarietà dovuta, con il linguaggio che li dovrebbe accomunare, la rivolta.
Una cosa mi fa sperare ed è il comportamento tenuto dall'informazione sulla vicenda greca. Una informazione pilotata che ha chiaramente paura che la Grecia possa simboleggiare quello che la Francia simboleggiò con il suo Maggio. Repubblica Tv corre a dire che il ragazzo ucciso era di “buona famiglia” e che gli scontri sono creati dalla sinistra estrema che cavalca la protesta. Il Tg1 dà la notizia sulla morte del giovane greco parlando testualmente di ragazzo "ucciso per errore", quando invece i due poliziotti sono stati arrestati per omicidio volontario.
Come sempre accade la TV di Stato fornisce la versione della polizia (tra l'altro smentita pure dal governo) e non cita i testimoni oculari che hanno fatto sì che i due poliziotti fossero arrestati.
Che davvero la Grecia del 2008 sia la Parigi del 1968?

Fonte:

08/12/08

Sirene

Era un periodo che verso le due di notte allimprovviso si sinteva forteforte una fimmina che cantava e che arrusbiggliava tutto il palazzo.
La prima volta caccapitau me lo ricordo ancora. Saddumano tutte le luci alle finestre e tutti niscienu fora a fari burdellu:
“E cuie?”
“E basta camaddommiri”
“E stiratici u coddu a sta iaddina”
Però la voce era bella e non durava assai. Cinque. Dieci minuti. Il tempo preciso per farici sugnari. E anche se le parole non si capivano assai capitava che ognuno ci sinteva quello che voleva in quella canzone e il bello è che per tutti quelle erano frasi di conforto e damuri. Forse fu per questo che con il passare del tempo si rapenu meno porte e si ficiunu meno vuci.
No sacciu. Non sugnu sicuro. Magari fu solo labitudine. O il sonno.
Però oggi in questa prima sira muta melimmaginai tutti i condomini arreri alle finestre. In silenzio. Ad aspettare.
Comammia.
Senza sirene per questa notte. Senza mari.

07/12/08

La libertà



Liberté

Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome

Su tutte le pagine lette
Su tutte le pagine bianche
Pietra sangue carta cenere
Io scrivo il tuo nome

Sulle dorate immagini
Sulle armi dei guerrieri
Sulla corona dei re
Io scrivo il tuo nome

Sulla giungla e sul deserto
Sui nidi sulle ginestre
Sull'eco della mia infanzia
Io scrivo il tuo nome

Sui prodigi della notte
Sul pane bianco dei giorni
Sulle stagioni promesse
Io scrivo il tuo nome

Su tutti i miei squarci d'azzurro
Sullo stagno sole disfatto
Sul lago luna viva
Io scrivo il tuo nome

Sui campi sull'orizzonte
Sulle ali degli uccelli
Sul mulino delle ombre
Io scrivo il tuo nome

Su ogni soffio d'aurora
Sul mare sulle barche
Sulla montagna demente
Io scrivo il tuo nome

Sulla schiuma delle nuvole
Sui sudori dell'uragano
Sulla pioggia fitta e smorta
Io scrivo il tuo nome

Sulle forme scintillanti
Sulle campane dei colori
Sulla verità fisica
Io scrivo il tuo nome

Sui sentieri ridestati
Sulle strade aperte
Sulle piazze dilaganti
Io scrivo il tuo nome

Sul lume che s'accende
Sul lume che si spegne
Sulle mie case raccolte
Io scrivo il tuo nome

Sul frutto spaccato in due
Dello specchio e della mia stanza
Sul mio letto conchiglia vuota
Io scrivo il tuo nome

Sul mio cane goloso e tenero
Sulle sue orecchie ritte
Sulla sua zampa maldestra
Io scrivo il tuo nome

Sul trampolino della mia porta
Sugli oggetti di famiglia
Sull'onda del fuoco benedetto
Io scrivo il tuo nome

Su ogni carne consentita
Sulla fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Io scrivo il tuo nome

Sui vetri degli stupori
Sulle labbra intente
Al di sopra del silenzio
Io scrivo il tuo nome

Su ogni mio infranto rifugio
Su ogni mio crollato faro
Sui muri della mia noia
Io scrivo il tuo nome

Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine
Sui sentieri della morte
Io scrivo il tuo nome

Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome

E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.

