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29/07/13

23/07/13

20. Nozze dell'eroe. La storia si conclude con le nozze dell'eroe e una prospettiva di vita lunga e felice.

Alla casa di Cettina Calogero sabbuffa a scoppiare. Scieron ha preparato un pranzo come nelle feste. La pasta con il ragù. I puppetta e il fassumauru. U muluni ghiacciato. E per fine anche la torta.  A Calogero sopra alla tuvagghia celeste ci pare come a una nuvola nel cielo quella cosa ianca e tunna.
Mangiano e si cuntano le cose che sono successe. Anche il padre di Concetta pari cuntentu che forse è anche il vino che sè calato. Quel pomeriggio non ce ne ha travagghiu e accussì cè potuto andare sotto. Quando si susi si viri che è tannicchia mbriacu e allora saluta a tutti e sinni va a cuccarisi tannicchia mentre Scieron accumencia a fare i suvvizza. Cettina e Calogero invece decidono di farisi una partita a carte e si spostano nella stanza della picciridda.

"Cettina senti mi staiu cuccannu macari iu ca cè cauru e finii"
"Sì. Sì. Va bene! Ora Calò sinni va"
"Non cè problema u sai. Basta ca non faciti confusioni. U sai come fatto to o pa"
"U sacciu! U sacciu!"

Cè qualcosa di strano in quellultima risposta e infatti appena Scieron chiuri la porta Cettina ci parra sottovoce a Calogero. Come se ci deve dire un segreto.

"Ora accumenciano le feste"
"Chi voi riri?"
"Tu mutu! E guai a tia su cunti qualcosa!"
"E certo! Ma mutu picchì? Chi succeri?"

La risposta ce la dà quello che allinizio sembra un lamento e che poi aumenta tannicchia e continua in mezzo a parole che non si capiscono. A suspira.

"Ma stannu futtennu?"
"Almeno du voti o ionnu. Qualchi vota me o pà ci lassa i pinni cu stu iocu. Mu rissi Aitina a me cumpagna ca so o pa mossi accussì"
"Scieron però è simpatica. Me lero figurata peggio"
"Sì. E' vero! Megghiu di quella tapallara che cera prima. Furiava a casa tutta a nura e non sapeva fari nenti e non mi faceva mancu nesciri"
"E chi fini fici?"
"Macchissacciu! Na vota me o pà ci misi tutti i sò cosi arreri a potta e lei tuppuliau tutta la matinata e però io non ci rapii che così lui mi aveva detto. E dopo non lho vista più"
"Ci veni a partita chiù tardu?"
"E ce la fai cu sta panza china?"
"E certo!"
"Allura vatinni a casa ora. Poi però passa cà. Ci iemu nsemula! Vuoi?"
"Comu no? Va bene. Accussì viru su mangiau me o ma'. E poi mi rugnu una rinfrescata e pigghiu i scarpetti macari"

Calogero è contento. Cammina piano verso casa ma tra la panza china e u suli a picu accumencia a surari che deve mettere di corsa la testa sotto alla fontana per sentirisi megghiu.

"Calogero. Calogero si tu?"
"E cu pogghiessiri o ma'?"
"E comu fu il pranzo"
"Bonu! Bonu o ma''"
"Mi fa piacere. E ora? Chiffai nesci di novu?"
"Ciaiu a partita"
"Va bene! Va bene!"

Calogero si spogghia a nura e si metti dentro la vasca da bagno. Senza acqua però.  Non ce nè bisogno. Ci basta sentiri u friddu dello smalto per stare meglio. Con la mano trafichia in mezzo alle gambe fino a quando si sente tuttu russu na facci. Poi chiuri locchi che ancora cè tempo.

Il campetto della chiesa è un po' chiù nicu di quello vero. Ci stanno sette. Otto giocatori per squadra. A giocare tranquilli. A divertirsi. Ma quel pomeriggio sono in sei che quella è una partita importante. Di campionato. Che ci sono macari i figghi di Don Tano.
Lui viene messo di punta che Antonio e Michele invece giocano alle ali.
Arreri alla rete del campo cè Cettina che lo talia. E Iano. E anche Lino è venuto che sarà chi cè lo ha detto. Calogero si accorge che non è tanto bravo. Che quando ci stanno incoddu quelli dellaltra squadra quasi sempre ci riescono a luvarici u palluni. Però succede che verso la fine Antonio riesce a fare un cross perfetto. Che la palla scinni come radiocomandata verso di lui. E allora Calogero appoggia forte il piede destro a terra e si dà lo slancio. E andando in aria isa la iamma sinistra. E poi veloce veloce di nuovo il piede destro a calciare forte il pallone prima di cascare nterra.
Quando si susi cè silenzio. La palla è arreri al portiere. Allora Calogero urla:

"GOOOL! GOOOL! GOOOL!"

e si fa il giro del campo di corsa u carusiddu . E arriva fino a Cettina. E da dietro la rete la vasa.

22/07/13

19. Punizione dell'antagonista. Il falso eroe o antagonista, cioè il "cattivo" della storia, viene punito.

Quella fu una notte quasi tranquilla. Certo è ammaccato e ci fa male dappertutto. Che ha pigghiato cauci e pugna e coppa. Ma però le cose pare che si sono sistemate e allora Calogero chiuri locchi e saddumisci.
Saddummisci in una notte scurusa Calò. Una notte senza sogni e senza colori. Fatta tutta dun ciato che la mattina dopo si sveglia presto tutto surato e con lossa che ci fanno chiù mali della sera prima.
Sistema a sua madre Calogero e aspetta che arriva quella del comune. Poi quando quella accumencia i sivvizza iddu nesci e si porta dietro il pallone e si mette le scarpette anche se ci manca assai per la partita. Anche se si consumano i tacchetti con le pietre e con lasfalto.
Questa volta però non se ne va nella piazzetta. Trasi dentro le spine del parco e arriva al suo albero e accumencia a palleggiare che perde macari il conto di quanto riesce a farne e quando ci casca la palla ricomincia. E ricomincia sempre. Ricomincia fino a quando non si sente le iamme che sono stanche che ci tremano e allora sassetta e guarda il cielo. E cerca la luce che passa in mezzo ai rami. Sogna di squadre importanti. Di goll. E certe volte ci veni nella testa macari Cettina che non lo sa perchè.

"Senti io ce lo dovevo dire..."
"Oh! Talia! U pezzu di medda!"

Iano era arrivato antrasatta che Calogero aveva chiusi gli occhi. Non sera scantato però per quella improvvisata che laveva riconosciuto subito la voce.

"Mi spiasti macari oggi?"
"Calò iu non sugnu sbirro!"
"Chiffazzu arriru?"
"Senti mu rissi me o ma di dircelo a Don Tano. Io tavevo visto e ciu cuntai"
"E to patri?"
"Non sapeva nenti"
"Ma picchì da munsigneria della telefonata allura?"
"Chissacciu! Mi nisciu accussì!
"Senti... ma invece to o pa' u sapi che Don Tano si futti a so mugghieri?"
"Macchidici! Bastardo!
"A virità"
"Bastardo!"

I due carusi accumenciano a darisi coppa. E sono uno sopra laltro in mezzo alla terra. E non cià finisciunu fino a quando non ce la fanno più che qualcuno dice "Basta!" e laltro pure. E appoggiano la schiena sul tronco. E dopo finisci tutto.

"Ticcattasti ora sti scarpetti?"
"Mi rialanu"
"Belle"
"Oggi ciaiu una partita al campetto del prete. Chiffai ci veni?"
"Dopu macari. Quando iniziate. Che allora se arrivo presto quello mi chiede di fare il rosario"

Calogero accumencia a ridere. E Iano macari.  Si lassunu che vanno a mangiare e la partita è solo alle cinque.
E' quasi al portone quando lo chiamano.

"Calò! Calò! Femmati!"
"Buongiorno signora"
"Senti chiffai voi veniri a mangiari da noi? Cettina dice che tanto non poi veniri che cè tua madre ma iu ci rissi proviamo e poi visti nesciri a signora del comune poco fa e insomma che costa spiartelo? Che anche se dici no e no e se invece vieni è già tutto pronto che oggi fici macari una torta. Con la crema di limone che a me marito cioè o papà di cettina insomma ci piaci e poi putiti iucari nella sua camera che lei ha tanti giochi e allora dimmillo tu che..."

Calogero non lo segue più quel fiume in piena e pensa che non ci dispiacerebbe e allora ci accala la testa. 
"Ma prima viru come sta" dice e acchiana di corsa per controllare e darsi una ripulita macari che è chino di terra fino a dentro laricchi.

21/07/13

18. Falso eroe smascherato. Il falso eroe - che può coincidere con l'antagonista - viene smascherato.

Il vecchio Sciaroso ciavi la faccia niura quando si affaccia alla porta. E' siccu e lungo ca pari il palo della fermata dellautobussu. Appena vede Calogero ci va il sangue alla testa e lesto come fa u iattu quando viri u suggi lo pigghia per gola e ci runa cauci e testate e u pigghiassi macari a muzzicuni se non ci arrivassi na uccalamma un pugno che lo fa stramazzari nterra. Don Tano non se laspettava tutta quella velocità e così sera fatto sorprendere. Ma non era durato assai che subito aveva ripreso in mano la situazione e laveva astutata quella furia. Pigghiandolo per il colletto della cammisa poi lo trascina dentro casa. Aspetta che i due carusi lo seguono e chiuri la porta che non cè più bisogno di fari pubblicità. Che tutti hanno già visto quello che cera da vedere.
Non si senti nenti dentro a quelle mura. Calogero ancora trema per lo scantazzo e per il dolore e Cettina cerca di cunuttarlo e con un fazzoletto che ciaveva nella sacchetta ci pulizia tannicchia di sangue che ci nesci dalla testa. Don Tano solleva Sciaroso e lo mette sopra a una seggia poi rapi il frigorifero e ci pigghia un bicchiere di acqua fredda per farlo calmare. Quello però ancora non parla e Don Tano allora accumencia a girare nelle stanze che cerca Luciano. Lo sa che è lì. Prima si è informato e gli hanno detto che è rimasto con il padre che gli altri della famigghia invece sono tutti fuori che sono partiti nelle matinate.
Si incazza u pannitteri che non lo trova a quello e allora accumencia a ittari tutto allaria. A fari sgrusciu. Fino a quando finalmente non senti il pianto a singhiozzo del caruso. Sè nascosto dentro la cesta dei robbi loddi. Nicu nicu come a quelli del circo. Come allacrobati che poi nesciunu e sautano e acchianano sopra alle corde e ti fanno arririri.
Don Tano trascina anche a lui per il colletto e lo fa assittari vicino a suo padre poi ordina a Cettina e a Calogero di cuntari tutto di nuovo e i due ragazzi ubbidiscono che non cè altro da fare. Luciano aspetta la fine. Conosce tutto. Non cè bisogno di ascutare. Quando però quei due finiscono di parrari ci abbia una sputazzata a Don Tano e quello per risposta ci fa furiari la testa con una scoppola. Poi si ferma lì. Sembra solo che vuole dimostrare a loro che è lui a comandare e non cè bisogno di fare altro che quel picca per riuscirci.
E infatti dopo a questa sceneggiata nesci fora da quella casa e li lascia lì. Assittati attorno al tavolo della cucina come a una famigghia in attesa del pranzo.  E' come una fotografia quella. E nuddu parra. E nuddu si movi. Quando suonano alla porta è Luciano a susirisi e dopo un secunnu torna che dietro di lui cè il padre di Cettina.

