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08/04/13

Margaret Thatcher (Grantham, 13 ottobre 1925 – Londra, 8 aprile 2013)

 

Oggi mossi a barunissa e tutte le televisioni e le radio parranu di quanto era brava. Di quanto era decisa. Del bene che ha fatto.
Io me li ricordo bene quegli anni che ero caruso e tannicchia chiossai ottimista che si sà comè la gioventù che non ci sono compromessi e il domani è sempre chinu di speranze. E comunque questo non è importante che non era questo che volevo dire.
Io me li ricordo bene quegli anni e i disoccupati e i minatori che resistevano e i ferrovieri che ci tentavano e gli irlandesi che morivano di fame nel carcere.
Io me li ricordo bene quegli anni e lo so bene che tutto quello che è ora è iniziato da questa fimmina arrinisciuta: la scuola dei privati, la finanza che diventa il paradiso, la gente pigghiata a vastunati. 
No. Non mi parrati di cordoglio o di tristezza.
No. Non mi parrati di rispetto.
Qua nella storia raggiuni o torto cu vinci vinci e basta e magari diventa santo.

06/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -7-

Da qualche anno sempre più botteghe hanno iniziato a organizzare grigliate con tavoli improvvisati sui marciapiedi delle vie attorno al centro storico, se non direttamente sulla strada. L'elemento primordiale, il nucleo popolare di questa usanza, era la vendita della carne di cavallo grigliata e inserita tra due buone fette di pane casereccio, ma da tempo i “putiara” hanno iniziato a diversificare l'offerta. Taccio sulla solita assenza di controlli di ogni tipo, non posso non notare però che attraversare Via Plebiscito, l'antica "tangenziale", è come immergersi in un girone dantesco: bracieri accesi, folla sparsa in attesa o ammucchiata ai tavoli, un fumo acre e densissimo che copre ogni cosa.
Naturalmente i piani superiori delle botteghe appaiono disabitati o in rovina, non sarebbe possibile vivere qui, come non pare possibile ribellarsi a questo stato di cose.
Sedute ai tavoli tre tardone in tiro discutono sulla Sardegna, la più anziana non smette di alzarsi per richieste di ogni tipo indirizzate alla padrona, non ci vuole molto a capire che è una sorta di défilé.
Fasciata da un abito attillatissimo cerca lo sguardo di qualche uomo sbavante, chissà magari sogna l'avventura estiva. Accanto a loro una decina di ragazzi: il capobranco, seduto a gambe aperte e con il gomito poggiato sulla spalliera della sedia, carezza la spalla della giovane turista a cui ha concesso il mafia-tour da raccontare al ritorno a casa. Alla sua sinistra i suoi amici e alla destra le amiche di lei: dagli sguardi che si incrociano credo che qualcosa stasera tra loro ci sarà. Al momento di pagare a tutti viene presentato un “pezzino” con l'importo totale. Provo a fare attenzione anche a quello che avviene negli altri locali e mi accorgo che il fornitore di bloc-notes deve fare lauti affari da queste parti. Provo a fare un rapido calcolo... da anni un incasso generale, tra le varie offerte, di almeno centomila euro serali esentasse: è una città generosa Catania.
Mi sono fatto convincere a venire qui, ma provo vergogna. Mi ero ripromesso di essere quanto più “fesso” possibile, di non cadere nel trucchetto delle complicità. Sembra quasi impossibile da spiegare questo mio pensare ma credo sia necessario vivere qui per capire.
Ad esempio ieri era la festa estiva di S.Agata patrona della città. Spostandomi in automobile per arrivare ad un appuntamento ho notato per la prima volta da due settimane due auto della polizia municipale, naturalmente non ho mai visto un vigile in attività in questo periodo tranne che all'ingresso del Cimitero, ebbene tutti e quattro i passeggeri delle due pattuglie non indossavano cinture di sicurezza e naturalmente non si sognavano nemmeno di fermarsi per cogliere le mille infrazioni che accompagnavano il loro tragitto. Discutevano, tra una sigaretta e l'altra, e ridacchiavano... probabilmente il loro era una sorta di lavoro straordinario in occasione della festa, un obolo in più versato dalla comunità sul loro stipendio.
Ecco tutto questo suona forse come esagerato moralismo da parte mia, ma credo che quello che poi avvenga, giorno dopo giorno, sia un processo per cui il diritto, le regole, vengono vissuti solo come vuoti proclami, un processo in cui diviene abitudine credere che tutto sia permesso a chi ha forza o potere.

