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22/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -15-

Si era quasi scordata di quellimpegno quando quello arrivò. Il fatto è che si era appassionata alla storia e quando capitava Lucia non pinsava chiù a nenti. Nella sua testa le parole addivintavano altro e quello che cera attorno perdeva ogni importanza. Quello che lei sentiva erano solo dentro al libro. E quello che vireva macari.


Nitto pareva ancora un carusiddu anche se aveva già fatto diciottanni. Portava un paio di pantaloni di tila acculurata come quella dellafricani e una maglia larga larga che sembrava che ci serviva per metterci dentro qualcunaltro insieme a lui. La facci era sicca e tannicchia giallinusa però ciaveva due occhi splendidi e un ciuffo ribelle ca ci cascava davanti a cacciari i muschi.
"Ciao Lucia!"
Forse non se laspettava di trovarla là nel suo posto e quel saluto e locchiata ca ci resi parevano quasi una domanda e un discorso anche. Comu su ciavissa rittu:
"Come mai Lucia tassittasti dà? Aspittavi ammia? Finalmente ti sei decisa? U sai ca mi piaci!"
Lucia si susiu e per tutta risposta senza salutari ci rissi sulu:
"Veni. Offrimi na granita che ti devo parlare!"
Nitto passi un cagnolino. Accalau a testa e ciandò dietro senza più dire niente. Cerano tanti pinseri che ciacchianavano dalla panza fino alla gola fino o ciriveddu e unaltro nascosto che invece premeva no cavaddu.   
Assittati nel tavolino non cià fineva chiù di taliarla e quasi sembrava non sentiri nenti di quello che Lucia ci cuntava. Quando però a carusa tirò fuori il medaglione locchi ci cancianu. Lui laveva vista già quella cosa. Spostò la sedia vicino a lei e il contatto con il suo corpo un attimo ci resi quasi la scossa. Poi però cacciò via questi mali pinseri e pigghiò quei due pezzi di legno nelle mani per osservarli meglio. Sì! Parevano veri ed erano proprio come quelli che lui aveva visto.
"Torniamo in biblioteca"
fici con un filo di voce e quando Lucia lo guardò dubbiosa aggiunse:
"Forse ti posso aiutare".
Dentro cera la stessa gente di quanto erano andati via. Du carusitti e la bibliotecaria. Nitto andò deciso verso uno scaffale di legno nella prima stanza e pigghiau un libro che di sicuro aveva letto tante volte perchè rapiu la pagina precisa che ne mancavano solo due a quella che lui cercava. Tutto trionfante ci passò il libro:
"Talia! E' u stissu"
In effetti al centro di pagina cera una foto in bianco e nero con quel tesoro.
Lucia guardò bene poi tenendo il pollice come segnalibro andò a leggere la copertina:
Amilcare Petroso "Esoterismo e magia nell'opera pittorica, dall'Egitto ai giorni nostri"
In basso a questo un titolo più piccolo dichiarava:
Emanuale Costantineo "Fisica, metafisica e mito nei ritratti del Fayoum".
Lassau stare quelle cose e tornò alla pagina.
"Certo che è strano"
pensò a voce alta guardando ancora la fotografia e Nitto macari. Alternativamente.
"E ancora non hai letto!"
"Cioè?"
"Leggi la pagina prima della foto"
Appoggiata al muro e con il ciato di Nitto vicino alla guancia Lucia accuminciau a leggere. Cera tutta una storia sopra ai morti. Ca sinnievunu. Che tornavano. Quello che però più la colpì senza sapere perchè fu questa frase:
"Apri al morto i suoi occhi e le sue narici, apri la sua bocca e le sue orecchie, rendi prospere le sue due piume".
Lucia non lo sapeva che volevano dire quelle cose ma era sicura che la riguardavano.

21/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -14-

Alla biblioteca non cera tanta gente. Come sempre.
La biblioteca era un appartamento dentro un palazzo iautu che il comune laveva affittato ma per entrarci uno non cera bisogno di citofonare che il portone era tutto scassato e i campanelli forse non avevano mai funzionato.
Nella prima stanza cera Beatrice la biblioteria. Una signora gentile e anche bidduzza che uno non lavrebbe mai detto che faceva quel mestiere che nei film sono tutte larie. Vicino al suo bancone con le schede cera il divanetto per le letture. Aveva un tavolino vicino e lo stereo per ascutare la musica nelle cuffie se uno voleva. Le altre stanze lavevano unite tirando giù qualche parete che accussì quel posto pareva più grande di quello che era veramente. Lucia salutau Beatrice che ci fici un bel sorriso e si informò se era tutto a posto. Lei non ce lo disse di suo nonna che quelli erano affari suoi però ricambiò il sorriso che chiossai non ci vinni e non cera abituata.
Nitto non cera ma era ancora presto e conveniva aspettare che macari poi avissa vinuto. La carusa ne approfittò per dare unocchiata anche lei ai fumetti. Cera tutta una fila smanciuliata che lei lo sapeva che erano quelli dove cerano le fimmine a nura che spesso li vedeva in giro nelle mani di qualcuno e vedeva i sorrisetti dei carusi macari quando lei passava e se accorgeva. Dice che erano dartista ma lei lo sapeva bene di che arte si trattava.
Sutta a chisti cerano quelli di guerra e i topolini e i diabolic eppoi tannicchia ammucciati qualcuno più strano che ogni tanto ci dava unocchiata perchè erano storie che ci parevano vere anche se quasi tutti erano dellamerica o della francia. Ni pigghiau unu e sassittau. Non cera da distrarsi che di gente ne entrava veramente picca e poi da lì puteva viriri se arrivava Nitto.

