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21/01/14

20/01/14

19/01/14

Amleto - 11 -





"Insomma tu ricu accussì. Ummazzanu"
Tino non è sorpreso che lui se lera immaginato anche se non lo aveva mai detto. Ci veni sulu:
"E comu fu?"
"Vilenu. Ci misunu u vilenu"
"Ah! E cu fu?"
"No sai?"
E certo che Tino lo sa chi è stato. Lui lo ha sempre saputo. Ma ora il diavolo è sparito di nuovo e Tino ci sta poco ad arrusbigghiarisi che si trova tutto surato e la testa che ci scoppia.

"Comu ti senti? Non mi piaci nella faccia"
Sua madre ci metti la mano nella fronte. Scotta.
"Ti pigghiasti l'influenza? E certo! Si’ sempri fora!"
Tino si prepara una tazza di latte che quando lo prende gli brucia tutta la gola e poi si occucca che proprio si senti una merda.

“Senti. Ascutami. Ma Tino cià facissi a fare un viaggio nella Germania?”
“Cui Tino? E certo che sì. Ma picchì?”
“Ciò bisogno di una persona fidata. Devo sistemare qualche affare”
“E non ci poi iri tu?”
“No. Non mi posso allontanare ora”
Rosaria lo guarda come per studiarlo che non se laspettava quella discussione
“E chi affari su?”
“I soliti” ciuarrispunni Marco che però Rosaria non lha mai saputo bene che cosa voleva dire ma in fondo prima ci bastava che neanche con laltro aveva saputo chiossai ma ora però cè so figghiu. E’ diverso.
“Sì ma è pericoloso?”
“Ma quali. Deve solo fare arrivare qualche messaggio a delle persone. Ci dico tutto io e poi lì incontra chi lo aiuta che non lo lascio solo”
“Ma non ci fu Nico?”
“Sì! Proprio per questo cè bisogno che qualcuno ci va di nuovo”
Rosaria non è tanto convinta. Poi però ci veni nella testa una idea.
“Picchì non ci manni alla figghia di Nico?”
“Non su cosi di fimmini chisti!”
“Chi significa? Chi ci su ormai cosi sulu di masculi?”
Marco non cè ne ha voglia di continuare la discussione. Insomma non sapissi mancu cosa rispondere. Allora la pigghia per i fianchi e la piega nel letto.
“Cè Tino di là”
“E tu non parrari allura”
Rosaria resiste ancora tannicchia ma più per gioco che per convinzione. Poi smette completamente quando lo sente entrare che è tutta concentrata a non farsi sfuggire neanche un suono e a prendere lo stesso tutto il piacere che ogni vota Marco riesce a darici.
Quando quello finisce lei rimane ferma ancora un po'. Ciavi locchi chiusi e una faccia contenta come a una carusidda.

“Chinnipensi se i carusi pattunu nsemula?”
“No sacciu. Non vulissi che al ritorno mi ritrovo nonno”
Marco ride ma Nico ciavi la faccia seria. So mugghieri ci ha detto quella che era la sua sensazione e lui a so figghia ci teni che ancora ci pari una picciridda.
“Se deve succedere po capitari macari cà”
“Sì certo! Però accussì è comu mettiri u focu vicino a pagghia”
“Va bene. Va bene. Vuol dire che partirà da solo”
“No. No! Fammici pinsari ancora tannicchia”
“Ok. Ma stasira fazzu i biglietti”

In effetti Marco ancora non cià detto nenti a Tino. U caruso è quattro giorni che ciavi la frevi oggi però è passata e lui ha fretta che gli affari non aspettano. La conosce anche lui la storia di Gemma che celanno cuntata al bar: li avevano visti insieme che si vasavunu.
Questo fatto per lui è una cosa buona. Di certo u caruso non ne farà di storie su iddu ci farà capire che non partirà da solo. Però questa novità non cè lha detta a Nico che allora rischiava di farlo incazzare.
Quando torna a casa lo trova che si sta facendo la doccia allora si prepara un cafè e lo aspetta.
“U voi tannicchia?”
“No grazie”
“Senti. Ta sintissi di fare un viaggio?”
Tino lo guarda sopreso.
“Ci devi portare qualche messaggio a una para di amici miei nella Germania. Però certo ci puoi stare anche una simana su voi. O chiossai macari. Tuttu pavatu. Sintende”
“E picchì lavissa fari?”
“Per fare una vacanza ad esempio. E poi è tempo che accumenci a pinsari agli affari della famigghia”
“Non cinnaiu famigghia iu”
“E to o ma? U sacciu ca iu non ti piaciu ma to o ma? Eppoi ormai ti devi fare una ragione che to o pa…”
“Non pararri di mio padre”
“Va bene. Va bene. Però pensaci. Laereo parte domani”
“Certo. Comu no”
“E poi non sarai solo…”
“Chicciaiu a balia?”
Marco sorride che se lè tenuta per ultima la sorpresa.
“No. Cè Gemma”
“Gemma?”
Tino cangia espressione che si vede che ora le cose sono diverse.
“Sì Gemma. A carusa deve tornare a lavoro e suo padre ci faceva piacere se laccompagnava una persona fidata”
Tino cangia stanza come se la discussione fosse finita e Marco lo lascia fare che lo sa che bisogna laciargli quello spazio. Infatti dopo tannicchia quello ritorna e ci dice che va bene che lui tanto non ciavi nenti di importante da fare.