"Ma chi succiriu? E chi ti facisti Calò? E unnè Don Tano?"

Ci tenta tannicchia quelluomo a farsi dare qualche risposta ma poi ci rinuncia che quelli parunu fantasmi. Si pigghia a so figghia e o carusiddu e se li porta fuori spingendoli verso la porta. Calogero nei peri ciavi ancora le scarpe del pallone che le sue li ha lasciate al panificio.
Nella strada Cettina si metti vicina a so o pa' e quello ci passa un braccio sulla spalla e la tira vicino a lui. La picciridda chianci. Chianci senza fare rumore. Senza lamintarisi. Calogero è dietro di loro che ogni tanto ci
runa un calcio a qualche pietra chiù rossa delle altre. Pensa che deve fare qualche cosa ma non lo sa cosa di preciso.
Quando si separano nemmeno si salutano. Solo un attimo locchi di Calò cercano quelli di Cettina. E si incontrano. E poi basta.   

"Calogero. Calogero si tu?"
"E cu pogghiessiri o ma'?"
"Finalmente! Tunnau me figghiu. Tunnau!"

20/07/13

17. Riconoscimento dell'eroe. All'eroe, già riconosciuto nella sua identità, vengono tributati gli onori del caso.

"Aspetta ca vi fazzu rapiri a saracinesca"

La voce di Don Tano si senti bella forte e poco dopo u sgrusciu del ferro ca si isa supera ogni altro rumore che viene dalla strada.
Cettina e Calogero entrano e lei gli prende di nuovo la mano e la stringe forte che tannicchia si scanta. Nterra è tuttu vagnatu ma non sembra che ci sono stati danni assai e anche nella stanza del forno dove cè Don Tano con i figghi ca pulizia cè solo tannicchia di fetu carristau appiccicato al muro. Insomma niente di importante.  Niente che non si può aggiustare.
Don Tano trafichia con le teglie. Cettina lo guarda con attenzione. Dai pantaloncini loddi ci nesci lelastico delle mutanne. Cè scritto "maschio" che accussi so mugghieri non si cunfunni quando posa le cose nei cassetti pensa la picciridda. La schiena ianca e pilusa ci brilla di gocce sutta la luci del neon e macari i mustazzi quannu si furia su loddi di farina. Quando si dedica a loro li talia con locchi semichiusi come su facissi fatica a metterli a fuoco.

"Vi stavo aspettando"
"A tutte e due?"
"A tutte e due. Mu rissunu che ceri macari tu"
"E cu fu?"
"E' importante? Ratici una mano ai me figghi ca iu acchianu a casa e mi canciu"
"Ma noi... ma io"
"Staiu tunnannu!"

I figghi di Don Tano continuano a travagghiari senza parlare. Michele u chiù nicu ci metti ne manu una scopa e una paletta e poi torna ad aggiustare il carrello che ci sautau una ruota. Antonio invece sistema i sacchi di farina e separa quelli ca si vagnanu dagli altri.
Luciano deve avere dato fuoco all'entrata pecchè qui cè quasi solo feto di bruciato e anche dellacqua dei vigili ne è arrivata picca.
Calogero e Cettina si sono messi a lavorare anche loro in silenzio e uno spazza e laltra raccoglie e poi abbia tutto in uno scatolo già chino di munnizza.

"Me patri mi rissi ca si bravu co palluni"
"Iu?"
"E cui se no? Viri qualcunaltro?"
"Mi piaci tirare al volo..."
"Ci voi veniri dumani a fari una partita?"
"E unni?"
"Nel campo della chiesa"
"E quando?"
"E cincu"
"Va bene"
"E cillai i scappetti?"
"Ciaiu chisti"
"E chicciaffari a gita da scola? Provati chiddi"

Michele ci fa viriri un paru di scarpette misi in angolo. Ci mancano i lazzi e però sono quasi nuove. Calogero se li mette subito che gli stanno a pennello. Una sciccheria.

"Calogero! Calogero! Iu minnaia iri. Mio padre sta per ritornare"
"Dobbiamo aspettare a Don Tano"
"Ma iu non posso"
"Aspetta. Putemu fari che cè lo dico io a to o pa"
"Certo. Accussì unchia a facci prima a tia e poi a mia!"
"E allora aspetta. Ora torna"

Gli altri due ora sembra che nemmeno li sentono o li vedono. Michele ha subito ripreso quello che stava facendo e Antonio ha cambiato stanza. Improvvisa arriva una musica.

"Antonio mettila chiù forti. Vi piaci? Me o pa' mi fici canusciri. Alessio e Nensi si chiamano"

Michele si trasforma e sorride eppoi accumencia a cantari dappresso al ritornello.

"Simme duje pazz nnammurate..."

Antonio rientra nello stanzone che abballa muvennu la testa e dietro di lui cè Don Tano tutto allicchittiato.

"Fozza niscemu!"

Calogero e Cettina lo seguono senza contraddirlo. La picciridda si allarma quando vede che stanno andando verso a so casa. Ma non parla. Non dice niente.

"Don Tano!"
"Salutamu"
"E tu chicchifai fora a stura?"
"E' cummia. Stamu iennu a fare una visita"
"Certo. Certo. Vi serve qualcosa Don Tano?
"No! Vi saluto"
"Saluto a vossia"

Don Tano si furia e scinni i scali sempre seguito dai due carusi. Cettina arriri pensando alla faccia di sua padre. Lo sa che non ce ne avrà problemi tornando per dormire.

Quando arrivano davanti alla porta della casa di Luciano il vecchio si furia e finalmente ci dice qualcosa.

"Ora vi stati muti e parrati sulu quannu ve lo dico io. Intesi?"

E senza aspettare risposta suona il campanello che di sicuro già lo hanno visto lì dentro quellarrivo. 

19/07/13

16. Danno riparato. L'eroe è in grado di rimuovere le sciagure o la mancanza iniziale riparando il danno.

Quando Calogero nesci cè nellaria una piccola scia di friscu. Lui la ciauria tutta quella brezza di mare che ogni tanto profuma le sere. E tutti questi palazzi e queste case e questa munnizza non ciarrinesciunu a fermarla quella goduria.
Quando era nicu sua madre una volta lha portato in un posto che cera il mare e la spiaggia nica nica e dietro la sabbia cerano le rocce che acchianavano verso il cielo. Erano tutti chini di piante quei massi che pareva che i tronchi fussiru per cascare da un momento allaltro e invece resistevano e scavavano. E di petra niura facevano terra odorosa. E di deserto paradiso.
Lui aveva giocato e sera fatto il bagno e poi tornando a casa dentro la corriera sera messo a ciauriarisi che nella pelle attaccato cera rimasto un odore... un odore che a lui ci piaceva e non lo voleva levarselo dalla testa. Lo stesso ciauro di quella sera. E ora ci sale nella testa quel ricordo e caccia ogni malinconia.

Il panificio ciavi la saracinesca abbassata ma dentro cè luci che di sicuro ci stanno lavorando. Calogero spera di trovare Cettina affacciata al balcone che non ci vuole suonare alla porta o almeno non ci voli sunari mentre cè sò o pa o qualche strafallaria di quelle che quel cristano si porta a casa ogni sei misi.
Aspetta Calogero ma poi non cè la fa chiù a stari dassutta che li sente gli sguardi di quelli che sono affacciati e lo sa che stanno parlando di lui e del panificio e allora si decide e entra nel palazzo e tuppulia.

"Ohhh! E cu cè cà? Calò! Il piccolo Calo!"

La fimmina ciavi una magliettina longa che ciammuccia i mutanni e un culu chinu comu la panza di un quartara. Calogero nemmeno ce lo chiede come conosce il suo nome che tanto non è importante e allora fa il gentile e:

"Buonasera signora cè Cettina? Ciavissa dire una cosa"
"Certo. Certo che cè! Trasi. Accomodati! Cettina! Cettina! Ti cercano. Veni cà! Cettina!"

La carusidda spunta che sembra contrariata ma poi spinge Calogero dentro a una stanza. Che "sarà la sua" pensa lui. E la stanza ciavi tutti i pelusci e i disegni attaccati no muru e un letto e una scrivania macari che Calogero non lha mai vista quellabbondanza. Neanche nella stanza di Luciano è accussì che quello ciavi tutta una parete che ci hanno messo larmadio per tutta la famigghia e allora lo spazio per lui non è come quello che cè qua.

"Picchì vinisti?"
"Ti devo chiedere una cosa"
"Che cosa?"
"Cià cuntari tutto a Don Tano..."
"Tu sì pazzo!"
"No. No. Ora ti ricu. Ascuta."

E mentre il caruso parla Cettina è tutta attenta. Ogni tanto accala la testa che Calogero ce ne ha conforto e prende coraggio e non si ferma con le parole. Alla fine lui la talia tutto contento che lo sa che lei gli dirà di sì. E infatti accussì succeri. A Cettina ci scappa anche di abbracciarlo e di mittirisi a chianciri che Calogero non lo sa bene cosa fare. Rimane fermo come a un baccalaru. Immobile. Poi però quando lei si stacca ci passa un dito sotto locchio e ci leva una lacrima e se la mette in bocca e dopo fa una smorfia che i due carusi accumenciano a ridere e non ce la finiscono chiù.

"Cettina! Cettina! Diccillo al tuo amico su voli un gelato! Calò! Calò chiffai u voi un gelato?"

