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11/11/16

25/09/16

[eroi] Giggiriva



Io l'eroe che sempre mi è piaciuto è Giggiriva. Lui Giggiriva era un calciatore che i giovani forse non lo sanno che non ne hanno mai sentito parlare. Lui ha giocato nel Cagliari che è stata la sua squadra per sempre e anche nell'Italia che ha segnato gol importanti.
Giggiriva è il mio eroe perché segnava sempre e anche a me mi sarebbe piaciuto essere come lui.
Io tiravo i calci alla palla e quando ero vicino alla porta chiudevo gli occhi e allora mi sembrava che c'era lui vicino che così il tiro mi veniva più potente quasi come quelli suoi che una volta ha bucato anche una rete.
A me mi piaceva così tanto Giggiriva che per un po' ho anche ritagliato le notizie che leggevo di lui dai giornali della parrucchiera. Io ci andavo con mia madre e lei e le altre clienti mi rimproveravano per questo fatto ma poi mi perdonavano che mia madre diceva "E' picciriddu" e loro sorridevano.
Io attaccavo i Giggiriva di carta in un quaderno grande e poi mi leggevo cento volte tutte le sue storie come quando gli hanno rotto le gambe quelli dell'altra squadra o il gol di ginocchio che aveva segnato.
Io a Giggiriva ci vorrei dire che lui ha continuato a essere il mio eroe e anche ora.
Ciao Giggiriva che non lo so se sei morto che alla televisione non ti ho più visto ma ti saluto lo stesso.

15/09/16

13/09/16

Ermanno Rea (Napoli, 28/07/1927 – Roma, 13/09/2016)

«Amici, non scherzo, noi amavamo Bagnoli. Perché rappresentava mille cose insieme ma, prima di tutto, perché incarnava ai nostri occhi una salutare contro-cartolina della città. Una contro-cartolina che trasformava in alacrità l'indolenza, in precisione l'approssimazione, in razionalità l'irragionevolezza, in ordine il caos, in rigore la rilassatezza. L'amavamo perché introduceva in una città inquinata - la Napoli della guerra fredda, dell'abusivismo selvaggio, del contrabbando - valori inusuali: la solidarietà; l'orgoglio di chi si guadagna la vita esponendo ogni giorno il proprio torace alle temperature dell'altoforno; l'etica del lavoro; il senso della legalità...»
«Molti» soggiunse «non mi credono quando dico che questa è stata una città fondamentalmente proletaria. Quello che anzi mi pare oggi in via di volontaria cancellazione è forse proprio questa tradizione, questo vecchio cuore.»

La dismissione, 2002

11/09/16

Santiago del Cile, 11 Settembre 1973



"Sicuramente questa sarà l'ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi. La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes. Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno. Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l'ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell'Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri. Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente. Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece. In questo momento conclusivo, l'ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l'imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini. Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all'allegria e allo spirito di lotta. Mi rivolgo all'uomo del Cile, all'operaio, al contadino, all'intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l'obbligo di procedere.
Erano d'accordo. La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento."

30/08/16

Quell'anno si continuava a nascere, si ammazzavano presidenti, qualcuno scriveva canzoni

Questa notte, la prima voce al risveglio gracchiava:
The times they are a changin'”,
ed era tutto perfetto, pensavo:
era perfetto quel risveglio
e la data e il ricordo
di un vissuto. Un sogno.
Era tutto perfetto, insomma.
Sì, certo, quasi perfetto, a rifletterci,
ma di sicuro lo sarebbe potuto essere,
perfetto intendo.
Lo sarebbe potuto essere, mi dicevo,
se non fosse stato casuale quell'accadere,
se non fossero stati casuali questi cinquantatré anni,
questi cinquantatré anni passati qui, sull'A1,
a svegliarsi dopo mezzanotte su questo pezzo,
questo pezzo che dice “The times they are a changin'”.
Tutto sarebbe stato perfetto senza questi cinquantatré anni,
senza inseguire nel buio
distributori di metano o la sagoma di un TIR, senza
il risveglio
di un caffè bruciato.
“Your sons and your daughters” cantava Bob e io, intanto,
io
rimettevo in moto verso casa.
Sai Bob, gli avrei voluto dire, sai Bob…
ma non mi uscivano parole,
così sono andato.

25/08/16

libri

che mi ricordi ho sempre letto, i libri di scuola, quelli regalati dalle suore, le preghiere sui santini, i fotoromanzi delle cugine, Mandrake e Capitan Miki, Tex e il Corriere dei Piccoli, e poi le composizioni dei prodotti stipati in bagno o i bugiardini delle medicine, Supersex o Topolino. Ho sempre letto, vorace, disordinato, curioso. Crescendo le letture sono diventate una sfida, libri che oggi non leggerei se non fosse indispensabile farlo, libri di cui capivo poco, forse, ma che mi costringevano a dare loro tutta la mia attenzione. Ho continuato fin quasi al matrimonio, poi una lenta discesa. Ho letto sempre meno, è stato sempre più difficile scegliere tra i titoli. Quando ho cambiato città e ho dovuto abbandonare i miei di libri ho riscoperto le biblioteche (frequentate sporadicamente al liceo). La scusa ufficiale era data dai figli, la costanza dal potersi aggirare tra gli scaffali senza grossi impedimenti e piluccare tra i volumi fino ad arrivare alla scelta dei cinque testi da poter portare a casa e divorare o scartare. I figli sono cresciuti, la biblioteca è stata chiusa, io sono sprofondato sempre più nelle Paludi della Tristezza...
Ho ripreso in questi giorni con un ciclo aperitivo (Una serie di sfortunati eventi)  ho proseguito con un robusto piatto completo (l'autobiografia, godibilissima, di Hobsbawm)* e finalmente sono arrivato al dolce (Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli)**. Sono sempre disordinato, ma va bene così. Spero solo che continui la voglia...


* " Il 25 gennaio 1933 il partito comunista organizzò l’ultima sua manifestazione legale, una marcia di massa nel buio di Berlino, che terminò al quartier generale del partito, il Liebknechthaus in Bülowplatz (oggi Rosa-Luxemburg-Platz), in risposta a una provocatoria parata di massa delle SA nella stessa piazza. Vi partecipai, presumibilmente, con altri compagni dell’SSB, anche se non mi ricordo di loro.
Dopo il sesso, l’attività che permette di combinare al massimo grado esperienze corporee con intense emozioni è la partecipazione a una manifestazione di massa in tempi di grande esaltazione pubblica. Ma al contrario del sesso, che è essenzialmente individuale, una manifestazione di massa è un’esperienza per sua natura collettiva e al contrario dell’orgasmo – almeno per gli uomini – la si può prolungare per ore. D’altro canto, al pari del sesso, implica un’azione fïsica – marciare, urlare slogan, cantare – attraverso la quale si esprime la fusione dell’individuo nella massa, e questa è l’essenza dell’esperienza collettiva. Fu un evento indimenticabile[...]"

** "Mi appoggiò la testa sulla spalla, – Ma tu aggiri sempre il dolore così, Libero?
Per aggirarlo usavo il sesso, il cinema, il cibo. A volte la letteratura. E lei come lo aggirava? Con il sesso, con il nuoto, e con l’insegnamento".

28/07/16

21/07/16

Buttane - Alfiuccia

Alfiuccia non è veramente una fimmina però è capace di farti andare nel paradiso megghiu di tante altre che fimmine sono solo allanagrafe.
Quannu lassau a sò casa ciaveva sedici anni che suo padre non la sopportava chiù la vergogna, però so matri arrinisciu ad aiutarla che ci trovò una stanza dentro alla casa di un suo parente.
Ciavevano tenuto le iaddine lì dentro fino al giorno prima, ma Alfiuccia arrinisciu a sistemarlo quel buco anche se ci mancava pure il cesso e per doccia ciaveva il tubo di gomma. Lei per i suoi bisogni sinni ieva al bar macari che ogni volta ci faceva senso lì dentro specie se ci doveva arrivare quando cera gente. Però era diventata amica del barista. Lui era sempre gentile con lei e lei forse sera anche innamorata macari ca non successi mai nenti tra di loro.
Il primo cliente arrivau presto. Arreri alla Villa che lei sera fatta una passiata e un vecchio ci sassittau vicino e accuminciau a tuccari. Alfiuccia era immobile che non sapeva che fare e si scantava macari, ma quello pinsau a tuttu iddu che ci pigghiau a manu e la guidò dove e come ci piaceva. Quannu tuttu finiu Alfiuccia non si sposto. Ferma, immobile come a una statua delle chiese, ma nella sacchetta ciaveva dieci euro che prima non cerano.    

20/07/16

Buttane - Mena

Mena ciaveva accuminciatu ranni a travagghiari. Il marito celavevano messo nel collegio che ava ammazzatu uno che laveva fatto ingelosire. Ci diceva ca sa futteva e che però non ce lavrebbe perdonato e che poi sarebbe toccato a lei fare la stessa fine. La polizia era arrivata prima però e lavvocato per la difesa sera accontentato di vederla arrivare ogni sera nell'ufficio.
Mena prima pulizziava le stanze  e poi ciarriscialava lanima a quel porco.Quando era finito il processo lei sera licenziata che trentanni di suvvizza non lavissi supportati.
Accussì sera confessata con una sua vecchia compagna di scuola, unamica, e aveva accuminciato a travagghiari insieme a lei. Erano brave insieme e molto ricercate, cappoi lo dice anche la pubblicità che dui è megghiu di una.
Ora si sono ritirate e lei nel frattempo ha divorziato. Saccattanu macari una casa insemula. Ogni tanto si fanno un viaggio oppuri nesciunu per andare al cinema o al teatro che la vita può addivintari macari piacevole.  

19/07/16

Buttane - Catina a sciancata

Nella acchianata di Santa Lucia Martire cè un pisolu che è tutto smangiato. Chistu è u puntu unni esercita Catina a sciancata. E prima di idda so matri e prima ancora so nonna e così via che se lavissuru segnati tutti lantenati fussuru stati chiossai di quelli delle pagine della Bibbia.
Lei non è proprio una biddizza, però è onesta no so misteri e se può una carizzedda nel prezzo la fa con piacere.
Catina cammina sempri cu nu vastuni eleganti che quando era carusidda ce laveva rialato un onorevole in persona. Dice che quel regalo era stato pecché lei aveva resistito per cinque giorni di fila allassalti di baionetta di quel cristiano e alla fine aveva vinto che sera stancato prima lui.
Ora che sera fatta chiatta di culu e che minni calati i so clienti erano soprattutto vecchi e accussì a lei ci bastava sulu una carizza per consolarli che a fare altro la maggior parte non ciarrinisceva.