L’Europa al Bivio – Manifesto per le elezioni europee con Alexis Tsipras

L’EUROPA AL BIVIO

L’Europa è a un bivio, i suoi cittadini devono riprendersela. Dicono i cultori dell’immobilità che sono solo due le risposte al male che in questi anni di crisi ha frantumato il progetto d’unità nato a Ventotene nell’ultima guerra, ha spento le speranze dei suoi popoli, ha risvegliato i nazionalismi e l’equilibrio fra potenze che la Comunità doveva abbattere. La prima risposta è di chi si compiace: passo dopo passo, con aggiustamenti minimi, l’Unione sta guarendo grazie alle terapie di austerità. La seconda risposta è catastrofista: una comunità solidale si è rivelata impossibile, urge riprendersi la sovranità monetaria sconsideratamente sacrificata e uscire dall’Euro. Noi siamo convinti che ambedue le risposte siano conservatrici, e proponiamo un’alternativa di tipo rivoluzionario. È nostra convinzione che la crisi non sia solo economica e finanziaria, ma essenzialmente politica e sociale. L’Euro non resisterà, se non diventa la moneta di un governo democratico sovranazionale e di politiche non calate dall’alto, ma discusse a approvate dalle donne e dagli uomini europei. È nostra convinzione che l’Europa debba restare l’orizzonte, perché gli Stati da soli non sono in grado di esercitare sovranità, a meno di chiudere le frontiere, far finta che l’economia-mondo non esista, impoverirsi sempre più. Solo attraverso l’Europa gli europei possono ridivenire padroni di sé.
Per questo facciamo nostre le proposte di Alexis Tsipras, leader del partito unitario greco Syriza, e nelle elezioni europee del 25 maggio lo indichiamo come nostro candidato alla presidenza della Commissione Europea. Il suo paese, la Grecia, è stato utilizzato come cavia durante la crisi ed è stato messo a terra: in quanto tale è nostro portabandiera. Tsipras ha detto che l’Europa, se vuol sopravvivere, deve cambiare fondamentalmente. Deve darsi i mezzi finanziari per un piano Marshall dell’Unione, che crei posti di lavoro con comuni piani di investimento e colmi il divario tra l’Europa che ce la fa e l’Europa che non ce la fa, offrendo sostegno a quest’ultima. Deve divenire unione politica, dunque darsi una nuova Costituzione: scritta non più dai governi ma dal suo Parlamento, dopo un’ampia consultazione di tutte le organizzazioni associative e di base presenti nei paesi europei.
Deve respingere il fiscal compact che oggi punisce il Sud Europa considerandolo peccatore e addestrandolo alla sudditanza, e che domani punirà, probabilmente, anche i paesi che si sentono più forti. Al centro di tutto, deve mettere il superamento della disuguaglianza, lo stato di diritto, la comune difesa di un patrimonio culturale e artistico che l’Italia ha malridotto e maltrattato per troppo tempo. La Banca centrale europea dovrà avere poteri simili a quelli esercitati dalla Banca d’Inghilterra o dalla FED, garantendo non solo prezzi stabili ma lo sviluppo del reddito e dell’occupazione, la salvaguardia dell’ambiente, della cultura, delle autonomie locali e dei servizi sociali, e divenendo prestatrice di ultima istanza in tempi di recessione. Non dimentichiamo che la Comunità nacque per debellare le dittature e la povertà. Le due cose andavano insieme allora, e di nuovo oggi.
Oggi abbiamo di fronte una grande questione ambientale di dimensioni planetarie, che può travolgere tutti i popoli, e un insieme di politiche tese a svalutare il lavoro, mentre una corretta politica ambientale può essere fonte di nuova occupazione, di redditi adeguati, di maggiore benessere e di riappropriazione dei beni comuni. È il motivo per cui contesteremo duramente il mito della crescita economica così come l’abbiamo fin qui conosciuta. Esigeremo investimenti su ricerca, energie rinnovabili, formazione, trasporti comuni, difesa del patrimonio culturale. Sappiamo che per una riconversione così vasta avremo bisogno di più, non di meno Europa.
Proprio come Tsipras dice riferendosi alla Grecia, in Italia tutto questo significa rimettere in questione due patti-capestro. Primo, il fiscal compact: il pareggio di bilancio che esso prescrive è entrato proditoriamente nella nostra costituzione, l’Europa non ce lo chiedeva, limitandosi a indicare sue «preferenze». Secondo, il patto di complicità che lega il nostro sistema politico cleptocratico alle domande dei mercati: chiediamo una politica di contrasto contro le mafie, il riciclaggio, l’evasione fiscale, la protezione e l’anonimato di capitali grigi, la corruzione, in un’Europa dove non sia più consentito opporre il segreto bancario alle indagini della magistratura. Significa infine difendere la Costituzione nata dalla Resistenza, e non violarne i principi base come suggerito dalla JP Morgan in un rapporto del 28 maggio 2013, cui i governanti italiani hanno assentito col loro silenzio. Significa metter fine ai morti nel Mediterraneo: i migranti non sono un peso ma il sale della crescita diversa che vogliamo. Significa darsi una politica estera, non più al rimorchio di un paese– gli Stati Uniti– che perde potenza ma non prepotenza. La pax americana produce guerre, caos, stati di sorveglianza. È ora di fondare una pax europea.
Le larghe intese, le rifiutiamo in Italia e in Europa: sono fatte per conservare l’esistente. Per questo diciamo no alla grande coalizione parlamentare che si prepara fra socialisti e democristiani europei, presentandoci alle elezioni di maggio con una piattaforma di sinistra alternativa e di rottura. Nostro scopo: un Parlamento costituente, che si divida fra immobilisti e innovatori. Siamo sicuri fin d’ora che gran parte dei cittadini voglia proprio questo: non l’Unione mal ricucita, non la fuga dall’Euro, ma un’altra Europa, rifatta alle radici. La chiediamo subito: il tempo è scaduto e la casa di tutti noi è in fiamme, anche se ognuno cercasse rifugio nella sua tana minuscola e illusoria.

