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30/01/18

[Alfredo] rollinz



Sono strani pupazzetti con una base sferica in plastica pesante che permette loro di dondolare, ma di non cadere mai.
Alfredo li ha scoperti al parco. Un gruppo di bambini con del gesso aveva segnato un piccolo campo di gioco sull'asfalto e due di loro avevano iniziato a sfidarsi sulla punta delle dita.
Posizionare la propria squadra sul campo, colpire uno dei personaggi dell’avversario per escluderlo dal gioco, attendere fino alla sopravvivenza dell’ultimo eletto. Nessuna altra regola importante. Ad Alfredo aveva un po' ricordato i giochi fatti con i tappi da bambino, anche se lui e i suoi amici preferivano i circuiti su cui improvvisarsi meravigliosi ciclisti.
Uno di quei pezzi era finito vicino ai suoi piedi. Alfredo lo aveva raccolto per poi cederlo alla mano protesa davanti a lui.
“Chi è questo?” Aveva chiesto.
“Il Signore Oscuro” gli era stato risposto.

29/01/18

[Alfredo] Orsi


“Cosa le servo?”
Alfredo chiede un caffè prima che la sua attenzione venga catturata dai quotidiani posati sui tavoli vuoti. Una testata locale, una nazionale. Hanno un dorso rigido con il nome del locale e un piccolo orso in cima.
Alfredo guarda in giro, l’orso non appare in nessun altro luogo all’interno del locale e non gli è sembrato di intravederlo sull’insegna esterna. Si siede portando con se il caffè che il barista gli ha servito e osserva meglio.
È un orso bruno, un orso da circo. Poggia su una sfera che dovrebbe rappresentare un mappamondo. L’orso ha un’aria triste, malinconica, o almeno così ad Alfredo sembra.
“Non ci pensare, siamo in equilibrio un po’ tutti finché riusciamo” gli sussurra.
“Cosa?” la voce del barista arriva da un mondo che Alfredo immagina lontano. Quello rimane a fissarlo, non c’è nessun cliente a quell’ora.
“Nulla, nulla” risponde Alfredo, voltando appena la testa verso lui con un sorriso.
L’orso è già caduto.

Fonte immagine: "Bear" by Jussi Hynninen Licensed under CC-BY 2.0 Original source via Flickr

26/01/18

[Alfredo] Teatro

Nei giorni in cui ogni cosa attorno a lui sembra dissolversi, nei momenti in cui tutto si fa buio, Alfredo immagina soltanto di essere a teatro.
Seduto sulla sua poltrona attende che lo spettacolo abbia inizio, che la notte della sala divenga luce sul palco. Sogna, in quei momenti, che qualcuno degli attori dimentichi la propria parte: una frase, anche solo una parola, un pensiero.
Pensa, Alfredo, che basterebbe questo a fare apparire tutto più vero, più chiaro.

25/01/18

[Alfredo] Il vecchio


"È solo colpa mia. È solo colpa mia"
Il vecchio è una persona gentile. Alfredo lo incontra spesso dentro la panetteria, forse hanno gli stessi orari, forse è solo un caso.
Anche oggi è lì. L’uomo è andato via pochi istanti prima di lui, poi accade qualcosa.
Alfredo lo aiuta a rialzarsi. I due panini che abitualmente compra sono finiti in strada. La busta di carta, lacerata e sporca, è poco lontana.
Il vecchio non smette di ringraziarlo e a quei “Grazie” alterna stralci degli avvenimenti precedenti: i ragazzi in bici, il loro correre, quello di loro che lo ha spinto per poter superare il compagno, il loro sparire senza nemmeno voltarsi.
"È solo colpa mia. È solo colpa mia" ripete ancora, poi improvvisamente piange senza più dire nulla, stringe solo di fretta la mano di Alfredo e si allontana.
Fa pochi passi però, torna indietro. Raccoglie il pane, la busta e getta tutto nel bidone poco lontano. Alfredo non fa in tempo ad aiutarlo.
"Posso offrirle un caffè?" riesce solo a dire.
"Grazie, sì grazie”  quello risponde.

Fonte immagine: "old man" by Andreas Schalk Licensed under CC-BY 2.0 Original source via Flickr

24/01/18

[Alfredo] polaroid


In tante delle foto che ha conservato i colori lentamente spariscono.
Capita raramente che Alfredo si trovi tra le mani quei piccoli album sgualciti, quelle piccole buste di plastica che iniziano a staccarsi dal dorso, quelle copertine dai colori improbabili con l'indirizzo del fotografo che somiglia a un vecchio timbro. Generalmente succede in uno di quei momenti in cui decide di fare ordine, spazio, tra tutto quello che copre i suoi pochi mobili. Uno scavo da strati di tempo, tra i sedimenti di altri ricordi.
In quelle foto il mare, il cielo, i volti e i luoghi che gli sono stati cari sembrano aver perso consistenza, eppure ogni cosa è rimasta viva negli occhi di Alfredo. Lui lo sa. Basterebbe solo sfiorarle con lo sguardo quelle macchie e nulla potrebbe impedirgli di essere di nuovo lì: sentire la sabbia umida scorrere tra le dita, abbracciare quella bimba di cui non ha conosciuto mai il nome, ridere contento poggiato al piedistallo di un eroe sconosciuto.