La voce della donna ferma le risate e Cettina ci risponde solo:

"No Scieron. Non ne vuole Calogero gelato. Stamu niscenno. Cinque minuti e tonnu."
"Ma comu? E' tardi! U sai che poi tuo padre bruntulia"
"Cinque minuti Scieron. Tonnu presto. Prima casarritira"

Cettina ci pigghia la mano a Calogero fino a quando sono fuori nella strada. E insieme vanno verso il panificio mentre Scieron rimane a sistimarisi. A passarisi la crema nelle cosce e nelle braccia che più tardi torna il suo amore e lei non può farisi trovare come a una pezza lodda. Ciavi trentanni ormai. E troppe delusioni alle spalle. Troppe sfortune. Quello è un partito buono. E poi a lei ci piace che è un belluomo. Macari su ciavi una figghia viziata e un chiodo fisso nella testa e in mezzo alle gambe.

18/07/13

15. Prove difficili. L'eroe viene sottoposto ad alcune prove che devono attestare la sua vera identità.

Calogero accumencia a cuntari tutta la storia che tutta tutta proprio no perchè ha pudore a mittirici dentro anche il fatto della pumata o dellaiuto di Cettina. Però che era stata lei a telefonare lo dice subito che ancora non lo capisce che beneficio può avere quel pezzo di merda di Iano a cuntare quelle cose.
Don Tano ascolta e non parra e non si sarebbe capito nulla dalla sua facci se non ciavissuro ogni tanto tremato i mustazzi. Ma forse quello è solo un tic e non un segno di nervosismo come pensa Calogero.
Iano invece continua a ripetere "sì munsignaro!" "sì munsignaro" ma si capisce che ormai lo fa solo per non passare per quello che è:  un infame.
Quando Calogero finisce Don Tano vuole vedere la bicicletta e poi sinni va senza dire più niente seguito da Iano che proprio non ci  può più stare in quella casa.
Calogero non lo sa cosa pensare. Sua madre continua a non parlarci come se non ci fosse nessuno con lei e lui invece avrebbe bisogno di sfogarsi. Di capire. Accussì decide di chiedere a Don Ciccio. Lui di sicuro può darici qualche consiglio che il quartiere lha visto nascere e canusci a tutti. E poi è quasi lorario che verso le tre passa sempri sutta ai palazzi che porta i gelati.
A Calogero ci piace quello di limone che ha quel gusto dolce sulla punta della lingua e poi invece fa rizzari do friddu i cannarini. Eppoi macari che è una cosa di picciriddi iddu su pigghia nella coppetta il gelato che allultimo arresta tutto liquido e lui si allicca quella squisitezza fino allultima goccia.
Accussì Calogero aspetta e mentre aspetta ci cala il sonno che ha dormito poco e nenti. E saddummisci macari. Che proprio non resiste. E quando si sveglia è di nuovo scuru e una mano lo sta spingendo.

"Calò! Calò!"
"Chiccè? Cu sì? Ah zia! Comu stai? Chiccifai cà?"
"Tu comu stai! Taddimuscisti assittato na seggia"
"Io..."
"Sì. Sì. U sacciu. Senti... ci pinsai iu a to o ma'. Chiffai voi rommiri ancora?"
"No. No"

Calogero non lo sa ancora quando tempo è passato ma guarda la finestra e capisce.

"Menumali ca vinisti!"
"Mi chiamò alla finestra Don Ciccio"
"Don Ciccio?"
"Sì! Mi rissi di dariti unocchiata pecchè ti aspettava e non spuntavi"
"Aspittava a mia?"
"Accussì mi rissi"
"E tu? E le chiavi?"
"Mi puttau Don Tano"

Dicendo questo la Za Rosa fa un sospiro come se fosse stata imbarazzata per questa cosa. E insomma Calogero la può anche capire che quella è vitua e anche una bella donna ancora.

"Ah!"
"Allura chiffai? Voi mangiari?"
"Non cè nenti a casa"
"Ti puttai tannicchia di pasta"
"Sì! Allura sì!"

Rosa rapi una busta e tira fuori un fazzoletto legato che dentro ci sono due piatti a manteniri u cauru. Ma la pasta è già ncuppulata ca passau tempo assai da quando è stata fatta. Con tannicchia di olio una leggera frittura è una passata di ricotta salata la donna ce lo aggiusta quel mangiare e poi ce lo serve che ci consa macari la tavola.

"Comè?"
"Bona zia!"
"Essì. Senti..."
"Rimmi"
"Chiu tardi Don Ciccio passa a trovarti. Non nesciri"
"No. No. Non nesciu"
"Bene. Ora saluto a me soru e minnivaiu. Mi raccumannu"
"Va bene zia"

Calogero si runa una bella sciaquata alla faccia e si pulizia tannicchia e fa appena in tempo che Don Ciccio suona alla porta.  Sua madre già saddumisciu e allora u gilataru sassetta vicinu a iddu nel tavolo della cucina

"Mu rici chi cumminasti?"

Calogero non cià tanta vogghia di cuntare tutto di nuovo. Però non può non farlo. Lo sa che quello già conosce ogni cosa e non ci fussi bisogno. Ma lui anche se è nico lo ha capito che questo è lordine delle cose e uno certe tradizioni li deve rispettare. E non può tirarsi indietro. Questa volta però nella sua storia non nasconde niente ma quando finisce subito ci addumanna:

"Ma comu facevi a sapiri che venivo da te?"
"E unni vulevi iri? Ora dobbiamo pensare solo a risolverlo questo guaio. Per primo devi fare vedere che non volevi fare danno a nessuno"
"E comu fazzu?"
"Bisogna fari parrari a Luciano"
"Sì! Semplici!"
"Ci pensu iu. So o pa' mi deve un favore. Lo convincera lui."
"E poi?"
"E poi si viri. Insomma ci dobbiamo fare capire che ci hai detto la verità a Don Tano"
"Ma du bastardo di Iano..."
"Non ti preoccupari! Don Tano u sapi quando valunu iddu e so o pa'. Che per quando riguarda sua madre invece è unaltra storia..."
"Chivvoi riri?"
"Nenti. Ava varagghiari e parrai. Non ti preoccupare. Non su cosi che ti riguardano"
"Machiffà? Ci fa i conna? Con Don Tano?"
"Ti rissi che non ti interessa. Ora invece tinni vai da Cettina e ci rici di cuntarici tutto a Don Tano che io nel frattempo mi spiccio laltra questione"
"Va bene. Va bene. Vi ringrazio Don Ciccio"
"E chimmiruni di nuovo del voi?"
"e' ca iu..."

Don Ciccio arriri e poi nesciuno insieme verso due strade diverse però che le faccende che dovevano fare non erano le stesse.

17/07/13

14. Falso eroe. Un impostore si presenta reclamando il riconoscimento come eroe e pretendendo il compenso.

Il fatto è che Calogero lo sa che non è nel giusto e allora ci cade la forza. Che ribellarsi diventa una minchiata.

"Calò! Calò! Fallu veniri cà a Don Tano"

Calogero entra nella stanza a testa bassa che ancora la testa ci furia. Don Tano lo segue lento. Non sembra aviri primura. Comu su tuttu fussi già deciso.

"Allora Calò pecchè non ce lo dici a Don Tano quello che mi giurasti ammia?"
"Non fui iu!"

Quello che ci nesci a Calogero è un filo di voce che si fatica a sentirlo. Sta per chianciri u picciruddu e allora si morde il labbro che quello non è il momento e grida poi. Grida forte.

"Non fui iu! Non fui iu!"

Don Tano lo guarda tutto serio e sta per ribattere quando di nuovo suonano alla porta. Calogero rapi senza nemmeno chiedere chi è. Senza dire niente. Davanti a lui cè Iano. E quello lo saluta con la testa e poi trasi comu su fussi a so' casa.

"Don Tano! Don Tano la cercavo!"

Lospite sembra che manco si è accorto della malata. E' tutto concentrato su quelluomo.

"E chi voi di mia? Ora stamu parannu. Vero?"

Don tano talia la madre di Calò come per dirici: "Non si preoccupi che ora continuiamo. Che ce lo leviamo dai cugghiuna a chistu. Un attimo. Prima ca diventa chiattidda. Prima ca sattacca"

Iano forse ora lha capito che non si è comportato bene e saluta la donna e ci chiede come sta e però lo fa in fretta che altro ciavi per la testa. Altro ha da fare.

"La cercavo Don Tano!" "E' per via del panificio" aggiunge. Come su avissi notizie sconosciute. Misteriose.

"Rimmi allura! Forza! Siamo tra amici"
"Ecco io..."
"Chi cè?"
"Insomma. No sacciu se posso qui!"
"Senti carusiddu. Trasisti cà come a un porco e non ti rissi nenti macari se non le sopporto queste scortesie. Mi ricisti che avevi notizie e non vuoi parlare... ma chi mi voi fari incazzari?"
"No! No Don Tano! Iu vogghiu riri solo la verità!"
"Ah! La verità. E dilla allura!"

Calogero lo talia senza parole a quellamico suo che non ce lo faceva a quello tutto quel coraggio. Iano è uno che non si muove senza passari dalla mammina e dal  paparino a chiedere il permesso macari di pisciari. Chi ci fa a so' casa? Chivvoli?

"Io stanotte lo visti a lui" e Iano indica Calogero "lo visti che traseva nella traversa dietro al panificio e che poi è uscito e subito è arrivato il fuoco"
"E comu u viristi?"
"Ero affacciato che cera cauru. Non riuscivo a dormire"

Don Tano lo guarda ancora più serio poi isa la mano e ci runa unaltra aggiustata alla facci di Calogero che così era pari con quella di prima.

"Calò! Calò! Unni sì Calò? Cu è stu munsignaro ca ciavi i chiavi da me casa? Cu iè? Don Tano io ci chiedo scusa. Io per un attimo ci ho creduto a quello. Oh chi disgrazia! Chi disgrazia! Unni sì Calò? Unni sì? Cu murrubau a me figghiu?"

Don Tano ora riprende a guardare a Iano che trema. Trema come su si aspittassi una lignata macari per lui.

"E picchì mi stai cuntannu sti cosi? Sintemu"
"Per la verità Don Tano. Per la verità"
"Di nuovo cu stà verità! Va bene! Va Bene! E chi viristi poi?"
"Poi nenti Don Tano. Poi minni trasii che ci cuntai tutto a me o mà e idda arrusbigghiaiu a me o pa' e poi ci  telefonai subito ai vigili per chiamarli. E quannnu mi affacciai di nuovo non cera chiu nuddu!"

Calogero ci arriva nella panza con tutta la sua forza urlando e lo ietta nterra e ci runa pugna che quello si difende e Don Tano deve faticare per separarli. Che con la sinistra tiene a uno e colla destra tiene allaltro. E pensa che i pigghiassi a coppa a tutti rui. Così! Per sfogarsi. Ma non può in quel momento e allora accumencia a santiari e poi ci chiede scusa alla donna che quello non è parrari di cristiani. Poi appena è un po' più calmo ordina:

"Ora vassittati e cià finiti. E mi cuntati tuttu macari. Di prescia però ca iu non ci vogghiu aviri nenti acchiffari che picciriddi."