Paul Eluard

06/12/08

6 Dicembre 2007 - 6 Dicembre 2008

Il 6 dicembre di un anno fa un rogo sprigionatosi all’interno dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino faceva strage di 7 operai. Sette vite bruciate e sette famiglie lasciate nella disperazione. Forte fu la commozione e l’eco in tutto il Paese. Le massime autorità dello Stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica Napolitano, dichiararono che avrebbero fatto l’impossibile affinché stragi come quella di Torino non fossero più avvenute.
Spenti pian piano i riflettori dei mass-media, la questione della sicurezza sul lavoro è sparita dall’agenda politica di governi e parlamenti, sostituita da quella - montata ad arte - della "sicurezza" nelle città, della psicosi dell’immigrato stupratore, rapinatore, pirata della strada o altro, dimenticando che secondo studi della stessa UE, le città italiane sono le più "sicure" d’Europa...
Ma tant’è. Si mandano forze di polizia e militari nelle città, ma non si fa un passo per garantire incolumità e sicurezza a chi vive di lavoro. La strage di Torino non è stata la prima e, purtroppo, non è stata l’ultima: i circa 4 morti al giorno nei luoghi di lavoro dovrebbero suonare come un sonoro schiaffo per qualsiasi società che abbia la presunzione di definirsi "civile".
Ma in Italia no: qui non solo si continuano a varare provvedimenti assolutamente insufficienti, soprattutto dal punto di vista delle azioni di contrasto e di sanzione nei confronti delle aziende, come da quello dei poteri e delle agibilità degli RLS e degli ispettori INPS o INAIL (come il nuovo Testo Unico, Legge 81/2008), ma a questi si affiancano leggi e decreti come quello sulla detassazione degli straordinari (Legge 126/24 del luglio 2008), quello sulla deregolamentazione del mercato del lavoro (Legge 133 del 5 agosto 2008), la direttiva del Ministero del Lavoro che indebolisce i servizi ispettivi del ministero stesso e dell’INPS (settembre 2008), e, ultimo solo per tempo, il ddl 1441 quater, attualmente in discussione alla Camera, che vorrebbe sterilizzare i processi e legare le mani ai giudici del lavoro. Il segnale è purtroppo molto chiaro: da un parte si continuano a garantire condizione di massima redditività delle aziende (cioè massimi profitti), dall’altra si aumenta la precarietà, si allunga l’orario di lavoro, si controllano di meno le violazioni in termini di sicurezza, diminuendo quindi la tutela della salute e dell’incolumità del lavoratore, così come di chi vive in città o quartieri vicini ad impianti industriali: ecco che, quindi, l’immigrato che lavora nel cantiere si trova nella stessa barca con l’operaio Fiat, con l’abitante di Taranto che respira le polveri tossiche dell’ILVA, o con il valsusino che rischia di morire di amianto se partiranno i lavori del TAV.

Fonte:

05/12/08

Grandi maestri: la pedagogia dei diritti inviolabili


Costituzione della Repubblica Italiana


Art. 33

L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.

È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.

Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.


04/12/08

ricordi


Chissà chiffù. Oggi pensavo a quando mi pigghiau lamuri per Vera Alagna e addivintai geloso di Vincenzo. Mi ricordai che ciavevo anche scritto una poesia a dà fimmina. Era ancora nel cassetto delle medicine dentro a una lanna. Insieme alle fotografie della cresima. Ai confetti nellorganza. Alle muddichedde di pane. A una rosa sicca.
Pigghiai quel pezzo di carta e me lo misi in tasca per farcelo vedere a dù fissa di Amato.

