Cerca nel blog

30/09/14

Cento di questi giorni (8 di 98+2)

Mu ricissi. Mi ricissi perchè macari su sapissi qualche cose io ce la dovrei dire a lei.
Ciaiu novantanni. Chiffà? Mabbia no carcere?
Virissi maresciallo lei è una brava persona e io ci credo che è solo preoccupato per Ciccio. Che ci può essere successo qualche cosa. Che macari ummazzanu. O che si misi nei vai.
Ma viri... iu non ci ricissi nenti u stissu picchì è chiu fotti di mia questa cosa. Iu di lei di quella divisa che porta non mi fido. E su sapissi che Ciccio ciavi problemi u issi a cercare di persona pittosto che chiedere aiuto a lei. E lei u sapi ca u facissi che di sicuro ci sono tutte le mie carte no so ufficio.
Comu sapi che mi fanu schifu tutti sti carusazzi ca si crirunu mafiusi sti picciottazzi senza arucazioni senza idee senza morale senza sogni che arrobbano e ammazzano. Che pensano solo alla munita.
Io ai loro nonni li ho sfidati sputannuci nella faccia. Ai loro padroni ciò preso la mia terra. Ai loro capi ci luvai i soddi che avevano arrubbato ai poveri cristi per dividerli a tutti. E in cambio cosa ho avuto? Cosa ho avuto dallo stato? Cosa ho avuto da quelli come a lei? Una para di anni di carcere e due firme di sirraccu nella panza. Ecco quello che mi hanno dato. Che mi avete dato.
Ma li rifacissi tutti questi cosi u sapi? Tutti i facissi!
E certo macari avvisassi a tutti lautri ca mossunu ammazzati ai tempi miei.
Ci ricissi: "Attenti carusi che i mafiusi e i padroni ci ammazzano! Caminamo insemula a evitare vai. E tu Angelo non ci iri allappuntamento con quel massaro che quella è una trappola. E tu Alfio lassala stari a quella famigghia che ti hanno venduto. E voi Marcella e Iano e Turi e Vito fate attenzione alla manifestazione! Pronti a scappare! Cè ancora tempo per lottare. Per cambiarlo a stu munnu. "
Ecco viri maresciallo alli voti non è la persona a cuntari. E' quello che rappresenta. E' la sua divisa. E iu ci ricu che la sua e quelle altre divise degli amici suoi assumigghia troppo assai a quelle giacche di chi ci vuole affamati. Di chi ci vuole schiavi.

29/09/14

27/09/14

Cento di questi giorni (7 di 98+2)