L’Italia al bivio
Questo è l’orizzonte. A partire da qui avanziamo la proposta di dare vita in Italia a una lista che alle prossime elezioni europee faccia valere i principi e i programmi delineati.
Una lista promossa da movimenti e personalità della società civile, autonoma dagli apparati partitici, che sia una risposta radicale alla debolezza italiana. Una lista composta in coerenza con il programma, che candidi persone, anche con appartenenze partitiche, che non abbiano avuto incarichi elettivi e responsabilità di rilievo nell’ultimo decennio.
Una lista che sostiene Tsipras ma non fa parte del Partito della Sinistra Europea che lo ha espresso come candidato. I nostri eletti siederanno nell’europarlamento nel gruppo con Tsipras (GUE-Sinistra Unitaria europea). Una lista che potrà essere sostenuta, come nel referendum acqua, dal più grande insieme di realtà organizzate e che non si manterrà con i rimborsi elettorali.
Una lista che con Tsipras candidato mobiliti cittadine e cittadini verso un’Altra Europa.

Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale

Nota
La lista per le elezioni europee a cui proponiamo di dar vita con questo documento sarà una lista di cittadinanza assolutamente autonoma, promossa da personalità della cultura, dell’arte e della scienza e da esponenti di comitati, associazioni, movimenti e organismi della società civile che ne condividono gli obiettivi e i contenuti, e che non verrà “negoziata” con alcun partito. Questo sia per segnare una netta discontinuità con il passato, sia per sottolineare la novità di questa proposta: l’adesione a questa lista elettorale non deve essere confusa con l’affiliazione ad alcuno dei partiti esistenti o in fieri e non ha alcuna pretesa identitaria.
Questa lista avrà un comitato di garanti formato tra i firmatari dell’appello, che non si candideranno. Avrà un comitato promotore, con compiti operativi.
Su questa base le realtà organizzate – come i partiti, o loro strutture, le associazioni politiche o culturali,  i centri sociali – che vorranno sostenere questo progetto sono le benvenute e possono contribuire al suo successo anche presentando proposte di candidatura di propri iscritti, purché rispondenti alle caratteristiche indicate nell’appello.  E potranno sostenere la lista, la raccolta delle firme e le attività connesse alla campagna elettorale, costituendosi in uno o più comitati di sostegno dotati della più ampia autonomia, seguendo il modello già adottato nella campagna per i referendum contro la privatizzazione dell’acqua e dei sevizi pubblici locali, modalità che ha garantito il successo in quella iniziativa referendaria.

Primo gruppo di adesioni
Mario Agostinelli, Andreina Albano, Gaetano Azzariti, Giuliana Beltrame, Alberto Burgio, Loris Campetti, Luca Casarini, Franco Chiarello, Giovanni Carrosio, Furio Colombo, Gildo Claps, Emmanuele Curti, Giorgio Dal Fiume, Marco D’Eramo, Tommaso Di Francesco, Monica Di Sisto, Andrea Di Stefano, Gianni Ferrara, Carlo Freccero, Francesco Garibaldo, Domenico Gattuso, Alfonso Gianni, Alessandro Gilioli, Paul Ginsborg, Fabio Grossi, Leo Gullotta, Monica Lanfranco, Teresa Masciopinto,  Katia Mastantuono, Valerio Mastandrea, Antonio Mazzeo, Sandro Medici, Tomaso Montanari, Roberto Musacchio, Maso Notarianni, Giovanni Orlandini, Moni Ovadia, Giovanni Palombarini, Giorgio Parisi, Angela Pascucci, Emanuele Patti, Fulvio Perini, Tonino Perna, Paolo Pietrangeli, Nicoletta Pirotta, Felice Roberto Pizzuti, Gabriele Polo, Gianni Rinaldini, Tiziano Rinaldini, Umberto Romagnoli, Riccardo Rossi, Eddi Salzano, Antonia Sani, Andrea Segre, Patrizia Sentinelli, Stefano Sylos Labini, Anna Simone, Massimo Torelli, Giolì Vidigni.