18/07/16

Buttane: Cicciuzza

Cicciuzza aveva masticato accussì tanti minchi che ormai ciaveva perso il sapore. Non è che le dispiacevano, ma non ci faceva chiù festa. Eppure se la ricordava ancora la prima che cera sembrata come a un ghiacciolo però chiù cauru e idda sera applicata fino a quando non laveva sciolto tutto il gelato, che quello, il proprietario, ciaveva detto brava e ciaveva dato una carizza in quella facciuzza di bambola.
Ora non ciabbastassi chiù quel guadagno, che la vita è malvagia.
E in effetti Cicciuzza varagna bonu ogni sira macari su accumencia a esserci letà, ma ci sù i clienti fissi e i carusiddi curiosi che la canusciunu per fama.
Appoi, quando finisce, sarricogghi a casa che u travaggiu non finisci mai. Ci sù i picciriddi da preparare per la scuola, lacidduzzi da pulizziarici a iaggia, a za' Cuncetta di pavari che ciabbada alle creature.
Quannu finisci tutti i cosi Cicciuzza si o cucca che per spuntare qualcuno a casa sinniparra e tri, e cè tempo.

13/07/16

[testimonianze] Garibaldi -fine-

Cane è accanto a lui, ormai fuori dal muro sbrecciato. Le patatine sono già finite e la notte profonda si avvicina. Forse quell’umano può essere quello giusto, pensa. Si avvia insieme a lui e non sa per quanto tempo o verso dove, ma queste sono solo sciocchezze che interessano quegli strani animali a due zampe.
Eccoli, allora, passare sotto i calzoni in pietra di Giuseppe. C’è ancora Achille seduto lì. Si è addormentato.
Cane gli si avvicina provando a spostargli il braccio che pende lungo il fianco del gradino mentre l’altro è sotto la testa. Cane vorrebbe rassicurarlo, farsi vedere prima di proseguire. Alfonso si è fermato, lo lascia fare anche se inizia a sentire qualcosa che somiglia alla gelosia. Del resto ha già incontrato quell’uomo parecchie volte e sa che non è cattivo.
“Ah! Sei tu!”
Achille si ritrova davanti agli occhi il muso di Cane. Si rialza mettendosi a sedere.
“Tu sei il cane ferito vero? È lui Giuseppe. È il cane ferito. E come stai? Io mi sono addormentato, scusami. Zoppichi? Fammi vedere”
Cane gli avvicina la zampa ancora un po’ indolenzita. Il sangue si è asciugato, una piccola crosta segna il punto della ferita.
“Direi che va tutto bene…”
Achille gli sorride e Cane risponde abbaiando e scuotendo un po’ la coda.
“È tuo?”
Alfonso è rimasto un po’ in disparte.
“No, no. Ho visto che l’avevano ferito”
“Chi?” domanda Alfonso rabbuiandosi.
“Non lo so, non c’era nessuno quando sono arrivato io”
“Mmh! Bisognerebbe saperlo… ora comunque sembra stia meglio. Bene, io vado”
Alfonso si incammina lentamente. Cane si riposizione subito al suo fianco e l’uomo non può evitare una involontaria smorfia a nascondere una inattesa gioia.
“Allora andate... ci vediamo, allora… io rimango qui”
Achille non ha voglia di spostarsi e poi stava già dormendo.
“Hai visto?” Chiede a Giuseppe voltando un po’ il capo “Sembra che vadano d’accordo”
“Sì ho visto, ma tu? Non vorrai dormire ancora qui stanotte”
“E che male c’è? Non c’è neanche freddo… ti do fastidio?”
“Figurati, lo dicevo per te”
Giuseppe pronuncia l’ultima frase lentamente, forse ha paura di ferire l’amico, ma Achille sta già sognando. Nulla può disturbarlo.

12/07/16

[testimonianze] Garibaldi -27-

Alfonso continua a camminare. Ai suoi passi si alterna un leggero guaire, ma nonostante tenti di individuarne la fonte non riesce a scorgere nulla che ne rilevi la provenienza. A incuriosirlo ancora di più il fatto che quando si ferma per ascoltare meglio tutto tace, mentre il guaito riprende non appena si muove. Alla fine, però, la sua ricerca riesce ad essere premiata:
“E tu che ci fai qui?”
Cane si è ripreso, anche se è ancora un po’ dolorante. Ha una gran fame. Affaccia il muso dal pertugio in cui si è nascosto e lascia che Alfonso lo accarezzi. Stanno un po’ lì così, senza saper bene cosa fare dopo. Poi è l’uomo a parlare.
“Ti hanno ferito cane? Sai, è successo anche a me. All'inizio fa male, a me ha fatto male, ma poi passa se si riesce a sopravvivere. Rimane il segno. Memento mori, conosci? Rimane il pensiero che qualcosa non è stato completato, per te e per l’altro. Rimante la rabbia… e tu? Sopravvivrai?”
Cane mette fuori un po’ più la testa quasi a volerlo rassicurare. Poi inizia a leccargli la mano senza sosta.
“Sì, sì ho capito. Sopravvivrai. Hai fame?”
Alfonso non attende la risposta; ha già individuato, poco distante, le insegne di un bar. Sparisce per una decina di minuti, poi torna con una busta nella mano.
“Mi dispiace, avevano solo queste.”
Le apre in fretta, sedendosi, nel frattempo, sul cordolo in pietra del marciapiede. Patatine, scrocchiano in bocca a Cane e anche lui ne mangia qualcuna, mentre pensa per la prima volta da tanto tempo al futuro.
“Vuoi venire con me?”  gli chiede.  
Cane è accanto a lui, ormai fuori dal muro sbrecciato. Le patatine sono già finite e la notte profonda si avvicina. Forse quell'umano può essere quello giusto, pensa. Si avvia insieme a lui e non sa per quanto tempo o verso dove, ma queste sono solo sciocchezze che interessano quegli strani animali a due zampe.
Eccoli, allora, passare sotto i calzoni in pietra di Giuseppe. C’è ancora Achille seduto lì. Si è addormentato.

11/07/16

[testimonianze] Garibaldi -26-

Fio si volta leggermente, è Daniela. La riconosce subito.  
Anche lei lo ha riconosciuto e gli sorride attirandolo a sé. Come due boccheggianti pesci ritrovano un mare fatto di sguardi e parole. Fio non sa perché ma si ritrova a parlarle di tutto e lei lo ascolta e unisce le proprie frasi a quelle di lui. 
Dove si erano nascosti l’uno all'altro fino a quel momento? Ma non affiora mai la domanda. Non c’è tempo ora. Bisogna solo chiudere fuori il mondo e carezzarsi l’anima. 
Escono presto dal locale. Francesco rimane, è al tavolo con due donne che potrebbero essergli madri. Loro, invece, si incamminano lungo le vie del centro fino a trovare una piccola piazza e una panchina. Può bastare. L’aria fresca li avvicina un po’ di più, il desiderio delle labbra li lega. Sono piccoli baci imbarazzati che ornano i loro discorsi. Non lo hanno ancora ben compreso, ma sono tornati bambini.
Un uomo con dei strani baffi attraversa la piazza. I suoi pensieri potrebbero rabbuiare quelli della coppia, ma per fortuna non si incontrano rimangono sospesi nell'aria quasi fossero due piccole nuvole e il vento non riuscisse a spostarle per confonderle.
“Forse dovrei soltanto completare quello che ho iniziato” pensa Alfonso, l’uomo con i baffi. “Terminare il lavoro e poi sparire. Ecco forse sarebbe l’unico modo per poter davvero dimenticare”
Neanche Alfonso sa di essersi smarrito.

La piccola piazza vive per un po’ il passaggio di queste tre vite, a rigore anche quella di un gatto in cerca di avventure che per un attimo appare sullo sfondo, poi si attrezza a custodirne memoria. Sono passati in tanti da lì. Alcuni uomini, i più paurosi, hanno inciso i propri pensieri nei suoi anfratti più segreti; mentre altri uomini le attribuivano nomi destinati a mutare, buoni solo a ricordare sé stessi. Tutti loro sono stati divorati dal tempo, ma la piazza li ricorda sempre nel respiro delle sue pietre, nell'apparire e sparire delle crepe. Lei per sempre ne ha intrappolato il ricordo, l’anima.

10/07/16

[testimonianze] Garibaldi -25-

Luca paga e va via verso casa, peccato aver perso quei soldi. Sulla bici continua ad essere distratto. Il vespro illumina ancora la città e lui inizia a fermarsi per fare foto che non gli restituiranno mai la bellezza di quei momenti. Non importa, comunque. Ci vorranno anni prima che guardando quelle immagini sparisca per lui la luce che le illumina. Luca questo ancora non lo sa e forse ne avrà coscienza solo quando quella luce ritornerà senza chiedergli permesso. In altri momenti, in altri luoghi, in altri tempi.  
Tra le tante foto ne fa una a due ragazzi che gli vengono incontro in una piccola piazza deserta. Il cielo alle loro spalle è rosa, i profili dei palazzi netti come ombre cinesi.
Parlano fitto tra loro. Il più giovane sembra scusarsi o comunque essere in soggezione rispetto all'altro
“Potevi avvisarmi”
“Sei grande abbastanza avresti dovuto capirlo”
“Ma io…”
L’altro si ferma e lo guarda dritto, ma non sembra arrabbiato anzi è quasi divertito.
“Fio hai torto. E comunque la cosa è andata così…”
“Sì forse hai ragione Francesco… cosa fai ora?”
“Andrò a fare un giro, oggi offre la fortuna” risponde e queste ultime parole sono accompagnate da un involontario portarsi la mano alla tasca “Perché non vieni con me?” aggiunge.
“Io, insomma”
“Non dirmi che hai impegni”
“No, è che…”
“È che sei uno sfigato… - gli dice ridendo Francesco e nel dirlo lo tira a sé con un braccio sulla spalla “Dai vieni! Ci facciamo fuori questi cento euro”
Fio pensa che forse non sarebbe il caso, che sarebbe meglio conservarli quei soldi che il padrone ha diviso a lui e al collega, ma poi decide che per una volta può andare bene anche così.
“Va bene allora, dove andiamo?”
“C’è un bar che chiude tardi qui vicino, rimorchiamo facile”
“Non ti è bastato?”
“Cosa Fio? Che mi hai interrotto sul più bello”
“Ma il padrone mi aveva detto di cercarti”
“E io avevo detto a te di sostituirmi, ricordi?”
“Sì, sì, ma c’era anche quel signore che aspettava da tempo e lei che non tornava, insomma dovevo per forza andare a vedere”
“E hai visto bene?” Francesco questa volta ride di gusto.
Fio diventa rosso che di vedere aveva visto ed era la prima volta per lui. Quella ragazza era proprio carina, l’aveva già notato prima quando l’aveva aiutata. Anche inginocchiata davanti a Francesco non era per nulla volgare. Perfino in quel suo sorridere mentre, per nulla turbata, gli aveva chiesto se anche lui…
Fio aveva richiuso in fretta la porta.
“Il padrone ti vuole” aveva urlato e poi era tornato a servire ai tavoli all'esterno.  I due erano arrivati poco dopo. Prima Francesco e poco dopo lei, un attimo prima che il suo uomo si alzasse per cercarla.
“Ma come hai fatto?” chiede Fio
“Ci eravamo già conosciuti…”
“Sei incredibile” e nelle parole di Fio c’è ammirazione e sorpresa.
“No credo di no, piuttosto guarda è quello lì”
Francesco gli indica un portone da cui proviene una luce fioca.
“Ma non c’è nulla”
“Fidati, basta conoscere e di entra”
Francesco si muove con sicurezza. Il buttafuori all'ingresso li lascia passare senza problemi.
I due superano un’altra porta e si ritrovano, dopo un corto corridoio, in un piccolo giardino. La gente lì chiacchiera tranquilla. Francesco si avvicina al banco bar e prende qualcosa per loro due.
“E allora?” chiede.
Fio continua a guardarsi attorno. “Mi piace” risponde.
“Sì, è un posto tranquillo. Non c’è mai troppa gente e non ti fanno storie se rimani anche solo a parlare. Per questo conviene arrivare abbastanza presto…”
Fio sorseggia l’intruglio. È fresco, anche se molto forte per le sue abitudini. Porta il bicchiere in alto verso Francesco chiedendone il costo.
“Non ti preoccupare siamo appena arrivati… piuttosto hai già fatto colpo. Guarda come ti guarda quella lì”
“Chi?”
“Alla tua destra”
Fio si volta leggermente, è Daniela. La riconosce subito.