Allora! Ciù ricu iu unni è Ciccio! Pattiu! Sinni iu! Comu? Dove? E chistu non è facili sapirlu. Dipende da cristianu a cristinu. Però vinissi! Sassittassi! A voli una birra?
Ammia mi piaci chiossai u vinu ma non cinnè chiù di putie che le hanno chiuse tutte. E menumali ca rapiu stu garagi lamico mè che annunca dovevo rimanere a casa sulu.
Era di una vecchia u sapi? U garagi dico. Mossi lannu scorso questa vecchia che di eredi non cenerano e allora Cosimo scassau a sirratura e ci fici un posto per lamici.
Comu? Non è legale? Ma non mi facissi arririri! Ah certo! Lei è la legge!
Vabbene annuca. Facemu accussì. Lei facissi finta che io non ci ho detto nenti. Tanto oggi non ciavi mancu a divisa. Chiffici sa scurdau? No. No. Non mi pimmittissi mai maresciallo. Io li rispetto a tutti quelli che travagghiano. Macari ca non fanu nenti. Macari ca si futtunu i soldi do pattruni. E u sapi picchì? Picchì già lidea che uno deve travagghiare ammia mi fa senso. Mi runa fastidio. Mi fa sentiri mali.
Ma ricu iu con tante cose che ci arrialaiu u signuruzzu... con tante capacità che la genti ciavi... picchi uno si deve condannare a un travagghiu? Dove sta scritta  questa pena? Dovè la sentenza?
Ecco per come la vedo io maresciallo bastassi ca uno facissi quello che gli piace fare. Bastassi chistu a questo mondo. E poi arrialari quello che si è fatto. Non tinirisi nenti se non quello che aggiova veramente. Solo quello e basta. Perchè lei maresciallo lo ha mai visto il sorriso delle persone quando ricevono qualche cosa che non si aspettano? Come sono contenti? E in quel momento io penso che uno riceve chiù soldi di uno uno stipendio. La cuntintizza ecco! La vogghia di continuare a vivere.
Ce lo dico in verità maresciallo. Io non ci credo che cè gente che non ci piace fari nenti. A genti senza fari nenti dopo tannicchhia si ietta do balcuni. Invece è vero che ognuno ciavi il proprio talento. E allura picchì non approffittarne?
Sì capace di puliziari i cessi ca parunu specchi? Di parrari ca facissi accattari di tutto alla gente? Di coltivare il giardino ca ti veni fora ogni grazia di Dio? Lava macari lautri annunca. Cunta storie magnifiche per fare sognare a tutti . Riala pummaroru e insalate a cu ti veni a truvari. Chistu fussi veramente travagghiari.
Lei non mi sta seguendo più maresciallo. Chiffù la birra? Ciccio. Ciccio. Sempre a pinsari a Ciccio!
U lassassi peddiri. Ciù ricu iu. Pattiu. Sinni iu.
Macari iu pattu certe volte. E minni vaiu in posti bellissimi oppure allinferno che forse non ce nè differenza. Macari iu ci ricu.
A lei non ci capita mai? E' proprio sfortunato allura maresciallo. Ciu ricu iu. U sacciu.