Salutannu u jonnu
a voti massali
na strana amarizza
u me corpu peddi lali
e sulu marrittrovu
comu quannu vicinu a tia
cantando ricia:
Si no me cori
si na me menti
si na me vita
comu ‘nturrenti
turrenti d’amuri
turrenti infami
ca nudda cosa
intra iddu appari.

Iu cettu no sacciu
picchi non taia scuddari.
Su fussi amuri o carni
chiossai putissi fari,
ma contru sta fattura, no
non si po’ luttari.

Si no me cori
si na me menti
si na me vita
comu ‘nturrenti
jochi cu tutti
a tutti tu menti
e sulu mi lassi
no pittia non cuntu nenti.

Lui era tutto contento quando ce la mostrai. Credeva di avere trovato un complice alle sue cose e così mi voleva fare leggere le cose che scriveva. E qualche cosa me la recitò pure il mischinazzo. Così. Rapido rapido. Quasi con vergogna. Ma io non cinnaiu tempo per le minchiate. Per tutti questi svinimenti degli scrittori. Per queste cose che ti obbligano a pinsari. Accussì ci dissi solo che avevo lasciato sopra lacqua per la pasta e me ne sono andato. Poi nella scala scicai u fogghiu a fare coriandoli che il carnevale è sempre vicino.

02/12/08

Annunziato Allegra

Io mi chiamo Annunziato Allegra detto lamericanu pecchè mi piaciunu i canzuni dellinglisi. Quelle ivimetal. Con la musica naricchi che scippa la testa.
Io premetto che ciò diciannovanni e sugnu catanisi vero. Della Civita.
Io visto che me lo hai chiesto vulissi scrivere qualche cosa di me. Di quello che sono e che faccio. Ma non lo so se ci riuscirò bene ché ho finito le scuole alle medie quando già diciamo accussì i prufissuri erano stanchi di mia e di quello che combinavo. Eppoi può essere ca scrivennu allimprovviso mi veni a mancari la vogghia macari e allora di certo non ciarriniscerò a iri avanti.
Io sono del cleb rossazzurro che cè sotto a me casa. Semu tutti carusi che ci canusciemu da sempre. A stissa scola. A stissa chiesa. U stissu campu per giocare. E qualcuno macari u stissu patri anche se non si può dire.
Quà nel cleb semu tutti pò fasciu che il Catania è una fede ma anche Benito merita e nella stanza dove ni viremu i pattiti ci sono le foto della squadra e del Duce. A volte ci sono delle grandi soddisfazioni a essere del cleb. Che uno se la può spacchiare per un sacco di tempo. Il mese scorso ad esempio vinnuno tutti i giocatori a farici visita e noi glielabbiamo detto che ci preparavamo una bella sorpresa per la trasferta. Loro si misuru a ridere e tutto finiu a farsa con le paste fresche di ricotta e i botti nella strada per festeggiare.
Io la matina cerco di vendere qualche cosa alla fera. Al mercato insomma. No non cè lho il permesso. Ma non cè bisogno che tutti lo sanno che non è necessario per quelli come a mia e poi non è ca iu sugnu cinisi o niuru. A chimmi sevvi? I vigili ogni tanto ci tentano di scassarici la minchia ma è solo quando al comune qualcuno decide che deve farsi vedere che lavora. E se capita questa sfortuna io lo so a chi mi devo rivolgere per risolvere ogni cosa.
E' semplice il mio travagghio. Io e lamici partiamo presto per le campagne e scippiamo e prendiamo tutto quello che si può e poi dopo ci tiriamo la matinata a vendere. A poco prezzo però che così la gente accatta. No. I soldi non ciabbastano. Per i capricci cè bisogno di farisi arrialari qualche telefonino o qualche orologio di quelli buoni se capita. Ma senza fari dannu. Sulu accussì. Con tannicchia di paura che la gente si scanta e molla quello che ti deve.
La sira durante la settimana quasi sempre siamo solo tra noi. E qualcuno ciavi la carusa. Qualcunaltro tira fuori tannicchia devva o la polverina giusta se la giornata è andata bene. Qualchealtro ancora si occucca.
La domenica invece al cleb cè u chinu. E ci sono quelli importanti macari. Quelli con la machina a forma di camion e le femmine improfumate che li vedi che loro ci guardano come allanimali allo zoo. A mia non mi fanu tanta simpatia sti personaggi ma qualcuno dellamici mi ha detto che a parecchie di quelle visitatrici ci piaci farisi ntuppari i puttusa e allora macari iu cerco di essere più gentile. Ci sù i capi anche alla domenica. Che tutti stanno attenti e ci fanno mille salamallecchi. E sempre con loro ci nesciunu i soldi per la trasferta o qualche pezzo di cento non previsto in cambio di qualche minchiata da fare o di gente da votare e fare votare.
A noi catanisi veri comunque a noi fedeli cinteressa solo la squadra e arrivare davanti a tutti a fine campionato chè limportante è la guerra e non la battaglia. E cè nel manifesto del cleb questa cosa. E io ci credo.