08/07/16

[testimonianze] Garibaldi -24-

Al tavolino vicino al bancone due ragazzini si guardano imbambolati. “Che bello!” pensa, poi esce con il bicchiere caldo tra le mani per tornare in ufficio.
Non si accorge che Luca la segue con lo sguardo indicandola alla ragazza accanto a lui.
“Hai visto?”
“No, cosa?”
“Era senza mutande!”
“Ma dai! Che fantasie ti fai...”
“Era così ti dico, la gonna era completamente trasparente, lì all’entrata con quella luce. E sotto non aveva nulla…”
“Mah! Saranno fatti suoi!”
“Sì, sì hai ragione” conclude Luca e scoppia in una risata.
“Che giornata strana” intanto pensa, e nel frattempo continua a perdersi negli occhi di lei.
“Sei bella” le dice mentre le sue dita inseguono e solleticano piano sul tavolo quelle di lei.
Lei si avvicina ancora di più e poggia la testa sulla sua spalla.
“Si è fatto tardi, devo tornare a casa. Non voglio che mia madre rientri prima di me.”
“Dai! Non hai detto che è sempre in ritardo?”
“Sì, ma…”
“Solo un altro toast e poi andiamo… sono buoni qui”
“No, no. Non posso Luca”
“Ok… e domani? Ci vediamo?”
Il volto della ragazza si illumina.
“Sì, certo! Se vuoi natural…”
“Certo che voglio! Come oggi?”
“Sì, però cerca di non farti investire questa volta…”
“… e di non perdere nulla!”
Scoppiano a ridere, poi lei si alza e gli dà un bacio leggero sulle labbra.
“È stato bello” sussurra.
Lui non risponde. Rimane in silenzio mentre lei va via. Solo quando, ormai fuori, la vede girarsi per salutarlo con la mano riesce a bisbigliare uno sconsolato “Ciao”.
Luca paga e va via verso casa, peccato aver perso quei soldi. Sulla bici continua ad essere distratto. Il vespro illumina ancora la città e lui inizia a fermarsi per fare foto che non gli restituiranno mai la bellezza di quei momenti. Non importa, comunque. Ci vorranno anni prima che guardando quelle immagini sparisca per lui la luce che le illumina. Luca questo ancora non lo sa e forse ne avrà coscienza solo quando quella luce ritornerà senza chiedergli permesso. In altri momenti, in altri luoghi, in altri tempi.  
Tra le tante foto ne fa una a due ragazzi che gli vengono incontro in una piccola piazza deserta. Il cielo alle loro spalle è rosa, i profili dei palazzi netti come ombre cinesi.

07/07/16

[testimonianze] Garibaldi -23-

Il telefono squilla inopportuno.
“Sì Carmine, io sono qui… no, loro non sono ancora arrivati…”  
“Ma come non sono ancora arrivati?”
“È così ti dico…”
“Bene, provo a rintracciarli”
“Fammi sapere se ci sono novità”
“Sì certo”
“Ciao”
“Ciao”
Andrea poggia il cellulare sul tavolo e guarda Alberto. Non sa più cosa dire. Non le importa molto di dire qualcosa.
Anche Carmine mette giù il telefono. Chiude gli occhi e si concentra sulle mani di Guglielmo che stanno frugando sotto la sua gonna.
Le ha sentite arrivare appena si è chinata sul tavolo per prendere il telefono, come in quei filmini che vede ogni tanto sulla rete. “Roba da film porno – pensa - Ma che importa, è bello anche così”
Sposta con attenzione i fogli dalla scrivania; le gambe sono ben piantate a terra, la gonna sollevata sui fianchi. Carmine si abbandona al piacere; si sdraia e le mani vanno a stringere i bordi del tavolo, il seno si schiaccia su di esso. Inizia a mugolare piano mentre lui muove sempre più velocemente le grosse dita dentro lei. Ascolta il respiro di lui sulla sua carne, la sua lingua impudente, percepisce l’altra mano che le strizza i capezzoli. È un attimo, qualcosa che non le è mai successo. Sente il corpo sussultare, il ventre esplodere. Guglielmo ha il viso madido del piacere di lei, ma continua. Continua fin quanto non la sente di nuovo tremare, cedere, quasi, sulle gambe.
“Basta…” prova a sussurrare Carmine.  Guglielmo si spinge un po’ indietro, le allarga le cosce e la fa sedere su di lui. È talmente bagnata che inizialmente fatica a sentirlo, poi però, inevitabilmente, è solo lei a muoversi fin quando quello non perde il suo vigore, la sua forza.
Non si sono detti nulla. Carmine si rialza e va in bagno, Guglielmo fatica di più, preferisce poggiare il capo sul poggiatesta della carrozzina e chiudere gli occhi. Lei lo ritrova così, sembra che stia dormendo.
Decide di uscire un attimo per un caffè, lo porterà anche a lui. Mette il cartello chiuso sulla porta e si avvia verso il bar poco distante. Durante il tragitto sente qualche goccia scivolare sulle sue gambe, leggeri brividi attraversarle il corpo. Fa in fretta.
Al tavolino vicino al bancone due ragazzini si guardano imbambolati. “Che bello!” pensa, poi esce con il bicchiere caldo tra le mani per tornare in ufficio.

06/07/16

[testimonianze] Garibaldi -22-

E invece arriva puntuale. Andrea è splendida e il posto sembra molto carino, non sono mai stati qui.
“Finalmente il tuo capo si è deciso a cambiare”
“Dici qui? Sì, sembra carino. Entriamo?”
“Entriamo “
Andrea si è preparata al meglio, sono in tanti a voltarsi per osservarla. Lei non dà loro importanza, non le interessa niente altro che legare a sé l’uomo che le sta accanto.
Alberto attende che lei si sieda prima di farlo a sua volta. Andrea ha sempre amato queste cortesie fatte con naturalezza, come fosse semplicemente giusto così.
“Hai pensato a questa estate?”
Glielo ha chiesto prima ancora di controllare il tavolo dei suoi sorvegliati. Non è riuscita a resistere, anche se sa già la risposta
“Sì”
Alberto lo ha detto di fretta quasi sperando che quel monosillabo potesse portare ad altri argomenti, ma Andrea non molla.
“Andrai con lei?”
“Con loro Andrea, andrò con loro”
“E noi?”
Il viso della donna è quello di una bimba imbronciata e nello stesso tempo spaventata.
“Troveremo il modo di vederci, lo sai. E poi potremo   stare fuori un fine settimana dopo… lei rimane un po’ di più per stare vicino a una sua zia e poi rimangono anche i ragazzi…”
“Non riesco più Alberto”
È come se Andrea improvvisamente avesse abbandonato la sua recita, il vestito seducente, il trucco perfetto, i modi da rotocalco femminile, per lasciare uscire tutta la sua amarezza, la sua rabbia, l’odio.
“Cosa non riesci…”
“Lo sai benissimo, non riesco più così… ti amo troppo per continuare a fare l’amante, per i fini settimana a sorpresa, per gli scampoli, per le scopate fatte di fretta. Non riesco Alberto”
Le parole sono arrivate in fretta, come fossero da tempo ristrette lì, tra i pensieri che emergono e quelli destinati a divenire sabbia. Come se non avessero più tempo prima di morire.
“Ne abbiamo già parlato, lo hai detto anche tu che…”
“Non mi interessa quello che ho detto o che tu hai detto. Ci eravamo appena conosciuti, ora è diverso. Diverso per me intendo, certo non lo so se tu…”
“Ti amo anche io, lo sai”
“No, non lo so affatto… scusami…”
Il telefono squilla inopportuno.
“Sì Carmine, io sono qui… no, loro non sono ancora arrivati…”  

05/07/16

[testimonianze] Garibaldi -21-

Achille chiede e ottiene. Gli occhi gli brillano e sorride a volte, altre piange.  
Marisa lo vede che c’è ancora luce anche se è già tardi
“Ciao Achille”
“Ciao Marisa”
La donna procede in fretta. La borsa stretta al braccio destro e la sporta di tela a pesare su quello sinistro.

“Dovrò dirglielo. Sì, glielo dico. Ma come? Aspetterò la fine della cena, forse però è meglio qualcosa di diretto. Potrei avvicinarmi a lui e vedere se mi bacia, baciarlo io stessa. No, no. E se poi non succede nulla? e se lui non ha intenzione? Potrei aspettare ancora… sì, certo! E poi ritrovarmi a fare la perpetua per tutta la vita o magari rimanere sola. No, è meglio che gliene parli. Ora. Oggi. Che male c’è? Siamo adulti. Adulti e vaccinati. se proprio non mi vuole gli dirò che per me va bene pure così. Così come? Ma ci ho pensato? Scommetto che tutto il vicinato pensa che stiamo insieme. E allora? Che me ne frega dei vicini, di quella gente? Se glielo devo dire è per me, mica per i vicini. Ecco. Senti Carlo da quanto tempo vieni qui? Non credi che sia ora… ora di che Marisa? Quello non ti vuole e se non fosse così non credi che ti sarebbe già saltato addosso? Lo sai come sono gli uomini, è inutile che fai la verginella con me…”
Manca poco a casa, non si accorge dell’uomo che le viene incontro, anche lui distratto. L’impatto è inevitabile.
“Mi scusi! Mi scusi!” fa quello mentre raccoglie della frutta e una piccola torta che la donna ha comprato prima di avviarsi verso casa.
“Mi dispiace veramente…”
Marisa lo guarda con compassione, qualcosa le dice che non deve passarsela meglio di lei. Non economicamente, certo, ha una bella giacca e un aspetto molto curato. Anche le scarpe sono belle. Strano per un uomo.
Lo ringrazia e prosegue per la sua strada. “Speriamo che almeno la torta si sia salvata” pensa un attimo prima di ricominciare ad affrontare sé stessa. Anche Alberto, l’uomo in giacca, prosegue il suo cammino.