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -13-

Il nome ci vinni subito nella testa: "Nitto!" Non puteva essiri che lui.
Laveva visto tante volte pigghiari i libri degli egiziani e delle piramidi. Una vota quannu ancora si conoscevano picca sera avvicinato e ciaveva chiesto se voleva scritto il suo nome nel quadernetto che si portava sempre dietro. Il suo nome nella scrittura egiziana. Con quei strani disegni. Lui diceva che le sapeva leggere tutte quelle cose che ci sono nelle piramidi ma Lucia invece pinsau che ci stava solo provando e ci disse di no e poi non successe chiù. Certo Nitto. Solo che ora la biblioteca era chiusa e poi non lo sapeva se lavissa trovato lì anche se lui ci passava il tempo che ci ieva sempri macari per leggere i fumetti assittato con le cuffie nel divano vicino allingresso.
Lucia telefonò subito a so cucina e ci disse la sua pensata. Rimasero daccordo che ci sarebbe andata quando sarebbe toccato di nuovo a lei che Pinuccia lo voleva lei il medaglione il giorno dopo.
Si vistuno di matina presto. Agata continuava a chianciri che ancora stava raccogliendo le cose di sua madre. Li mitteva tutte dentro ai cartoni che Iano aveva pigghiato al supermercato e per ogni cosa pusata ciaveva un pinsero. Una parola. Ci misi quasi tutto quello che riuscì a trovare dentro a quelle scatole. Ciarristau sulu qualche cosa di oro e la fede e la foto anche. Quella che Maggherita non lassava mai.

20/07/11

relè

Fermo al semaforo devo voltare a sinistra,
la solita strada, non crediate faccia altro.
Dopo l'incrocio un'insegna lancia i suoi coriandoli al cielo,
li vedo zampillare sui miei occhi ed abbasso lo sguardo,
più in basso la spia arancione ticchetta il tempo.
E' un incrocio noioso questo,
si cerca sempre qualcosa da fare e
allora mi volto a destra
osservo
la milf, le sue tette e la freccia
dell'auto accessoriata,
più in là il giovane negro in attesa del verde
ora che il rosso declina, forse quasi ci siamo.
Ogni luce ha la propria occasione, mi accorgo,
e io attendo l'attimo in cui tutto
combacerà perfettamente:
il neon, la spia, la freccia, il giallo del semaforo...
tutto sarà magnifico, unico.
Poi arriva il clacson.

