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31/08/07

Il canarino di Totò


Mi ero susuto dal letto quando visti un moscone che volava nella stanza.
Io non ci credo a queste cose ma mia nonna mi riceva sempre che quando trasono i mosconi nelle case ci sono notizie in arrivo. Giustogiusto quel giorno mero scordato di addumare lo scaldabagno e l'acqua fridda nella facci mi fece passari tutti questi pensieri.
La casa era vuota. Come sempre.
Mi misi le mutande e mi preparai una bella tazza di caffè poi mi assittai vicino alla finestra per taliare la signora Amalia che ogni matina quando il tempo era buono mi faceva viriri i minni mentre faceva le pulizie di casa e mi fumai una bella sigaretta.
Tutto era tranquillo e non si sentiva niente.
Nella iaggia lacidduzzu taliava il tetto e se ne stava muto a panza all'aria.


Fonte immagine: http://lubna.altervista.org

17/08/07

Si riparte :-)

Sono appena tornato e già riparto... che strano anno questo. Durante il primo viaggio ho letto e ascoltato Celestini. A casa avevo passato gli ultimi giorni ad ascoltare un vecchio album:



"Da un po' di anni c'è l'abitudine di ripetere le solite banalità sul tema del passato e della memoria, quelle frasi tipo - chi non ha memoria non ha futuro -. E invece bisognerebbe dire che - chi non capisce il presente non ha un passato - [...] E' il presente che ci parla ininterrottamente, che ci racconta la sua storia in continua trasformazione. Il passato sta zitto, ha la riproduzione meccanica della letteratura, l'eco della memoria, ma la viva voce è solo quella del presente. E' nel presente che succedono le cose. L'arte è un tentativo di metterlo tra parentesi, di guardarselo con un po' di attenzione senza che sfugga via."
Ascanio Celestini, Fabbrica, Donzelli editore


A presto, Dario.

16/08/07

Sara


Per ogni cosa cè tempo. Macàri per mangiare o assìcutàri qualche gonna. Una di quelle che svolazzano allantica facendoti solo immaginare pecchè non cè gusto a vìriri subito i mutànni.

Sara ce ne aveva una così e non lo so se se la metteva sempre pecchè si era accorta che mi piaceva oppure solo che non ciaveva altro ma ci siamo visti appena per qualche mese e io di lei ricordo quella più di ogni altra cosa.
Ceravamo incontrati sulla spiaggia che era la fine dellinverno. Io avevo accompagnato Vincenzo a prendere un po' di sabbia che a lui ci serviva.
Non lo so pecchè lei si avvicinò. Se è per questo neanche da dove fosse spuntata so. Ma non credo che abbia importanza.
Dopo pochi minuti già ci rincorrevamo per pigghiàrici. Ci siamo visti quasi ogni giorno da quel momento. Fino a quando non spuntàno i primi turisti e quella confusione che ammùccia ogni sentimento. Ogni odore.
"Totò non le dovremmo fare queste cose"
Sara cercava di liberarsi. Rideva. Io mi ci ero buttato sopra a peso morto e ora eravamo tutti e due sopra alla rìna.
E' strano il primo bacio. Tu ti aspetti che succedono le cose dei filmi e forse un poco ciài anche paura che lei rimane incinta anche se Vincenzo mi ha spiegato che non funziona così. Invece ti risvegli che sei diventato tutto rosso e sotto nei càusi qualcuno bussa che vuole uscire.
"Totò non le dovremmo fare queste cose"
Per un attimo Sara diventò seria poi mi spostò e si susìu per riprendere a correre.

Per ogni cosa cè tempo. La morte no. Non cinnàvi lei tempo. E se tammùtta lo fa una volta sola che subito caschi e non puoi più giocare.