01/12/08

Contorni

A volte i semplici sono meno semplici di quanto pensano, e si fermano a guardare il mondo che rotola come una palla per tornare sempre al punto di partenza. I semplici lo sanno che si torna sempre lì, e risparmiano il carburante dell'esistenza per vivere più a lungo e soffrire di meno. Babbu Tidoru era uno di quei semplici complicati che riduceva tutto a poche cose: nascere, vivere, morire. La sua era la filosofia dell'indispensabile, del pane, formaggio e vino. Il resto, l'amore, il dolore, la gloria, la ricchezza, erano solo un contorno: il contorno al piatto della morte.
[pag.117]

30/11/08

tivvù


Io ciò una televisione accussì nica che se vulissi viriri tutti i particolari facissi prima a immaginarmeli chiurennu locchi oppure a insistere putissi provare a appoggiare la faccia al vetro che poi però a farlo non virissi più niente lo stesso.
Di solito non ciarrivo a realizzarla questultima spittizza pecchè quando massetto a taliari non cinnaiu curiosità per le minchiate. In genere cambio canale in continuazione veloceveloce come quando ti corre dietro un cane arraggiato.
Questa cosa del cane mi capita a volte macari quando sogno oppure più spesso quando aspetto lautobbussu che ci sono tutte le macchine che passano e i cristiani che se ne vanno in giro. Forse per questo mi piace chiossai starmene infilato a casa.
Ecco però ora che ci penso mi piacissi avere tutti i giorni un telecomando a portata di mano.Per cangiare le cose che mi trovo davanti agli occhi. O macari per astutarle. Se capita.

27/11/08

Abiura

Ne avevo già parlato qui, ma pare che di tutto questo non si possa discutere.
Lo sciopero impossibile. Per la terza volta il ministro dei Trasporti Altero Matteoli ha precettato i macchinisti che volevano scioperare in solidarietà di Dante De Angelis, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza che ad agosto è stato licenziato (per la seconda volta) da Trenitalia per aver denunciato i problemi degli Eurostar che si spezzavano prima di partire.

Questo è il terzo stop dopo il 26 settembre e il 29 ottobre, e ora in vista di venerdì. Matteoli si è aggrappato ai tagli dei voli dell’Alitalia. Ma l’Assemblea nazionale dei ferrovieri ha deciso di ricorrere d’urgenza al Tar del Lazio. Intanto Trenitalia sarebbe intenzionata a re-integrare De Angelis in cambio di un’abiura sulle dichiarazioni. Ma il macchinista risponde: «Mi è rimasta solo la dignità. E non voglio perderla».