25/09/14

24/09/14

"Perché la semplicità è così complicata?" di Annamaria Testa

“Il mondo degli affari deve combattere una persistente battaglia contro la burocrazia”, scrive l’Economist. E aggiunge che “la cianfrusaglia più debilitante è la complessità organizzativa”.
Ma, almeno, e come dice Tullio De Mauro in Capire le parole, fin dai tempi di John Locke la cultura anglosassone, inglese e americana, si è impegnata in una battaglia per la limpidezza e la chiarezza dei testi come valore supremo dell’arte dello scrivere e del parlare.
Se dalle pagine dell’Economist si leva un severo brontolio d’insofferenza per la complessità inutile dei processi aziendali, qui da noi le proteste contro ciò che è complicato sono ormai diffuse sui tutti i mezzi di comunicazione, rete compresa. Sono assai più veementi e riguardano sia i modi di fare, sia i modi di dire.
Cresce l’irritazione per le procedure inutili, insensate e spesso opache che continuano a vessare i cittadini e ad azzoppare la pubblica amministrazione (e, di conseguenza, a danneggiare anche quelle imprese che, con le procedure inutili, non si azzoppano da sole).
Ma cresce anche il fastidio nei confronti dell’insopprimibile mania nazionale di parlare astratto e complicato: burocratese, pedagoghese, medichese, giuridichese, sindacalese… a cui si associa il più recente itanglese: un vezzo linguistico che si estende a più settori (marketing, politica, tecnologia, moda e altri), e che permette di velare di echi esotici e arcani qualsiasi gesto, concetto o oggetto, compresi i più quotidiani. E se poi la traduzione è imprecisa, pazienza.
Il filosofo Massimo Baldini, in Elogio dell’oscurità e della chiarezza (qui ampi estratti del testo) tira in ballo perfino il difficilese. Cioè la scelta di parlare oscuro “per puro terrorismo linguistico”. Un comportamento da vere carogne, in un paese che (è ancora Tullio De Mauro a dirlo) ha alte, anche se per fortuna decrescenti, percentuali  di analfabetismo  primario, di ritorno e funzionale.
Aggiungo solo che il parlare e lo scrivere difficile non risparmia neppure il parlamento italiano (Ichino: il parlamento vota leggi che i suoi membri non capiscono).
Ma perché la semplicità sembra così difficile da ottenere?
Essere semplici è faticoso. Per riuscire a parlare e a scrivere semplice bisogna conoscere bene l’argomento. Bisogna saper usare bene la lingua italiana, sfruttandone tutte le risorse. C’è da investire tempo, attenzione, una dose di talento. Bisogna anche avere un’idea chiara di quello che si sta dicendo, del perché e del per chi: una faticaccia che molti scelgono di risparmiarsi.
Per mettere a punto procedure semplici bisogna aver chiari vincoli, necessità e obiettivi e maturare una visione d’insieme che metta a confronto costi (tempo compreso) e valore dei risultati.
Bisogna sperimentare ed essere disposti a fare aggiustamenti. Bisogna mettersi nei panni di chi dovrebbe poi seguirle, quelle procedure. Bisogna avere l’umiltà necessaria per andare a scovare esempi virtuosi dovunque siano, per studiarli, adattarli e poi metterli in pratica. Altra faticaccia.
Essere semplici è pericoloso. Se un testo è semplice e tutti lo capiscono, diventa possibile per chiunque fare obiezioni. E poi: denunciare una semplice sciocchezza è più facile che intercettare un’oscura sciocchezza. E ancora: molte parole complicate tendono una bella rete mimetica sull’assenza di pensiero o di progetto.
Essere oscuri, dunque, è un fantastico modo per disincentivare critiche, per sottrarsi a ogni giudizio, per nascondere la propria incompetenza o per sancire e amplificare la propria competenza, per preservare la propria autorità inducendo in chi non riesce a capire sentimenti di frustrazione, di soggezione e di  inadeguatezza.
Risultati analoghi si ottengono, se parliamo di procedure, moltiplicando all’infinito gli adempimenti, e con questi gli oneri e le attese necessarie a compilare moduli, a collezionare timbri, ricevute e altre misteriose scartoffie (leggete questo bel post di Luisa Carrada). Con un vantaggio in più: la legittimazione e il presidio dell’esistenza stessa dell’apparato che genera la procedura, e del suo opaco potere.
Essere semplici vuol dire prendersi delle responsabilità. Sto parlando di molte, pesanti responsabilità: quella di scegliere che cosa è importante e che cosa non lo è.  Quella di dar conto delle proprie scelte, motivandole. Quella di investire tempo, energia e intelligenza per tradurre e spiegare ciò che non può essere semplificato, perché non è vero che tutto è potenzialmente semplice. E poi c’è la responsabilità più gravosa di tutte: quella di elaborare pensieri chiari e distinti, ipotesi plausibili, soluzioni efficaci e strategie fondate.
Per quanto riguarda le procedure: progettare percorsi semplici chiede di passare dalla logica dell’adempimento rituale a quella dell’obiettivo reale. La qual cosa implica l’onere di definire obiettivi chiari, distinti, utili e verificabili: un’altra responsabilità che molti faticano ad accollarsi.
Eppure.
Eppure in questi tempi caotici, sovraccarichi di informazioni e scarsi di prospettive, essere semplici (occhio: “semplice” non vuol dire né sempliciotto né facilone) è, credo, un imperativo. Per questo stiamo tutti diventando così insofferenti nei confronti della complessità inutile. Solo affrontando la fatica, il pericolo, la responsabilità e la sfida di essere semplici c’è la speranza di restituire un senso forte e condiviso a quello che si dice e a quello che si fa.