Fonte immagine: http://www.kullaway.com

07/08/07

05/08/07

La moglie di Alfio


Saranno state le due le tre di notte.
Non cera nemmeno bisogno di guardare lorologgio pecché non era ancora passato il camion della munnizza e dal cassonetto saliva un ciauro che maiutava a non pigghiari sonno.
Ci voleva quacche cosa da bere.
Appena misi i piedi per terra mi prese per un istante un brivido di freddo. Era bellissimo. Decisi subito di arrivare scausu fino al frigorifero. Pianopiano. Pecché me lo volevo gustare tutto quel poco di fresco delle mattonelle.
Poi quando aprii quel paradiso mi scordai di ogni cosa. Aria e birra. Birra e aria.
Nella stanza attaccata alla mia casa Alfio Adamo faceva voci.
Pigghiai l'unica Moretti grande che mera rimasta e massittai a sentiri il cinema.
"Ti rissi di no" ci diceva piangendo sua moglie.
"Muta ca ti sentuno" ci faceva lui. E intanto per quello che si capiva con la sua manazza ciaggiustava la faccia.
"E inutile ca scappi. Stasira lamaffari"
"Ti prego Alfio. Ti prego. Addummisciti"
"Veniccà. Rapi a ucca. Veniccà ti rissi"
"Ti prego Alfio. Ti prego. Non vogghiu"
Io continuavo a sentire i rumori di questi due che giocavano acchiappacchiappa nella
stanza. E ogni tanto immaginavo le cose che Alfio spaccava.
Non so quando continuò questa storia. So solo che a un certo punto la mia birra finì e accussì con calma iniziai a mettermi i pantaloni del pigiama. Poi ancora scausu maffacciai nel pianerottolo a suonare alla porta dei vicini.
Alfio mi rapiu che sembrava un angioletto. Ci dissi se per caso ciaveva una birra che non riuscivo a prendere sonno e lui tutto gentile mi rispose di aspettare un attimo e tunnau veloceveloce con due Bechisi ghiacciate.
Non cera nessun rumore nella casa e mentre mi dava le birre ci spiai se sua moglie stava dormendo.
Lui mi guardò nella faccia e scoppiò a ridere.
"Totò. Con questo caldo nessuno ci riesce a dommiri. Manco i suggi del palazzo"
La porta si chiuse che ancora stava finennu la frase. Tunnai a casa e massittai tutto contento. La birra scendeva gelata e tutto era calmo e tranquillo.
Maddummiscii accussì. Seduto davanti al frigo aperto che tentavo di leggere letichetta della bottiglia.
La mattina dopo la moglie di Alfio mi pottò una granita di mandorla.
Ci mancava soltanto la parola. Bianca come le sue cosce e duci come la sua bocca.



Fonte immagine: http://lubna.altervista.org

03/08/07

[Pubblico e Privato] il manifesto


25 Novembre 1969

Non ceravamo mai acchiappati tra di noi. Una acchiappata seria intendo, di quelle cheppoi dopo è tutto diverso, e del resto noi che ne sapevamo del dopo? La vita era quella che cera in quel momento, e ciabbastava.
Gianni era sceso con la faccia unchiata come un palloncino e non ciaveva voluto cuntare niente di quello che era successo. Noi però lavevamo dimenticato subito questo fatto. Cera poco tempo prima di fare buio e la partita non poteva aspettare.
Ho detto noi, ma non è vero. Paolo non aveva voluto giocare e ciaveva guardato per tutto il tempo serio serio, poi, mentre io tiravo un rigore come a Riva però con il piede sbagliato, lui pigghiau Gianni e se lo portò dallaltro lato della strada. Nel territorio proibito, quello dove cera stato raccomandato di non andare mai pecchè passavano le machine e ci potevano investire che dopo allospedale ciavrebbero fatto centinaia e centinaia di ignizioni prima di cusirici come a una vesti cunsumata.
Per guardali con la coda dellocchio non arriniscii neanche a fare gol. Non si poteva disobbedire a questo modo e trascinandosi gli altri per giunta.

"Macchi sta facennu?"
"Sarà per i coppa ca ci resunu a Gianni... no viristi chi faccia aveva?"
"Sì, ma se li sarà meritati"
"E tu chinnisai?"
"Ammia non mi toccano se mi comporto bene"
"Ma su pensi sempri a mangiari!"
"Ecchì significa?"
"Ora passo macari iu e ci spiu"
"Sì... accussì su ti viri to o ma i pigghi macari tu!"
"E la partita? Semu tri"
"Giochiamo a porta romana"
"No, mi siddiai. Vogghiu sapiri chi ci sta dicennu"
"Ci starà spiannu..."
"Iu minnistaiu turnannu a casa!"
"Ciao"
"No, voglio aspettare... Gianni! Paolo!"
"Tanto non tarrispunnunu"
"Vabbè va... amuninni"



Approfondimento: http://www.molilli.org

02/08/07

La nonna Marianna


Mia nonna Marianna è nata ad Anguillara Sabazia. Aveva un repertorio di racconti di streghe che raccontava in tempi e luoghi che solo apparentemente non avevano alcuna importanza. Ma poi si metteva a raccontare e noi smettevamo di guardare lei: seguivamo il suono delle parole trasponendole in immagini. Si parlava di un gatto e noi vedevamo il gatto. C'era una scopa e noi la vedevamo. Ognuno davanti agli occhi aveva il suo gatto e la sua scopa, ma per tutti quelle parole erano come la pala che scava la buca per piantare l'albero: la pala è lo strumento, ma la finalità dell'operazione è piantare l'albero e raccogliere i frutti.
Così per noi le parole rappresentavano solo l'utensile, mentre la cosa importante erano le immagini che avevamo davanti agli occhi come conseguenza di quelle parole. Poi, col passare degli anni, Marianna non raccontava più storie complete, ma frammenti di storie. Bastavano solo degli accenni per far riemergere quelle immagini.


Ascanio Celestini, Cecafumo, Donzelli, Roma,2002, p. XII.

01/08/07

Anna e Andrea



14 febbraio 1965

Andrea ha capelli neri e braccia paffute, un minuscolo neo sul polso sinistro.
“Qualunque cosa… qualunque cosa voi cerchiate di fare, qualunque avversità vi troviate ad affrontare, qualunque gioia vi colmi il cuore… ricordatevi di Dio. Ricordatevi che solo Lui può togliere e dare. Che solo a Lui dobbiamo la nostra vita”
Suor Maddalena ha una voce potente. Avvezza, da anni, a seguire le sue “dolci bestioline” gestisce con cura il tono e le pause dei suoi sermoni mattutini.
La maggior parte della classe la segue ancora assonnata.
Quei bimbi hanno ancora negli occhi le magie del Carnevale, nel cuore il vestito di Zorro, l’ombrellino da dama.