Sono nato il 29 febbraio. Il 20 luglio avevo una felpa, grigia

Sono nato il 29 febbraio. Il 20 luglio avevo una felpa, grigia.
Sono io: il ragazzo con la felpa grigia.
Sì: sono quello che scappa ad Alimonda, mentre la pistola lo punta, sono quello che scampa, quello che porta la pelle a casa e neanche si volta indietro a guardare cos’è accaduto all’altro, a quello smilzo, con il passamontagna blu e la canottiera bianca.
Sono in tutte le foto di Alimonda. Ma me non mi ha mai cercato nessuno. Perché io scappavo e scappavo perché uno che è nato il 29 di febbraio, se la scampa, la scampa perché scappa.
Uno nato il 29 febbraio è nato sfigato. È uno sempre fuoriposto, che per tre anni su quattro occupa il compleanno altrui: il 28 febbraio, o il primo di marzo. Uno invadente, anche se si ostina a farsi sempre i cazzi suoi.
D’altra parte io nemmeno ci volevo andare giù in città, lo sapevo che poi finiva male.
Però… però mi faceva girare troppo i coglioni che m’avessero chiuso quella stanza del cazzo da fuorisede, che avevo in affitto in centro, vicino a De Ferrari, dietro un tripudio di cancelli e cavalli di frisia. Sembrava di stare a Dachau.
E poi, appena mi svegliavo, me li vedevo davanti i due militari appollaiati sul balcone di fronte, con i fucili di precisione appoggiati sulle gambe. I tiratori scelti. Quelli in casa io me li ero scampati, ma era toccato alla signora di fronte, che gli preparava pure il caffè e glielo portava con un sorriso un po’ complice e spaventato, mattina e sera.
I suoi ragazzi, così li chiamava con le vicine.
A me facevano orrore. E allora, appena sveglio, schizzavo via dal letto e scappavo da Dachau. Così mercoledì. Così giovedì. Ed anche venerdì.
Anche se sapevo che giù in città ci sarebbe stato casino, che tanto lo dicevano tutti, era da giorni che non si sentiva parlare d’altro: dell’arrivo dei Black Blok, dei palloncini pieni di sangue infetto che avrebbero lanciato sulle teste degli sbirri, per passar loro l’AIDS ,degli aeromodelli radiocomandati con mini bombe, di come i No-global avrebbero violato la Zona Rossa.
E degli allenamenti che da mesi facevano gli sbirri, dei nuovi manganelli Tonfa, delle tonnellate di C4 già pronte all’uso, della Zona Rossa da difendere a ogni costo, delle sacche per cadaveri ordinate a stock di centinaia, dei container sparsi per la città, come fossero muraglioni, delle tante celle pronte a Bolzaneto per gettarci dentro tutti i fottuti Black Blok acchiappati.
Che sarebbe stato peggio: peggio della Svezia, peggio di Marsiglia, di Praga, peggio di Napoli. Peggio di tutto.
Io l’avevo già visto prima, quello con la canottiera bianca: piccolo, smilzo, con l’aria smagata. L’avevo visto in rosticceria che si mangiava una farinata, quando già il casino era cominciato, più giù, a Corso Torino.
Che aveva l’aria più che altro di uno che volesse andare al mare, con il caldo che faceva.
Ma che poi aveva cambiato opinione. Uno come me, che della politica, sì, ma insomma…
Ma che poi s’era detto: – e che cazzo, questa è la mia città e loro non possono venire qua e farci quello che vogliono, cancellate, container, blindati, C4, idranti, elicotteri, tanti elicotteri, troppi elicotteri, che poi dopo, per sei mesi, io mi sono svegliato con la tosse e il rumore dei rotori nelle orecchie. Ogni mattina. Come un incubo travestito da ronzio…
E l’avevo rivisto dopo, incazzato nero, con un bastone in mano, raccolto chissà dove, con il passamontagna, davanti a tutti, che urlava a quelli delle Finanza di piantarla di picchiare, o di farsi avanti invece, che li aspettava. E poi di nuovo, che facevamo la fila alla stessa fontana, col C4 che ci usciva dalle orbite, vicino Tolemaide, e poi ancora, che trascinava un cassonetto per far barricate.
Che roba lo smilzo, smilzo com’era, con il suo rotolo di scotch infilato sul braccio!
Ci eravamo sorrisi: continuavamo ad incrociarci.
Ricordo tutto di quel giorno di merda.
Ma non immagini. Ricordo suoni. Quello delle sirene, dei manganelli battuti sugli scudi, degli anfibi in marcia serrata, il rumore delle pietre a gragnuola, la tosse, le urla, gli spari, tanti spari, gli schianti dei vetri infranti delle vetrine, il cigolio delle serrande divelte, le risate, i pianti, i cori a notte, quando, steso su un parapetto della via che dà sulla Fiera, sentivo i canti degli sbirri, giù, che festeggiavano il morto. Faccetta nera, bell’abissina… Un, due, tre, viva viva Pinochet! Solo di Alimonda ricordo ciò che ho visto. Chissà perché…
Forse perché tutti stavano a guardare. Tutti, anche gli sbirri lì intorno, immobili, come se la cosa non li riguardasse affatto, mentre quella jeep stava dove non doveva stare e non si muoveva.
E ancora non capisco perché. Stava ferma, a motore spento. Mentre la gente esasperata tirava pietre e urlava e correva.
Io lo so cos’è successo, ma che lo dico a fare? Non mi crederebbe nessuno e passerei dei guai. Sono nato il 29 di febbraio, io…
Lui, lo sbirro nella jeep, quello che urlava: - vi ammazzo tutti ! aveva puntato me. Gli era appena arrivato quel maledetto estintore sulla gamba che sporgeva dal Defender e lui urlava e cercava qualcosa da mirare con la canna della sua pistola. E aveva trovato me, me che cercavo di svignarmela da tutto quel casino. E mi seguiva con la calibro 9 spianata, mentre correvo un po’ chinato, dalla sua destra alla sua sinistra, e aspettavo il botto che mi avrebbe fermato.
Invece è arrivato lui, quello con la canottiera bianca e, mentre io correvo, mentre un altro di noi infilava una trave in un finestrino laterale della jeep, ha raccolto l’estintore e ha provato a impedire allo sbirro di fulminarmi il cranio.
Ma è stato lento, troppo lento: quell’altro l’ha visto e ha sparato.
Poi ha sparato di nuovo, sempre con la pistola dritta davanti a sé, parallela al suolo, come uno di quegli agenti segreti dei film, mentre lo smilzo era a terra, mentre l’estintore rotolava, mentre il sangue del ragazzo sembrava una fontana che sgorgava dallo zigomo coperto dal passamontagna.
È stato allora che la jeep, come per incanto, s’è rimessa in moto, ci è passata sopra due volte alla canottiera bianca ed è fuggita via.
Avrei dovuto fermarmi e invece sono fuggito anch’io.
Perché io sono nato il 29 febbraio. Ed anche lui, probabilmente, pensavo, mentre risalivo di corsa Tolemaide, con il fiato mozzo, anche lui bisesto, per essergli andata così di merda…
Dopo ho scoperto che no: lui era nato il 14 marzo del ’78.
Niente sfiga bisestile. Carlo l’avevano proprio ammazzato. L’avevano ammazzato e basta.