Fonte: Nuovo e Utile - Teorie e pratiche della creatività

23/09/14

Cento di questi giorni (6 di 98+2)

Mi scusi maresciallo ma lei comè ca vinni di mia? Ciù cuntanu vero? Ci rissunu ca eravamo ziti di nichi! E certo! Tutti sanno i fatti dillautri in questo quartiere. Ma io non ce ne ho di cose dammucciari. Io sono stata sempre onesta. Macari a me maritu ce la cuntai questa storia. Macari a  iddu che non se la meritava di sicuro tutta questa onestà. Cheppoi chiccè di cuntari?
Io ciavevo quattordici anni. Uno chiossai di di Ciccio. E u sapi comè a quell'età ma lunica cosa ca successi fu ca nabbuzzamu tannicchia. Sì insomma ca ni vasamu.
Per noi era la prima volta o almeno accussì sapevo di mia e pinsai di iddu.
Fu nel cortile della scuola che cera la ricreazione. Mia madre non mi faceva nesciri mai di casa sula e allora non ce ne erano altre di occasioni. Io ce lavevo detto alla mia amica Letizia che Ciccio mi voleva zita e che io ci avevo detto di sì e allora quella organizzò questa cosa che tutte le fimmine della classe si misero in cerchio attorno a noi. Io allinizio pensavo che era uno scherzo e mi stava incazzannu e invece Letizia si avvicinò a me e mi disse nellorecchio:" Vasalu! Vasalu presto che non ce ne è assai di tempo". E accussì fu.
La pigghiai io liniziativa cheCiccio pareva addumisciutu allinizio. Solo che dopo invece non si vuleva chiù staccari e le mani erano già arrivate dove non dovevano essere.
Ricordo che quando le mie compagne tornarono a giocare io e lui arristamu fermi e muti come a due passuluni. Tutti russi nella faccia che non ci guardavamo nemmeno e che non riuscivamo a dire una parola. Ma io lo sapevo che ci era piaciuto che lavevo sentito.
Dopo non è più successo chiù nenti e quello del cortile è stato tutto lo zitamento. Ma questo ce lavevano già cuntato vero maresciallo? Perchè se non è accussì io allora non lo capisco perchè lei vinni di mia  che io i lassai quellanno le scuole  e dopo lesami con Ciccio ci siamo persi di vista che lanno dopo iu mi maritai che avevo fatto la fuitina e cangiai macari quarteri.
Ma forse lei vuleva viriri a me figghiu u ranni. Ora ci penso!
E sì! Quannu tunnai a stari cui me figghi lanno scorso vicinu a so casa Ciccio marricanusciu subito. Neanche io feci fatica che lui era rimasto lo stesso nella facci.
Me figghiu ci ieva o spissu a so casa ma non ce lo saccio dire preciso perchè. Io ce lho chiesto che è capitato ma lui mi ha risposto solo che erano cose di travagghiu.
U sapi me figghiu macari che è disoccupato sapi fari tutto ca unni u toccunu sona. Lelettricista. U stagninu. U mastru. Io penso che ci ieva per questo. A farici le riparazioni. Ma altro non ci so dire.
Ormai è ranni il mio Nicola. Nasciu subito a prima botta che lautra invece a fimminedda vinni dopo tanti anni. No. Ora non cè. Partiu a Milano che so ziu u frati di me maritu ciavi una ditta dassupra. Macari fussi! U travagghiu ricu! Ca no pozzu viriri chiù che manu leggi.
Ora è qualche giorno che mi disse che ciarrubbanu il telefonino e non lo sento. Però sugnu tranquilla che le notizie delle disgrazie arrivano subito e poi non è sulu nel continente.
Certo. Certo! Non si preoccupi che ce lo dico. Appena ni sintemu. Certo. Che lei ci voli parrari.  

Cento di questi giorni (5 di 98+2)