E allora quei due sembra che si calmano e si siedono ai piedi del letto. E a vederlo quello pari  un quadro antico. Con quella fimmina menza susuta tra di loro e quei due con la faccia gonfia e gli occhi a terra.  

16/07/13

13. Arrivo a casa. L'eroe arriva a casa in incognito, oppure così trasformato dalle avventure passate da non essere riconosciuto.

"Calogero si tu?"
"E cu pogghiessiri o ma'?"

La domanda è sempre la stissa però Calogero lo capisce che qualcosa non quadra. Che la sentita tante volte quella frase eppure oggi è diversa. E infatti arriva una cosa nuova. Una cosa che lui non ciaveva pinsato che potesse accadere.

"Macchissacciu! Io non lo canusciu chiù a me figghiu!"
"E che significa o ma'?"
"Significa ca mi parranu di un carusu e io ci rissi che quello non era mio figlio. Mio figlio non le fa minchiate!"
"E chi ti rissunu? Sintemu"
"E picchì tillaia diri a tia? Tu cu sì?"
"O ma' finiscila! Chi voi riri?"
"La calunnia ci fù e la morti vinni. Me figghiu mossi e ava moriri iu!"
"Insomma o ma' mu voi ririri chi succiriu?"
"U sai bonu chi succiriu! Unni fusti?"
"Niscii"
"U sacciu ca niscisti. Ma unni?"
"Passai da Luciano"
"Ma su siti comu u cani ca iatta tutti rui!"
"Ma no o ma'! Talia! Mi resi macari a so bicicletta"
"Calò veni ca taliami"
"Ca sugnu!"
"Veni chiù vicino allora. Taliami nalocchi. Unni fusti stanotte?"
"Ava fari una cosa"
"E cosa? Abbruciarici il panificio a Don Tano?"
"Macchidici? E comu u sapisti del panificio?"
"E' stato Don Tano stesso a dirmelo"
"Don Tano? Cà? E comu trasiu?"
"Ci resi i chiavi la za Rosa. Fu gentilissimo quel cristiano. Non voleva nemmeno entrare nella stanza che ce lho dovuto dire io di trasiri"
"Don Tano?"
"Don Tano! Don Tano! Picchì non può essiri accussì?"
"Certo è che..."
"E' che cosa Calò? Picchì ciabbruciasti il negozio?
"Non fui iu"
"Sicuro?"
"Tu giuru o ma'. Non fui iu!"
"E allora?"
"Allora cosa?"
"Chi ci faceva u palluni a casa?"
"Quali palluni o ma'?"
"Non fari u fissa! Non fare u fissa cummia Calò! Ma cuntau Don Tano la storia del pallone. Ca tillava luvato. E se era nel panificio che ci faceva ora cà. Dietro la porta dingresso? Io non ci volevo credere ma Don Tano mu fici viriri! Cu sì tu? Unne me figghiu?"

Calogero sta per rispondere. Cerca di capire come togliersi da quellimpiccio. Ma non ci veni niente nella testa e poi sonano alla porta:

"Cui ie?"
"Don Tano sugnu! Rapi!"

Calogero ora veramente non lo sa cosa deve fare. Cosa deve dire. Ma non lo può lasciare fuori. E sua madre ci dice di aprire. Ci dice di non fare u fissa.
Quando spalanca la porta ci arriva una scoppola na facci che quella ciaddiventa tutta russa. E lui non cià la forza di reagire. E neanche la coscienza.  

15/07/13

12. Ritorno dell'eroe. L'eroe si avvia sulla strada del ritorno. Durante il viaggio può imbattersi in ulteriori vicende di persecuzioni e salvataggi.

Prima però cera da sistemare il fatto della bicicletta. Non la poteva lasciare là. A Calogero ci vinni la pinsata di metterla in mezzo alle foglie dellalbero ma l'idea era una minchiata che i rami più forti erano bassi e non sarebbe servito a niente. Tutti lavrebbero potuta vedere. Così si decise di portarsela a casa che almeno là qualche cosa ci sarebbe venuto in mente. La cosa difficile fu solo attraversare i rovi con quel pezzo di ferro che il caruso si pungiu tutto e malirissi ancora una volta quel cornuto di Luciano.

La piazzetta nel frattempo sera riempita di machine e cerano macari i vigili del fuoco che stavano sistemando i propri barattelli pronti ad andarsene. Non doveva essere stato granchè lincendio se tutto era già finito o forse era passato più tempo di quello che a lui era sembrato. La saracinesca del panificio era aperta e nterra cera un ciumi a rinfrescare laria e il primo sole che si affacciava. Macari u fetu era sparito.
"Cettina avrà telefonato subito" pinsò Calogero "e così quelli sono potuti arrivare presto"
Mentre era assorto in queste cose non si accorse di Lino. Chistu ci resi una manata nel cozzo accussì forte che quello cascò nterra con tutta la bicicletta.

"E bravo a Calò! A cu cia futtisti sta bicicletta?"

Calogero ci mise tannicchia a capire che cosa era successo. La botta era stata forte e la sorpresa macari. Poi susennusi vide la panza e capì. Ma non si poteva ribellare che quello era più grande e chiù rossu di lui.

"E' a mia chista!" disse come se fosse stata una sfida.

Per tutta risposta Lino accuminciò a ririri come se u carusu ciavissa cuntato una barzelletta.

"A to rici? Ma su cià visti a Luciano una a stissa"
"Ecchiffa! Cillavi sulu iddu?"
"Sarà!"

Cera in quel "sarà" lo stesso spirito lo stesso significato di  uno ca ti scaccia locchio. Ma Calogero continuava a non capire. Il fatto è che quando uno è nico non riesce a vederle queste cose dei ranni. E u iancu e iancu e u niuru è niuru. E nientaltro. Lino se ne accorse di questa mancanza e allora addivintau improvvisamente serio.

"Senti cama fari cuttia?"
"E chi voli fari vossia?"

Non lo fece vedere assai ma Lino fu contento di quel "vossia" spuntato accussì ntrasatta in quella discussione.

"Iu nenti ma tu cillà tagghiari di scassare la minchia cu du palluni"
"Picchi ncasumai?"
"Senti picciriddu... pimmia poi iucari quannu voi però su pigghi u muro invece della saracinesca è megghiu pi tutti. Naddiventi suddu tu e non fai addivintari suddi e ncazzusi gli altri"

Calogero si rilassò tannicchia che non se le aspettava queste parole e allora ci scappau macari un sorriso. Lino ne approfittò e ci misi un braccio sopra la spalla. Era tutto surato nonostante laria frisca della mattina e la panza ci nisceva fora da una maglietta troppo cutta e stritta per essere decente. Eppure a Calogero per un attimo ci passi bello quel segno di amicizia. E lo sapeva poi che aveva avuto una specie di permesso.
La sirena dei vigili ci fici cangiari pinseri a tutti rui.

"U viristi chi successi?
"No! Chiffù?"
"Ciabbruciano u panificio a Don Tano"
"E cu fu?"
"E cu u sapi? Io mi susii che sintii tutta sta confusione e Don Tano che gridava e i vigili che continuavano a teniri la sirena addumata"
"Ma non mi pari che ci furono danni"
"Di fora no! Però no sapemu che cè dentro. Ah! Eccolo. U viru chiù tranquillo"

Don Tano stava niscennu in quel momento. Non pareva assai incazzato. Forse le cose erano andate megghlu di come le aveva immaginate. Si taliava a destra e a sinistra comu si ciccassi qualcuno. Poi misi locchi su Lino. E su Calogero macari.
U carusiddu non ce ne aveva vogghia di affrontare quella questione ora. Si sinteva stanco. E poi improvvisa cera venuta na speci di cacaredda per quellincontro. Per quello che ci poteva succedere.

"Staiu pusannu a bicicletta" ci rissi a Lino. E poi sinniu senza più voltarsi. Diritto verso casa. Aumentavano le cose a cui pensare. Da sistemare. 

14/07/13

11. Vittoria dell'eroe. L'eroe sconfigge l'antagonista e porta a termine la sua missione.

Luciano accuminciau a furiarisi per liberarsi ma più si muoveva e più li stingeva quei lacci. Non lo poteva sapere che Calogero lo conosceva bene quel trucchetto del nodo.
Lo aveva imparato alla colonia estiva che ce laveva spiegato un suo amico. Saro do Tunniceddu lo chiamavano.  Era andata così che loro erano rimasti dentro le stanze dove passavano le giornate mentre gli altri erano andati a farisi u bagno nel mare della Plaja. Era stato allora che quello aveva pigghiato un picciriddo nicuzzo che era rimasto cuccato perchè ciaveva tannicchia di frevi e lo aveva usato come cavia.

"U viri come è facile?"
"Sì!  Ma non è ca ci fai mali? Talia come ti guarda"
"Ma no. Sulu su tira... vero Cicciuzzu ca tu non tiri? Vero?"
"Però chianci"
"Non ti preoccupare! Ora ci passa. Me patri mi rissi ca ci sù fimmini che se ce lo fai questo giochetto saddivettunu veramente. Ma a mia piaci sulu accussì. Per provare. Insomma non si mai. Ti può sempri sevviri"

U picciriddu lo guardava impaurito che le lacrime ci niscevano lente. Non era la prima volta quella e Calogero pinsò che non sarebbe stata manco lultima. E' che Saro veramente saddivitteva accussì che poi però era sempre pronto a aiutare e a difendere a tutti. Insomma una brava persona a parte sta sciocchezza.

"Allora... ora io ti levu stu bavagghiu e tu mi rici perchè facisti questa minchiata. Cheppoi ca tu sì una testa di minchia io lho sempre saputo ma arrivare a questo punto!"

Luciano aveva cominciato a capire che a muoversi non ci conveniva o forse sera solo stancato.  Fatto sta che sera fermato un poco e con la faccia girata taliava a Calogero pietoso e impaurito. Fece di sì con la testa e allora quello ci levo la maglietta dalla ucca. Era tutta vaviata. Uno schifo.