(Lello Voce, Quello con la felpa grigia, in Per sempre ragazzo, a cura di Paola Staccioli, Tropea editore, 2011


Grazie a Pietro Orsatti per la condivisione

19/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -12-

Accussì aveva la forma di un medaglione solo che ci mancava il puttuso per poterlo appendere nelle collane. E il gancetto macari. Le due donne che cerano dipinte sembravano guardare qualcuno e nello stesto tempo ignorarsi come fossero estranee.

"E ora comu faciemu?"
"Cioè?"
"Dico non è che lo può tenere solo una di noi..."
"Già!"
"E allora?"
"Nenti! Ognuno si teni a sò"
"Oppure un giorno a testa. Putissunu..."
"Sì! Putemu fare accussì"
"Allora lo tengo io oggi"

Lucia pigghiau i pezzi dalle mani di Pinuccia e avvolgendoli nella carta che questa avevo piegato se li mise dentro una tasca della camicia. Voleva vedere se quello che ricordava era giusto e confrontare quelle figure con quelle di un libro delle medie che ricordava di avere a casa. Lei non cera andata alle superiori che non cera bisogno e non ciaveva avuto nemmeno tanto desiderio. Aveva imparato che se aveva voglia di leggere se ne poteva andare in biblioteca oppure cercare nellinciclopedia che suo nonna ciaveva arrialato quando sera diplomata.
Arrivata a casa cominciò a osservare meglio quel pezzo di ligno. Sembrava proprio antico. Pigghiau la lente di scerloccoms che usava quando era nica per fare le investigazioni e si misi a osservare meglio. I colori si vedevano bene e le facce anche e i gioielli e i vestiti tutti pieni di pieghe.
Come cera arrivato alla nonna quella cosa? E perchè laveva divisa? E poi era stata lei? Oppure era stato sempre così? E perchè aveva deciso di regalarcele? E lei lo sapeva ca stava murennu?
Cercò dentro il mobile del corridoio il libro che ricordava. Non ci stesi assai a trovare la pagina giusta. In effetti cerano delle immagini che assomigliava a quelle che aveva lei. Sotto nella didascalia cera scritto:  "Ritratti del Fayoum".
Poteva essere che quello che lei aveva nelle mani era vero? Cioè non che era una di quelle cose ca fannu i cinisi per i turisti? Pigghiau di nuovo la lente per taliare meglio che in genere cè sempre la scritta made in  anche se è nica e ammucciata. Girò e rigirò il medaglione senza trovare niente. Doveva chiedere a so o mà. Non ciaveva vogghlia di dire del regalo però e poi non era sicura che sua madre sapesse qualcosa. Se ne sarebbe parlato allora che queste sono cose ca nesciunu prima o poi nei discorsi della famigghia. Ci voleva qualcuno che sapeva sti così antichi e che ci piaceva legitto macari che così poteva essere sicura.

17/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -11-

I due pacchetti erano precisi. Una carta a ciuri ammugghiata che di sicuro ero quella riciclata di qualche regalo di natale e un nastrino rosso con il fiocchetto tutto bello ordinato. Al tatto il contenuto era duro e sottile. Pareva come una stecca di cioccolata di quelle buone delle feste e loro pensavano proprio a questo mentre erano ancora indecise se iniziare ad aprirli.
Fu Lucia che prese liniziativa e lesta scicau tutta quella protezione e anche un altro foglio bianco di carta velina che cera sotto. Quannu arrivau al regalo mussiau tannicchia perchè non era nenti di quello che sera immaginata.
Nelle mani ciaveva un pezzo di lignu vecchio a forma di luna smezzata che sopra cera stampata una fimmina fino quasi al petto. Era come una stampa. Pinsannu ci passi che assumigghiava a qualche foto che aveva visto nei libri di storia. I capitoli dei romani. Taliau Pinuccia senza dire niente. Quella addummisciuta era ancora con il pacchettino nelle mani e forse aspettava solo che lei ci dava il via. Poi però passi svigghiarisi e si spostò per vedere meglio quello che la cugina taliava insoddisfatta.
"E' bellissimo" disse. E lo diceva seriamente che a guardare quei colori e gli orecchini e le collane e gli occhi ranni e niuri ci passi macari che poteva essere Lucia quella. Si allontanò tannicchia e aprì il suo regalo. Sperava ci fosse una cosa a stissa di quello. E in effetti sotto le sue mani spuntau unaltro ritratto di unaltra fimmina e cera a sinistra come un colore ca pareva il continuo di quello del vestito dellaltra figura.
"Lucia! Lucia! Veni cà! Dammi il tuo! Forza spicciati!"
Pinuccia pareva decisa e sicura come non mai. So cucina ne fu sorpresa che mai ava accapitato una cosa accussì e non oppose resistenza. I due pezzi combaciavano perfettamente.