04/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -6-

Con le sue baie, simili a piscine naturali, Marza è stata, per molto tempo, la meta ideale per una giornata di mare vissuta in famiglia. Ombrellone, borsa frigo, panini e frutta, potevamo passare lì intere giornate con i bimbi perennemente in acqua, la madre a prendere il sole, il marito a provare le misteriose virtù dell'argilla locale. Pochissima gente a farci compagnia, anzi di solito eravamo i soli abitanti di quel luogo. Alcune volte capitava di imbattersi in una piccola canadese, non più di una normalmente, seminascosta tra le cavità naturali e ci si salutava, incontrandosi in quelle occasioni, così come avviene quasi sempre sui sentieri di montagna, credo fosse un po' l'appartenere a quei pochi che conoscevano il luogo o forse il desiderio di non vederne divulgato il segreto.
Naturalmente il posto è mutato. Frane sempre più consistenti hanno quasi completamente distrutto le caverne d'argilla, il sentiero si è sempre più rimpicciolito e una autostrada ormai in gran parte completata garantisce ormai spostamenti veloci da Catania verso Pachino e il litorale sud dell'isola. In cerca di pace ci si deve spostare verso le sporadiche riserve, sperare.
Comunque un giorno a Marza l'ho passato e c'è stato anche il tempo di litigare con un borioso emigrante e la muta consorte.
Il fatto è che la mia cagnetta, dopo il tratto in acqua per raggiungere la spiaggia, non aveva nessuna voglia di crogiolarsi immobile al sole, così ha iniziato a correre e annusare tra i bagnanti fermandosi accanto alle tende dei ragazzotti birra&canne, scodinzolando per le carezze del gruppo familiare pluriombrellato, abbaiando in cerca di gioco a tre bimbi dall'apparente età di tre, quattro e cinque anni. Ecco era questo che non avrebbe dovuto fare per la “civile” convivenza.
“Qui c'è l'ordinanza!”
“Quale ordinanza, scusi?”
“Qui c'è l'ordinanza! I cani non ci possono stare a mare!”
L'avere con me un cane ha acuito ancora più quest'anno la mia attenzione verso cartelli e divieti, sapevo benissimo, ne sono certo, che nessun segnale, nessun pubblico avviso era posto all'ingresso del litorale o in vista del luogo in cui siamo.
“Lo lasceremo sulla spiaggia” ho risposto.
Non avevo voglia di iniziare nessun litigio e potevo sempre condurre la cagnetta alla baietta successiva.
“Qui c'è l'ordinanza! Io ce l'ho anch'io il cane e l'ho lasciato a casa! Qui c'è l'ordinanza!”
Niente da fare, tattica diversa. Ho sorriso e “ci ho calato la testa”.
“Certo! Certo! Ha ragione!”
“Qui c'è l'ordinanza! Io ci devo stare attento ai miei figli che possono essere allergici! Qui c'è l'ordinanza! Va bene sulla spiaggia, ma in acqua può portare malattie”
Ultimo sorriso prima di girarmi a guardare l'orizzonte, poi sguardi di attenzione fin quando poco prima della sera un nuovo cane è arrivato tuffandosi ripetutamente da ogni scoglio su cui riesciva ad arrampicarsi. Ho visto il tipo schiumare tra le onde e poco dopo andare via. La mia cagnetta, invece, ha fatto amicizia con la nuova compagna di giochi e le due si sono annusate un po' prima di salutarsi.
Credo metterò anche Marza tra i ricordi.
Tornando verso casa ci siamo fermati a Noto, inutile dire che eravamo una sorta di tribù zingaresca immersa nel “ passio” del corso principale. Sono contento di aver visto molti turisti tra le vie, armati di macchine fotografiche cercavano lo scorcio da far vedere agli amici, il ricordo da conservare. Rapida sosta per un gelato (eravamo a caccia di quello al gelsomino) e poi siamo andati anche noi su e giù sulla via per un'occhiata da giapponesi in gita.
Ho captato discorsi, osservato la gente. Ogni tanto improbabili guide raccontavano storie che, nella mia ignoranza e armato solo di un po' di ricordi e di logica, mi sembravano vere bufale, ma forse andava bene anche così.