04/07/16

[testimonianze] Garibaldi -20-

Achille si siede sui gradini alla base del monumento e inizia a guardare fisso davanti a sé.
“È questo che vedi?”
“Non è poco”
“Sì, hai ragione. Passa tanta gente da qui. Scommetto che li conosci tutti, magari li hai visti crescere”
“Sì, è vero”
“E loro? Loro si ricordano di te?”
“Pochi. Più che altro servo per gli appuntamenti, o qualche alunno bravo che ha appena studiato la lezione per l’interrogazione a scuola. Però non è stato sempre così. Un tempo passava la banda e c’erano i fiori e le classi dei bambini e il sindaco e le persone illustri. Ti confesso che non ci ho tenuto mai molto. Non che mi dispiacesse, per carità! Questo no, ma sapevo già come sarebbe andata a finire”
“È così per tutti. Per tutti gli umani, intendo”
“Sì credo di sì. E poi, magari alla prossima guerra arriverà qualcuno, qualcosa che distruggerà tutto… e allora, finalmente, toccherà a me sparire”
“Non sarà tanto semplice”
“Sei troppo saggio mio buon Achille, ma il tempo lo è certo più di te. Sai che una volta ci hanno fatto l’amore qui? Proprio dove sei seduto tu?”
“Veramente? Dai racconta…”
“Ragazzi, c’era una delle solite guerre. Ricordo che piovevano le bombe dal cielo. Io mi son dovuto concentrare sull'orizzonte. Non volevo certo star lì a guardarli”
“Certo che anche tu, però… ai tuoi tempi”
“Già, hai ragione”
“E questo buco, qui sulla base? Me lo sono sempre chiesto”
“Un colpo sfuggito al corpo di un uomo. Lo avevano messo qui, sotto di me, ad aspettare la morte”
“Racconta, racconta…”
Achille chiede e ottiene. Gli occhi gli brillano e sorride a volte, altre piange.  
Marisa lo vede che c’è ancora luce anche se è già tardi
“Ciao Achille”
“Ciao Marisa”
La donna procede in fretta. La borsa stretta al braccio destro e la sporta di tela a pesare su quello sinistro.

03/07/16

[testimonianze] Garibaldi -19-

Achille si alza e riprende la strada, con calma che non c’è fretta.
La carreggiata su cui cammina diventa sempre più stretta fino a ad arrivare a due piedritti e all’arco che li sovrasta.  Achille ha sempre amato quei pochi metri. Non ne conosce la storia ma ha sempre immaginato che quella fosse l’antica porta di qualche castello. Chi altro se non un principe poteva fare affacciare così, sulla piazza del suo amico Giuseppe, la propria casa?    
“Eccolo ancora lì”
Garibaldi ha visto spuntare l’ombra di Achille e sorriderebbe se fosse possibile perché in fondo si è affezionato a quella strana creatura. Gli ricorda certi suoi amici sudamericani bruciati dal sole e dalle malattie eppure capaci di vivere più intensamente di ogni altro dei loro, dei suoi, compagni.
È passato così tanto tempo. Saranno statue pure loro? No, di sicuro loro sono stati più fortunati. Sono tornati all’oblio da cui venivano, alla terra e al cielo.
“Avvicinati piccolo Achille, fatti guardare… ma tu lo sai che nonostante il nome che porti sei destinato anche tu a perire? Vorrei proporti un cambio… vuoi prendere il mio posto, qui su questo piedistallo, per un po’? Io ne approfitterei per farmi un giro qui intorno, per vedere, per sentire oltre questo mio orizzonte. Per dimenticarmi chi ero, chi fui. Per stringere e per lasciare”
Achille è arrivato sotto la statua, sembra quasi che abbia sentito il pensiero di quella. Appare perplesso, come se non avesse ben capito.
“Io te lo farei pure il favore, ma c’è un cane che mi attende e poi a me non piace stare immobile se mi ci mettono. Sai mi è capitato una volta che certa gente mi ha preso e mi ha legato lì nel parco. È stato poco simpatico e poi dei ragazzi mi hanno anche scritto addosso delle cose e sono rimasto così… tutta la notte. fin quando non mi sono addormentato, fin quando Carlo lo spazzino non mi ha liberato e ripulito e portato al bar a mangiare qualcosa. Era buono il cornetto, pieno di marmellata calda che quasi mi bruciavo…”

02/07/16

[testimonianze] Garibaldi -18-

Da un portone sulla stradina, un uomo grasso esce urlando. Parla con qualcuno poggiato ad una finestra.
“Ma che hai preso Giovanni? Non lo vedi che non c’è nulla?”
“L’ho preso ti dico! C’è anche del sangue?
“Sangue? Da qui non vedo nulla. Sarà del colore”
Il grassone scuote la testa poi ritorna sui suoi passi
“Eppure ero sicuro”
“Dai vieni su. Mi devi una birra”
Era appena rientrato quando sulla strada appare Achille. Ha visto tutto. Ha sentito tutto. Muove il capo dondolando a destra e a sinistra come fosse, nonostante tutto, impossibile capire. Segue le tracce di sangue fino ad arrivare al pertugio e si inginocchia sui pantaloni sdruciti come se dovesse chiedere perdono. Lì è tutto buio, ma lo sente respirare e allora gli parla:
“Tutto bene? Ti serve aiuto? Esci se vuoi, sono andati. Puoi fare un pezzo di strada con me. Andiamo a mangiare qualcosa… ti va? Tutto bene?  Vuoi che ti porti a fare medicare?  Conosco un medico, io. Uno di quelli bravi che hanno lo studio. Una volta l’ho aiutato a cambiare la ruota dell’auto e lui mi ha dato un bigliettino. Vieni da me se ti serve aiuto, mi ha detto. Mi raccomando, ha aggiunto. Io però non ci sono mai andato che per fortuna tutto è sempre andato bene, però…  vuoi andarci tu? Lo so che quello cura noi, ma magari… una emergenza…”
Cane lo sente. Sa che potrebbe fidarsi, ma preferisce rimanere lì. Attendere la notte.
Achille indugia ancora. Si siede incrociando le gambe e poggiando la schiena al muro. Dalla borsina militare a tracolla che porta con se estrae un panino e una cipolla, inizia a mangiare. Ogni tanto dà un’occhiata verso il Cane, verso il buio, insomma, ma non parla più. Ha capito che sarebbe inutile.
Quando finisce pulisce la bocca sulla manica della camicia e lo saluta:
“Allora ciao, io vado. Magari ripasso più tardi e ti porto qualcosa se decidi di stare lì, che dici? Ciao, intanto”
Achille si alza e riprende la strada, con calma che non c’è fretta.
La carreggiata su cui cammina diventa sempre più stretta fino a ad arrivare a due piedritti e all'arco che li sovrasta.  Achille ha sempre amato quei pochi metri. Non ne conosce la storia ma ha sempre immaginato che quella fosse l’antica porta di qualche castello. Chi altro se non un principe poteva fare affacciare così, sulla piazza del suo amico Giuseppe, la propria casa?    

30/06/16

[testimonianze] Garibaldi -17-

“La zampa! Dammi la zampa!” urla, e Cane lo guarda come se avesse di fronte un imbecille.
  
Non ha mai amato gli umani, però ha imparato a distinguerli: quelli che prima o poi ti daranno cibo e quelli da cui tenersi alla larga.
Altre cose ha imparato Cane nei suoi giri, ogni tanto le ripassa tra una grattata e l’altra.
C’è quella degli umani e poi c’è quella del nome. Non tenerne uno è la regola, lasciare che altri liberamente decidano per te fin quando, per loro, ce ne sia bisogno.
Anche cambiare spesso isolato o quartiere è tra le leggi essenziali per sopravvivere. Cane ricorda ancora quel suo amico eletto dapprima a beniamino della piazza e finito , poi, a far da guardia al gabbiotto di servizio dello spazzino con una catena al collo.
Ecco per il cibo le regole sono più difficili da rispettare, evitare quanto più possibile i rischi non è sempre possibile. Qui viene in aiuto la conoscenza degli umani e l’esperienza: ci sarà sempre un panino che sgocciola o cade, oppure un gelato in mano a un cucciolo piangente. Se proprio va male segnarsi due o tre cassonetti sicuri e la cosa più conveniente.
Sulle cagnette, invece, è meglio non fissarne di regole: annusare, agire, andare. Questo può bastare. Lui quando ne ha bisogno fa un giretto al parco. Stare tanto lì non conviene, ma ogni tanto si può rischiare.