14/01/14

Amleto - 10 -



Marco e Don Nico sono assittati uno di fronte allaltro. Quello gli sta spiegando come ha scoperto a quelli che si stavano mangiando i loro soddi lì nella Germania. Marco sembra non seguirlo ma invece sta solo pensando. Che lui è fatto così. Che lega le cose e ci ragiona. Che allora non ci lavissi fatta a diventare un capo.
Quando Don Nico finisce ha già pensato quello che bisogna fare che poi non è difficile vulennu. Ammazzari a chistu. Chiamare a questaltro. Aprire un nuovo ristorante. Parrari con gli amici degli amici.
Quando tutto è finito cè anche lo spazio per pensare alle famigghie che Marco ci chiede della figlia e Don Nico di quel caruso che ha appena incontrato. Sono frasi di circostanza che anche quelle servono a fare sembrare tutto normale.

Tino non cè ne ha intenzione di tornare a casa e furia per la città e ogni tanto si ferma e si fa una canna. E ogni tanto si ferma e si accatta un pezzo. Unarancino. Una cartocciata. Una cipollina caura caura.
Tino non cè ne ha intenzione di tornare a casa. La città ci sembra bella e la gente che incontra e le machine e le strade anche. Su si putissi viriri vedrebbe un caruso allampanato con i capelli dritti che sera fatto il taglio apposta il mese prima e il passo veloce come a quello di un corridore. Eppure basta poco per farici ripigghiari la sua faccia strafottente che lamore sarà amore ma u niuru di siccia non cangia culuri.
Quando si decide a rientrare e già scuro da un pezzo. Sua madre non ci rici nenti che in fondo è quasi presto e lui si va a chiudere nella sua stanza e si adduma la botta finale.
Quella stanza celaveva comprata suo padre. Laveva portato dentro il negozio e ci aveva detto:
“Dimmi quale ti piace che il proprietario mi deve un favore”
Lui sera presa quella con larmadio grande e il ponte che si chiamava così perché sotto il letto cera tutto uno spazio vuoto . Tino invece della scrivania - “Chimminnifazzu?” ciaveva detto a suo padre - sera fatto mettere un divano che così la poteva guardare comodo la televisioni mentre cera un filmi oppure giocava alla plaistecion. Certo ora ci pareva la stanza di un picciriddo ma ci piaceva ancora starici dentro che lo sapeva che quando chiureva la porta nessuno ci rumpeva i cugghiuni.
Saddumisciu senza mancu spugghiarisi lì sopra il divano con i peri ca pinnevunu da uno dei braccioli.

"E tu cusì?"
"Chiffà no sai?
Cè questa fimmina e lei è Gemma ma macari quella del film e Tino ce lo vorrebbe dire che lo sa ma non ci riesce e per quanto si sforzi non ci veni proprio di dire più niente mentre quella lo guarda che pare che arriri.
“Allora? Chimbranato ca sì! Un piccirriddo ecco!”
A Tino ci veni come una crisi di nervi e accumencia a chianciri che si annebbia ogni cosa. Quando si calma di fronte cià di nuovo il diavolo. Ci sta passando una mano tra i capelli per cunuttarlo e Tino ci sente anche il fiato e quella mano che brucia come fosse una pentola sopra il fuoco
“Parra Tino. Parra! Confidati!”
Tino ora cià di nuovo la voce e tutti i suoi ricordi. Macari quelli di quando era picciriddu che lui non se lo aspettava proprio di averli conservati. E allora accumencia a cuntari tutto e non si ferma più che il diavolo lo guarda contento e lascuta tutto appassionato. Quando arriva a cuntarici della malattia di suo padre le corna a quello ciaddiventunu di focu e la coda si arriccia tutta e sbatte forte sopra il pavimento.
Tino si ferma che si prende paura. In fondo non capita sempri di parrari con questi personaggi. Ci veni nella testa che quello è spiccicato proprio alla figura che cera sopra alla immaginetta di Santantonio il santo con la campanella e il maialino. Lui cera anche andato nella chiesa che cè al centro. Quello è il suo santo anche se si chiama Tino. Cioè insomma Tino andava bene per Agatino come alla Santuzza e lui semmai dovevano chiamarlo Nino ma era così che lavevano saputu sentiri da quanto era nico e tutti si erano dimenticati il motivo.
"Senti… ma tu u sai comu mossi to o pà?”
Il diavolo ora lo talia tutto serio e Tino si ferma ad aspettare che lo sà che cè la sorpresa.