16/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -10-

Appena le nipoti niscienu che già Agata sera ritirata e aveva acciminciato a cucinare Maggherita ci disse alla figghia che si sarebbe cuccata un momento:
"Svegliami tra na menzurata. Mi raccumannu!"
"Sì casumai non mangiamu" ci rispose quella che lo sapeva che lei ci voleva mettere sempre la sua nelle cose che si preparavano a casa.
Alla mezzora Agata ubbidiente la chiamò per svegliarla. Lei già senera andata. Cullocchi chiusi e le mani giunte sulla panza che proteggevano ancora la foto del marito. La figghia arristau senza parole. Vuleva chianciri ma non ce la faceva. Era difficile. Continuò a parrarici come se fosse stata ancora viva mentre la lavava e la vestiva che il dottore stava arrivando e tutti lautri macari.
"E chistu ti piaci? E che dici? Come ci sta questa camicetta? E le scarpe? Si sì u sacciu ca chisti ti stannu tannicchia stritti e poi soffri che te le vuoi livare. Però si adattano bene. Ascuta ammia. Farai un figurone!"

Lucia e Pinuccia chiancevano mise al primo banco della chiesa. Ciavevano tutte e due i ginsi e la prima aveva trovato una polo nera e laltra invece sava misu una maglietta dello stesso colore trovata nei cassetti dei fratelli. Nelle mani stringevano il regalo ma avevano promesso e nessuna delle due voleva tradirla quella cosa. Quando finalmente tutto finiu si trovarono vicino alla porta del cimitero.
" Macchissarà secunnu tia?"
"E chissacciu!"
"Lucia ma secondo te lei lo sapeva?"
"Certo. Comu avissa fatto senò?"
"E ora?"
"Ora cosa?"
"Nenti"

15/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -9-

Ciavevano sedici anni quannu mossi Maggherita. Accussì di bonu e bonu che la mattina cera e il giorno dopo a vuricano.
L'aveva chiamata la sera prima al telefono alla nipotina mentre Lucia era vicino a lei. Ciaveva detto che ci doveva parlare di una cosa importante e poi quando la matina dopo se lera trovate davanti aveva mandato Aitina a fare la spesa che già Iano era al lavoro.
Assittata vicino al tavolo della cucina aveva iniziato a pulizziari il fagiolino mentre le guardava mangiare tutta soddisfatta. Ci aveva preparato la granita di mandorle che lo sapeva che ci andavano pazze per come la faceva lei. Cheppoi il trucco era semplice. Raddoppiava la dose del panetto che si faceva preparare dal pasticcere e lo lavorava bene con le mani e l'acqua bona prima di posarlo nel friggideri  per continuare ad arriminarlo ogni cinque minuti con la cucchiara di lignu nova. Poi quando era pronto ci aggiungeva una goccia di cafè amaro e una spruzzata di panna che solo a vederla quella delizia e a sentirne lodore si sciugghieva ogni pena a tutti i cristiani. Insomma era lì che non diceva nenti mentre loro mangiavano soddisfatte quando si alzò allimprovviso come se si fosse ricordata in quel momento di una cosa importante. Sinniiu nellaltra stanza e ritornò con la foto del marito e con due pacchettini.
"Ecco questi qui li devo dare a voi"
"Grazie nonna. I putemu rapiri?" Le due ragazzine avevano parlato allunisono comu bestie ammaestrate.
Maggherita li guardò con un sorriso strano passannu locchi da una allaltra poi allargando le braccia con la destra e con la manca ci fici una carezza a ciascuna di loro.
"No, oggi no. Domani. Sì! Domani! Però aspittati che deve accadere una cosa prima"
"Che cosa nonna?" domandò subito Lucia.
"Nenti. Nenti! Aspittati dumani. Dopo il cimitero mi raccomando! E non ci riciti nenti a nuddu. Pi carità. Cheppoi ci sono le gelosie e le cattiverie e non va bene"
Le ragazze accalano la testa e finirono di mangiare. Il giorno dopo era giovedì. Il giorno dapertura delle cappelle private. Quello in cui ogni settimana accompagnavano Maggherita dentro a quei palazzoni. La nonna ci ieva a salutari so maritu. A farici viriri quella sua discendenza.
Per questo non ci ficiru caso. Per questo non seppero capire niente.