Ora è il turno di questo ragazzino e dei suoi ordini idioti, ma Cane si è già stancato, ha mangiato a sufficienza. Inizia a trotterellare lontano e indifferente fin quando quello smette di seguirlo.
E’ bella questa parte della città, le strade si restringono e le auto spariscono. Si può decidere allora se camminarci in mezzo baldanzoso o accostato al muro in sicurezza. Lui preferisce sempre quest’ultima opzione. Anche gli odori si fanno interessanti. Ultimamente ce ne sono tanti che lui non ha mai sentito e parole che non ha mai udito. Si ferma ogni tanto a segnare e a guardarsi in giro, attento sempre ad ogni movimento dei bipedi.
Improvvisa una fitta alla gamba. Qualcosa deve averlo colpito. Come una pietra, ma non ne vede attorno a sé. Inizia a leccarsi la ferita. C'è sangue. Zoppica. Per fortuna una piccola breccia in un muro, decide di attraversarla, per rintanarsi tranquillo.
“L’ho preso! L’ho preso!”
Da un portone sulla stradina, un uomo grasso esce urlando. Parla con qualcuno poggiato ad una finestra.
“Ma che hai preso Giovanni? Non lo vedi che non c’è nulla?”
“L’ho preso ti dico! C’è anche del sangue?
“Sangue? Da qui non vedo nulla. Sarà del colore”
Il grassone scuote la testa poi ritorna sui suoi passi
“Eppure ero sicuro”
“Dai vieni su. Mi devi una birra”

29/06/16

[testimonianze] Garibaldi -16-

La donna si alza e sparisce nell'ombra di un corridoio, ritorna poco dopo con una busta identica a quella consegnata.
“Ecco la ricevuta… signor…”
“Alfio, mi chiamo Alfio. Però tutti mi hanno chiamato sempre Fio…”
“Ecco a lei Fio. Io sono Daniela”

Lo guarda allontanarsi, lo segue con lo sguardo fin quando davanti agli occhi rimane solo il grigio della porta. Anche oggi è una giornata quasi vuota, certo in fondo per lei potrebbe andare bene anche così. Poco da fare, tanto tempo libero… eppure a Daniela non dispiacerebbe fare ogni tanto quello per cui è pagata. Basterebbe anche solo un cliente al giorno. E poi a continuare così per quanto tempo ancora rimarrà aperto quello studio? Certo ci sono i clienti speciali, quelli che cura solo il Notaio. Lei ha visto le fatture. Qualcuna di quelle da sola vale quanto il totale del fatturato mensile del suo vecchio capo.
Daniela sono anni che fa quel lavoro, sa di essere brava. Ma qui, qui non c’è proprio nulla da fare. Non capisce neanche bene perché l’abbiano assunta. Certo è arrivata al momento giusto quella chiamata. La morte del vecchio notaio, l’incidente stradale, non era proprio prevedibile. Erano passati pochi giorni e lei stava iniziando a guardarsi intorno in cerca di altro quando era arrivata la telefonata del notaio Cantone. Aveva visto quell'uomo qualche volta allo studio. Lui e il vecchio sembravano molto amici anche se l’ultima volta si erano urlati addosso così tanto che neanche la porta chiusa era riuscita a coprire l’esplodere delle loro voci.
“Signorina...”
“Mi dica Notaio…”
“Ho bisogno che porti questa all'Ufficio Registro. Cerchi del Dottor Lindo, ricorda?”
“Sì, sì. Vado subito?”
“Sì, penserò io alle telefonate e ai clienti”
Il notaio torna indietro e si richiude nel suo studio. Daniela sistema velocemente la scrivania ed esce.
C’è una piccola nuvola ad accoglierla appena fuori, lei se ne accorge dall'ombra che la circonda e dalla luce che segna i margini di questa. Guarda verso il cielo, poi verso il lato opposto della strada. Un ragazzino gioca con il suo cane.
“La zampa! Dammi la zampa!” urla, e il cane lo guarda come se avesse di fronte un imbecille.    

28/06/16

[testimonianze] Garibaldi -15-

L’uomo si ritira. È appena stato assunto, in prova. Lo hanno assegnato ai tavoli interni in questo periodo in cui sono pochi quelli che si lasciano tentare dall'aria condizionata e dalla solitudine. Si chiama Alfio, per una vecchia storia di santi e parentele, ma lui ha sempre preferito farsi chiamare Fio.
Lo chiamava così la nonna quando era piccolo e quel nome gli si era attaccato addosso, anche se era stata una piccola sventura portarlo. Già alle elementari era iniziato il gioco su “fio di una…” che non sarebbe stato poi grave se non fosse stato vero nei fatti, lui però non ci aveva fatto mai caso. Sì, lo sapeva che volevano prenderlo in giro (qualcuno per scherzo e qualcun altro solo per il gusto di fare del male), ma che importanza dare alle parole? L’unica vera pena era che lui quella madre l’aveva vista poco, anzi non se ne sarebbe neanche ricordato il volto se non fosse stato per qualche foto conservata dalla nonna e qualche filmino amatoriale trovato in rete. Era bella sua madre e poi era sempre sorridente. Quando era morta l’avevano sepolta vicino al nonno. “Così faranno pace” diceva sempre la nonna quando andavano a portare loro dei fiori. Ora che anche la nonna è morta e lui è via non ci sarà più nessuno a salutarli ogni tanto.
Alfio attende tranquillo che qualche cliente si decida ad entrare, il padrone alla cassa lo studia un po’, poi lo chiama con un cenno, ha una busta in mano.
“Porteresti questa al 23 di Via dei Cammini? Notaio Cantone. È importante. Fatti dare una ricevuta per la consegna, il notaio già sa”
“Certo, vado subito”
“Sì, ma prima cambiati. Fai presto che qui non rimane nessuno”
“Ok, va bene”
Alfio va a togliersi la divisa per tornare ad essere il ragazzotto venuto dal paese. Mette la busta in tasca ed esce. Deve essere una di quelle buste con tutte le bolle di plastica all'interno. Alfio avrebbe una gran voglia di aprirla e iniziare a farle scoppiare tra le dita, ma si trattiene e imbocca la strada giusta. Sono pochi passi. Il citofono, la segretaria, la consegna, il ritorno. È sulle scale quando ricorda della ricevuta per tornare indietro di corsa.
“Mi scusi…”
“Sì?”
“Avrei bisogno di una ricevuta. Mi è stato detto che era già pronta”
 “Ah! La ricevuta…”
La segretaria lo guarda sorridente, sembra una ragazzina. Alfio nota che non porta anelli e ha delle dita stupende.
“Sì, sì… la ricevuta”
“Un momento”
La donna si alza e sparisce nell'ombra di un corridoio, ritorna poco dopo con una busta identica a quella consegnata.
“Ecco la ricevuta… signor…”
“Alfio, mi chiamo Alfio. Però tutti mi hanno chiamato sempre Fio…”
“Ecco a lei Fio. Io sono Daniela”

[testimonianze] Garibaldi -14-

Francesco rientra e attende che il collega prepari il tutto. Si è accorto che la biondina del Mojito gli ha piantato gli occhi addosso. Si è accorto dell’imbarazzo di lei nel vedersi scoperta. Di quel mordicchiare il labbro, dell’accavallarsi nervoso delle gambe. “Come se volesse intrecciare anche l’anima” pensa Francesco.
L’altro, invece, non si era accorto di nulla impegnato, com'era, a sfoggiare sé stesso.

Quando ritorna non è cambiato molto. Lui le sta parlando, lei guarda distratta in giro, la gente passa e li ignora.
“Ecco, serve altro?”
“Niente, grazie”
Francesco si allontana chiamato da altri avventori. I due al tavolo si scambiano un sorriso.
“Ti piaceva?”
“Chi?”
“Il cameriere. Ho visto come lo guardavi”
“Sì? Può essere… no, mi ricordava qualcuno che ho conosciuto”
“Qui?”
“No, no. A casa”
“Ah!”
“Cosa ah?”
“Nulla, nulla. Senti Vika…  ma allora… hai capito? Perché io…”
Le parole iniziano nuovamente a scorrere, lente e incomprensibili per lei. Per fortuna ora c’è qualcosa di fresco a riempire l’anima.
“Scusa, ritorno subito”
“Ok”
L’uomo, quasi per riflesso condizionato, si alza insieme a lei.
“Sei gentile”
Lui balbetta qualcosa, poi torna a sedersi.
Vika procede verso la fine del locale interno. L’antibagno è grandissimo e permette l’accesso ad altre quarte porte.
“E ora?”
La ragazza si ferma perplessa. Non sa dove andare, nessuna indicazione sull'utilizzo di quegli ingressi.
“Non si preoccupi, guardi è questa. Stiamo aspettando le nuove targhette. Dovevano già essere qui…”
“Grazie”
“Di nulla, l’ho vista dirigersi qui e allora ho immaginato…”
“Grazie, veramente… grazie”
“Ah sì… mi scusi”

27/06/16

[testimonianze] Garibaldi -13-

Luca canticchia la canzone e dal portafoglio prende i soldi necessari per pagare, poi si rialza e riprende la bici. Dalla tasca cadono per terra cento euro.

Il ragazzo è già lontano, non può accorgersi di quell'uomo che lo chiama, che gli urla qualcosa, ma elegantemente però, che non sta bene farlo in altro modo lì.
Francesco rinuncia a rincorrerlo, consegna la banconota alla cassa e poi ritorna tra i tavolini ad attendere che qualche altro cliente lo chiami.
“Ragazzini – pensa – come si fa a seminare così il denaro?”
È un momento di calma tra poco finirà il turno e potrà tornare a casa. Casa… il luogo in cui dormire, riposare, bivaccare dopo il sabato sera, scopare senza bisogno dell’auto come quando era giù. Eppure non è più casa neanche quell'altra, quella degli amici e dei parenti. Francesco lo sa che è così, lo sa che vivrà nel limbo fino a quando accadrà qualcosa e non ha importanza che quel qualcosa sia una estrazione vincente o una donna o un colpo di fortuna perché tanto non sarà lui a decidere. Lui ha investito ogni risorsa di sé nel trapiantarsi, nell'accartocciarsi in quel lembo di terra, nei “Buongiorno!” mattutini e nei “Buonasera!” a fine turno, nei “Certo, signore” e nel “Posso esserle utile?” sussurrato ai clienti, nella canna del quando si può e nel girovagare notturno, nel vomito poggiato al muro e nella doccia mattutina.
“Mi scusi, mi scusi…”
“Certo signore, mi dica”
“Può portarmi un Mulled Cider? E tu cosa vuoi, amore? Ah, ecco… e un Mojito anche”
“Certo signore, arrivo subito”
Francesco rientra e attende che il collega prepari il tutto. Si è accorto che la biondina del Mojito gli ha piantato gli occhi addosso. Si è accorto dell’imbarazzo di lei nel vedersi scoperta. Di quel mordicchiare il labbro, dell’accavallarsi nervoso delle gambe. “Come se volesse intrecciare anche l’anima” pensa Francesco.
L’altro, invece, non si era accorto di nulla impegnato com'era a sfoggiare sé stesso.

