Si parte, picco di afa e bollino rosso, non è proprio il massimo, ma tant'è. Si parte, manuale della fabbrica e ultimi controlli all'automobile. Mi improvviso meccanico ed elettrauto per questi tempi di magra, ma dovrebbe andare tutto bene. Si parte, il colpo d'occhio è quello della famiglia anni sessanta, solo meno entusiasmo per il futuro e nessuna valigia sul tetto. Si parte, quest'anno viaggia anche il cane, contende il poco spazio ai due figli più cresciuti rispetto all'anno precedente ed a quello prima e all'altro prima ancora. Si parte.
Niente nuova guida per i distributori del metano, una multa rimediata il giorno precedente rende indispensabile anche questo piccolo risparmio. Non dovrei comunque incontrare problemi fino alle strade della Calabria, sempre che lì si siano finalmente decisi ad aprire nuovi impianti. Le prime ore vanno via tranquille, poche soste, poca gente sulla strada, la notte a poco a poco rinfresca l'aria fino a far decidere di aprire i finestrini. Non c'è molto da segnalare, forse un traffico meno intenso del previsto e poi le solite figure buffe agli autogrill, tra cui io in stile Bossi ad Arcore o Verdone emigrante. Poco da raccontare, comunque, forse solo una famiglia con la lei, dall'improbabile chioma bionda acconciata in ancor più improbabili treccine etniche, che osserva attenta i prodotti in vendita mentre il lui lotta con la barista.
“Un ginseng”.
“Alto o basso?” Silenzio.
“Un ginseng”.
“Alto o basso?” Silenzio.
La scena si ripete altre due volte fin quando è la barista a cedere.
“Un ginseng”.
“Tazza grande o piccola?”
“Piccola, grazie”.
Il resto della famiglia, nonni e figli, naviga tranquilla in un sovrappeso da infarto farcito da dolci e bottigliette di coca cola. Esco, il cane piscia e caca nelle aeree di sosta con eleganza per poi dormire immediatamente in auto, non me lo aspettavo e son contento.
Il mattino arriva sotto Roma, questa volta è il classico pullman da turisti mordi e fuggi e anziane signore. Una di queste ultime mi colpisce: con dignità acquista qualcosa per la nipote tenuta per mano, poco prima una sua compagna di viaggio aveva dilapidato una certa cifra in confezione maxi di dolciumi e gratta e vinci a blocchetti. Con loro anche una biondina niente male che scherza con gli autisti e un ragazzotto ben sopra i trenta che guarda un punto al di là della corriera. Qualcosa che so riesce a vedere solo lui. Ha una maglietta a righe un po' stinta che lascia scoperto l'ombelico e una sigaretta accesa da cui non aspira mai nulla. E' il punto il suo mondo, è quello che mai sapremo.
Sono stanco, i caffè sono diventati tanti, complice qualcuno gratuito di quelli notturni che non si può rifiutare, e le sigarette molte di più. Il sonno fatica ad arrivare. Ormai mi fermo quasi ad ogni stazione, non mi era mai capitato. Sarà l'età, il sovrappeso, la poca voglia.
A Villa il momento più gentile. Lei e lui hanno di certo più di settantanni. Seduti sulla panchina dell'ultimo autogrill guardano il mare. Non si sfiorano, non si parlano. Credo sia qualcosa che fanno da tempo immemorabile. Dal loro primo viaggio di ritorno. Il gelato che hanno tra le mani finisce lentamente. Raccolgono i legnetti e le carte della confezione e vanno verso la macchina tenendosi per mano. Non li ho rivisti all'imbarco e un po' mi dispiace. Nave, arancini, mare di Sicilia, ci siamo quasi. Il primo vero traffico verso l'imbocco dell'autostrada e poi Catania.
L'ingresso in città è sempre lo stesso.
Il ghetto di Monte Po, il nuovo ospedale Garibaldi con il suo traffico di posteggiatori abusivi e disperazione vera e da commedia.
Via Palermo da sempre rigorosamente senza marciapiedi. E' qui che, dietro la mia, romba una macchinetta gialla decappottabile. Dentro sono pigiati cinque “zauddi” delle periferie. Facce contente e musica neomelodica a tutto volume canticchiata tra uno sputo e una bestemmia.
Piazza Palestro abbandonata a se stessa e poi Via Vittorio Emanuele per un rapido sguardo verso l'accesso al magnifico e invisibile Odeon e su Via Crociferi con i suoi tesori, le sue storie semisconosciute.
Il centro finalmente. Eccomi. Eccoci.
Doccia e poi subito un paio di birre per farmi coraggio. Gli amici al chiosco prima della pizza. Forse riuscirò a dormire, voglio farcela. Si decide per Aci Castello, sono anni che non vado lì, credo sia stato un modo per salvarne la memoria, per ricordare me ragazzo in una città che non c'è più. Non mi sbaglio purtroppo. Tavoli, tavolini, veline sedicenni e brutte copie di ex tronisti televisivi. Anche le famiglie non mi sembrano più le stesse, artificiali come la gioia qui intorno. Sulla strada verso l'antico borgo marinaro un recente parco giochi già abbondantemente vandalizzato. Sul muretto campeggia una scritta a caratteri cubitali: W LU PACCHIU”.