14/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -8-

Pinuccia era tunna tunna e russa na facci come a un pumudureddu. Quannu crisciu ciaccattanu locchiali di plastica verde e lodore di mela che lei fino a quel momento ciaveva visto picca e nenti. Quando se li levava tutto quello che ci stava attorno ci pareva come quando si faceva la doccia e non lassava la porta aperta.
Arrireva in continuazione Pinuccia. Per lei ogni cosa era bella e nuova e piena di meravigghia e mangiava a sazietà anche che non cera nenti che non le piaceva.
Sò cucina riusciva sempre a cuntarici storie nuove e a invintarisi iochi e cerano giorni che sassittava e chiureva locchi e sognava e mancu si accorgeva del tempo che passava che a svegliarla ogni tanto ci pinsava so zia.
"Chittifazzu Pinuccia? Hai siti? Vuoi a nutella? Un gelato? Arristanu du puppetta. I voi?"
Lei accalava la testa e per un attimo rapeva locchi pinsittari a ucca prima di continuare a fantasticare. Cucinava bonu so zia e a lei ci piaceva soprattutto quando ci preparava la parmiggiana che le melanzano ci venivano una delizia e per questo ci chiedeva sempre se cenerano rimaste due  per mittiraccilli nella pasta con la salsa e la ricotta salata.
Criscenu accussì le picciridde che niente pareva poterle separare. La scuola dalle suore fatta insieme e le prime nisciute poi con gli amici quannu spuntanu i minni. Macari le prime conoscenze che loro due si cuntavano ogni cosa. Di comu vasava chiddu e di quello che cercava di fare quellaltro.

13/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -7-

Le prime letture di Lucia erano state le scritte dei fotoromanzi. Quelli dove cerano le foto di Max Delys e Katiuscia o di Franco Gasparri e Claudia Rivelli. A so casa cenerano pacchi interi che Agata aveva conservato nellammuarra sutta allabito da sposa e lei senera subito innamorata di quei fogli chini di storie.
Saiutava a leggere con le immagini. Che cerano sempre le stesse cose in fondo. Oppure chiedeva alle altre due donne della casa e aspettava con calma che leggessero. Ci vuleva tempo però pecchè prima Agata e Maggherita facevano la gara a chi se lo ricordava meglio quellepisodio oppure discutevano su chi era il più bello che non erano mai daccordo e secondo Lucia mai lo sarebbero stato.
Ogni tanto poi  con i colori vinti nelle merendine si divertiva a rifarci le facce o a disegnare un albero dentro agli appartamenti delle fotografie o qualche nave unni non ciavagghiessiri. E sotto ci mitteva la scritta la didascalia che così tutti potevano capire. Insomma cose dei nichi ma lei ci metteva così tanto impegno che pareva le volesse riscrivere quelle storie con i personaggi e le scene come li voleva lei.
Ogni tanto a giocare con lei arrivava Pinuccia so cucina. La figghia di Orazio il fratello di Iano. Avevano fatto pace i due fratelli quando era nata lei cheppoi dopo Lucia che si sbagghiavano di pochi mesi era nata questa sua cugina. La terza figghia di Orazio che prima cera stato Alfonso e poi Michele.

11/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -6-

Agata lo sentì subito che era incinta. Non cerano bisogno analisi e ecografie. Non cera necessità di duttureddi e prufissuruni. Lei lo sapeva e questo bastava. Per questo non volle fare nenti anche se Iano insisteva per farla visitari e tutti quelli che lincontravano macari. Ma Agata era accussì che se si fissava non cera verso di farle cangiare idea e lebbe vinta lei.
Lucia Aramanna nasciu esattamente quaranta simani dopo quel bagno di acqua biniritta. Tre chili e cento grammi e pelle profumata di zibibbo e occhi sbirri di cu sapi tutto e tutto voli imparare. Cresceva in fretta la picciridda  che già a due anni ci putevi fari discussioni e a sei quanto trasiu a scola sapeva leggere scrivere e fare di conto.
Iano e Agata non le sapevano spiegare queste cose che loro a stento avevano finito la quinta ma anche per altro le risposte erano difficili che mai sava visto una picciridda nata con i capelli ianchi di vecchia e nuddu dei parenti ciaveva locchi del colore del cielo. Cose strane insomma che per un po' ficiru nascere anche discussioni e domande inopportune ma che poi tutti sabituano a viriri come normali.
Non cè nenti come labitudine a fari finiri ogni cosa a cosa i nenti.
Maggherita fu lultima a cedere. Lei priava a chiesa ma questo non le impediva di parrari con vecchie sue amicizie. Mavare che lei conosceva da quanto era nica e sua nonna ci parrava di fatture e malocchi. Lei ci cuntau tutta la storia e quelle dopo tannicchia di scena e di carte vutate e di fumi abbiati nellaria le risposero che era stata tutta colpa di quella serata. Che quelli erano i segni dei lampi e dellacqua. Che la bambina avissa dovuto affrontare tante battaglie ma era forte. E ostinata macari. Che tutto si sarebbe aggiustato.