Senta... io già glielò detto! U canusceva accussì! Come a tanti.
Iu mi fazzu u me travagghiu che non ce ne ho tempo di perdere per le amicizie.
Cà staiu!
Aviri sta machina? Ciaia smuntari tuttu u muturi. Oggi. Si squagghiau a tistata. E' inutile pirdirici tempo per ripararla. Perciò u smuntu e poi chiuru e nesciu per vedere se trovo un motore ne sfasciacarrozzi.  U sapi picchì?  Picchi sugnu sulu a travagghiari che annunca non si mangia. Picchì il cliente e chiù morto di fami di mia e soldi non cinnavi per una machina nova. Mancu di secunna manu. Picchì ammia macari du picca mi sevvi.
Chimminnifutti ammia di Ciccio? Ci pari ca ciaiu tempo di fimmarimi a parrari con qualcuno? Con lei?
Ciccio era un cliente come a tutti e anzi ci ricu che ammia mi piaceva picchì parrava picca e si fidava. Non ne faceva storie. Che da quanto non ne furia chiù munita tutti invece cianno sempre da ridire e non ci va mai bene niente a nessuno.
Ecco chistu è tutto quello che saccio! Cuntentu? Ora ni putemu salutari? Ma scusari se non ci dò la mano ma è tutta lodda di rassu e non vulissi ca vossignoria salluddassi.
Buongiorno allora! Buongiorno!

18/09/14

Cento di questi giorni (4 di 98+2)

Sintissi. Ce lo giuro! Io non lascuto la gente quando parra a matula. Non lascuto a queste quattro sparrittere sempre pronte a farisi i cazzi di lautri. Io ai cristiani li talio nella facci e parru su aiu di che parrari.
Certo di Ciccio se ne dicono cose. Macari assai.
Lei ad esempio u sapi che una vota u vistunu che sarritirava a casa con un sacco pisanti come a quello di Babbo Natale? Ciaveva macari a vavva finta mi rissuno. E cè stato chi mi ha giurato che dal sacco si sintevano lamenti come di un cristiano. Ma iu non ci pozzu cririri! Saranno state minchiate di sicuro!
Come a quella ca si puttau a casa tri fimmini e la Criscenti quella che abita sutta a so casa che suo marito ci fa le corna con linfermiera del primo piano mi cuntau che tutta la notte non potti rommiri che quelli parevano impazziti. Che facevano versi strani e ittavunu vuci che non ci voleva tanta fantasia a capiri chi stava succirennu.
Io a Ciccio invece u canusciu per persona seria che ni salutamu sempri e mi pari arucatu e gentile. E capissi ammia! Comu pozzu cririri a quello che mi disse una vota Ianu u carritteri? Come posso credere che Ciccio ci futtiu una intera scatola di robba mentre quello si era allontanato un attimo per pisciare e ci aveva chiesto la cortesia di darici un occhio alla bancarella? Non non può essere vero! Su tutti malelingue! Che di una muddichedda fanno pranzo e cena e ci iettunu fango sopra alle persone.
E comunque io lho visto che può avere una simana e lui era vistuto a festa. No. No sacciu picchì.
La signorina Nunzia quella che non si è mai maritata ca riciunu che ci piacciono le fimmine disse che era pecchè doveva fare da testimone a un suo amico. A lei ce laveva detto Nicola u caccagnusu che lui lo conosceva a quel cristiano che si doveva maritare. Ma non ci posso mettere la mano sul fuoco. Cioè non lo so se è vero. Eppoi ammia quel giorno mi salutau soltanto senza dire niente che io non lho mai sentito parlare. E io ci ricambiai il saluto che è buona educazione.
Insomma non sacciu nenti iu. Ma mi ricissi lei sapi qualcosa? Cioè chi succiriu? Magari su mi cunta qualche cosa io la posso aiutare meglio. Chinni pensa?

15/09/14

Cento di questi giorni (3 di 98+2)