11/01/14

Amleto - 9 -



"E tu chiffai Tino?"
"Io... io non fazzu nenti per ora"
"Ma comu? Ma ti diplomasti almeno?"
Tino non ce ne ha voglia di rispondere che lui a Carmelo lo ha conosciuto a scuola ma no perchè erano compagni. E'che cià venduto il fumo. Che quella volta ne aveva preso assai e allora cera voluto rientrare con i soldi.
"No signora. Arrivai alle medie. Non cinnavevo testa per studiare"
"Capisco. Ma travagghi almeno? Poca fa telefonau to patri. Cercava a me maritu. U sai che sono amici?"
"Sì u sacciu. Ma quello non è mio padre"
"E comu u chiami allora?"
Tino si furia che ci piacerebbe avere un aiuto da Gemma. Che lo sa che lei fa finta e intanto se la sta sentendo tutta quella discussione. E la carusa è come se la capisse quella richiesta che allimprovviso smette di puliziari e ci va vicino e ci spia a sua madre:
"Ma chi ci stai facendo linterrogatorio?"
"Ma no! Si parrava. Vero Tino?"
"Sì. Sì" risponde lui. E la vorrebbe abbracciare alla sua Gemma che già la sente sua anche se quasi non si sono scambiati nemmeno una parola.
"Cheffà Tino mi fai compagnia ca scinnu a accattari u pani e la verdura?"
Tino talia alla madre come per cercare il permesso e poi riesce a dire solo: "Certo" ma il sorriso che ciavi nella faccia è molto più di un discorso.

Ora Gemma è sparita che si deve vestire. Tino invece continua a sertirsi in imbarazzo.
"Chiffà ci dico a Carmelo che sei passato?"
In quella domanda cè qualcosa come se quella donna lo sta pigghiannu po culu e Tino accumencia a innervosirsi che non ciarrispunni solo per Gemma.
"Certo! Era per la prossima partita" invece ci dice.
"Allora ti faccio telefonare"
"Va bene. Va bene"

Gemma è pronta che non cè stata assai. Che si vede che ha fatto di fretta e si è solo cambiata la tuta. Anche se a Tino ci piaceva chiossai prima.
Uscendo dalla porta per un attimo si sfiorano e sorridono e "Scusa" ci fa lei. "Scusa" ripete lui. Nella strada poi stanno tannicchia lontani comu se avissiru paura ad avvicinarsi.
"Allora ora travagghi?"
"Sì"
"E comè la Germania"
"Comu cà sulu ca cè chiu friddu"
"Avaia. Non ci criru. Non può essiri"
"Ma sì ca è u stissu. Ti susi travagghi mangi e ti ocucchi"
"E non cillai u zitu nella Germania?"
"Ma su partii un mese fa!"
"E' che io pensavo..."
"Chi pinsavi?"

Davanti al panificio cè un ciauru che a Tino ci veni fami.
"Na mangiamu una raviola?"
Gemma ciaccala la testa e per un po' non cianno più niente da dire ma tanto però non cè nemmeno bisogno.
Quando tornano verso casa ora sono più vicini e Gemma trasi per prima nel portone e Tino la segue e ci dice che ora deve tornare a casa e poi si baciano che nessuno di loro ciaveva pensato che poteva succedere e invece.

08/01/14

Amleto - 8 -



Lingresso è completamente o scuru e Tino fatica a trovare il pulsante che si scanta macari che si ricorda che i fili erano scoperti e non è certo quella la morte che vorrebbe. Non ci ha risposto nessuno ma questo è normale ca ci mancassi autru. Quando invece finalmente è dietro la porta il cuore però ci batte forte. Cià un solo grande desiderio e u Signuruzzu lo accontenta che è proprio Gemma ad aprirci.
"Ciao"
"Ciao. Cioè io... ciao"
A ucca è sicca come quando il sole squaria la testa e le parole sono tutte sparite.
"Chiffai trasi?"
Gemma u lassa davanti alla porta e continua a puliziari lingresso. Tino arresta abbabbasunutu che vorrebbe andarsene ma poi si accorge che lei ogni tanto si furia a guardarlo e allora prende coraggio e metti i peri nella casa e chiude la porta.
"Alleggiu!"
Dalla cucina la voce della madre di Carmelo lo fa tornare al mondo che tutte queste azioni ci pari che sono successe in un secolo e invece non è passato neanche un minuto.
"Cu iè Gemma?"
"Tino. U figghiu di Rosaria.
"Ah! Fallu trasiri"
"E' già intra o ma'"
"Evvabbeni. Macchivoli?"
"Nenti signora cercavo a Carmelo"
"Du risgraziatu rommi ancora. Ma chi facisturu assira?"
"Nenti! Ni mangiamu una pizza"
"Sì. Sì. Senti chiffà tu fazzu un cafè? Veni trasi. Trasi"
Tino non si vorrebbe spostare dalla porta che ora Gemma per pulire bene si è anche accalata e il culo ci disegna la tuta che si è messa per trafichiare.
A carusa continua a fissarlo ogni tanto che i loro occhi sincrociano e scappano comu du acidduzzi in primavera.