Fonte immagine: “Old Polaroid” by Andreia is licensed under CC BY 2.0

23/01/18

[Alfredo] passeggiate


Ci sono giornate così, giornate dove tutto appare magnifico. Giornate in cui Alfredo non riesce a guardare il mondo con altri occhi che non siano quelli della meraviglia.
Il cielo terso, il sole che riscalda, le strade quasi prive di auto, il suono di una fisarmonica che pervade l'aria.
Alfredo passeggia ancora più lentamente: guarda le vetrine, le mura, la gente, distratta, che incrocia.
A volte vorrebbe azzardare anche un "Buongiorno!", ma teme di non essere capito e allora, quando succede, preferisce chiudere gli occhi un istante... non voluto gli sfugge, comunque, un leggero inchino, un sorriso.

Fonte immagine: “Stroll” by Logan Ingalls is licensed under CC BY 2.0

14/01/18

Le donne di Totò: Patty Pravo


A Nicoletta la canuscii una cinquina di anni arreri che già parrava alle palummedde della villa e le chiamava  e ci portava da mangiare ma lei però era qua già da una vintina di anni.
Di lei me ne aveva parrato Saru u fruttaiolo che diceva che era pazza ma ammia non mi pareva e così ogni tanto mi avvicinavo su virevu che era tranquilla. Che non ci davo fastidio insomma.
Mi assittavo allora nella panchina vicino a lei e guardavo la scena delle palumme che si avvicinavano e lascutavano e anche io ascutavo le sue storie che lei a poco a poco accuminciau a fidarisi e me le ripeteva macari ammia le cose che ci cuntava allacidduzzi.
Parrava dei posti dove era stata e della gente e de sò mariti che pareva che naveva cangiato uno allanno e arrireva quannu ce lo facevo notare.
Capitò per caso una para di anni dopo che visti macari dove abitava. Sera slogata la caviglia assicutannu un iattu che sera avvicinato troppo e io lavevo aiutata a camminare fino alla sua porta.
Era una casa arreri alla cantunera una di quelle che una volta ci stavano i viddani delle campagne  e che ora invece sono quasi al centro. Ormai non sono tantissime queste case che la gente ci ha costruito di sopra le proprie oppure le ha  vendute per farici spuntari palazzi e palazzine.
Nelle due stanze Nicoletta ciaveva misu di tutto che uno si cunfunneva sulu a taliari ma soprattutto erano le pareti che scippavano la testa. Cerano tutti i culuri del mondo ammiscati e abbiati come se lei avesse preso a secchiate tanti voti le pareti e poi ciavissa passato le mani e il corpo e il culo e le minne fino al tetto. Fino al cielo.
Cè stato qualche conoscente che non mi ha creduto che dice che lui lha vista nello schermo a quella vera ma Nicoletta me lo ha raccontato una vota che quella Patti della televisione è solo una che ci assomiglia e che ci ha fatto un favore. Uno scambio. E io ci criru a Nicoletta che non serve altro.

Fonte Immagine: Patty Pravo

12/01/18

Le donne di Totò: Anna Galiena



Anna vinni lova allalimentari della Via di Spagna. Tolliru che è il padrone del negozio ciavi tutto un magazzino arreri alla via dove dentro ci sono centinaia di iaddine e un feto di moriri. Io ci entrai una volta e mi pigghiai macari qualche uovo friscu. Ma mi fici vilenu a sugarlu che laria era irrespirabile.
Io ad Annuzza la canuscii che ancora era carusa e i minni ci abballavano senza pudore e lei la mostrava tutta divertita quella mercanzia. Poi era diventata famosa. Accussì mi avevano detto. Una di quelle del cinema. Insomma a mia non mi capitò più di vederla anche se furiavo assai dentro il quartiere che ancora le gambe mi reggevano.
Quannu spuntau di novu dalle mie parti la faccia le era diventata tannicchia arrappatedda e le mani anche e le minne ormai sentivano la forza di gravità che i miracoli non durano tutta la vita. Anna però continuava lo stesso a essiri bedda. Come può esseri bedda una donna che non è più una carusidda. Comu una rosa vellutata che anche se è sbocciata da tempo non ni voli sentiri di spaparinzarisi senza grazia.
Cinnavi assai Tolliru di clienti al negozio e di certo tanti grazie a lei. Iu ci vaiu sulu per immaginare quello che cè arreri allocchi di quella fimmina. Per scoprire qualcosa che lo so che è ammucciatu in qualche piega di quelle labbra. E la saluto e ci chiedo le uova e la ringrazio. Le sorrido anche. E lei a me.


