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24/07/18

[Alfredo] Strade +4



C’è un passaggio, un sentiero, non lontano dall'abitazione di Alfredo che lui non ha mai esplorato fino alla fine.
È stretto. Accarezza il retro di poche case basse, inizialmente. L’intonaco sbriciolato, rigonfio, ne segna i confini. Poi campi ad affiancarlo, altre case, l’orizzonte.
Alfredo ne è stato sempre affascinato ed è pure successo che ne abbia percorso qualche piccolo tratto. Una volta fin quasi ad arrivare alla pianura. Poi, però, la quasi totale assenza di alberi, di ombra dove rifugiarsi e sparire, lo aveva sempre fatto desistere.
Il fatto è che Alfredo avvertiva il loro non essere pronti.
Aveva sempre pensato che ogni cosa, tutto quanto esiste, deve poter avere la libertà di accogliere e di essere accolta, ma nello stesso tempo aveva sempre creduto che per tutto ciò che di importante ci è dato considerare sia sempre, sempre, necessario provare un contatto, un’unione.
Oggi Alfredo ha preso con se una bottiglia d’acqua e ha fatto i primi passi. Il sentiero sembrava nascondersi timoroso tra le mura.
“Ormai è inutile, è passato il tempo” gli sussurrava quello, quasi accarezzandolo con la propria voce. E poi "Sei vecchio! Non riuscirai, non riusciremo. Ti prego" aggiunse, cambiando intonazione così rapidamente da rendere quasi indistinguibili le parole.
Alfredo continuò ad avanzare.
I passi erano lenti, ma non per la fatica. Aveva imparato l’inutilità di ogni spreco, il gusto del tranquillo possesso, dello sguardo. I primi campi lo accolsero sorridendo.
“Dove vai? Dove vai Alfredo? Non senti come inizia a diventare calda questa giornata? Non vedi quanto ancora ti manca?”
Alfredo si guardò attorno, pensò dapprima all’alto fusto di quell’erba viperina che sembrava essersi piegata al suo passaggio, ma poi si rese conto che non potevano essere che quelle birbe di pratoline.
“Avete anche cambiato il tono di voce per fermarmi?”
“Ma noi lo diciamo per te” rispose un gruppo.
“Lo sai che ti vogliamo bene” aggiunse un altro.
“Lo so, lo so” disse loro Alfredo, poi prese un sorso d’acqua e continuò a camminare.
Alle sue spalle quelle continuavano a chiamarlo, ma ormai, davanti ai suoi occhi, c’era solo una lunga distesa di piccoli ciuffi d’erba.
Aveva già percorso un lungo tratto di strada. Il sentiero, però, continuava a tacere. Alfredo si fermò un attimo per guardare indietro.
“È una cosa che non si dovrebbe mai fare questa!” disse bonariamente a se stesso e subito gli tornarono in mente le storie ascoltate e lette da bambino, quelle che lo affascinavano perché non riusciva a capirle. Quelle ormai dimenticate.
E ricomparve Orfeo che portò con sé la sua Euridice, ma dietro di loro era la moglie di Lot, la statua di sale, a fissarlo.
Alfredo ripensò alla suora che dalla cattedra aveva raccontato al gruppo dei silenziosi bambini quella storia. Nessuna spiegazione, nessuna enfasi nelle parole di quel piccolo e ormai vecchio corvo nero. Solo la piatta lettura del passo della Bibbia. Del resto cosa, come, spiegare a dei bambini verità così peccaminose, impure.
Chissà, allora, perché la scelta di quel brano. Forse la donna pensava a se stessa oppure le dita sempre dolci tra la testa e il taglio della sua piccola Bibbia, le erano scivolate per caso proprio tra quelle pagine quella volta. Nell’imprevedibilità di ogni cosa.
Alfredo ci aveva ripensato per giorni. Quale era stata la colpa di quella città? Perché impedire alla sfortunata quel gesto?
Poi il ricordo era andato via, sommerso da giochi e interrogazioni. Dalla vita di un fanciullo diventato uomo. Erano trascorsi decenni prima che riaffiorasse proprio lì, proprio in quel momento.
“Vedi come ti sia difficile evitare di voltarti Alfredo?”
Finalmente il sentiero tornava a parlare.
“Vedi come è difficile, duro, il rimpianto?”
Alfredo si era fermato per ascoltare meglio, ma la voce prestò sparì per riapparire pochi attimi dopo, non appena l'uomo aveva ripreso il cammino.
“Capiterà anche a te, Alfredo. Capiterà anche a noi”
L’uomo sorrise come solo sanno fare i bimbi.
Era già passato parecchio tempo da quando era partito e il sole diventava sempre più alto.
Tutt'intorno, vicino, solo erba, ma lontano nei campi finalmente qualcosa sembrava esistere.
“Deve essere una quercia...” pensò “...nulla può essere qui così solenne”
Abbandonò, dunque, la strada e iniziò a dirigersi verso quella grigia corteccia. L'albero lo accolse come il più atteso tra i pellegrini.
“Ti aspettavo da tempo, riposati dunque”
Alfredo accolse subito l’invito, era improvvisamente stanco. Si sdraiò dunque sull'erba a guardare la luce passare tra la chioma, a immaginare il cielo.
“Hai mai rimpianti?”
“Rimpianti di cosa Alfredo? Delle cose avvenute? Di quelle non realizzate?”
“Rimpianti, insomma io non credo di averne, di averne veramente intendo. Forse in un solo caso, ecco ma quello credo sia diverso. E poi non ne voglio parlare. Ecco i rimpianti… certo penso a quello che è successo, a quello che sarebbe potuto succedere… ma poi è come se mi giustificassi. No, non è così. È che so di aver cercato ogni volta di… di tracciare la strada, ecco. Di aver tentato”
“Lo credi davvero?”
“Sì, si. Credo sia così. E tu?”
“Io sono qui. Vedo le cose passare. Non ho tempo per i rimpianti”
“E si può vivere senza? Sì lo so, prima ti ho detto di non averne veramente mai avuto la sensazione e però credo siano necessari. Come vivere senza? Senza ricordo, senza immaginazione, senza paura che possa succedere di nuovo”
“Lo hai descritto. Il rimpianto è un vagare da un luogo all'altro. Capisci ora come e perché non mi appartenga? Riposati però ora, hai ancora tanta strada da fare”
Alfredo diede un cenno di assenso con il capo e riprese a fissare il cielo. L’erba era comoda e fresca. Ne strappo un filo e lo portò alle labbra. Era acidula, ma buona. Il sole lo accarezzava e gli ridava forza. Alfredo si rialzò per riprendere il cammino.

Fonte immagine: Magicphil MontesL'Abergement, Switzerland

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