"E allora?"
"Chivvoi? Chi voi sapiri?"
"Picchì ciabbruciasti u panificio a Don Tano?"
"Non è di Don Tano"
"E di cu iè allura?"
"Di me o pa!"
"Certo! Certo!"
"E' la verità. Sillava accattato con la liquidazione"
"E allura picchì ci sta Don Tano?"
"Ci pristau i soddi che a lui non ciabbastavano e u mutuo non ciù ravuno le banche che lui era pensionato"
"Cui? Cu ci resi i soddi?"
"Don Tano! E cui se no? E poi si pigghiau tutto du bastardu!"
"E io che centro?"
"Nenti. Nenti. Maccririri. Ti visti assira e mi vinni sta pinsata"
"E bravo u cunnutu. Solo che io ci puteva moriri u sai?"
"Ma no. Non volevo. E' stato un incidente! Chiffai mi levi sti lazza? Ciaiu i razza che non me le sento più" 
"No!"
"Fozza Calò! Ti rissi tutto! Fozza!"

Per tutta risposta Calogero ci misi di nuovo na ucca la maglietta che quello stava attaccando a chianciri e poi u lassau accussì che di sicuro tra poco sarebbe passato qualcuno della casa  a svegliarlo e a liberarlo. Ci voleva una lezione per quello stronzo. Anche se.

Per andarsene alzò un poco la serranda piano piano per non fare rumore. Non gli andava di strisciare ancora nterra come a verme. Aveva quasi saltato la ringhiera quando ci vinni nella testa una mala pinsata. Tornò indietro e svuotò tutto il tubetto che aveva conservato nella sacchetta sopra il culo di Luciano. Quello si pigghiò veramente un bello scantazzo ma Calogero si misi sulu a ririri a taliarlo. Ora ci faceva veramente pena du carusu.
Nisciu nuovamente e fece il percorso al contrario che voleva sapere come era andata a finire e guardare la faccia di Don Tano.

13/07/13

10. Duello. L'eroe e l'antagonista combattono. In questa situazione il primo può utilizzare i doni magici ricevuti dal donatore.

Di Luciano non cera più traccia però già il fumo nisceva dalla finestra e le ossa facevano male. Calogero non lo sapeva veramente cosa doveva fare. La testa ci furiava ancora per la botta e le lacrime acchianavano che u carusiddu faceva fatica a non assittarisi nterra e chianciri. Chianciri senza più problemi.
"Cettina!" pinsau. Forse Cettina poteva aiutarlo. Susiu locchi verso il balcone e lei era veramente lì. Muoveva le braccia come per chiamarlo ma non diceva niente. "Forse non può!" ci venne da pensare e in effetti doveva essere accussì perchè quando fu sutta a quel muro la carusa ci parrò come su non avissi ciato e taliandosi sempre alle spalle come su si scantassi dell'arrivo di qualcuno.

"Ma chi cumminasti? E che è quel fumo? Si tutto loddu di sangue! Ma comu stai? Ti fa mali qualcosa?"

Era una serie accellerata di domande che ci voleva testa per rispondere. Ma Calogero non cinnaveva tempo. Troppe cose erano successe e poi accuminciava a capiri cosa doveva fare. Accussì ci rissi sulu:
"Pigghia u telefunu! Chiama i vigili prima cabbrucia tutto! Spicciati. Mi raccumannu!" 
poi sinni iu verso la fontana per darsi una sciaquata. Per riprendere ciato.
Il pallone ce laveva sempre sottobraccio che quello non poteva rischiare di perderlo di nuovo. Si vagnau la testa mettendola sotto il rubinetto e una scia di sangue scinniu insieme allacqua per sparire in fretta nello scarico. Accuminciava a sintirisi anche nellaria u fetu di bruciato. Non la poteva passare liscia quellinfame. Acchianau di corsa le scale per lasciare la palla dietro la porta di casa. Poi nisciu di nuovo. Lavrebbe pagata cara du figghiu di sucaminchi.
Appena fuori dal portone ci diede di nuovo unocchiata al panificio. Il fumo accuminciava a nesciri anche dalla saracinesca dellentrata. Cera Don Tano misu lì davanti. Fermo. Con le iamme aperte. Di sicuro stava ittannu sentenze contro il mondo. Calogero non se ne curò più di tanto che ora aveva altro da fare e poi era quasi sicuro che quello non lo aveva visto. Accuminciau a curriri e pigghiau la scorciatoia per il palazzo dove stava Luciano.
Bisognava passare arreri ai cassonetti della munnizza e superare quello che forse per gli architetti del comune doveva essere o doveva diventare un parchetto per i giochi ma che da sempre era invece una foresta di rovi e di pale di ficurinia ammiscata a muretti di pietra lavica macchie di erba e cianfrusaglie abbandonate. Non ciandava quasi nessuno lì. Qualcuno che si sputtusava. I carusi per leggere i giornaletti vietati. Le coppiette che ciavevano prescia di futtiri. Calogero invece laveva fatta tante volte quella strada. Era perchè nel centro del parchetto cera uno spiazzo piccolo con lunico albero che era rimasto. Una mimosa che quando era la stagione giusta ciauriava come a una fimmina in calore. Lui sassittava lì. Si sdraiava. E taliava il cielo fino a stancarsi gli occhi. Quello gli bastava a stari megghiu che quei momenti erano di conforto per la sua anima.
Ma non era ora il momento per quelle sciocchezze. Calogero superò quel pezzo di terra sconsacrata e si ritrovò davanti a dove doveva arrivare.
Il balcone di Luciano dava sulla strada. O meglio la punta del suo balcone era vicina alla strada ma il palazzo sotto continuava che cerano i garage per le machine. Insomma pareva come nei castelli della favule che cera il fossato tutto attorno alle torri.
Fu fortunato Calogero che subito potè iniziare a farcela pagare. Attaccata alla ringhiera che separava la strada dal balcone cera infatti la bicicletta di quel cornuto. Con un colpo sicco di pinza staccò la catena che la legava alla recinzione ciacchianau supra e la portò sotto il suo albero. Ci avrebbe pensato dopo a cosa farne. Ora toccava a Luciano.
Tornò al palazzo e arrampicandosi sautò dentrò al balcone. La portafinestra si vedeva che era aperta anche se la serranda era quasi tutta abbassata. Cera però lo spazio giusto per permettere a uno nicu come a lui di passare strisciando a terra. Calogero si sdraiò come facevano i soldati nei filmi di guerra e senza sforzo si ritrovò nella stanza di Luciano. Lo sapeva che chidda era la sua. Lo aveva visto tanti voti passando lì davanti che giocava assittato dietro al tavolo con le machinedde che facevano gli incidenti o sautavano da sopra  alle montagne fatte di cartone.
Quel bastardo dormiva a culu chinu tuttu a nura e a panza sutta come se nulla fosse successo. Sorrideva macari. Come uno che ha la coscienza pulita. Calogero si luvau la maglietta per usarla come bavagghiu poi pigghiau la corda e ce la fici passari sutta le caviglie e poi tra i polsi. Ciaveva le mani di piuma u carusiddu e quello poi pareva proprio non sentiri nenti. Fu un attimo. Con un colpo sicco lo incaprettò chiuriennu la corda con un nodo stretto. Poi subito ciacchianau ncoddu e ci misi la maglietta na ucca .    

12/07/13

9. Poteri dell'antagonista. L'antagonista è dotato di poteri malefici che usa per combattere l'eroe.

I due carusi si ritrovarono in uno sgabuzzino che poi si accorsero subito che quella era la stanza del cesso. La luce era picca e ci vosi tempo per riuscire a vedere qualcosa. Che locchi si abituassero.

"E ora?"
"Ora ciccamu u palluni"
"Aspetta!"

Luciano pigghiau dalla tasca dei ginsi un accendino e un pacco di sigarette macari. Ne uscì una di quelle e sa misi na ucca accuminciannu a tirare.

"Macchiffai fumi?"
"No viri? A voi una?"
"No"
"E certo! Sì 'npiciriddu"

Due colpi di tosse ficiru capire che forse nemmeno lui era tanto cresciuto. Nel frattempo comunque continuava a fari luci con la fiamma dellaccendino mentre Calogero lo taliava senza dire una parola.

"Spicciati ca brucia stu cosu"

Da quella stanza passànu nello stanzone di lavoro. Cerano le teglie e la farina e i forni e il pallone finalmente. Era misu di lato che laspettava. A Calogero ci lucenu locchi.

"Eccolo!"
"Bene!"

Calogero si mise quel trofeo sotto il braccio pronto per uscire ma Luciano con un pugno ce lo fece cadere. La palla rimbalzò una para di voti e poi arrivò sopra a un sacco aperto sollevando tutta una nuvoletta bianca che lentamente scinniu comu fussi nivi sopra al pavimento.

"Chi stai facennu? Andiamocene che quello tra poco rapi e poi sù cazzi!"
"E certo! E troverà a te qua..."
"Non dire minchiate Luciano. Fozza moviti!"
"E chi le dice le minchiate? Ti pari picchì sugnu cà? Ti visti assira cu da carusidda. Ci vulevi passari a pumatedda alla fimminedda?"
"Iu minnistaiu ienno"
"Fermo!"

Luciano lo taliava arrirennu e nelle mani si passava un cutidduzzo comu su fussi stato una pistola dei coubboi. Come se quella lama ciavissi u focu.

"Tu si scemu! Leva du cosu ndo menzu! Forza che quello arriva veramente"

Per tutta risposta quello aveva iniziato a tagghiari tutti i sacchi che nel giro di pochi minuti la stanza era china di farina. Poi non contento accumiciau a rapiri le latte di olio e di salsa e le buste di zucchero per versarne tutto il contenuto 'nterra. Era una tragedia.

"Luciano macchissì pazzu? Finiscila! Macchistai facennu?"

Tutto successe in un attimo che dopo quelle parole lui cercò di fermarlo ma quello lammuttau che lo fece cadere. La testa ci andò a sbattere contro un carrello pieno di teglie. Calogerò sentì il rumore delle latte che cascavano e poi forse svenì. Non ne era sicuro. Fatto sta che non capiu chiù nenti. Si ritrovò poco dopo che arrinisciu a susirisi anche se ciaveva del sangue che ci colava nella faccia e la testa che ci scoppiava. Il pallone era ancora sopra il sacco. Nellaria cera feto di bruciato e non ci vosi molto a capire quello che quella testa di minchia aveva fatto. Calogero pigghiau di cursa la sua palla e cercò di uscire. Per acchianare era semplice che la tazza del cesso era quasi sotto allapertura e così mettendoci un piede sopra arrivò facile facile a nesciri fora.