E certo che lo conosco a Ciccio! Abbiamo fatto le prime classi insieme eppoi anche dopo quannu criscemu tannicchia tutti i pomeriggi a pallone che non cera altro gioco per noi.
Lui faceva il terzino. Era un poco scassiteddu però ci mitteva impegno.
Una vota mi ricordo che era una partita importante con i carusi dellaltra via che di solito si iucava solo a pietrate e quelli erano partiti in contropiede.
Io ci ittai una vuci che ero ancora allattacco:
"Fermalo! Ciccio fermalo!"
Lui tagghiau il campo che allepoca era il più veloce di tutti e si ittau addosso a quel povero carusiddu con tutte e due le iamme in scivolata che quello si sminnittiau tutto andando a cadere in mezzo alla sciara vicino al campo. Ciccio si susiu come se non era successo nenti.
Mi taliava e taliava a chiddu e allargava le braccia come per dire "Chi putava fari?"
Insieme allaltri compagni u ficimu scappari prima che quelli sincarognivano che di sicuro sarebbe finita a coppa e forse era meglio che no.
Ma u stati ciccannu? No! Io avi assai che non lo vedo.
Certo a me casa e vicino alla sua. Proprio il palazzo di fronte.  Ma u sapi comè ognuno ciavi i propri orari. I propri impegni.
Iu mi susu ogni giorno alle cinque per arrivare fino al mercato che prima cè da pigghiari la robba al magazzino e poi muntari u postu e sistemari ogni cosa. Insomma non mi lamento però picchì ancora si campa macari ca cè a crisi e sti cazzu di cinisi ca si pigghianu tutta a fera che fanno i prezzi che vogliono.
Appoi quannu finisciu marritiru ca ciaiu lussa rutti e minnistaiu davanti alla televisioni cu me mugghieri e i me figghi.
Ciccio no. Iddu non si maritau mi pari. Certo i fimmini ci piacevunu proprio assai. Sarà stato pi chistu che non si decidiu. Iddu li considerava tutte un rialu di Dio e di certo non voleva fare il torto a nessuna scegliendone una sola.
Io la mia invece la canuscii che vineva ogni giorno ad accattarisi un paru di mutanni novi na me bancarella. Accussì una vota volli vedere come ci stavano e ci scappau Samantha a chiu ranni. Poi arrivarono Gionni e Margarett e Maicol macari. Due a due e palla al centro che per fortuna ni fimmamu per ora.
Ora che ricordo quannu nasciu lultimo Ciccio marrialau una scatola di sugarri che lui dice che venivano da Cuba. "Un posto meraviglioso" mi disse "Il paradiso".
Io però non lho mai consumati tutti che addumai il primo e stavo per vomitare. Ma questo non ce lho mai detto a lui che magari si offende.   

14/09/14

Cento di questi giorni (2 di 98+2)

Cui? Il signor Ciccio? Picchì? Ci succiriu qualcosa? Purazzu! Mi ricissi tutto! Ah bedda matri! Chiffà non parra? Un incidente? Ummazzanu? Maronna santissima!
Iu avi quasi sei misi che non lo vedo.
Eravamu quasi frati e soru u sapi? E' che criscemu insemula macari ca iu sugnu chiu vecchia. Sua madre lo lasciava sempre a casa nostra che lei purazza travagghiava a causa del marito che ci mossi giovani. Una disgrazia. Quello faceva il posteggiatore ma ciacchiananu di supra una notte che cera scuro e nuddu visti nenti. Lei invece la madre stirava i robbi nelle case che forse per quello sera rovinata tutte le mani.
Prima di moriri non ciarrinisceva mancu a rapiri una porta purazza.
Ciaveva sofferto assai Cicciuzzu per quella santa donna che laveva seguita fino allultimo giorno quannu una decina di anni fa cascau malata. Fu una cosa di una para di misi. Ecco le dicevo che u picciriddu stava assai nella nostra casa. Certo sò matri non era proprio il ritratto della simpatia che a causa del lutto e degli stenti si era inacidita assai ma Ciccio... Ciccio era un amore. Beddu. Giniusu. Era curioso di tutto.
Mi ricordo che furiava tutta la casa e poi vineva di mia che ci piaceva che io ci inventavo le storie. Cose di niente che a quel tempo la fantasia non mi mancava e mancu le paroli a dire il vero. Lui sassittava sopra alle mie ginocchia e ascutava in silenzio e alli voti faceva tante domande e altre invece saddummisceva che io allora lo stringevo e lo vasavo in testa leggera leggera che mi piaceva il ciauro dei suoi capelli.
E' stato così che siamo crisciuti. E anche dopo quando Ciccio andava alle scuole  lui passava chiù tempo alla casa nostra che alla sua.
Ma picchì voli sapiri queste cose? Ci succiriu qualcosa? Mu ricissi maresciallo. Fici qualcosa di male? E picchì lei vinni di mia?
Io lultima volta che lho visto ciaveva una fimmina vicino. Bellissima. Tutta elegante e sicca e longa. Una vera signora. Parrava come a quelle della telivisioni che certo lho capito che non era di qua. Ciccio me la presentò tutto contento che però il nome non me lo ricordo. Lui mentre eravamo insieme che mi offrì un caffè ci raccontò delle mie storie e ci disse che io ero stata il suo scrittore preferito. Lei sorrideva e mi taliava tutta attenta. Non mi passi una tinta. No. Niente altro maresciallo.
Ricordo solo che quando loro si sono allontanati lui se lè stretta vicino e ci ha messo una mano nel culo sopra alla gonna leggera mentre lei lo guardava tutta contenta. Credo che fosse innamorata. E macari iddu a dire il vero. 
Ah! Mi ricordo macari il profumo di lei. Un ciauro come a quelli dellindiani. Un ciauro pieno e forte. Di peccato.