24/06/16

[testimonianze] Garibaldi -12-

I due ripartono. Luca si ferma dopo poche pedalate e osserva l’auto allontanarsi lentamente.
È in ritardo, lei lo aspetta ai gradoni vicino al parco. Luca mette più forza nei pedali e pensa che potrà offrirle qualcosa con i soldi che ha in tasca e magari anche baciarla dopo che avranno finito di studiare. I libri! Cazzo si è dimenticato dei libri. Eppure li aveva preparati non appena aveva spento il pc. Dopo aver chiuso con lei, prima della doccia. Ormai non c’è più tempo. È tardi per tornare indietro. Si ferma ancora un attimo per un rapido controllo. Non sembra che si sia sporcato quando è caduto. Non è neanche sudato (dà un controllo alle ascelle), anzi la pelle profuma ancora di sapone. Riprende allora a pedalare, ma poi si ferma nuovamente per controllare l’orologio del campanile. Manca ancora un’ora. Eppure pensava di essere in ritardo. Ci vorranno massimo dieci minuti a raggiungere il parco. Decide di fermarsi in un bar, uno di quelli fighi in centro. Ordina una coca e si siede a un tavolino. Il liquido è fresco al punto giusto, il cameriere porta anche dei salatini.
La città è in pieno movimento, Luca guarda la gente correre, parlare, fermarsi davanti alle vetrine ma quello schermo è come se fosse uno sfondo indistinto all’immagine di lei. Ti sei innamorato Luca? si chiede e sorride e dice sì, lo ripete, vorrebbe urlarlo ma non può. Ma cosa ne puoi sapere tu di amore? Sei un ragazzino si dice ancora ma nulla può fargli cambiare idea e ripensa al primo bacio dato per gioco all’imbarazzo e alla sorpresa e poi a quella che era stata la prima morosa che gli amici suoi e di lei avevano fatto tutto chiudendoli in una stanza per più di un’ora e loro avevano finito per cedere anche solo per fare un favore a quelli là. E poi invece non cera stato più nulla ed era arrivato a metà liceo che sembrava che le ragazze non esistessero. E invece. Era arrivato come nei film che tutto aveva avuto una sua logica e preso forma: la luce che li illuminava attraversando il getto della fontana e loro due che improvvisamente si guardavano come se non si fossero mai conosciuti e gli Of Monsters And Men e Love Love Love. Lui aveva avvicinato le sue labbra a quelle di lei, ma non si erano baciati.
Luca canticchia la canzone e dal portafoglio prende i soldi necessari per pagare, poi si rialza e riprende la bici. Dalla tasca cadono per terra cento euro.

23/06/16

[testimonianze] Garibaldi -11-

Carla si allontana in fretta, tutto avrebbe voluto tranne che quell’incontro. Anche il caffè le ha lasciato un brutto sapore in bocca. Sale in auto e avvia il motore. Come avrà fatto a innamorarsi di quel tipo? Si china sul volante e attende che i ricordi affiorino, ma ad arrivare sono solo le lacrime. Lascia che il corpo si sfoghi un momento prima di riprendere il controllo. Si asciuga il naso, cerca nella borsa, inizia a riparare i danni al trucco. Il motore è ancora acceso, un’auto l’affianca con la freccia che lampeggia. Lei toglie la chiave e continua indifferente, l’auto va via sgommando.
“Ciao”
“Ciao, dove sei?”
“Stavo per partire ora…”
“Come mai questa telefonata?”
“Niente, volevo sentirti”
“Sicura?”
“Sì certo! Hai accompagnato i bambini?”
“Certo, passi a prenderli tu? Sai che non posso…”
“Farai tardi?
“…Hai deciso per questa estate?”
“Pensavo avessi capito”
“E io che tu avessi cambiato idea”
“Lo sai che è meglio così”
“Sì certo, ne abbiamo parlato… ora devo chiudere…”
“Sì, va bene”
“A stasera allora”
“Sì”
Carla getta il cellulare nella borsa e riaccende l’auto, questa volta parte subito senza neanche inserire la freccia. Il ragazzino cade senza fare rumore. La bici va a finire al centro della strada, lui si rialza subito.
“Come stai? Come ti senti? Hai dolore? Vuoi che ti porti in ospedale? Chiamo l’ambulanza?”
Carla sembra sconvolta, lui le sorride.
“Non si preoccupi, non è nulla. Sto benissimo”
“Sicuro?”
“Sì, sì. Sicuro”
Nel risponderle, si volge verso la bici. La rialza, la controlla. Non sembra ci siano danni.
Carla lentamente si calma, continua a fissarlo come fosse suo figlio. Potrebbe anche essere avvenuto. Sarebbe stato possibile. Ritorna in auto e recupera un biglietto da cento euro.
“Ecco, ti prego, non ti arrabbiare. Lo so che non ti sei fatto nulla, ma mi faresti stare meglio… ti prego…”
Il ragazzo la guarda perplesso, poi prende il denaro e lo conserva in tasca.
“Grazie”
“Grazie a te, come ti chiami?”
“Luca”
“Grazie Luca”
I due ripartono. Luca si ferma dopo poche pedalate e osserva l’auto allontanarsi lentamente.

22/06/16

[testimonianze] Garibaldi -10-

“Dai, prendiamo un panino. Posso offrirvelo io? Facciamo in fretta. Anzi, facciamo così… non ci siamo ancora nemmeno presentati. Io sono Alberto”
“Luciano”
“Ersilia”
I ragazzi gli stringono la mano e sembrano rilassarsi. Alberto entra nel bar che aveva adocchiato e che già conosceva.
“Mi prepara un panino?” Chiede alla barista indaffarata. “Voi? Cosa prendete?”  Domanda poi, sorridendo, ai due ragazzi.
Nessuno gli risponde, la barista continua a fare attenzione alla macchina del caffè, i ragazzi sono presi da un vassoio colmo di cornetti da cui proviene l’odore inconfondibile di marmellata calda.
“Eh… oggi non è giornata… non riescono a farla partire… “
Gli si è avvicinata una donna. Lo guarda come se lo conoscesse, ma Alberto fatica a ricordare, poi improvvisa arriva l’illuminazione.
“Carla! Ciao, come stai?”
I due si abbracciano, si baciano sulle guance, solo le loro mani indugiano un attimo in più prima di lasciarsi. Lei gli è di fronte. Poggia il braccio sinistro sul bancone e lo fissa.
I capelli, appena ondulati, le circondano il viso fino a riposarsi sulle spalle nude. A intervalli regolari il ventilatore, che li sovrasta, le sposta una ciocca, subito rimessa a posto con un movimento rapido, quasi invisibile. Indossa un vestito leggero, alla Bardot. Un delicato gioco di colori che le fascia il corpo: i fianchi stretti, il seno da immaginare.
“Prendi qualcosa?”
L’orologio riprende a scorrere. Carla accenna un no con il capo, poi gli porge veloce la mano.
“Sto per andare ora, è tardi…”
Alberto china la testa come per trovare le parole.
“Mi raccomando sentiamoci… - riesce a dire - hai ancora il…”

La frase però non si conclude. Carla è già fuori dal locale. I ragazzi, di cui si era scordato, lo guardano come fosse un vecchio cartone in bianco e nero rimesso in onda. 

19/06/16

[testimonianze] Garibaldi -9-

Dall'altro lato della linea Alberto discute delle prossime vacanze estive, dei voti finali dei figli, della zia sempre un po’ malata. Ascolta e ogni tanto dimostra la sua attenzione con domande mirate, con piccoli assensi del capo che non saranno mai visti da nessuno, ma che lo aiutano, ora, a sua insaputa, a non commettere errori, a dare a tutto la necessaria attenzione.  
È seduto su una panchina al parco, la giornata è piena di sole.
Gli piace passeggiare con calma appena può: dare un calcio a una pietra, fermarsi ad osservare uno scorcio nascosto tra i rami, sorridere a una bella donna.  Forse per questo ha sempre rifiutato lavori che lo obbligassero a orari fissi. Preferiva magari dover farsi trovare a orari impossibili, essere sempre pronto, piuttosto che stare seduto dietro una scrivania.
La telefonata sta per concludersi. Alberto continua ad annuire e nel frattempo controlla l’orario. Poi uno “ciao” sorridente.
Ora può allungare le gambe, allargare le braccia a croce, cercare il sole sul viso. Come è magnifico questo momento, pensa, e chiude gli occhi per aiutare gli altri sensi: il soffio fresco del vento, il trillare intermittente degli uccelli, l’odore di fine scuola dei tigli. Un leggero languore annuncia l’ultimo dei sensi, gli toccherà muoversi. Alberto riapre gli occhi, riprende il cellulare dalla tasca e si piega per annotare ora e luogo del momento. Accanto a quell'indicazione fa seguire una breve descrizione, poi salva tutto. Lo fa ormai da più di un anno. Da quando ha conosciuto Andrea.
“Mi scusi, saprebbe dirmi come possiamo fare per arrivare in centro?”
Di fronte a lui un ragazzino lo guarda in attesa, tiene per mano una ragazza. Alberto non riesce a vederne bene i lineamenti, sono entrambi in controluce.
“Certo, siete a piedi?” Alberto non attende la risposta “Posso accompagnarvi io se volete, vado lì”
“In centro?”
“Sì. Proprio in centro. Dove dovete andare?”
“Via del Vescovo”
“Perfetto, vado proprio da quelle parti. Andiamo?”
I ragazzi lo seguono senza dir nulla. Inizialmente gli stanno un po’ dietro e tenendosi sempre per mano si guardano in giro.  Alberto ogni tanto si volta a controllare che siano ancora lì, poi, improvvisamente, si ferma come se avesse ricordato qualcosa:
“Avete fretta? Avete fame? Volevo mangiare qualcosa…”
Loro appaiono dubbiosi, balbettando qualcosa continuano a guardarsi tra loro.
“Dai, prendiamo un panino. Posso offrirvelo io? Facciamo in fretta. Anzi, facciamo così… non ci siamo ancora nemmeno presentati. Io sono Alberto”
“Luciano”
“Ersilia”
I ragazzi gli stringono la mano e sembrano rilassarsi. Alberto entra nel bar che aveva adocchiato e che già conosceva.

18/06/16

[testimonianze] Garibaldi -8-

“Buon lavoro, Carmì!”

Andrea chiude il cellulare, è ora di prepararsi per uscire. Si spoglia buttando tutto il poco che indossa a terra ed entra nella doccia. Le piace quando non deve chiudersi in ufficio e poi quelle cene le servono per stare un po’ con Alberto, per averlo tutto per sé. È per questo che non ha molta voglia di dire sì a Carmine e uscire con lei e con il suo uomo. La pizza o la cena, le battute, le risate, i “ma dai!” e i “credo che”, i baci di saluto e di commiato, la stanchezza del fingere, il sonno al rientro. Non può sprecare il poco tempo che ha con Alberto per quello.
L’acqua scorre perfetta. Andrea avrebbe voglia di sedersi, sul largo piatto quadrato, incrociando le gambe. Vorrebbe rimanere lì a capo chino, come un narciso attendere che l’acqua scorri, che ogni cattivo pensiero passi. Rinascere.
Le capita a volte di farlo, quando le cose che si affollano nella testa cercano ad ogni costo di fuggire, di manifestarsi senza permesso, di prendere il sopravvento.
Meglio concentrarsi sul lavoro adesso. Esce dalla cabina e indossa subito l’accappatoio per andare a telefonare. Vuole essere sicura che lui ci sia. Il telefono è occupato. “Sarà quella troia della moglie” pensa e subito le torna in mente il giorno in cui lui gliel'ha presentata. Era meravigliosa.
Dall'altro lato della linea Alberto discute delle prossime vacanze estive, dei voti finali dei figli, della zia sempre un po’ malata. Ascolta e ogni tanto dimostra la sua attenzione con domande mirate, con piccoli assensi del capo che non saranno mai visti da nessuno, ma che lo aiutano, ora, a sua insaputa, a non commettere errori, a dare a tutto la necessaria attenzione.  