11/07/13

8. Antagonista. L'antagonista è il nemico che si oppone all'eroe e ostacola il compimento della missione.

Calogero si misi tutto nelle sacchette. Spostò  la cassetta. Aggiustò il comodino sotto alla finestra e si preparò per acchianare.
Non era semplice che macari che era più comodo ciarrivava sempre male al bordo della finestra. In compenso però ci fu la sorpresa che si accorse che non era necessario spaccari u vitru. Le due ante infatti erano unite da una specie di uncino e Calogero pigghiò subito il cacciavite e con un colpetto fici sautari tutto e la finestra come per incanto si rapiu.
"Bene" pinsò il caruso.Ora ci voleva solo lultimo sforzo. Darisi una spinta con le gambe e le braccia e sautari intra. "E comu finisci finisci"
Era con la testa già dentro quella stanza scurusa quando si sintiu tirari i peri. Preso dallo slancio non potti fare altro che cascari in mezzo alla strada. Rapiu locchi che ci faceva mali u culu che aveva sbattuto forte e anche la coscia destra accuminciava a doliri. Dopo i primi massaggi alzò gli occhi per capire megghiu. Davanti a lui cera du pezzo di medda di Luciano Sciaroto. U figghiu del vecchio portiere.
Calogero non laveva mai potuto sopportare. Suo padre era andato in pensione che ancora nessuno dei due era nato e listituto delle case popolari ciaveva lassato la casa dove stavano che tanto sera deciso che non serviva più un portiere per tutti quei palazzi. La madre di Calogero diceva che quello in fondo non sera comportato male in tutti quegli anni. Certo sera fatto qualche rattidduzzo con le cose che listituto ci dava per i condomini e in qualche casa ciaveva lasciato qualche ricordo e qualche sospiro ma insomma era gentile che invece so figghiu non si puteva sumbuttari.

"E' perchè è figghiu unico!"
"Ma quali o ma! Macari iu sugnu figghiu unico"
"E infatti..."

Calogero non ribatteva mai a quella risposta. Fatto sta però che ogni vota che si incontravano e succedeva spissu che avevano la stessa età fineva ca si pigghiavano a coppa.

"Chi stavi facennu?"
"Non su fatti to!"
"Sì invece. Ca chista non è a to casa"
"Senti Luciano lassami peddiri"
"E chista chi è?"

Dalle tasche cerano cascati tutti l'attrezzi e ora Luciano tineva tra le mani il tubetto che ciaveva dato Cettina.

"Macchiffai? Ta fai mettiri no culu?"
"Rammilla!"
"Talia. Talia... vuoi che te la spalmo io la pomatina?"

Calogero accuminciau a capiri qualcosa di quella crema che ciaveva dato a carusa. Ne aveva sentite tante di storie sui vizi del padre di lei. Eppure non ce la poteva dare vinta a quello. E poi cera il pallone da recuperare.

"Senti invece perchè non ma runi una mano?"

Luciano non se laspettava quellofferta che mai era successo che i due parlassero senza insultarsi. Accussì preso di contropiede nemmeno si accorse di dire di sì.
Un attimo dopo era là che prima ci faceva lo scalino con le mani per farlo acchianare e poi si faceva aiutare da Calogero a entrare.

10/07/13

7. Doni magici. I doni, spesso nel numero di tre, hanno poteri magici di cui l'eroe può essere, o meno, a conoscenza.

U sonnu ci calau facile. Sarà stato il primo frisco o la stanchezza per le cose che ci erano successe ma Calogero saddummisciu a colpo nel letto. La mattina dopo sarrusbigghiau che u gelataru sunava la campanella per la granita. Non ebbe neppure il tempo per lavarisi la faccia. Pigghiau i soldi dalla cassetta che teneva in cucina e scinniu di corsa prima che quello se ne andava:

"Oh! Arrivasti? Era la terza vota ca facevu sgrusciu cu sta cianciana!"
"Eh! Grazie Don Ciccio. Maddumiscii!"
"Eh certo! Voi carusi su pigghiati sonnu ci volunu i bummi. Chiffai ti pigghi a solita? E u puttasti u bicchieri?"

Don Ciccio faceva ancora la granita come allantichi che quando arrivava na ucca era una passione. Una delizia. E come a quelli aveva tenuto la tradizione che quando lui arrivava sutta ai palazzi uno doveva scinniri con il vetro pecchè diceva lui che allora la granita piddeva lanima con quei bicchieri di prastica dove la mettevano gli altri. Lui laveva visto crescere nella panza della madre a Calogero e poi crisciri anno dopo anno e per questo ci voleva bene e anche per qualche altro motivo che però Calogero non conosceva.

"Ecco! Una mandorla e una mandorla macchiata cioccolato. E due briosce vero? Ecchiffai? Mi runi i soddi? Lavissa sapiri che la domenica è festa e non si pava!"
"Ma..."
"Nenti ma e nenti ba! Acchianatinni prima ca si squagghia e salutami a to o ma! Mi raccumannu"
"Certo Don Ciccio. Certo"

Era duminica. Calogero ci pinsau ancora e poi ci vinni na testa che di sicuro quella del comune non sarebbe passata e allora acchianau di cursa che le cose da fare erano tante. E accussì fu.

La giornata allora la passò a casa che tanto senza pallone non cera gusto a scinniri e sempre più nervoso aspittava la sira e poi la notte. Quando fu tempo si ricordò di Cettina.
"Tanto su voli veniri mi viri dal balcone" pinsò e non se ne preoccupò assai.
Invece la picciridda era già sutta la finestra del panificio. La visti subito Calogero perchè ciaveva una vesticedda ianca tutta arraccamata con una cintura niura che le stringeva i fianchi e nelle mani poi macari una busta che di sicuro ciaveva delle cose dentro.

"Arrivasti finalmente!"
"Che è? Pinsavi che non ti chiamavo ca già si cà?"
"Comu su non ti canuscissi ti pari ca non ti viru cà e a scola macari comu ti comporti?"
"E come mi comporto?"
"U sai! Non cè bisogno che te lo dico io"
"Basta! Accuminciamo di nuovo?"
"No. No. Piuttosto... Ci pinsasti a comu acchianari? E con la finestra poi comu fai? Ci spacchi u vitru?"
"Non ci pinsai! Pacchianari pinsai ca visti che la signora Calì oggi ittau un comodino vicino alla munnizza. Mi pari dellaltezza giusta"
"Bene! Ti serve aiuto?"
"No. Ora ci vaiu e u pigghiu. Visti ca ciavi u mammuru di supra ca è ruttu. Ma iu ciù levo che così diventa leggero e facile da portare. E tu chicciai nella busta?"
"Nenti. Cioè puttai una pinza e questo tubetto di vaselina. Pinsai ca ti putevano sevviri. I pigghiai nellarmadietto"
"A vaselina? E chiè?"
"Ecchissacciu! Cerano dieci tubetti tutti i stissi che sarà che a mio padre ci serve spesso. E allora pinsai che magari puteva sevviri macari a tia"
"Va bene. Va bene. Allora staia tunnannu"
"Occhei"

Il comodino era più pesante di quanto aveva previsto che il marmo era rotto sì però tutto il pezzo ancora pareva nuovo con quattro iammitti alla francese che Calogero a pensare alla stanza da letto della signora Calì ci vinni darririri.
Quando finalmente ritornò Cettina era sparita. Sopra a una cassetta sotto alla finestra aveva lasciato in ordine la pinza il tubetto e la cintura niura che Calogero pigghiannula visti che era  lunga e resistente. 

09/07/13

6. Donatore. Nel suo cammino l'eroe incontra un personaggio che gli offre -alcune volte in cambio di un gesto di generosità dell'eroe -dei doni.

Cettina è chiu ranni di Calogero. Un anno. Forse due. Quando quello se la ritrova davanti non può evitare di mostrarsi sorpreso. Che non se lo aspettava prorio.

"E tu chiccifai cà?"
"Avi nura ca taliu! Chiffai?"
"Ah sì? E comè ca non ti visti?"
"Ero al balcone minchiuni"
"Certo! E per arrivare cà avvulasti..."
"No! Scinnii di dà!"

Calogero isa locchi verso il palazzo lì dove Cettina gli indica con il dito. Accanto al balcone della casa della carusa nota che passa il tubo per quando piove

"Certo! E ammesso ca cià fà quel coso a fariti scinniri comu fai dopo pacchianari?"
"Ciaiu i chiavi scemo!"
"Ah!"

Calogero non cinnavi vogghia di proseguire la discussione. Eppoi si deve spicciare che u pannitteri arriva presto a matina pi travagghiari.

"Va bene! Va bene va! Chiffai ma runi una manu?"
"Certo. Ma piffari cosa?"
"Vogghiu u me palluni. Don Tano su puttau dentro al panificio"
"E comu fai?"
"Trasu darreri o garage... cè un puttusiddu! Una finestra  per laria..."
"Veramenti?!"
"E certo. Su tu ricu! Allora chiffai? Veni? E tardu già"
"Forza"

Cettina lo segue e mentre sorride che ci piace lidea di quel gioco. Non cinnavi primura a caruridda che prima al balcone ha sentito so o pà che accuminciava a farici una visita intima a quella fimmina che sè portato a casa e lo sa che quannu finisciuno poi dormono ca non sentono mancu i bummi e allora lei può rientrare senza che loro se ne accorgono.

"Ma ciafai? E' iautu!"
"Aspetta ca pigghiu sta cascia"

Nonostante tutti gli sforzi Calogero arriva solo a puntellare i ita sul bordo della finestra e le cassette di legno abbiate dietro al panificio sono troppo leggere e basse e fradice per poterci fare una specie di scala.

"Te lavevo detto io"
"E brava a mavara!"
"Certo. Iu sugnu mavara ma tu sì duru"
"Comu no! Bellaiuto ca mi runi"
"Va bene. Va bene. Minni staiu iennu!"
"Ecco! Brava!"
"Però ci putemu pruvari dumani se vuoi"
"Macchidici! E su poi mu tagghiunu?"
"Scimunitu dumani è duminica! Il panificio è chiuso"
"Vero..."

Calogero si vergogna che non lha pensata prima questa cosa e allora smette di provare ad arrampicarsi che già ciavi tutte le braccia e le iamme graffiate e tanto lo sa che non ci può arrivare a quella minchia di finestra e ci vuole altro oppure una nuova pinsata. Solo che non ci vuole dare ragione a quella carusidda.

"Chiffai? Mi accompagni alla fontana?"
"Sì! Va bene"

I due camminano muti e ora sono al centro della strada che non cè più bisogno di nascondersi. Lontano dove cè la via grande continuano a passari le machine e qualcuna ogni tanto li illumina e li fa sembrare come a fantasmi.
Quando è sicuro che non lo può vedere Calogero guarda a Cettina che quella carusa è proprio strana. Ciavi un paro di pantaloncini larghi larghi tutti blu che di sicuro sono di so o pà e una magliettina con le figure dei cartoni. Calogero non li conosce quei personaggi che lui non cià tempo per quelle minchiate.
Cettina invece continua a camminare avanti e ogni tanto si gira di scatto forse per fargli uno scherzo oppure se ne accorge che lui la talia.