02/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -5-

Lo scorso anno ero arrivato ad osservare l'intera Valle del Bove, ci eravamo inerpicati tra paesaggi bellissimi e sempre diversi fino ad affacciarsi sul lago di roccia, sul quel foglio perennemente vergato dal dio del fuoco. L'Etna e il suo territorio sono un romanzo mai concluso, un work in progress che muta paesaggi e personaggi incessantemente. Quest'anno, alla fine della stessa valle, sono andato a trovare l'ilice di Carrinu, o di Pantano, un leccio che ha superato il mezzo millennio e che protegge da secoli un vecchio ricovero dei pastori. E' rimasto ben poco dell'antica costruzione, certo si intravedono le mura e si ricostruisce facilmente l'area destinata alle greggi così come si intuisce il sistema che permetteva all'acqua di incanalarsi verso una grande cisterna ancora presente. Fino a non molti anni fa due giganteschi abbeveratoi scavati su blocchi unici di lava permettevano di capire come non fosse esiguo il numero degli animali condotti fino a quelle quote, oggi i massi son scomparsi e non si sa bene chi ringraziare per questa assenza.
L'albero ha rami massicci che si torcono nel vuoto quasi fossero gigantesche viti e garantisce luce e ombra in questo infuocato Agosto. Tutto attorno muretti e terrazzamenti non più curati e quasi riassorbiti dalla natura raccontano di altri mestieri, di altre epoche. Terra di carbonai questa e di pastori e di “massari” e di “fungiaioli”, per secoli, per millenni.
Si raccoglieva la ginestra e si curavano, disboscandoli, i noccioleti a garantire per essi la stirpe più giovane e forte, poi, con pazienza e artigiana esperienza, riposando la notte in un “pagliaro” se ne ricavava l'oro nero da vendere giù alla “chiana”.
Si portavano le bestie a cibarsi dei ricchi doni del vulcano per produrre ricotta deliziosa, latte per gli infanti, formaggio.
Si curavano i ciliegi, i castagni, si “addomesticavano” i peri e i meli della montagna.
Si riusciva a trovare senza che fosse visibile agli occhi degli altri il luogo dove piccoli sollevamenti nascondevano i porcini facendo attenzione a non “zappare” il terreno e lasciando in questo modo la possibilità di ritrovarne altri in successivi passaggi.
L'uomo non era elemento estraneo, nemico, ma natura egli stesso, animale tra animali, vivente tra viventi e su tutto questo c'era la lava, quelle colate che premiavano i buoni e punivano gli atei, quelle colate che distruggeva intere vallate, città, che giungevano al mare.
Era il 1928 quando la folla, in un freddo e piovoso autunno, si radunò per andare in preghiera verso la lava  che avanzava rischiando di coprire Sant'Alfio, c'erano tutti: le autorità, il prete, i nobili e il popolino. Non si sapeva più che fare, la preghiera era l'ultima speranza. Annunciato da un boato e da una scossa qualcosa successe, i tre santi miracolosi erano intervenuti, la lava si fermò. Su quel luogo oggi una chiesetta, un tempo sempre aperta, ricorda l'avvenimento. Peccato che la lapide commemorativa posta su un fianco delle mura esterne taccia su quello che la tradizione contadina si tramanda da allora: i miscredenti mascalesi, che avevano continuato a gozzovigliare in quei giorni difficili, furono colpiti dalla collera divina. Pochi giorni dopo il miracolo, infatti, una nuova bocca, più bassa e potente, fece arrivare la lava fino al mare punendo con la distruzione dell'abitato di Mascali quell'oltraggioso atteggiamento dei suoi abitanti.