14 febbraio 1965

Il parto si è rivelato difficile. Nessun trauma sembra, in ogni caso, potersi evidenziare a carico della nascitura alla quale è stato imposto il nome Anna.
“Nulla di preoccupante signora, sua figlia è incinta”
Il medico continua ad ispezionare con cura il volto della ragazzina. Un sorriso, che vuol esser complice, accompagna l’indugiare delle dita sui fianchi, sul ventre.
Il lettino odora d’alcool e pelle. Antiche foto di corpi vivisezionati adornano, terrifici, le pareti dello studio.
“Prego signora, ci lasci soli”
Scorre il tempo e dalla sala d’aspetto si allontanano due donne. La più giovane stringe forte tra le mani una minuscola fiala.
“Solo una goccia” così ha raccomandato il dottore “Solo una goccia”


14 febbraio 2000

L’odore del caffè aveva già riempito la stanza.
Dalla finestra Anna riuscì a vedere il mare. Era una di quelle mattine in cui tutto sembra essere nitido. I colori, gli odori, i pensieri.
“Credi che riusciremo ad arrivare in tempo?”
Francesco stava lentamente rivestendosi. Lei con calma si girò su se stessa. Le pareti chiare, il capezzale, il letto disfatto, il corpo di lui.
“Pensò di sì” sussurrò, più a se stessa che a quell’uomo.
Francesco l’aveva accompagnata sin dentro l’ufficio per il colloquio. Del resto era stato lui ad insistere presso l’amico, poi, lasciato l’ultimo saluto, era uscito per attenderla al bar.
”Quanti anni ha?”
“Hai mai svolto mansioni simili a quelle da noi proposte?”
“E’ sposata?”
“Ha figli?”
Le domande si susseguivano velocemente. L’uomo che le sedeva di fronte sembrava non guardarla, non sentirla.
Improvvisamente però tutto iniziò a ruotarle intorno, ogni cosa sembrò perdere vita.
Solo quella voce.
Continuava a ripeterle ossessivamente:
“Ha figli?”
“Ha figli?”
“Ha figli?”
Chiuse gli occhi, ed anch’essa scomparve.
Quando li riaprì vide se stessa rispondere con freddezza all’esaminatore. Lo
sguardo ammiccante dell’uomo. La mano di lui poggiarsi casualmente sulla sua.
“Tutto bene?”
Francesco l’aveva accolta con un abbraccio ed un sorriso.
“Tutto bene, sì”.
Ordinarono un aperitivo continuando a parlar d’altro. Fu in auto che l’uomo riprese il discorso.
“Quando inizierai?”
“Quando inizierai cosa?”
“A lavorare no? Hai detto che è andato tutto bene”
“Sì, sì. Tutto bene. Tutto bene. Mi sono vista sai? Tutto bene”
“E allora?”
“Allora cosa”
“Ma cos’hai Anna?… Quando inizierai a lavorare?”
“Siamo arrivati Francesco. Guarda! Un posto libero”
Francesco la baciò teneramente, poi le ricordò l’invito a cena. Era ancora mattino. Anna iniziò a cercare le chiavi di casa; si chinò poi, dopo averle trovate, per pigiarle, fino a farle sparire, sul terriccio umido del grande vaso di fiori
che Francesco le aveva regalato e che colorava l’ingresso.
Con sicurezza iniziò a camminare.


14 febbraio 2000

Un tempo Andrea viveva per il suo lavoro. Ogni anno portava la sua baracca per prati e piazze. Ogni anno quel piccolo pubblico che rideva e sognava con i suoi burattini riusciva ad impossessarsi della sua anima, ad eliminare ogni traccia lasciata dal tempo. Ora tutto era diverso.
Non riusciva più a scegliere i materiali per i fondali, le voci dei personaggi, la trama della sua storia.
Era già notte fonda quando abbandonò la sua casa-laboratorio per dirigersi verso il porticciolo. Grossi cubi di cemento ne proteggevano l’entrata dal mare. Andrea sembrava conoscerne ogni crepa e saltellava sicuro da un blocco all’altro alla luce fioca proveniente dal molo.
Aveva scorto qualcuno seduto sul blocco più lontano. Lì dove abitualmente attendeva l’arrivo delle piccole imbarcazioni dei pescatori, fu questo a farlo improvvisamente
rallentare. Sforzò lo sguardo continuando lentamente ad avanzare.
Era una donna.
I capelli raccolti sulla nuca le lasciavano libero il lungo collo. Le mani poggiavano sul cemento a far da contrappeso alla schiena arcuata, al viso che saggiava l’aria. Aveva un piccolo neo sul polso destro.


15 febbraio 2000

Fu dietro di lei nello stesso istante in cui Anna si voltò sorridendogli, poi le sedette accanto.



Fonte immagine: http://tipika.blogspot.com
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