"Comu stà to o mà?"
"Comu a stari? Come sempre"
"Mio padre dice che sarebbe megghio ca murissi. Megghio pittia intende"
"Ce la chiestio qualcuno il suo parere?"
"No certo. Era che io ci spiai"
"E perchè?"
"Accussì"
"Senti ma dumani voi veniri veramente?"
"E certo! Tu rissi iu!"

Lacqua dopu tannicchia ca scurri è quasi fridda. Cettina si piega e continua a mungiri u buttuni per bere. E si vagna la facci bevendo. E la maglietta macari.  Poi ci mette un dito a fermare luscita e lacqua accumencia a schizzare e lei  vagna a Calogero che scappa e arriri e che poi tenta di prendere lui il possesso di quellarma ma il risultato è ca su vagnati tutti rui dalla testa ai peri e gocciolano che quasi arrinesciunu ad aviri friddu.

"Bastardu!"
"Cunnuta!"

Quannu Calogero lassa Cettina davanti alla porta della sua casa ci dice solo "a domani" e poi acchiana le scale che gli mancano pochi piani a sò casa. E salendo si accorge che per un po' non ci ha pensato più al suo pallone ma ora però cè ritornato in testa.

08/07/13

5. Missione. L'eroe si prefigge un compito che, se portato a termine, potrà riparare il danneggiamento.

Alla sira ci si cucca tardi da queste parti. Che fino a quando quella pettra niura lassa tutto il calore che ha pigghiato ci voli tempo e allora i mura le strade bruciano e  l'aria si mantiene caura che poi quando come oggi non cè vento si fa fatica macari a respirare.
Certo Calò è caruso e lui non li sente assai queste cose che fussi per iddu si muoverebbe in continuazione. Avi largento vivo in corpo du picciriddu.
Ora su lunnici e ancora cè gente che passa. Balconi affumicati dove si arrusti la carne e si vivi la birra o il vino. Vuci di televisione e di cuttigghio che dalle finestre arrivano fino ai palazzi vicini.
La gente parra e si cunta le cose e si passa le novità ammiscate alla cronaca di quelli famosi che stanno macari supra i giurnali. E si lamenta. Che cè sempre qualcosa di cui lamintarisi. E sparulia a tutti. Che non ce nè uno buono. E sacchiappa. Che il vino e il cauro danno alla testa. E arriri. Che qualcuno rici qualche minchiata. E vive.
Calogero cià dato la lattughedda a sua madre e poi ci ha fatto muovere un po' le gambe prima dellultima medicina. Quella che la fa dormire senza tanti dolori. Aspetta che faccia effetto che non ci vuole assai e poi si metti arreri alla finestra a taliari la luna.
Questa notte quella ci pari grandissima e deve essere veramente così perchè allora con lunico faro che ancora funziona non si virissi nenti nella piazzetta. E invece.
Ascuta la genti Calogero e per un po' immagina macari di sentiri u mari. Alle volte succede infatti che tannicchia di aria arriva dal porto fino a là e si porta dietro cose che Calò non conosce ma che lui lo sa che ci piacerebbe sapere. U carusiddu quando succede questa cosa apre la bocca e allarga i polmoni come se quella fussi lultima aria possibile e nel respirare chiuri locchi e si sente forte. Imbattibile.
Quannu sastuta l'ultima luce dietro alle finestre rimane solo la luna e un ciauru duci di carne nellaria. Calogero controlla di nuovo sua madre e poi nesci che sè preso un cacciavite e una pinza e se li è messi in una busta di prastica. Che non si sa mai può essere che ci servono.
Chiude la porta alleggiu alleggiu e poi scinni le scale con cautela. Mancu chiuri u purtuni che lo sa che quello ci vuole forza a farlo e poi fa buddellu quando sbatte. Davanti nella notte ci sono tutte le machine posteggiate e due suggi martogni che fanno cena con quello che qualcuno cià lanciato dal palazzo.
"E certo ca crisciunu accussì" pensa Calogero e si talia le braccia e le gambe sicche come angiove e le mani grandi che quelle laveva prese da suo padre. Poi inizia a camminare vicino al muro. Nellombra. E quasi non si accorge di Cettina che lo guarda dal balcone del primo piano e lo spia e lo segue mentre lui si sente come a quello: a Bond. Geims Bond.    

07/07/13

4. Partenza. Per riparare il danno o per recuperare la perdita l'eroe deve lasciare la sua abitazione o il suo rifugio

Assittato sopra il trono Calogero appoggia le braccia al lavandino e pensa e poi ci accumencia a calari la testa che lui allinizio resiste ma a un certo punto crolla e saddummisci.
Sogna Calogero. E' un giocatore di quelli famosi e tutti lapplaudono che quando inizia la partita fa un tiro dalla sua porta potentissimo e il pallone sale nel cielo che quasi non si riesce più a vedere e poi ritorna verso la porta dellaltra squadra che si vede che il portiere non riesce a capire da dove può arrivare e corre a destra e a sinistra e non si decide e così quando quello arriva veramente e lui si tuffa non cè più niente da fare che la palla ha già passato la linea ed è entrata nella rete. E allora tutti si alzano in piedi e gridano il suo nome:

CA-LO-GE-RO! CA-LO-GE-RO! CA-LO-GE-RO! CA-LO-GE-RO!

U picciriddo sarrusbigghia e si accorge che sua madre lo sta chiamando. E' ancora intontito ma si runa una passata di acqua fridda nella faccia e dopo va a vedere cosa è successo che già lo sa che non si è fatto sentire quando è rientrato e che lei non ha ancora cenato e che forse macari ha bisogno di essere cambiata di nuovo.

"Calò. Calogero! Ma unni fusti?"
"Ero in bagno mamma"
"Sì. Sì. Scusami. La devi scusare a questa tua madre. Ti ho sentito entrare e nuddu mi arrispunneva e queste iamme accuminciano a dolirimi più forte e... Calogero! Aiutami Calogero. Aiutami!"
"Non ti preoccupari o mà. Aspetta. Aspetta ca ti rugnu a medicina. Dumani veni chidda do comuni?"
"No sacciu Calò. No sacciu"

E Calogero accumencia a pinsari che sì quella veni ogni tre giorni e già la matina prima lui laveva lavata e profumata a sua madre e poi ancora quando si era svegliato oggi che lui preferiva farla al mattino quelloperazione che di sira invece ci passava a fami e u sonnu. E non era perchè era pisanti sollevarla per cambiarici il pannolone e neanche pulirla ci veniva difficile. Il fatto era che quel pezzo di plastica chino di cotone e di merda e di piscio ogni vota lo faceva vomitare e doveva correre subito a ittarlo nella spazzatura che certe volta la lasciava a nura e tutta lodda nel letto a quella disgraziata e curreva a mettiri tutto nel cassonetto della munnizza sotto casa prima che lodore prendeva tutte le stanze.

Il medico sera messo a ridere quando sua madre ce lo aveva raccontato.

"E' un bravu carusu vostro figlio. E' tutta colpa delle medicine! Ma noi miracoli non ne possiamo fare. Ci vuole pacienza! Pacienza ci voli! E tu cinnai pacienza Calò?"

Il medico lo aveva guardato sorridendo che lui per tutta risposta ci aveva sputato nella facci e poi era nisciuto di corsa a giocare a pallone.

"Sì! Sì! E' dumani"

Ci rici accussì Calogero alla madre. Per confortarla. Per confortarsi. E quella scoperta ci fa veniri in mente di nuovo il suo pallone che lui allora la può risolvere già di matina la situazione e recuperarlo. Ma poi pensa che è troppo tardi. Che magari non ce lo danno. E allora si ricorda che arreri al garage del panificio cè una finestra nica per fare passare laria e così si risolve che ci andrà di notte. Senza chiedere a nessuno. Che nuddu ci po' luvari u palluni. 

Per un gioco sulla letteratura: 10 citazioni, 10 autori, 10 immagini

CITAZIONI:

In fondo si scrive per colmare qualcosa che non abbiamo, e più si scrive d’amore e meno ne sappiamo; d’altronde anche i cani vanno a ululare alla luna perché non capiscono cosa sia.”
Claudio Baglioni

La parola scritta m’ha insegnato ad ascoltare la voce umana, press’ a poco come gli atteggiamenti maestosi e immoti delle statue m’hanno insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini. Viceversa, con l’andar del tempo, la vita m’ha chiarito i libri.
Marguerite Yourcenar


“Non sono un venditore di farmaci. Sono uno scrittore.
- E cosa le fa credere che uno scrittore non sia un venditore di farmaci?”
Kurt Vonnegut

Chi veda soltanto una coda, facendo astrazione dal mostro a cui essa appartiene, potrà stimarla per se stessa mostruosa. Bisognerà riattaccarla al mostro; e allora non sembrerà più tale; ma “quale dev’essere", appartenendo a quel mostro. «Una coda naturalissima».”
Luigi Pirandello


Alice cominciava a essere assai stanca di starsene seduta accanto a sua sorella sulla riva del fiume senza avere nulla da fare: una volta o due aveva dato un’occhiata al libro che la sorella stava leggendo, ma non aveva né figure né dialoghi, «e a che cosa serve un libro», pensò Alice «senza figure e dialoghi?»”
Lewis Carroll


La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo grigio alle sue calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò gridando al lupo al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui. Non ha molta importanza che il poverino, per aver mentito troppo spesso, sia stato alla fine divorato. L’importante è che tra il lupo del grande prato e il lupo della grande frottola c’è un magico intermediario: questo intermediario, questo prisma, è l’arte della letteratura. Ogni grande scrittore è un grande imbroglione.
Vladimir Nabokov


Nell’inquietudine e nello sforzo di scrivere, ciò che sostiene è la certezza che nella pagina resta qualcosa di non detto.
Cesare Pavese


L’oggetto dell’artista è la creazione del bello. Che cosa sia il bello, è un altro problema
James Joyce


 “Ascolta attentamente. C’è una lontana possibilità che tu possa imparare qualcosa. Primo punto, non me ne frega niente se il mio lavoro è commerciale o no. Lo scrittore sono io. Se quello che scrivo è buono, allora le persone lo leggeranno. È per questo che esiste la letteratura. Un autore mette il suo cuore e le sue palle sulla pagina. Per tua informazione, un buon romanzo può cambiare il mondo. Tienilo bene in testa quando ti metti di fronte a una macchina da scrivere. Non perdere mai tempo in qualcosa in cui non credi neanche tu
John Fante


C’è chi passa la vita a leggere senza mai riuscire ad andare al di là della lettura, restano appiccicati alla pagina, non percepiscono che le parole sono soltanto delle pietre messe di traverso nella corrente di una fiume, sono lì solo per farci arrivare all’altra sponda, quella che conta è l’altra sponda.
José Saramago

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06/07/13

3. Danneggiamento, mancanza. L'infrazione del divieto produce la perdita di qualcosa o conduce ad una situazione dannosa o pericolosa.