07/01/14

Amleto - 7 -



Lui a Rosaria ci ha sempre voluto bene. Peccato per quel figghio inutili. Certo se fosse per lui una bella sugghiata di coppa non ci farebbe male. Che lui ne sa qualcosa. Che quando era nico...
Si susi dal letto e telefona subito a Nico. Vuole sapere se ci sono novità dalla Germania che lultima volta anche là qualcuno ci ha tentato a fare u spettu.
"Senti comu stai? E to figghia? Certo capisco. Insomma ti lava rittu iu. Non cè da fidarsi e va beh! Chiffà ni viremu? Quando? Subito se vuoi! Sì. Sì. Sugnu a casa. Vabbene! Ti salutai. Sì. Ti aspetto."
Marco ci abbia una pirata al comodino che ci spezza una gamba e quello cade a terra e tutto quello che cera dentro si sparpaglia sopra allo scendiletto di pelo di pecora. Che lui non lo ha mai sopportato. Che ci ha sempre fatto impressione mittirici i peri sopra a quel coso.
"Rosaria! Rosaria!"
"Chi succiriu? Chiffù?"
Rosaria nesci tutta a nura dal bagno e nemmeno si preoccupa della confusione. Si metti nterra a ci prende il piede nelle mani. E' tutto chino di sangue e gocce dense cascano sopra il pelo bianco del tappeto.
"Chiffù! Chiffù!" continua a ripetere e pulizia quel sangue con le mani con la lingua fino a quando non è sicura che non è niente di grave.

Tino non lo sa dove andare. Ciavi sulu vogghia di rivedere Gemma ma non si può presentare così presto a sò casa. Eppure gira vota e furia ci passa almeno quattro volte davanti a quel portone che lui nemmeno se ne accorge che nel frattempo ci sono finite anche le sigarette.
Quando trasi dal tabacchino cè anche Don Nico che si sta pigghiannu un café.
"Tu pozzu offriri?" ci fa quello e lui non può certo rifiutare.
Ci sta davanti in silenzio che non lo sa davvero cosa ci può dire ma il vecchio non se ne cura e dopo quellofferta per lui u carusu e come se non esistesse. Si accorge di nuovo di lui solo quando va a pagare che si furia e ci dice: "Ni viremu" prima di nesciri nella strada.
Quando Tino lo vede furiare dalla traversa si sente più tranquillo e attraversa la strada e sono al campanello di Carmelo.

05/01/14

Amleto - 6 -






Marco Butera è assittato nel letto. Con una mano sarraspa i baddi e con laltra teni la tazzina che ogni tanto suga che il caffè è ancora caldo. Rosaria è appoggiata con la testa sulla sua panza immobile come a una bomboniera sopra il comò.
"Tunnau?"
"Sì"
"Certo che non si comporta tanto bene"
"E' caruso. Troppi cambiamenti"
"Certo. Certo. Difennilu macari! U sapissi iu comu fari!"
"Lassa stari Marco. Ci passerà"
"Unni sinni iu assira?"
"A casa di Nico"
"Quannu u iattu non cè... "
"Mi rissi ca tunnau"
"Cui? Nico?"
Rosaria non risponde più che è impegnata in altre cose e accala solo la testa per fare capire di sì. Marco posa la tazzina sopra il comodino e si scorda tutto. Quella fimmina ci fa perdere la testa.
Ce laveva invidiata tanto a Bastiano. Quando lavevano conosciuta se lerano giocata a briscola e quello aveva vinto. Venti anni. Erano passati venti anni ma ancora se la ricorda quella carusidda con quelle minne e quel culo da favola. E in tutti questi anni ce laveva sempre avuta sotto agli occhi che Bastiano se lera anche maritata alla picciotta. E però chi si poteva avvicinare? Quella era la moglie di un amico. E del suo socio macari.
Marco ci spinge la testa che manca poco e poi esplode che ci sembra di morire. Rosaria continua e lascia che quel pezzo di carne piano piano trovi pace dentro la sua bocca.
"Allora tunnau! Bene! Ci dobbiamo fare un discorso io e lui. Ora bisogna essere più attenti. Cè bisogno di carne frisca. Di facce nuove. Non ci possiamo presentare più a fare affari come a una vota. To maritu no vuleva capiri che le cose erano cambiate. Bisogna stare più attenti. E lui invece a credere ancora che bastava essere solo uomo donore. Chi minchiata. Oggi servono società. Prestanomi seri. Avvocati. Dutturi. Autru ca sti scacciacani"
Rosaria si alza e lo guarda che pari innamorata."Sarà su futteva accussì con Bastiano" pensa Marco prima di baciarla che lo sente che lei ha ancora voglia. La fa sdraiare nel letto e inizia a toccarla fino a quando non sente le dita bagnarsi e gli occhi di lei addivintari come spuma di mare.