PRO MEMORIA SULLA LINEA DEL GOVERNO:

«Si inaugura un nuovo percorso», ha detto Scajola all’inaugurazione dell’impianto «con il grande investimento di Enel, con le alte tecnologie, con la capacità di discutere con il territorio, con le professionalità e con la perdita di qualche vita umana si è riusciti a realizzare la centrale più all’avanguardia d’Europa»
30/07/2008

26/11/08

Assessore Carnazza

La mia vita è un inferno. Prendete oggi per esempio, chiuso in questo ufficio a non fare un cazzo che potevo, invece, benissimo andare a trovare a Margherita, che non c'era nemmeno suo marito a casa. Ma si sa uno che fa politica ogni tanto deve pure stare chiuso a fare finta di travagghiare perché allora dopo ci sono gli scassaminchia che parlono e uno serio come a me magari si ritrova a doversi giustificare senza avere nessuna colpa. Mah!
E che la gente non lo sa come ci si deve muovere in queste cose, che di uffici uno che ci sa fare non ne ha bisogno, e comunque vah... vediamo queste carte. Chista no, chista mancu, guarda, guarda, c'è anche la firma per quel bastardo di Grosso. Ora ci facemu un bello sghezzo addù pezzu di merda.
"Pronto? Sono l'assessore Carnazza. C'è il ragioniere Grosso?" (Usacciu ca ci sì, bastardo) "Pronto Grosso, come va? Ciò qui la pratica tua... come? Certo, certo... però vedi c'è un problema...no, no, niente di importante e che così non la posso firmare. Come? No, non è possibile; sì, sì, ciavevo pensato anch'io... quando? Nooo, subito non può essere, qua ciò troppo lavoro... domani, sì domani, ni pigghiamu un cafè. Vabbene allora... ti saluto, a domani"
Mi voleva fottere u cunnutu, non lo sapeva che ciò fatto il segretario per vent'anni a Don Nino? Ora u futtu iu!

"Tu non mi racconti mai niente, non so nulla di te... scommetto che a to mugghieri invece ci dici ogni cosa...!"
"Macchidici Margherita. Veni. Venicca ca parramu. Aspetta però. Aspetta. Prima facci un regalo a stu mischinazzu di cassutta. Ah! Accussì. Accussì. Brava. Brava. Ora ti cuntu. Queste sono cose che sanno poche persone ma io non lo dovevo fare il politico. Mia madre mi voleva sacerdote e io per qualche anno lò pure ascoltata che già mi vedevo ca coppula russa. Però se non cè la passione prima o poi te ne accorgi che non va bene e la mia passione si chiamava Ciuzza e ciaveva quindici anni. Io la vedevo ogni volta che ritornavo a casa dal seminario e una volta ci siamo visti bene e conosciuti anche come dice la bibbia. Insomma per farla breve lei arristau incinta e io non ci potti andare più a cantari missa. Stavamo quasi per sposarci per questo quando una malatia si portò a idda e a me figghiu. Ah! Ah! Non ti distrarre però pi sti cosi brutti. Ah! Accussì. Piano. Piano. Per mia fortuna in quel periodo a Don Ninu u sinnacu ci serviva un uomo di fiducia che quello che ciaveva avevano deciso di mandarlo a visitare u pararisu e io che avevo fatto le scuole ero quello giusto per sostituirlo. Minsignau tutto quel galantuomo di stu misteri che figurati che quando ummazzano la sua famigghia mi disse di pigghiari tutti i suoi affari per concluderli e non dispiacere nessuno. Macchiffai! Ti fimmasti di novu? Ora non ti cuntu chiù nenti. Aaaah... allora sei curiosa... o ti piaci u viscottu? Dove ero rimasto? A mia me lanno proposto tante volte di diventare sindaco ma fino a quacche anno fa non si poteva più. Cerano troppi strani ricordi nellaria. U sai vero a cosa mi riferisco? Muta. No. Non marrispunniri. Continua! Continua! Ah! Ah! Santissima addolorata!"