09/07/11

¶ [titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -5-

Le mani di so marito posate supra i cianchi ci ficinu passari queste fantasie e ce ne misero di nuove.
Il respiro di Iano era tranquillo e deciso macari. Accarezzava lento le braccia della sua sposa. Iucava con le sue minne e ci vasava il collo come se non lavesse mai fatte tutte queste cose. Con un amore che a vederlo si sarebbe pensato che quella fosse stata la loro prima volta. Arreri a idda non potè fare a meno di farici sentiri tutta la sua vogghia e Agata non si ribellò a quel desiderio che anche a lei ci bastava poco ad addumarisi e poi era notti e scuru e nessuno lavrebbe visti.
Appongiandosi al muretto con le mani si misi sulla punta dei piedi  e allargò tannicchia le cosce. Iano ci misi picca a unirsi a lei. Ogni volta che succedeva ci pareva di sintirisi come uno che torna a casa e di certo di là non avissa mai voluto nesciri. Tirandola a sè entrò tutto dentro lei e poi si fermò che voleva che anche lei riconoscesse quella presenza. Rapissi a sò anima.
Un lampo vicino li distrasse un momento. Una luce e poi un tuono fortissimo sembrò allontanarli da quel paradiso ma quannu accuminciau a chioviri serano già scordati di tutto. Agata sera piegata tannicchia chiossai e assecondova il movimento del marito. Uno spingere lento. Un furiari di cianchi che ogni tanto si interrompeva per trasformarsi in assalto. Una danza. Lei continuava a muzzicarisi le labbra e locchi parevano spiritati. Non vireva chiù nenti e del resto nenti cera di chiù importante.
Erano ormai sculati e alla pioggia poi sera aggiunto macari il vento. Un vento forte. Cauru. Un vento rabbioso come il ciato di un lupo. Era come se qualcuno avissa vulutu scannarici i carni ma  loro pareva che nemmeno la sentivano questa avversità. Erano più forti di ogni cosa. Di ogni tempesta.
Un colpo più siccu spostò il lavoro di Iano e dalla tettoia ci cascau na testa una sicchiata fridda proprio mentre arrivavunu tutti rui a godiri. Agata si sintiu china e poi fu solo lalba.

08/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -4-

Ogni tanto però accapitava e ultimamente sempre chiù spissu che il cielo accuminciava a ghittari acqua a ciumi. Dicevano la genti che era linquinamento o qualche altra cosa che però mancu i prufissuri lo sapevano. Fatto sta che nel giro di unora nelle strade non si virevano chiù i marciapiedi e ogni tanto accapitava macari che qualcuno ci lassava i pinni come se invece che nella città si fosse trovato nel mare in tempesta.
Maggherita era lesta in quelloccasioni a trasiri tutte le piante o perlomeno a sistemarle meglio che "u supecchiu è comu u mancanti" continuava a ripetere. E se qualcuno ci dava corda subito aggiungeva che "alla fine non cè tanta differenza a moriri sutta u suli o sutta lacqua". Se accapitava di notte in genere era però Iano a fari questo travagghiu che lei era donna onorata e non se la sinteva di nesciri ca suttana. Fu una sira accussì ca ci fu il miracolo.
Cera stato per tutta la giornata un cauru strano. Unafa castutava ogni vogghia. Maggherita sera cuccata presto che aveva tenuto tutta la giornata a so stanza o scuru e sperava ora di truvarici tannicchia di friscura. Agata e Iano invece dopo cena avevano deciso di pigghiari le sdraio e di cuccarisi vicino al balcone nella speranza di un refolo di vento. Di unaria che non arrivava. Serano addumisciuti accussì che lei ci teneva stretta la mano e per strada non cera più nessuno Saranno state luna o le due di notte che già macari lautobbussi che portavano al centro avevano finito il loro servizio. Passau picca però che Agata si svegliò cu na siti peggio di un camiddu. Il frigideri era proprio dietro di lei e aprirlo fu una meraviglia che per un attimo ci vinni macari la pelle doca. Pigghiau un bicchiere dacqua e niscennu fora lappoggio sopra al davanzale. Laria era ferma ma lontano la luna illuminava qualche nuvola e il silenzio pareva chinu di spiranza. Con le mani conserte si misi a cercare lì dove doveva esserci il mare e ci passi di vederlo per un attimo ma probabilmente fu solo un riflesso oppure un bisogno.

07/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -3-

Macari quannu facevano le loro cose ad Agata non ci dispiaceva quel marito che sera presa. Lei prima di conoscerlo aveva baciato solo a due carusi e forse per questo non ce ne aveva assai di esperienza che non poteva dire assai o fare paragoni epperò quando allo sposalizio avevano lasciato i parenti che senerano andati allalbergo quellincontro ci passi come a un paradiso. Che lei poi non selaspettava che tutte le amiche dicevano che faceva male e che le prime volte non cera questo grande piacere. Insomma Iano ci fici ci faceva scuddari ogni cosa quannu accuminciavano a iucari e anche ora ci pigghiava spesso e volentieri la fantasia che allora non cerano posti che lo potevano trattenere o sangue di mestruo. E quelle due stanze lavevano sperimentate in ogni angolo da quando erano lì: tanto per desiderio e tannicchia per speranza. 
Cera rimasto il balcone da provare ma quello era troppo anche per loro.