11/09/14

Cento di questi giorni (1 di 98+2)



Io ci ho fatto anche il tema sul Signor Ciccio che la maestra voleva che noi dovevamo parlare del nostro vicino di casa.
Io però sono stata sfortunata! No come altri miei compagni!
Il fatto è che del Signor Ciccio non si poteva dire assai e accussì scrissi che lui non era ne iautu ne cuttu e mancu ponchio a dire il vero. Oppure siccu.
Anche i capelli il Signor Ciccio ce li aveva indecisi. Il colore prima di tutto. Tannicchia erana niuri e altri grigi e altri ancora ianchi come la luna. E non erano poi tutti i stissi che di lato aumentavano ma solo a sinistra che a destra ciaveva una specie di puttusu come a uno che si è fatto una operazione. 
Lui poi si visteva sempre allo stesso modo che si vedeva che le cose se le accattava nella bancarella della fera. Mamma dice che laveva visto a cercare nelle cose dellusato ma anche a mia ogni tanto mi piace che una volta ciaccattai una cammisa che tutte le compagne me la invidiavano tanto era bella.
I pantaloni erano quelli dei vecchi e poi ci piacevano le polo a strisce che i colori erano tutti sbiaditi.
Destate poi ciaveva i scappi dei monaci che si vede il piede mentre dinverno portava solopolacchini marroni  con la suola di plastica gialla.
Ve lho detto che sono stata sfortunata. Cosa altro ci potevo aggiungere che già quello con il fisico e labbigliamento io avevo fatto mezzo tema. Marristavano un episodio e la conclusione che la maestra ci aveva detto di fare così. E io cosa potevo scrivere?
Allora ci ho raccontato questa cosa che ora la racconto anche a voi. Era stato destate che io ero chiù nica e ciavevo le bottiglie di acqua da riempire alla fontana e lui mi ha aiutato e poi li ha portate fino a casa che lascensore non funzionava e allora erano pesanti. E' stato gentile. Ricordo che mi ha fatto anche un sorriso quella volta ma poi gli ho sentito dire solo "buongiorno" e "buonasera" a mia madre e "ciao" a me che altro non aggiungeva.
Ah no! Una volta mi ha anche guardato male. Ma io avevo fatto la tosta che correvo nel pianerottolo e allora ciavevo sbattutto addosso davanti alla porta di casa.
A lui cera caduto un pacchettino che ciaveva nelle mani e subito però laveva ripreso come una cosa preziosa e poi maveva taliato male. Ma è stato solo quella volta là dico.
Insomma il Signor Ciccio era una persona gentile se uno non ci scassava la minchia. Almeno così penso.
Powered by Blogger.