04/01/14

Amleto - 5 -


Tino lo sa che quello è il momento di nesciri e allora saluta e si fa le scale che non lo vuole pigghiare lascensore perché è così quando lui è contento che la vuole allungare quella sensazione come se il tempo si putissi fermare e ancora nella testa cià limmagine di Gemma e ancora lo stomaco sinturcinia come se avissi fami.
Sotto al palazzo si ferma e si adduma una sigaretta e poi accumencia a camminari che sembra che anche la città si sta svegliando e tutto ci pari novu e ogni cosa china di culuri anche se il cielo è quello triste di ogni inizio di anno.
Quando trasi a casa sua madre è chiusa na camera. “Starà futtennu” pensa Tino e mancu si preoccupa di avvisare che tanto non è importante. Rapi il frigorifero e si tagghia una fetta di formaggio e poi si pigghia tannicchia di vino macari che ci hanno detto che se uno beve di matina ci passa più presto il mal di testa. Con il vino vicino sassetta davanti alla televisioni e accumencia a furiari i canali uno dietro laltro fino a stancarisi locchi.
“Putevi telefonari!”
“Mi scuddai u telefono a casa”
“U visti. Unni fusti?”
“Ni Carmelo. Ni mangiamu una pizza. Turnau so o pà!”
“Ah!”
Non lo sa Tino perché ci ha detto quellultima cosa o forse incomincia a immaginarlo ma non lo sa ancora spiegare.
Madre e figlio comunque finiscono di parrari che già si sono detti troppo.
Lei si metti a preparare un cafè e pigghia le tazze buone e il vassoio macari e poi le bustine di zucchero e un dolcetto ca nesci come per magia da dentro una scatola di latta.
“Lo sposino è a casa?”
"Marco sta riposando"
"Certo! Sarà stanco. E non ciù fai lovetto friscu?"
Tino evita per un pelo la manata nella faccia. "Malarucatu!" ci urla lei ma u carusu è già di nuovo fuori di casa che cià bisogno di aria.

Edoardo Sanguineti

Vengo, con la presente, a te, per chiederti formalmente di esentarmi d’urgenza
dal comunicare, con te, per telefono (io non posso battere zuccate disperate,
contro il primo muro che mi trovo a disposizione, ogni volta, capirai,
appena mollo giù il ricevitore):
(perché, mia diletta, io non saprò mai separare, stralciandole,
le tue parole, a parte, dai tuoi gomiti, dai tuoi alluci,
dalle tue natiche, da tutta te): (da tutto me):
sola, la tua voce mi nuoce.

Edoardo Sanguineti, Microkosmos

02/01/14

"Lucevan li occhi suoi più che la stella"

le vecchiette sul treno a dar di gomito
che si stava in peccato, noi
eravamo così nudi
da ignorarlo, da stupirci solo
del cielo,
del suo lento farsi vermiglio.


Scritto per l'EDS rosso come il peccato proposto da La Donna Camel

Partecipano:
- Melusina con Gloria mundi
- Gordon Comstock con Il peccato più grande 
- Fulvia con Biancaneve  
- Melusina con Red Velvet 
- Hombre con Present continuous
- Angela con Pensiero stupendo - trilogia
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[ritratti inutili] Turi Pappalardo

A me che quando mi hanno eletto non ci volevo credere che io lavevo fatto per fare un favore a un amico mi ha fatto sempre schifo la politica. Tutti mangiatari che bisogna levarci anche le mutande che ci hanno rubato a questi farabbutti e io così ci ho detto ai miei compaesani che loro erano stanchi come a me e mi hanno votato. Ora sono assittato da un mese in questo posto e non è che ci abbia capito ancora assai. Che questi la fanno difficile e ci sono regole e norme e trucchi che appena ti furii ti futtunu. E tu non te ne sei neanche accorto.

Cè uno della vecchia giunta che mi telefona ogni giorno e mi fa i complimenti e mi suggerisce le cose anche se a quelli della sua parte ci fanno danno.
"Vedi Turi io sono stato sempre a favore del nuovo. E' che non posso ora, non posso. Non si sputa nel piatto in cui si è mangiato"
"Visto che lo dici macari tu? E' ora di finirla!"
"Giusto Turi, giusto. Per questo ti voglio aiutare"
"Dillo ca ti scanti. Ieri vi abbiamo fatto cadere il piano regolatore"
"Non siete stati voi Turi. C'era chi voleva fare il furbo"
"Sì! Sì! Cuntaccilla a Tofulu. Siete tutti morti"
"Ah! Ah! Ah! Allora stai parlando con un fantasma?!
"Che centra! Vi abbiamo circondato"
"Ok! Ok! Senti... voglio aiutarti ancora. Tu però non fare il mio nome"
"Sintemu"
"Domani cè la seconda votazione. Devi dire ai tuoi di aspettare. Qualcuno mi chiamerà fuori dal centro, dal partito a Roma. Se siete bravi mancherà il numero legale..."
"E tu? Chi ci varagni?"
"Io? La tua stima Turi. La tua fiducia. Magari quando sarete voi a comandare ti ricorderai di questo tuo vecchio amico segreto"
"Viremu. Viremu. Intanto ciao che devo chiudere ora"