Nelle tante giornate di sole era bello stare affacciati soprattutto nelle matinate o al vespro quando acchiana u ciauru do mari. Lo spazio era poco però che quello che era rimasto era stata una concessione di Maggherita. Lei in quel balcone ci coltivava pumudureddi per farli sicchi e basilicò e ariniu macari ma anche gigli bellissimi e garofani nichi e profumati. Lei celaveva avuto sempre quel dono. Che tutto quello che chiantava ci vineva perfetto e sano come su insieme alle piante avissa fatto un patto macari con lanimaleddi e il cielo che nuddu ci mangiava nemmeno una foglia e macari se u tempu era siccu e cauru per le sue piante invece era primavera. Certo Maggherita ci piddeva tempo in quelloccupazione e ci faceva discussioni alle sue piante e ci cuntava di so maritu o di quando era nica ma insomma funzionava e a tutti pareva una magia.

06/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -2-

Certo era una cosa pisanti quella mancanza. Iano e Agata ci pinsavano spissu e cerano siri e iurnate in cui stavano muti affacciati a taliari la strada e lui ci mitteva una mano nel fianco e lei lo guardava come su aspittassi una risposta che di domande ce ne aveva tante macari ca non niscevano ma la risposta non arrivava e lei accuminciau a non volerle pinsari chiù quelle cose che "Accussi voli u Signuri" e non ciarristava che fare qualche preghiera in più e qualche fioretto di supecchiu per quel miracolo. 
Ad esempio ciaveva un misi che sera impegnata a non lamintarisi di quella strolica del piano di sopra che stinneva i panni tutti chini di acqua. E dire che era una cosa difficile perchè quella gran buttanazza sembrava farlo apposta e ogni vota che lei addumava la lavatrice era sicura che dopo pochi minuti accuminciava a viriri i vetri loddi della sua finestra con lacqua che cascava a ciumi come nelle cascate del niagara. Quelle dei film.
Insomma lei ciaveva tentato a spiegarcelo e anche Iano ciava acchianato a parrari con il marito ma non cera stato niente da fare che la risposta era stata sempre la stessa: "Con otto figghi chiffaciemu non lavamu chiù?". Accussì Agata sera attrezzata e aveva voluto fare anche questo dono o Signuruzzu. Avissa fatto finta di nenti fino a quando anche a lei quello avrebbe fatto la grazia che ce ne abbastava anche uno solo a scangiu di otto. 
Iano ciaveva costruito una specie di tettoia con le canne do ciumi e con la plastica dei materassi che non celavevano mai levata prima in quelli del letto e in questo modo lacqua sarricugghieva tutta di lato e ieva a cascari dentro a un cannizzo tagliato a metà che faceva da grondaia e portava tutto dentro alla pila del balcone. Un lavoro ben fatto. Pulito. Che Iano ci sapeva fari in tuttti i cosi e unni u tuccavano sunava.

05/07/11

[titolo provvisorio] A favula dillacqua lodda -1-

Quannu vineva scuru presto non cera più nessuno che furiava per le strade di Catania e le porte si chiudevano e le serrande sabbassavano che era megghiu starisi a casa piuttosto che nesciri. Il fatto è che era scoppiata la guerra e Puddu sparava a Cicciu e Cicciu scannava a Puddu e mentre questi sammazzavano la genti faceva finta di non viriri e di non sentire che di sicuro ci si varagnava in salute e seccature.
Anche la famigghia Aramanna faceva comu tutti gli altri e allotto in punto ogni sira si mitteva davanti alla televisioni a taliari il telegiornale ma prima si mangiava però anche se in genere era sempri pasta e pusedda.
Cera Iano ca saddumava la sigaretta. Agata ca pulizziava la tavola. E Maggherita ca priava davanti alla foto di so maritu.
Erano ormai quattro anni che ciavevano dato quelle due stanze in Via Quartarone e loro a poco a poco si stavano abituando a viverci anche se ancora non conoscevano nessuno o quasi che di salutare salutavano a tutti. Era per questo che tutte le domeniche prima della missa tutti allicchittiati pigghiavano lautobussu per tornare al centro a priari u Signuri e a pranzare da una vecchia zia di Aitina.
Iano invece non ci parrava chiù da tempo con i suoi parenti che loro avevano accuminciato a fare cuttigghiu per il fatto che a lui non cerano arrivati figghi e laveva sentito con le sue orecchie a quel bastardo di so frati Turi dire che Aitina era una mula. Tutto ci potevano fare a Iano tranne che parrari mali di so mugghieri. E a mucciuni macari che non si fanno queste cose tra parenti.
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