17/06/16

[testimonianze] Garibaldi -7-

“Ma ti sembra che io abbia il tempo per queste cose, Carmine?”  E nel dirlo Guglielmo guarda la sua segretaria con un sorrisetto complice. Come se lei potesse veramente capirlo. Come se lei potesse veramente sapere.

Carmine non lo sa. Le sembrava solo strano che il dottore non avesse sentito nulla su quegli attentati. Insomma, ottantasei morti e telegiornali pieni. Era difficile scappare a quella notizia. Ma il dottore è fatto così che lui forse non le sente proprio queste cose. Lui… lui è sempre contento, anche se al lavoro ogni cosa deve essere fatta con precisione assoluta perché allora, sciocchezza o meno, arriva il licenziamento: con il sorriso, certo.
Ecco ad esempio ora bisogna trovare una donna che rimpiazzi l’ucraina che manca. Una donna disponibile, dell’est. Che le somigli, anche. Il cliente ha già visto la foto della prima e vuole conoscerla. È stato rapido quello.  Carmine non ha dovuto faticare molto per farlo appassionare. E così appuntamento e locale sono già stati prenotati e anche la chiave dell’albergo, da passare alla donna con discrezione se tutto dovesse andare bene, è nelle mani della collega.
A seguire i due, infatti, va Andrea questa volta. Lei e Andrea si alternano in modo tale che il cliente non sappia mai di essere controllato. È uno preciso il dottore, ha studiato tutto e non si è fatto mai beccare. Forse se avesse le gambe… Carmine alza gli occhi dallo schedario per cercarlo con lo sguardo e  decide che non le sarebbe piaciuto lo stesso. Uno così andrebbe bene per mia madre pensa, e sorride al pensiero della sua vecchia in giro a braccetto del dottore.
Scorre sul video le immagini del catalogo, ne sono passate più di cento quando crede di aver trovato il soggetto giusto. Ingrandisce l’immagine. La confronta con quella della prima, poi decide che può andare.
Ora che è più tranquilla può alzarsi dalla sedia per andare in bagno. Basta un cenno per comunicarlo al capo. Quando chiude la porta poggia le mani sul lavabo e si guarda allo specchio. Prova a sorridersi e a pensarsi carina, ma lo sa che non è vero. In fondo è proprio un maschiaccio come il nome che porta, come l’avrebbe voluta sua padre. Sbottona la camicetta e passa le dita sui grossi capezzoli che si affacciano dal reggiseno, sull'areola rosa chiaro che ne delimita il territorio. Poi alza la gonna e si siede. Non ha indossato le mutande oggi.
“Devo decidermi a comprarne uno imbottito” pensa, riguardandosi allo specchio, prima di darsi una sciacquata e tornare al lavoro. Si riposiziona comoda sulla sedia da lavoro e chiama la collega.
 “Andrea senti forse ho trovato…”
“Sei sicura?”
“Sì, sì. Ti invio la foto. Guarda tu stessa”
“Ok, un momento… in effetti… possiamo provare”
“Non possiamo Andrea. Dobbiamo!”
“Sì, sì. Dobbiamo!”
Le due donne ridono che il riferimento è condiviso e quella non è altro che una battuta.
“Senti, hai deciso?”
“Per sabato, dici? No, ancora no”
“E allora deciditi, dai… venite con noi”
“Lo sai come la penso”
“Sì, sì, lo so. Non ti voglio mica forzare. Però fammi sapere”
“Sì, certo. Non ti preoccupare... Allora li attendo qui al locale, non dimenticare di ricordare alla signora di me”
“No, certo. Ci mancherebbe. Buon lavoro, allora”
“Buon lavoro, Carmì!”

16/06/16

[testimonianze] Garibaldi -6-

Guglielmo era sempre l’unico passeggero a salire a quella fermata. Si era subito presentato all’autista la prima volta che quello aveva azionato la rampa ribaltabile per consentirgli di entrare con la carrozzella. Aveva un percorso e degli orari fissi, come gran parte dei clienti di quella linea. Alfonso lo trovava simpatico per quanto potesse esserlo, per lui, un viaggiatore.
Sistemato vicino alla porta centrale Guglielmo guardava fisso il cellulare e sorrideva. Ad ogni fermata alzava gli occhi e salutava chi saliva e chi scendeva e quelli rispondevano al suo saluto, che tutti avevano imparato a conoscerlo. Del resto, nessuno lo aveva mai visto annoiato o scuro in volto.
“Buongiorno, buon lavoro!” grida forte verso Alfonso quando è il suo turno. Non appena si ritrova sul marciapiede inizia a spingere forte sulle braccia verso l’ufficio. Poche decine di metri intramezzati da saluti, sorrisi e squilli del cellulare. Caffè e cornetto al bar. Biglietto da visita lasciato a un cliente lì per caso.
Guglielmo gestisce un'agenzia di matchmaking che poi quel nome lì è solo una scusa per iniziare a parlare con i possibili clienti perché dire sensale di matrimonio sarebbe brutto. Gran parte del suo lavoro però è tutto fatto con il telefonino. Contatta, scambia, indirizza, ricorda, illustra, smentisce, collega, condivide. Certo poi ci sono le persone in carne e ossa:
“Ecco vede questo grafico? Guardi! Vede questa linea? Queste sono le donne e questi gli uomini, vede? Vede che percentuali, vede che successo?”
Anche con i clienti Guglielmo è un fiume in piena. Li travolge, li stordisce fin quando quelli non cedono e si affidano fiduciosi a lui e alle sue scelte. Tremila euro per un matrimonio, mille e cinquecento per una ricerca annuale. Non è poi tanto per l’affare di una vita.
“Carmine è arrivata l’ucraina?”
“No, dottore. Oggi hanno chiuso gli aeroporti… sa quella storia delle bombe…”
“Bombe, quali bombe?”
“Ma come dottore non ha letto? Non ha visto ieri?”
“Ma ti sembra che io abbia il tempo per queste cose, Carmine?”  E nel dirlo Guglielmo guarda la sua segretaria con un sorrisetto complice. Come se lei potesse veramente capirlo. Come se lei potesse veramente sapere.

15/06/16

[testimonianze] Garibaldi -5-

Era una cicatrice strana, rilevata, e non sembrava seguire un percorso netto. Come un rosso meandro gli viaggiava sul corpo e tante volte Marisa aveva immaginato di seguirne il corso sulla punta delle dita, per scoprirne la lunghezza, la foce, la storia.  Erano pensieri veloci che le donavano piccoli brividi e che sparivano non appena lei trovava posto per sedersi.  Alfonso sembrava non essersene mai accorto. Lo sguardo fisso sulla strada, il baffo alla Gable da vecchia locandina.
Alfonso non si accorgeva mai di nessuno. Non che non fosse gentile o che rispondesse male, ma quello era il suo lavoro, punto. E a nulla serviva altro.
Che poi come si fosse ritrovato a fare l’autista non sapeva bene dirlo neanche lui. Era capitato e lui aveva accettato che capitasse. Non si può di certo fare gli schizzinosi quando hai bisogno di lavorare e sei appena uscito dalla galera.
Quando pensava agli anni passati lì dentro Alfonso strabuzzava un po’ gli occhi come avesse bisogno di mettere a fuoco qualcosa di lontano. Certo non era proprio così, anche se Alfonso si esercitava molto per dimenticare quel periodo. Ci dedicava tutto il tempo in cui non era in servizio, mentre sdraiato nella stanza in penombra chiudeva gli occhi per provare a dormire, ma anche a lavoro non rinunciava. Così quando il percorso dell’autobus lo portava davanti alla villa di quel porco del Cantarella, lui dava una occhiata veloce e faceva il punto della situazione.
Era già arrivato a cancellare tutto quelle cose che gli altri, in cella, avevano appeso alle pareti e qualche volto pure era sparito, anche se era solo quello di chi vedeva poco. Il lavoro da fare era ancora lungo. Alfonso pensava che a superare tutto sarebbe stato anche utile passare da lì e comunque lui aveva scelto apposta quella linea. Tanto nessuno ricordava e, soprattutto, nessuno sapeva che era stato lui a sparare.
“Oggi sei in anticipo di due minuti”
“Cosa?”
“Sei in anticipo, dico. Non te ne sei accorto?”
“No, veramente no. Grazie”
“Eh… di nulla, Alfonso. Di nulla”
Guglielmo era sempre l’unico passeggero a salire a quella fermata. Si era subito presentato all'autista la prima volta che quello aveva azionato la rampa ribaltabile per consentirgli di entrare con la carrozzella. Aveva un percorso e degli orari fissi, come gran parte dei clienti di quella linea. Alfonso lo trovava simpatico per quanto potesse esserlo, per lui, un viaggiatore.

14/06/16

[testimonianze] Garibaldi -4-

Marisa era contenta di trovare un uomo e il pasto già pronto al ritorno nella pausa.  Carlo di addormentarsi in un letto caldo che sapeva di Marsiglia.

“Forse dovremmo anche iniziare a dirci altro” pensava Marisa e nel pensare sorrideva del sorriso di un bimbo.
La fermata dell’autobus era abbastanza vicina. Pochi passi e sarebbe arrivata, poi trenta minuti a guardare il mondo prima degli spogliatoi e delle chiacchiere pre-turno. Marisa non amava molto quel momento, si prestava, però, ad ascoltare. Ogni tanto balbettava un “sì” o un “no”, addirittura, a volte, un “ma pensa”, però si fermava lì che altro non le usciva.
Sull’autobus, invece, si sentiva più a suo agio. Trovava sempre dove sedere e si incantava a guardare fuori. Immaginava le vite dentro le case o il presente dentro le auto affiancate al semaforo. A volte scambiava qualche parola e qualche sguardo con Alfonso, l’autista. C’era quasi sempre lui su quella linea. A Marisa piaceva il leggero profumo di dopobarba che lo accompagnava, le faceva dimenticare la lunga cicatrice che partiva da sotto il lobo sinistro e attraversava il collo dell’uomo prima di sparire sotto la camicia.
Era una cicatrice strana, rilevata, e non sembrava seguire un percorso netto. Come un rosso meandro gli viaggiava sul corpo e tante volte Marisa aveva immaginato di seguirne il corso sulla punta delle dita, per scoprirne la lunghezza, la foce, la storia.  Erano pensieri veloci che le donavano piccoli brividi e che sparivano non appena lei trovava posto per sedersi.  Alfonso sembrava non essersene mai accorto. Lo sguardo fisso sulla strada, il baffo alla Gable da vecchia locandina.