Alla riunione li abbiamo fermati a quegli stronzi. Che loro hanno dovuto cambiare tutto e il giorno dopo hanno approvato una cosa tutta diversa. Ormai ci stiamo dietro. Lo devono capire che se ne devono andare. Il mio amico continua a telefonarmi. Ora è diventato segretario e mi ha fatto trovare un cellulare nuovo tutto rosso sotto allalbero dellufficio. Non cera il nome ma io lo so che è stato lui. Che io non lo volevo. Che a me non mi compra nessuno.

A mia moglie invece ci è piaciuto. Io lavevo portato a casa come prova. Per farlo vedere agli altri del movimento.
"E questo di chi è?" mi ha chiesto lei.
"E' un regalo per te" ci ho risposto e dopo ci siamo baciati.


Scritto per l'EDS rosso come il peccato proposto da La Donna Camel

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01/01/14

[ritratti inutili] Lisa Borletti

Lisa Borletti sa benissimo che quella non è la sua casa, che quello non è il suo letto, che lui non è il suo uomo, eppure continua a non curarsene che questi non son certo pensieri da far venire in testa mentre si sta per scopare: sì, perché Lisa Borletti in questo momento è impegnata in quelli che le riviste chiamano "preliminari dell'atto amoroso". Preliminari che, a giudicare dal rossetto rosso che segna la pelle dell’uomo, dai mugolii che ne disegnano la voce, la vedono garbata protagonista.

Tutto è iniziato la mattina, nell'attimo esatto in cui la curiosa suoneria dello smartphone appena regalato al marito ha annunciato l'arrivo di un messaggio.
"Quel coglione lo ha dimenticato nuovamente a casa!" ha pensato la signora Lisa prima di lasciare le proprie impronte digitali sul vetro ancora privo di graffi.
Il signor Carlo è nudo alle spalle di una donna, nuda anche lei. Avvenente, si direbbe.
"Sarà almeno una quarta" pensa Lisa confrontando subito quell'immagine con il seno un po' calante che le sagoma la t-shirt.
Poco sotto la foto un “sei stato fantastico”, accompagnato da un cuore, la sorprende parecchio.
“Fantastico? Carlo?” pensa, e allora riguarda quell’uomo e sì, il ventre è proprio quello di suo marito e le spalle e le mani e il volto, anche.
Lisa Borletti poggia il telefono e continua a spolverare che i ragazzi ritornano tra poco e ci sarebbe anche da pensare al cenone.
"Oggi esco" dice a tavola decisa.
"Vai al super?" bofonchia Francesco.
Mastica ancora la carne appena portata alla bocca, poi pulisce le labbra con il bordo della tovaglia prima di alzarsi per dirigersi verso la propria stanza.
“Francesco quante volte ti ho detto…” inizia a urlargli dietro il padre interrotto dalla voce del ragazzo.
“Ma’! Se vai al super, mi compreresti un pacco di quadernoni?”
“E tu non gli dici niente?”
Lo sguardo di Carlo cerca gli occhi della madre, ma lei ha già iniziato a raccogliere i piatti e solo sussurra:
“No. Non non vado al supermercato”.

Quando ha iniziato a prepararsi Clara l'ha guardata sorpresa.
“Ma dove vai, mamma?”
“Esco”
“Sì. Lo vedo che esci, ma dove vai?”
“Già, dove vado?” pensa tra sé e sé Lisa ma poi si ricorda di un vecchio invito di Letizia, l'unica amica che le è rimasta. “Vieni con me al Colibrì?” “Quel Colibrì?” “Certo! Perchè no?” “Lo sai cosa si dice di quel posto”
“E allora? Mi hanno detto che è carino”. Poi non se n'era fatto nulla, però.
“Vado in giro” dice alla figlia e sono appena le quattro quando parte con l'auto di famiglia, quella dei grandi viaggi mai fatti, quella delle grosse spese.

“Ma che sto facendo?” improvvisamente si trova a pensare.
“Che sto facendo? Non me ne frega nulla di lui. Sono anni che non mi interessa più. Che non ci cerchiamo più”
Eppure Lisa continua a pensarci, e lo sguardo si ferma sulla bottiglia di olio essenziale appesa allo specchio retrovisore interno che le ha regalato la figlia, sul libro dimenticato da Francesco sul sedile accanto.
“Tutto suo padre!” pensa lei e non si accorge di essere già sulle prime salite. Lontana dalla città, dal Colibrì, da casa sua.
Si ferma al secondo paesino che incontra; deve andare in bagno e poi ha voglia di un caffè, di una sigaretta.


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