01/09/12

[cahiers de doléances] Varagghi -4-

Lo Ionio visto da Puntalazzo è magnifico. L'aria fresca della sera rimette in pace con se stessi e la luna regala visioni  da colossal americano. Mi chiedo quanto ancora resisterà questa zona all'esercito di cavallette che avanza dalla pianura, fino a quando sarà possibile osservare le sciare, le vecchie masserie, gustare i poco redditizi ma meravigliosi frutti.
La sera prima ero andato a Zafferana ormai totalmente inglobata nel divertentificio di massa fatto di abusi edilizi (sponsorizzati dalla chiesa santuario che accoglie gli ospiti a Fleri, pochi chilometri prima della cittadina), di verde sparito, di soddisfatta esposizione di cattivo gusto negli edifici ristrutturati  o costruiti dopo il terremoto. E' la stessa fine palazzinara che ho visto arrivare in altri luoghi un tempo splendidi: Mascalucia, Pedara, Nicolosi... e ben prima Catania.
Seduti col naso in aria gli altri riescono a cogliere alcune stelle cadenti che a me sfuggono. La cagnetta annusa: è immersa in profumi per lei totalmente nuovi e anch'io vorrei condividere questa sua gioia, ma mi accorgo che i risultati dei miei sforzi sono proprio scarsi.
In realtà sono sempre meno i posti in cui mi piace andare, anche la riserva di Fiumefreddo ha esaurito, ai miei occhi, il suo fascino. Certo rimane divertente scoprire ogni anno la nuova direzione della foce del fiume che vi scorre, così come immergersi nelle sue acque gelide prima di provare il tepore del mare o subito dopo a togliersi il sale dalla pelle, magari dovrei provare ad essere qui in un altro mese: Maggio forse, quando il primo caldo toglie improvvisamente il respiro o Settembre quando il mondo ritorna al lavoro.
Mi ritorna in mente una fuga da ragazzo verso sud, verso la raccolta dell'uva a Pachino. Automobile carica anche in quel caso e disordinato vivere di un gruppo di ventenni. Il lavoro sfumò la prima sera su una spiaggia da sogno ed un mare caldissimo, poi fu solo una settimana di tenda e vino da bere.  

Ho mangiato la prima granita, non è stato un grande esordio ma spero di rifarmi in seguito. Nel frattempo ci sono state altre Ceres bevute al chiosco, amici e parenti da incontrare, improvvisi e sconosciuti  parchimetri da pagare, buon pesce da mangiare.
Sono anche arrivato, da passeggero, fino a Riposto sul Vespone (che poi non si chiama così questa moto ma non saprei proprio dire come) di mio fratello e da qui fino quasi a Nicolosi.
Certo sempre capita che il panorama muti con il variare del punto di vista, con l'attenzione prestata alla guida, con la voglia di sorprendersi...  e sono stati tutti questi fattori uniti alla impossibilità di sentire le parole che, ogni tanto, il pilota cercava di dirmi che mi hanno dato spazio per scrutare il territorio, per ricominciare il gioco del c'era, è nuovo.
La vecchia provinciale ci guidava in direzione di Giarre e, sul percorso,  naturalmente non mancavano le solite costruzioni e i mastodontici centri commerciali.
Superando Acireale ho notato improbabili megaville e un ridicolo castelletto azzurro a garantire nuovi panorami ai loro futuri possessori.
Non so proprio cosa potrà rimanere di questa costa.  La vecchia leggenda, ormai smentita, degli alberi totalmente abbattuti dagli abitanti dell'isola di Pasqua per costruire i loro idoli credo sia stata creata per noi “moderni”. Distruggere il territorio per gustarne il ricordo, un paradosso quasi tutto italiano.
E' stata la fortuna di una strada sbagliata e del fresco della sera a farmi riconciliare un po' con questi luoghi. Improvviso si è alzato dai margini della via buia il profumo dei vecchi agrumeti, dei giardini un tempo vanto e fonte di ricchezza di tutta la costa mentre dal mare arrivava a folate il fiato dei Malavoglia.
Sempre più, già vicino alla meta serale, ho pensato che parlare di casa in campagna da queste parti sia come sostenere che i miei vasi fioriti sul mini balcone parmigiano in realtà formino una sorta di giardino pensile.