Ero appiccicato al cellulare quando una carusidda si avvicinò di faccia a mia. Robba frisca. Quindici, sedici anni appena.
"Ma io a lei lo vista alla televisione. Lei è lassessore Caddazza..."
"Carnazza, signorina, Carnazza!"
"Carnazza sì! Ma lei ma pò dari una mano?"
"Dipende... chicciaggiuva?"
"Vede... me frati è da un paru di misi al collegio e mia madre non sapi come affari picchè è sula"
"E tuo padre?"
"Ummazzanu mischinazzu. A iddu che mai niente a nessuno aveva fatto"
"Vabbene và... macchivvoi di mia?"
"Un travagghio... qualcosa"
Marrirenu locchi. A picciridda ciaveva tutte le cose a posto. Ma non si può rischiari na sti affari.
"U sapeva iu! Senti... tu lo sai comè difficile. Ma tu chissai fari? Cillai i scoli?"
"Chiddi vasci eccellenza"
"Boni semu allura!"
La nicuzza mi guardò come una iattaredda, poi accuminciau a chianciri. Io non cela faccio a resistere a queste cose. Mi fici dare tutti i suoi dati e telefonai a un mio amico giornalista. A chistu ci dissi di fare nesciri questa storia nel giornale per fare una colletta insomma. Ci cuntai pure che io ciavevo dato mille euri alla carusidda per fare tirare avanti quacche giorno alla famigghia.
Lei sera calmata ed era stata attenta a tutta la discussione. Forse saspettava veramente che io avissi nisciuto fora il portafoglio. Si viri che era nicuzza e inesperta. La taliai con dolcezza come se fosse stata na me iattaredda e ci feci una carizza per salutarla. Era ancora presto per farci altro. Poi mi vutai e minnii.
Faceva troppo caldo e avevo vogghia di un gelato.

25/11/08

occhi

Cè in certi occhi come una amarizza che può fare paura. Una luce che ti proibisce quasi di taliari. Come una scoccia di nuci frisca che per toglierla ti devi alluddari le dita se vuoi arrivare al dolce. Come un muro che se tinteressa scoprire il giardino lo devi superari.
Altri invece cianno il ridolino addosso e pensi che ci facissi un viaggio volentieri con quelli che
li portano oppure una serata tranquilla. Una di quelle in cui il vino è compagno e amico e cè tanto tempo per scherzare e parrari.
Macari il sesso cunta e alcune fimmine cianno scritti i loro desideri addosso e uno ci fantastica sopra mentre come un mulo furia cieco la ruota del mulino. E questa cosa che cè nei loro occhi non è la stessa dei masculi pecchè macari casù i stissi pinseri questi nelle donne non cianno proprio cummogghiu. Sù sfacciati. Epperò mai volgari.
Per letà invece è diverso. Nei picciriddi è più difficile sapere. Il bene e il male e il desiderio e lodio e la vendetta e la noia passano velociveloci come treni alle stazioni di paese e non sai mai quello che si fermerà e per quale motivo. Nei vecchi invece sembra che per queste cose non ci sono confini. Forse pecchè loro ci passano ogni giorno in mezzo a quelle dogane anche se non te lo fanno immaginare.
Sù diversi locchi. E se li chiudi puoi moriri o macari sugnari.

22/11/08

20/11/08

Grandi maestri: la pedagogia del grembiule

Abbiamo raccolto molte consensi per l'utilizzo del grembiule, che evita un confronto tra bambini che vanno a scuola griffati e chi no. Ad esempio, puo' succedere che nelle scuole del Nord, ci siano bambini che vanno a scuola vestiti Dolce e Gabbana oppure Versace, ed altri no. L'introduzione del grembiule evita di fare confronti


Ma sì, mettiamola la divisa ai nostri ragazzi, come ai balilla del ventennio, tutti uguali (apparentemente) e tutti contenti, magari inquadrati e veramente omologati. E se il grembiule dei Gianni è sporco o con le toppe, e quello dei Pierini è lindo, profumato e magari firmato, poco importa quale alunno c’è sotto quell’abito. Alla fine salterà fuori dall’armadio un altro scheletro sottoforma di proposta: le “spalmate”( vi ricordate?), ma solo per i “cattivi”, alla faccia della pedagogia.
Un paio di domande e una breve riflessione: un grembiule può eliminare le differenze? L’affermazione dell’autorità e del rispetto delle regole nell’ambiente scolastico può avvenire facendo indossare una divisa? Contano di più i valori, sui quali la nostra scuola, quotidianamente, concentra la propria attenzione per educare le giovani generazioni.