13/06/16

[testimonianze] Garibaldi -3-

“Più forte! Fai più forza!” gli gridava Carlo e improvvisamente un suono e una vocina erano usciti dal tubo d’alluminio. Achille aveva subito pensato al Genio Blu dei film e invece era arrivata solo una voce da treno in arrivo che gli chiedeva di non fare troppa pressione per non rovinare le setole.  
Aveva mollato tutto ed era andato via che quel gioco poi alla fine era noioso. Carlo lo aveva visto allontanarsi e lentamente aveva ripreso il proprio lavoro che ormai stava per finire.
L’ultimo tratto di strada era quello che portava a casa da Marisa. Veramente avrebbe dovuto farlo per primo secondo le mappe del Comune, ma Carlo aveva sempre proceduto al contrario e nessuno si era mai lamentato.
Marisa era la donna che affettava salumi e prosciutti al supermercato. Otto-dodici e diciassette-ventuno. Erano quelli gli orari della sua vita.  A volte lei aveva tentato di giocarseli quei numeri ma sulle ruote non erano mai usciti o forse sì, che la Marisa era una gran distratta.
“Buongiorno Carlo”
“Ciao Marisa, come va oggi?”
“E come vuoi che vada? Li vuoi questi biscotti con il caffè? La signorina delle presentazioni me li ha regalati ieri a fine turno, dice che loro li buttano”
“Li buttano? E perché mai? Saranno vecchi, forse”
“No, no son buoni! Li ho assaggiati anche io. È la politica della ditta dice, che poi li buttano”
Hanno sempre qualcosa da dirsi Marisa e Carlo che lui passa e si prende il caffè e lei e già quasi pronta per uscire.
“Che fai dormi qui?”
“Se non ti dispiace…”
Ormai è più di un anno che si scambiano quelle due frasi finali.
Marisa era contenta di trovare un uomo e il pasto già pronto al ritorno nella pausa.  Carlo di addormentarsi in un letto caldo che sapeva di Marsiglia.  

12/06/16

[testimonianze] Garibaldi -2-


Giuseppe non aveva risposto, mani sull'elsa e uno strano cappello in testa, aveva continuato a guardare la campagna fin dove poteva. Lo spazio davanti a lui era sempre più occupato da costruzioni di cui non capiva il senso, la necessità. E poi, continuava a sentirsi stanco.
Achille invece aveva tanta voglia di fare, usciva da casa presto, prestissimo e iniziava a girovagare per le strade del paese stando bene attento a tutto, sorprendendosi di ogni cosa. Se poi la giornata era quella giusta trovava anche una lattina con cui giocare a pallone fino al primo bidone utile o un ratto con cui correre prima di vederlo sparire tra le bocche di lupo ai margini della strada.
Quando arrivava l’ora iniziavano ad apparire gli umani.
C’era Carlo che si ostinava a usare la vecchia ramazza portandosi dietro, legata al cesto, quella nuova e luccicante dalle setole blu. Una volta Carlo gliela aveva mostrata.
“Guarda qui, dicono che sia speciale. Lo sai che suona e parla? Vuoi provare?  Dai! Prova!” e gli aveva messo in mano la scopa invitandolo a spazzare.  Achille aveva veramente provato che lui non si tirava mai indietro di fronte a un invito.
“Più forte! Fai più forza!” gli gridava Carlo e improvvisamente un suono e una vocina erano usciti dal tubo d’alluminio. Achille aveva subito pensato al Genio Blu dei film e invece era arrivata solo una voce da treno in arrivo che gli chiedeva di non fare troppa pressione per non rovinare le setole.  

[testimonianze] Garibaldi

Dalla piazza del paese Garibaldi scrutava il mondo.  Achille aveva tentato tante volte di seguirne lo sguardo, ma si era sempre dovuto fermare alle finestre illuminate dei grandi magazzini che più in là, lui (così in basso sul selciato della piazza) non andava, però erano buoni amici e Achille andava sempre a chiedergli un consiglio o a parlare con lui delle ultime novità.
“Senti – una volta quello gli aveva detto – ma tu… tu, hai mai pensato di ripartire? Non ne hai avuto abbastanza a stare qui? Lo so che a te piaceva viaggiare e la gente e le donne. Ma ora? È passato così tanto tempo! Perché ti ostini a rimanere qui?”
Giuseppe non aveva risposto, mani sull’elsa e uno strano cappello in testa, aveva continuato a guardare la campagna fin dove poteva. Lo spazio davanti a lui era sempre più occupato da costruzioni di cui non capiva il senso, la necessità. E poi, continuava a sentirsi stanco.

29/05/16

26/05/16

25/05/16

Al prossimo ministro di Giovanni Accardo

Gentile signor Ministro,quando sarà nominato responsabile della scuola, per prima cosa faccia dimostrazione di onestà e dica che le cosiddette riforme varate negli ultimi anni sono nate unicamente dalla mancanza di soldi e perciò altro non sono stati che tagli di spesa dettate dalla necessità di risparmiare. Solo se le parole saranno effettivamente collegate ai fatti potrà avere la fiducia degli insegnanti. Per troppo tempo l’inganno è stato alla base della politica scolastica.Poi, prima di avanzare qualunque proposta, prima di annunciare riforme epocali e provvedimenti mirabolanti, prima di fare una brutta figura, proponendo soluzioni impossibili da realizzare o assolutamente inutili, si faccia un giro per le scuole d’Italia. Dedichi un anno ad incontrare insegnanti, studenti e dirigenti, assista alle lezioni, partecipi ai collegi docenti e ai consigli di classe, guardi gli spazi, soprattutto nelle scuole del Sud, in cui si svolgono le lezioni e in cui i ragazzi trascorrono ore della loro vita. Provi a sedersi nei banchi, ad andare in bagno, usi le palestre (dove ci sono) e i laboratori (quando ci sono). Controlli gli arredi, la loro funzionalità e la loro vetustà. E faccia tutto ciò in modo informale, senza scorta e giornalisti al seguito, lontano da fotografi e telecamere. Dopo, ma solo dopo, torni al Ministero, parli coi funzionari e i suoi collaboratori, riassuma problemi e proposte che ha ascoltato da chi a scuola ci vive tutti i giorni, confronti la loro concretezza con le teorie degli esperti di pedagogia e didattica che non mettono un piede in un’aula scolastica da decenni. Dopo, ma solo dopo, annunci le sue riforme. Vedrà che gli insegnanti e gli studenti le approveranno.

Fonte:  Un’altra scuola (un anno dopo) di Giovanni Accardo

22/05/16

calendari

Il giorno prima tutto sembrava perfetto 
correvo ancora tra i pensieri raccoglievo 
piccoli strappi di me 
di noi 

il giorno prima era arrivato dopo un altro giorno e 
dopo un altro ancora più in là 
non andavo 
mi bastava essere nato con il tuo sorriso e quella piccola 
goccia di gelato sul margine sinistro delle tue labbra. 

Il giorno prima 
rimarrà l’unico a esistere anche quando 
anche quando questi tanti oggi avranno fine 

04/04/16

21/01/16

UN’EDUCAZIONE di Vanessa Roghi

Prologo: «Vanessa ti ricordi Barbapapà?», mi chiede un amico «Certo», rispondo. «Ricordi Barbottina? Avevi mai notato che nella sua stanza i due poster erano la riproduzione del manifesto del maggio francese, quello de “la lotta continua” e di Angela Davis?». No non lo ricordavo non l’avevo mai notato allora. E allora il mio amico quella stanza me l’ha portata ed eccola qua accanto, icona subliminale di un decennio, di un’educazione.

Fonte: UN’EDUCAZIONE di Vanessa Roghi   da leggere e rileggere... :-)

14/01/16

Franco Citti (Roma, 23 aprile 1935 – 14 gennaio 2016)


Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio «uomo» che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali.
Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, 1975



Scupitta

"Ansomma... putissi iri megghiu" e mentre dice questo mi talia comu su aspittassi aiuto.
E' fattu rossu Scupitta però si viri ca non è questione di salute ma perchè non è tranquillo. Eppure ciavevamo dato quelllingiuria proprio perchè era un carusiddu siccu come a una angiova.
"Scupitta! - ci gridavamo-  veni ca iucamu o palluni"
"Scupitta! Fatti rari i soddi caffittamu u campu"
"Scupitta! Tu spatti un panino?"
Lavevo perso di vista che le cose vanno così. Si sa. Solo sapevo che sera maritato e poi aveva divorziato.
"Già!" mi veni sulu di riri poi accalu locchi che già di mio cinnaiu tanti problemi. Quel "Come va?" che aveva fatto nascere la conversazione sarritira confuso. "Ni viremu" aggiungo. E già le gambe hanno ripreso a muoversi e già il pensiero cerca conforto.
Allontanandomi sento che mi sta taliando ma non mi furiu.
Mi fermo. Maddumu una sigaretta. Fazzu una tirata comu su non avissi chiù ciatu. Aspetto.
Aspetto che limpressione passi. Che il disagio finisca.

10/01/16

Tanuzzo e Ciccio

Tanuzzo e Ciccio sunu frati.
Si sbagghiunu di un anno che il primo nasciu pamuri quando Margherita la madre era ancora una picciridda e il secondo per sbaglio lannu dopu che quella già ava accuminciato a travagghiari.
Eppure non criscienu stotti le creature. La nonna fici in modo di non farli luvari a so figghia. "I tegnu iu" ci rissi alle vaddie quando bussarono a so casa e però in realtà non successe mai che la purazza non la superò mai quella vergogna.
Si informava con i vicini. Quacchi vota taliava i picciriddi ammucciata arreri a un muretto quando scinnevunu per giocare nel giardino o i primi anni che andarano a scola. Una vota sola non cià fici a fari finta di nenti che fu quando Ciccio si tagghiau cascannu mentri iucava o palluni e il sangue ci nisceva a vina dalla coscia.
Iddu chianceva e Tanuzzu non sapeva chiffari. La nonna savvicinau e prima u cunuttau e poi pigghiau a pulizziarici a iamma e dalla borsetta spuntau tre bustine di zuccuro. Lei una ce la mise sopra alla ferita ad asciugare che dopo una para di minuti il sangue accuminciau a stagnari e le altre una a testa ai carusi per farli sorridere.Quando li vide tranquilli li accompagnò a casa. Senza aspettare però che spariu prima. Margherita ci misi tannicchia a rapiri che il cliente era difficile ma poi si fici cuntari tutto e chianciu tannicchia mentri su faceva cuntari di novu.
Ora su morti. La vecchia di polmonite e la giovane di addiesse. Loro invececampano tranquilli nella stessa casa arreri al mio palazzo. Li dentro non cè entrata mai una fimmina da quando cè morta la madre. La casa però è ordinatissima che loro hanno sempre fatto tutto e Margherita ci ha lasciato anche beddi soddi alla posta. Ciu rissi mentre era o spitali gli ultimi giorni.
"Arreri alla crirenza c'è un libretto. Mi raccumannu".
Poi chiuriu locchi e non li rapiu chiù. 
   
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