31/08/12

[cahiers de doléances] Varagghi -3-



La visita al Cimitero, “I tre cancelli”, è una di quelle cose che sento e a cui non rinuncio quando sono qui. Credo faccia parte dell'imprinting, l'accompagnare mia madre e le mie zie sin da piccolo prima a trovare una loro sorella e i nonni, poi il loro padre, la madre... in un naturale crescendo che ormai occupa temporalmente, nei vari spostamenti tra una tomba e l'altra, gran parte della mattinata.
Ricordo che mi fermavo (come mi fermo ancora oggi) ad osservare quelle vecchie foto di sconosciuti defunti, le frasi incise sul marmo, le tracce lasciate dalla loro vita o dal loro morire. Mentre facevo questo cercavo di calcolare rapidamente, chè gli altri erano già molto avanti, la loro età al momento del trapasso e magari univo queste informazioni a qualche episodio storico che ricordavo nel tentativo di legare quelle povere vite alla storia dei libri. Credo dipenda da questo mio vaneggiare sui morti gran parte del mio modo di osservare i vivi.

Si acquistano i fiori e si osserva l'inevitabile e atteso litigio tra vigili e pubblico al nuovo ingresso:
“A verità è ca faciti passari a cu vuliti!”
“Si mittissi lei sutta u suli”
“Io l'ho visto a quello! Era da solo nella macchina!”
“Sì signora, lavorava qui!”
“Certo, travagghiunu tutti!”
La disputa è sempre la stessa, la possibilità di entrare o no con l'automobile in una città dei defunti costruita su piccole colline, fatta di scalinate e asfalto, con pochissima ombra per i vivi e temperature di fuoco sul marmo.
Lungo la strada verso il primo incontro mi accorgo di due piccoli recinti con piante e fiori. Non ci vuole molto a capire che in uno dei tanti spazi verdi abbandonati dal comune i parenti hanno costruito due piccoli giardini per garantire una vista migliore ai propri cari. Ricordo lo scorso anno, o due anni fa, una famiglia aveva posizionato una panchina in ghisa, presa chissà dove, davanti alla tomba da vegliare e fissato un gigantesco ombrellone Algida a garantirsi un po' di frescura.
Chiedo a mia madre di Fra Cristoforo, un prete conosciuto parecchi anni fa, un grande “servo di Dio” sempre pronto a dare una parola di conforto o a recitare una preghiera con i “rimasti”. Fra Cristoforo aveva una quarantina d'anni, si notava subito per un vellutato parrucchino dal colore indefinito che sotto questo sole credo gli facesse un po' da cappello e per il fisico da maratoneta necessario al suo incessante vagare. Non lo vedo da parecchi anni e mia madre mi dice che non lo vedrò mai più lì visto che altri non era che Orazio Rapisarda da tempo ricercato dalla polizia per truffa. Eppure mi dispiace. Quel finto prete faceva il suo lavoro meglio di tanti altri e di certo le offerte che raccoglieva erano ampiamente sudate.

30/08/12

[cahiers de doléances] Varagghi -2-


La sveglia è dettata dal traffico e dal caldo. La vita giù in strada, vista dalla mia stanza, è sempre la stessa: il camioncino con le granite e il rumore della campanella, il tipo con la vecchia Ritmo che viene a lavare le sue casse di pesce congelato alla fontana, il panificio con le brioche con lo zucchero, il rottweiler del meccanico. Mi concentro su quest'ultimo. Nel giro di un anno ha acquistato almeno altri tre garage rispetto a quelli che aveva. Deve rendere bene lavorare in nero e senza nessun vincolo ecologico o di prevenzione. Lo schema è semplice e sempre lo stesso, vale per lui, vale per il piccolo ambulante, vale per il grande negozio, vale per ogni impresa, io ti faccio risparmiare, ti faccio un “favore”, e tu non vedi nulla, non chiedi nulla.
Siamo furbi noi. “I catanisi su spetti”.
Ho iniziato qualche anno fa a capire il “fascismo” di mio padre, quell'errato associare ordine e destra. Questo capitalismo primitivo, la primigenia accumulazione, unito a quello ben più potente e terrifico dei padroni della città ha prodotto un totale abbandono di ogni regola sociale che non sia quella del familismo o del clan. La ricerca della complicità vince ad ogni livello, diviene legge interiore, marchio di fabbrica di una intera società. Catania con il suo giornale unico, con la sua televisione unica, con il ristretto numero dei padroni mafioso/economici, con il gioco fittissimo degli equilibri basato sulle “gentilezze”, con l'enorme sottoproletariato, è l'esempio vivo della fine non solo del sogno di uno stato “borghese” ma di ogni convivenza basata sul noi, di ogni visione che vada al di là dell'interesse personale presente. Bisognerebbe ripartire da zero, condurre la città non ad essere speciale, ma solo normale. Bisognerebbe spezzare ogni complicità, ogni cedimento. Portare la certezza del diritto, la risoluzione in tempi rapidi di ogni controversia, lì dove oggi domina la barbarie. Colpire il basso e l'alto, il piccolo e il forte, risanare risanando.
Il cane gironzola tranquillo all'interno del cortile, ogni tentativo di spiegare al suo padrone che forse non sarebbe il caso è inutile, liquami oleosi insozzano la strada lavati, in parte, dagli scarichi dell'autolavaggio riversati direttamente nei tombini. Non ho ancora visto la giornaliera passeggiata dei cavalli da corsa tirati fuori da alcuni degli edifici della zona, forse mi sono svegliato un po' tardi.  
Quando arrivo in strada osservo la “putia” abusiva che smercia birra e bustine. Il padrone ha pensato bene di impossessarsi di un piccolo spazio un tempo adibito a verde per farne il suo orticello privato. Ricordo che lo scorso anno mi aveva fatto sorridere, e imbestialire, scoprire che per diversi tempi della giornata un lunghissimo tubo di gomma collegava il suo “negozio” alla fontana pubblica; quest'anno, invece, ho visto, dopo pochi giorni, chiudere la fontana. Qualcuno ha pensato bene che fosse uno spreco offrire a tutti quell'acqua e ne ha fatto bene privato, buono per pulire le stalle e le automobili quando ancora la città dorme: basta conoscere il tombino da sollevare per chiudere la condotta a piacimento, basta solo pensare che sia giusto così.