Fonte immagine: By Sailko (Own work) [CC BY 3.0], via Wikimedia Commons

11/01/18

Le donne di Totò: Laetitia Casta


E’ autunno ma pari primavera. U fattu è che Letizia arrinesci a canciari le stagioni e il tempo e la fantasia pure.
Misa arreri la cassa del bar è un angelo ca ti fa macari scurdari il resto e la ragione. E un cafè costa dieci euro ma non ciavi importanza.
“Sono qui solo un poco per aiutare unamica” ci rici a Totò senza che lui manco ce lo spia con quellaccento francese ca fa sbrugghiari alla prima sillaba. Aveva ragione quello  della famigghia Addams… Gomez che nei telefilmi ce lo diceva a so mugghieri. Anche Letizia parra come se facesse lamore.
Totò è stato il primo cliente oggi che la machina ancora si doveva cuariari e allora cera da aspettare. Epperò non ci riesce a dirici altre cose a quellangelo che già essere riusciti a pavare è stata unimpresa. Sassetta solo nel tavolino e la talia come se fosse al museo. E non ci pensa nemmeno che può essere una cosa vastata quellocchiata insistente. Una indelicatezza. Cè solo lei. Ogni altra cosa sparisce. Il calendario dellanno prima misu arreri a idda. Il listino con i prezzi che mancano. La cassa ca non funziona mai e fa sulu sgrusciu.
Letizia sembra esserci abituata. Non si furia. Non si lamenta. Lascia che lui la guardi perchè lo sa che quello è il suo compito su questa terra: la bellezza. 

Fonte immagine: Studio Harcourt [CC BY 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/3.0)], via Wikimedia Commons

10/01/18

Le donne di Totò: Catherine Spaak



Veni pi tutti u mumentu. Quello dove allimprovviso non ha più importanza cù sì e che cosa hai fatto. Quello dove non tabbasta chiù quello che hai. E possono essere tante le occasioni per fariti pensare accussì ma nei masculi però quasi sempre accade che questa cosa succede a una certa età. A un certo momento che incontri carni frisca come mai ti è sembrato di averla vista. E' diventa inutile allora provare a pinsari con la testa. Ci sono fimmineddi che ti votunu e ti furiunu come a una pezza lodda e ogni lotta è come a quella do pisci nella nassa. Io per fortuna ancora non ci sono arrivato ancora a queste cose che la vogghia per fortuna mè sempre mancata e il travagghiu macari ma ne ho visti tanti di uomini peddiri la raggione per una suttanedda e addivintari come a Orlando nellopera dei pupi.
Ci pensavo a questa cosa pecchè ho visto alla telivisioni una storia che cera Tognazzi e quella francese che ora certe volte fa i programmi. La Spacc. Lei in questo filmi è una carusidda ma anche ora ai giorni nostri che futtiri è diventato facili come a mangiarsi una angiova senza sali io non penso che ci sarebbe masculo capace di resisterle. Come si può combattere contro alla bellezza miscata alla malizia? Come si può lottare di fronte alla gioventù che ti mostra le sue primizie? La Spacc è il vento che in estate arriva friscu fridscu prima del temporale. E' il ricordo dei desideri di quando taccuminciava a crisciri u sfingiuni ne mutanni. E' la realtà che ti dice che sei vecchio e lei la realtà non te la vorrebbe neppure fare pesare questa cosa se non fosse che tu ti ostini a immaginarla diversamente.
La Spacc è la fottuta che hai sempre sognato. Il motivo che ti ha portato a travagghiare e poi a travagghiare e ancora a travagghiare fino a quando la fatica ti ha fatto dimenticare che era per lei che lo stavi facendo. Per la Spacc. Per lo sticchio.

Fonte immagine: Catherine Spaak nel film La voglia matta (1962)


09/01/18

Le donne di Totò: Madonna



Io il giorno che canuscii Madonna ero al lungomare che ero nisciuto per accattare tannicchia di cozzuli di Messina. Il sole era alto e cauru e il mare accussì azzurro che a guardarlo dallalto sembrava preciso come il velo nelle statue della chiesa.
Idda camminava comu camminunu i carusiddi e ogni tanto si fermava e si tineva aggrappata alle ringhiere sopra agli scogli come su ci fussi un vento fortissimo a spingerla e ammuttarla.  A guardarla bene ci si puteva macari cririri e limpressione era quella che veramente ciavvulavano i capiddi e ciarrifriscavunu i minni.
Invece cera sulu cauru e iu ero già tuttu suratu che avevo fatto la fesseria di mittirimi a tuta di cotone pesante pi nesciri.
Quando ci passai vicino mi taliau tutta schifata comu si talia un suggi martognu ca nesci dai puttusa della strada e sulu quannu mi stavo allontanando mi spiau:
“Tu lo sai dove sono le grotte di Ulisse?”
Io mi furiai che non potevo farla la scortesia di non rispondere.
“No però se ti serve quello è il porto di Ulisse” ciarrispunni indicando con la mano un punto  lontano. Madonna mi taliau na facci e poi visti locchi che passavano lenti lenti al braccio e alla mano.  Non si virevano altro che rocce dal punto in cui eravamo noi.
“Ah” però ci scappau di riri che quasi arrireva.
Poi nenti chiù che io ciavevo già fretta e a cucinarli i cozzuli ci voli tempu se uno li deve pulizziari.


Fonte immagine: Paul Harvey
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