"Cu fù? Cu fù stu cunnutu?"

Don Tano ciavi i manu supra i cianchi e la panza di fora che con questo cauro si misi sulu i pantaloncini con la bandiera americana per nesciri di casa. E' davanti alla porta del panificio e con la testa cerca il colpevole di quellaffronto. Non ci vuole assai a trovarlo che Calogero e Iano ancora giocano come se non fussi successo niente.

"Cu fu?"

Torna a dire urlando ancora chiù forti. E nello stesso momento con il telecomando astuta la sirena che aveva continuato a sunari senza sosta.

I due carusi finalmente si fermano e Iano pigghia u palluni e se lo mette sotto il braccio. Don Tano avanza lento verso di loro che le ciabatte da mare ci danno tannicchia di fastidio. Ciavi du cipuddi che ci manciuliano i peri e un piccolo taglio nel pollice che ce lo fece sua mugghieri mentre ci tagghiava lugnia.
Avanza lento Don Tano e quella scena sembra come nei film con lo sceriffo e i banditi che un tempo facevano alla televisioni. La surura ci gocciola come se si stesse facinnu la doccia ma lui no si preoccupa che di sicuro cè abituato.

"Non fu apposta. Scappau!"

Macari Calogerò non fa tanto u spetto che qui tutti lo rispettano a quello e insomma non cè molto da scherzare. Don Tano sembra quasi che non lo sente mentre ci passa davanti. Prosegue con la stessa andatura e locchi ritti verso Iano. U carusiddu sembra scolpito. Una di quelle statue di pietra che fanno compagnia ai morti nel cimitero. Quando ciarriva vicino il vecchio lo guarda negli occhi e si pigghia il pallone.

"Chistu mu tegnu iu"

Ci rici accussì. Sottovoce vicino allaricchia. Poi con lo stesso passo torna indietro senza dire più una parola.

Passa tannicchia prima che i due carusi si riprendono e non si accorgono nemmeno di Lino che dal balcone guarda soddisfatto e arriri per quella vendetta.

"Ora ci vaiu e mu fazzu rari! E' u mè palunni! Non su po' pigghiari. E' u mè"

Calogero è addivintato tutto russu nella facci e ci urla allamico e quello non può fare altro che calare la testa come se la colpa fussi a sò.

"Ora ci vaiu e mu fazzu rari!"

E' come una tiritera questa di Calogero. Una litania che lui la ripete tante volte fino a quando si vota e accumencia a dirigersi verso il panificio. Ma Iano allora sembra riprendersi e lo blocca e cerca di calmarlo. Che "quello non è il momento". "Ca è megghiu che se la sbrigano i ranni". "Che tutto si aggiusta".
E Calogero prima sembra non sentirlo ma poi allimprovviso si furia e corre verso casa lasciando lamico lì come un baccalaro. Ancora con le braccia in avanti a fermarlo.
Quando rientra a casa u carusu nemmeno risponde a so o ma.

 "Calogero si tu?". "Calogero si tu?" ripete la voce.

Ma Calogero è già chiuso nel cesso a chianciri come a un picciriddu. Senza suono però che non ce la vuole fare questa scortesia a sua madre.

05/07/13

2. Infrazione. Il divieto viene infranto, consapevolmente o inconsapevolmente.

La casa è nica ma Calogero non se ne preoccupa che tanto non cè mai nuddu di estraneo tra quelle mura. Rapi la porta ed è già nella cucina che cerca tannicchia di pani che ci vinni fami.

"Calogero si tu?"
"E cu pogghiessiri o ma'?"
"Veni. Veniccà Calò. Pottami tannicchia di acqua"

Calogero pigghia il bicchiere e rapi il rubinetto che così lacqua scorre e diventa chiù fridda. Poi passa nellaltra stanza. Aiuta la madre a alzare tannicchia la testa e ci runa lacqua a picca a picca.
Un colpo di tosse ci vagna la mano ma lui ci è abituato e si ferma e poi riprende e nel frattempo la talia per assicurarisi che tutto sia a posto.

"Chiffà voi ca ti cangiu?"
"No. No. Spostami tannicchia invece. Ciafai?
"E certo ca ciafazzu. U sai"


Calogero puntella i peri sul pavimento e poi con le mani ammutta quel corpo senza vita fino a sollevarlo un poco sul fianco. Sua madre cerca di sorridere e di aiutarlo ma ci fa fatica luna e laltra cosa. Dura una para di minuti questo esercizio che Calogero si sposta anche dallaltro lato e poi ripigghia il bicchiere e ritorna in cucina mentre quella accumencia a lamintarisi sottovoce come fussi vento di sventura.
Calogero afferra di nuovo il pallone e nesci senza fare rumore. Le scale sono frische e per un momento pensa che sarebbe bello spugghiarisi a nura e strofinarisi sopra a quelle mattonelle. A casa ha scoperto che quando lo fa a panza sutta succeri che il corpo savvampa e la minchia trova ristoro. Raffaele ci ha spiegato che tra una para di anni accumincerà macari a sbrugghiari e allora non ciabbasterà più una stricata per avere sollievo. Ma questo Calogero macari su fa u spettu che ci accala la testa allamico e arrirri  ancora non lo capisce bene e forse mancu ci pensa.
Sutta al palazzo accumencia a esserci di nuovo vita ma lui non è tanto contento che ora accumenciano a arrivare le machine e non cè più posto per giocare.

Calogero accumencia a palleggiare e a cuntari:

"1. 2. 3. 4. 5. 6 ... "

Una volta è arrivato a cento che poi si è sentito felice ma dopo quella volta ci basta solo farlo per un po' che poi si siddia subito. Tanto lo sa che è bravo.

"Calò! Calò! Passa sta palla!"

Iano sta arrivannu di corsa. Ciavi i pantoloncini nuovi e la maglietta pulita e stirata. Di sicuro stamattina sinniiu al mare con tutta la famigghia che loro cianno la cabina al lido.

"Chicci fai cà?"
"Me o pa' dice che dobbiamo andare a trovare a nanna dentro alla casa"
"Ma non mossi?"
"No! Era me nannu. A simana passata!"
"Ah!"

Calogero aspetta la palla. La talia scinniri lenta davanti a lui e allora si coordina per piazzare un destro al volo. E' il suo colpo preferito. Di collo pieno. U palluni parte come un missile e arriva sopra alla Panda russa di Don Tano e poi rimbalza sulla porta del garage e poi ancora torna perfetta sopra ai piedi del calciatore. Come una machinedda radiocomandata. Come fussi un lignu di quelli dellaustralia.

Calogero sorride soddisfatto mentre parte lallarme a sirena della machina. Mentre si sente Lino rapiri di nuovo lavvolgibile.   

04/07/13

1. Divieto. La storia si apre con la dichiarazione di un divieto imposto all'eroe o ad un altro personaggio con cui l'eroe è, o verrà, in contatto.

Calogero Gangemi continua a calciare la palla nella porta del garage. Con quel caldo e i palazzi mezzi vuoti quel rimbombo di metallo ci inchi la testa e anche il cuore. Ha un ritmo come dentro alle canzoni quel suono e lui ogni tanto ci fa fare qualche variazione che allora non ci fussi il divertimento.
" CLANG!CLANG!CLANG!CLANG!"
Sono le tre di pomeriggio e la surura ci cula sopra agli occhi. Ci bagna la maglietta. Ci squauria i baddi in mezzo alle cosce.
Calogero Gangemi chianci e però nessuno se ne accorge che quel carusiddu è solo uno scassaminchia che uno a questora deve dormire. Accussì pensa Lino. Lino che si susi dalla sdraio di tila misa vicino alla porta del balcone. Dalla sdraio attaccata alle tapparelle abbassate in penombra.
Lino che si passa una mano sulla panza gonfia e vagnata. Lino che poi si runa una rattata alle gioie di famigghia prima di rapiri locchi.
"Ora ciù ricu iu a stu bastardo" dice con un filo di voce. E nel frattempo si attacca alla corda per aprire quel sipario di teatro. Per arrivare al balcone.
Una fiamma di fuoco ci abbrucia la facci e la testa accumencia a pulsare come se stesse per scoppiare:
"Bastardo! Bastardo! Bastardo!" continua a ripetere mentre il pallone continua a sbattere puntuale.
" CLANG!CLANG!CLANG!CLANG!"
"Bastardo! Bastardo! Bastardo!" continua a pensare. Ma arrivare alla ringhiera per affacciarisi è come scalare leverest che manca laria. E in questo caso macari la vogghia.
"Acchiffà cià finemu? Ma ti pari giustu?" urla Lino e la voce rimbomba tra i palazzi. Scavalca il muretto delle vecchie case addivintate stalle. Arriva fino alla fine della strada. Lì dove la munnizza abbrucia lenta lenta come a un ricordo damore.
Le altre finestre sono tutte chiuse e uno può solo immaginare qualche sguardo di vecchia che brilla tra le fessure o il sonno dei picciriddi dentro alla culla o la ucca di qualche fimmina a dare piacere. Nessun rumore. Nessuna ombra di vita.
Urla Lino e Calogero mancu u talia che la palla sbatte e sbatte fino alla sicchiata fridda che ciarriva nella testa a fermarlo.
"Ecco! Ora cià finisci?"
Calogero alza gli occhi un attimo e scappa a pigghiari quel pezzo di cuoio. Poi cerca ancora la facci tunna di Lino e ciarrispunni:
"Figghiu di sucaminchi!" ci rici con la ucca china prima di sparire dentro al portone. 

03/07/13

La Costituzione rientra in Fiat


Corte Costituzionale
Ufficio Stampa

Incostituzionalità dell’articolo 19 lett. b) dello “Statuto dei lavoratori”

La Corte costituzionale, nell’odierna camera di consiglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, 1° c. lett. b) della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “Statuto dei lavoratori”) nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale sia costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
dal Palazzo della Consulta, 3 luglio 2013
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