29/08/12

[cahiers de doléances] Varagghi -1-

Si parte, picco di afa e bollino rosso, non è proprio il massimo, ma tant'è. Si parte, manuale della fabbrica e ultimi controlli all'automobile. Mi improvviso meccanico ed elettrauto per questi tempi di magra, ma dovrebbe andare tutto bene. Si parte, il colpo d'occhio è quello della famiglia anni sessanta, solo meno entusiasmo per il futuro e nessuna valigia sul tetto. Si parte, quest'anno viaggia anche il cane,  contende il poco spazio ai due figli più cresciuti rispetto all'anno precedente ed a quello prima e all'altro prima ancora. Si parte.
Niente nuova guida per i distributori del metano, una multa rimediata il giorno precedente rende indispensabile anche questo piccolo risparmio. Non dovrei comunque incontrare problemi fino alle strade della Calabria, sempre che lì si siano finalmente decisi ad aprire nuovi impianti. Le prime ore vanno via tranquille, poche soste, poca gente sulla strada, la notte a poco a poco rinfresca l'aria fino a far decidere di aprire i finestrini.  Non c'è molto da segnalare, forse un traffico meno intenso del previsto e poi le solite figure buffe agli autogrill, tra cui io in stile Bossi ad Arcore o Verdone emigrante. Poco da raccontare, comunque, forse solo una famiglia con la lei, dall'improbabile chioma bionda acconciata in ancor più improbabili treccine etniche, che osserva attenta i prodotti in vendita mentre il lui lotta con la barista.
“Un ginseng”.
“Alto o basso?” Silenzio.
“Un ginseng”.
“Alto o basso?” Silenzio.
La scena si ripete altre due volte fin quando è la barista a cedere.
“Un ginseng”.
“Tazza grande o piccola?”
“Piccola, grazie”.
Il resto della famiglia, nonni e figli, naviga tranquilla in un sovrappeso da infarto farcito da dolci e bottigliette di coca cola. Esco, il cane piscia e caca nelle aeree di sosta con eleganza per poi dormire immediatamente in auto, non me lo aspettavo e son contento.
Il mattino arriva sotto Roma, questa volta è il classico pullman da turisti mordi e fuggi e anziane signore. Una di queste ultime mi colpisce: con dignità acquista qualcosa per la nipote tenuta per mano, poco prima una sua compagna di viaggio aveva dilapidato una certa cifra in confezione maxi di dolciumi e gratta e vinci a blocchetti. Con loro anche una biondina niente male che scherza con gli autisti e un ragazzotto ben sopra i trenta che guarda un punto al di là della corriera. Qualcosa che so riesce a vedere solo lui. Ha una maglietta a righe un po' stinta che lascia scoperto l'ombelico e una sigaretta accesa da cui non aspira mai nulla. E' il punto il suo mondo, è quello che mai sapremo.
Sono stanco, i caffè sono diventati tanti, complice qualcuno gratuito di quelli notturni che non si può rifiutare, e le sigarette molte di più. Il sonno fatica ad arrivare. Ormai mi fermo quasi ad ogni stazione, non mi era mai capitato. Sarà l'età, il sovrappeso, la poca voglia.