Via Badia

Sedici edifici circondati da un muro. C'è anche un piccolo fortino lì dentro per cinque di questi palazzi; aiuole, gattini... i suoi felici abitanti vi accedono attraverso un cancello automatico. Sempre aperto, purtroppo per loro.
Per creare un clima d'ordinata, ma non inetta, civiltà il comune ha pensato bene di dividere i caseggiati a metà, assegnando loro solo due numeri civici e lasciando il resto alla fantasia degli abitanti. Così sono nate le mie disavventure.
All'unica entrata generale tre negozi ed un gruppo di anziani. Cambiano con le ore, i vecchi naturalmente (però a volte anche i negozi, tranne uno: il panificio), ma il loro numero misteriosamente rimane costante, da tre a cinque, né più, né meno. Tra loro, quasi sempre, c'è u zu Cola. Due figli, pensionato, si dice che la moglie sia la sorella di uno "importante".
Fin dal primo giorno lo zu Cola mi ha offerto il suo aiuto. E' stato lui a darmi le dritte giuste per rintracciare i miei "clienti" ed è stato ancora lui a farmi ritrovare un pezzo del motorino che era misteriosamente sparito mentre tentavo di consegnare una multa; un vero amico insomma, se non fosse che, a fine mese, mi ha presentato il conto del servizio svolto.
C'era proprio tutto in quel foglietto che mi sono ritrovato sotto gli occhi. Duecento euro, il bastardo.
Mi sono messo a ridere, ma lui si è incazzato "O mi pavi o non ci campi chiù ca" mi ha detto. Non sapevo proprio cosa fare, "Non ciaiu soddi cummia -gli ho risposto- Ni viremu dumani". Speravo nel miracolo, una morte, un incidente, magari solo una semplice influenza... ma l'indomani lui era ancora lì, ad aspettarmi. Cazzo.
Avevo notato come ogni giorno al passaggio del mio motorino la signora Puglisi, una quarantenne separata della scala H, si chinasse sul balcone al primo piano per sistemare le piante; senza nemmeno riflettere sulla bontà delle mie ipotesi prima di ricevere nuovamente la richiesta promisi al vecchio qualcosa di speciale da barattare con i duecento.
"Signora ho da firmare per lei"
"E cu po essiri?"
"Non lo so! Non si vede bene qua. Cheffà mi fa entrare ca ci rugnu a pinna?"
Sapeva di peperoni e aglio, ma non si può sottilizzare su queste cose.
Andò avanti per una settimana fino a quando le chiesi un regalo speciale. Sorrise diventando rossa:
"Macchì voi chiossai?"
U zu cola entrò che la casa era tutta al buio. Senza far rumore. A lui avevo lasciato la porta aperta e raccomandato di non parlare mentre a lei avevo promesso che non avrei tentato di guardarla.
"Mi sento una buttana allura, macari su u sacciu cofazzu cuttia".
Era così timida!
Quando accesi le luci per scattare le foto il vecchio aveva una strana smorfia in viso, le mutande erano a mezza coscia, ma la bocca piena della Puglisi era ben attaccata al suo ventre. Per un attimo provai un pizzico di gelosia, o forse era solo la consapevolezza di aver perso un grande pompino.
Ieri sono tornato per sostituire un collega, la signora del panificio mi ha raccontato gli ultimi avvenimenti. "Cose da non crederci!" diceva. Le sorridevo, forse un po' lo avevo immaginato, ma pensavo diventasse la sua amante, non certo la sua nuova "fidanzata".
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