A Villa il momento più gentile. Lei e lui hanno di certo più di settantanni. Seduti sulla panchina dell'ultimo autogrill guardano il mare. Non si sfiorano, non si parlano. Credo sia qualcosa che fanno da tempo immemorabile. Dal loro primo viaggio di ritorno. Il gelato che hanno tra le mani finisce lentamente. Raccolgono i legnetti e le carte della confezione e vanno verso la macchina tenendosi per mano. Non li ho rivisti all'imbarco e un po' mi dispiace.  Nave, arancini, mare di Sicilia, ci siamo quasi. Il primo vero traffico verso l'imbocco dell'autostrada e poi Catania.
L'ingresso in città è sempre lo stesso.
Il ghetto di Monte Po, il nuovo ospedale Garibaldi con il suo traffico di posteggiatori abusivi e disperazione vera e da commedia.
Via Palermo da sempre rigorosamente senza marciapiedi. E' qui che, dietro la mia, romba una macchinetta gialla decappottabile. Dentro sono pigiati cinque “zauddi” delle periferie. Facce contente e musica neomelodica a tutto volume canticchiata tra uno sputo e una bestemmia. 
Piazza Palestro abbandonata a se stessa e poi Via Vittorio Emanuele per un rapido sguardo verso l'accesso al magnifico e invisibile Odeon  e su Via Crociferi con i suoi tesori,  le sue storie semisconosciute.
Il centro finalmente. Eccomi. Eccoci.
Doccia e poi subito un paio di birre per farmi coraggio. Gli amici al chiosco prima della pizza. Forse riuscirò a dormire, voglio farcela. Si decide per Aci Castello, sono anni che non vado lì, credo sia stato un modo per salvarne la memoria, per ricordare me ragazzo in una città che non c'è più. Non mi sbaglio purtroppo. Tavoli, tavolini, veline sedicenni e brutte copie di ex tronisti televisivi. Anche le famiglie non mi sembrano più le stesse, artificiali come la gioia qui intorno. Sulla strada verso l'antico borgo marinaro un recente parco giochi già abbondantemente vandalizzato. Sul muretto campeggia una scritta a caratteri cubitali: W LU PACCHIU”.

10/05/11

[cronaca] Prosciutti

http://linformazione.e-tv.it/defaultbologna.asp

Uno non lo dovrebbe dire u sacciu. Che arrubbari è sempri arrubbari. E poi di sicuro cè la mano di gente pericolosa. A mafia. A camorra. E poi chistu e poi chiddu.
Epperò non ce la faccio a non ridere che non è di tutti i giorni puttarisi via duemila prosciutti e senza fari dannu a nuddu per giunta. Tranne che ai maiali sintende.
Accussì provo a immaginare la fatica di questi a farisi tutti i viaggi per mettere la merce sopra il camion e poi che ci saranno tante pizzerie che per un po' il prosciutto ci costerà veramenti picca.
Io noi a Catania ni mangiamu chiossai il cotto che il crudo costa troppo. Eppoi no sacciu picchì mi viene in mente un amico mio che quando ci facevamo fare i panini dallalimentari insieme alla birra iddu chiedeva una cosa in scatola ca u sulu ciaru uno svineva e chepperò non me lo ricordo come si chiamava ma di certo ci piaceva assai ai cani del quartiere che poi lo seguivano muti e saggi..
Certo a pinsarici bonu uno che arrobba duemila prosciutti di sicuro ciaviri un posto dove metterli che tutti non se li può mangiari subito. Eppoi una carta che lui sta portando quella merce nel camion. E u frigorifero macari che allora si appizzano. Insomma se uno arrobba duemila prosciutti forse non è proprio un morto di fame e allora pinsannu a chistu mi passa la poesia che mi era presa e votu pagina.