domenica, dicembre 30, 2007

Karl Marx e gli operai

Antonio Schiavone 36 anni
Roberto Scola 23 anni
Angelo Laurino 43 anni
Bruno Santino 26 anni
Rocco Marzo 54 anni
Rosario Rodinò 26 anni
Giuseppe Demasi 26 anni

L'operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza [...]
L'operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci.[...]
Il lavoro resta esterno all'operaio [...]
Il lavoro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è soltanto un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni a esso. La sua estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d'altro genere, il lavoro è fuggito come una peste. [...]
Il risultato è che l'uomo (il lavoratore) si sente libero ormai soltanto nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e nel generare, tutt'al più nell'aver una casa, nella sua cura corporale, ecc., e che nelle sue funzioni umane si sente solo più una bestia. Il bestiale diventa l'umano e l'umano il bestiale.
Il mangiare, il bere, il generare, ecc., sono in effetti anche schiette funzioni umane, ma sono bestiali nell'astrazione che le separa dal restante cerchio dell'umana attività e ne fa degli scopi ultimi e unici. [...]
Se il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura, ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell’uomo.

K. Marx, Manoscritti economico-filosofici

martedì, dicembre 25, 2007

[Condomini] Natale

Si festeggiava e io ero ancora un carusazzo ca nisceva con lamici e se capitava non lo rifiutava quacche bicchiere di zibibbo di quello buono. Fu accussì che mi capitò questa avventura e anche se i ricordi sono tannicchia confusi quaccosa ancora arristau in questa testa.

"Talia!"
"A cui?"
"Là. No viri vicinu o cassunettu?"
"Aspetta... Sì. E' vero!"
"Ma è vivo!"
"E certo! Su si movi morto non può essere"
"Pigghiamulu"
"E unni u puttamu?"
"Pigghiamulu!"
"E su ci veni fami?"
"Su ci veni a fami ci putemu accattari du belli masculini"
"Cetto. E tu ci metti macari il peperoncino! Si proprio scemo!"
"Ma pecchè? Che ho detto?"
"Ah... ma sicunnu tia a un picciriddo unu ci runa i masculini?"
"Su boni"
"Pittia forse. Latte! Ci vuole latte!"
"E unni u pigghiamo u latti cà a piscaria?"
"No sacciu! Aspetta. Tenilu. Cerco a Puddu. Macari a stura già tunnau a casa."
"Se... iu non ciafazzo a tenerlo."
"Ma su dommi!"
"E se scappa?"
"Si propriu scemu!"
"Senti..."
"Dimmi..."
"E se lo rimettiamo dove labbiamo trovato?"
"Cetto. Accussì su mangianu i cani."
"Ma è Natale"
"Picchì a natale i cani noncinnannu fami?"
"Senti..."
"Dimmi..."
"Ciò unidea..."
"Mummaginu..."
"Sopra a dove labbiamo trovato cera una luce accesa. Se lo lasciamo dietro la porta di quella famigghia?"
"Sarà chi viristi!"
"Iu a visti a luci!"
"Tu si scemu! Tu rissi!"
"Aspetta. Mettiamolo un secondo cà. Supra al muretto. E poi cerchiamo a Puddu."
"Va bene! Tanto è qua vicino. Però facemu presto!"

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"Ma unni finiu?"
"Tu rissi ca cerano i cani!"
"E stu latti? Chinnifacemu?"
"Nu vivemu no?"
"Bonu! E bellu friscu... quasiquasi è megghiu del vino!"
"Se... Amuninni va..."
"Va bene. Va bene. Aspetta!"

venerdì, dicembre 21, 2007

[Condomini] La signora Agnello

Appena vedevo la sua faccia pensavo ad un piatto di sarde a baccafico.
Non lo so spiegare bene il motivo. Forse pecchè ogni giorno dal suo balcone nisceva un ciauro di frittura che tutti appena lo sentivano trasevano di corsa le mutande stese al sole oppure pecchè aveva una faccia accussì chiatta che pareva che ciavevano tagliato la nasca.
Fatto sta che la signora Agnello cucinava sempre pisci.
Suo marito era morto tanti anni fa e la provvidenza non ci aveva arrialato nemmeno un figghiu. Però non mi pareva sciupata. Anzi ultimamente ogni volta che la vedevo mi sembrava sempre più giovane.
Lei scinneva ogni giorno presto la matina tutta allicchitiata e si fermava allangolo per aspettare lautobussu che arrivava alla pescheria. Quando tornava da questi sivvizza ciaveva sempre qualche cosa per i gatti che laspettavano alla fermata e una rosa per lei che se la teneva sopra la tavola della cucina.
La signora Anastasi una volta mi disse che laveva vista entrare nella casa di una fattucchiera ma io lo sapevo che non ce nè magie per queste cose.
Ieri poi cominciai a capire tannicchia.
Vinni un camion che si portò tutti i suoi mobili. Lei diriggeva tutti loperai e ogni tanto arrireva a un carusiddu che che se ne stava fermo senza fare niente.
Era così bello che pareva una statua di mammuru e forse per questo la signora Agnello ogni tanto quando ci sembrava che nessuno la taliava ciallisciava i causi.
Per vedere se era vivo.

giovedì, dicembre 20, 2007

Il nulla

Quest'alba negata
al sole che avanza su crine di mare
ai brandelli di sogni celati
sfuggiti
agli anfratti di bisogni e illusioni
cattura.
Null'altro che nulla qui sulle mani.
Repente l'odio che sale.
Poi di nuovo brandeggia la notte
m'inghiotte
scompare.

lunedì, dicembre 10, 2007

Interdipendenza

In questi sogni che muoiono
sopravvive il bisogno di una
O
da colorare,
di un amore qualunque, rubato, inventato,
andato a male.

No, non c'è paura, no,
e neanche importa il non poter respirare.

Forse accettazione allora,
se penso a quando, lento,
sugli scogli del tempo s'inerpica
l'altrui ragionevole sale
e non si può fermare.

domenica, dicembre 09, 2007

madame

Cieli e
neve sulle labbra
a posare

l'irruente fervore di un inganno.


giovedì, dicembre 06, 2007

Sul fare finta

Eravamo da poche settimane in campagna.
Sul retro della vecchia casa colonica dei fili, tenuti su da nodosi e robusti pali di legno, ci aiutavano a tenere il passo alla voglia di inzaccherarsi dei bimbi. Una lotta continua! Quel giorno, complice un mattutino acquazzone, potevamo dire di aver vinto: i fili erano vuoti, a parte le mollette di legno ad essi attaccate.
Solo nel tardo pomeriggio Giulio uscì da casa. L'aria, già molto calda nelle ore precedenti, si era un po' rinfrescata. Io lo osservavo, col volto soddisfatto e attento del buon padre di famiglia, dalla finestra al primo piano che dava sul noceto.
Si avvicinò allo spartano stenditoio e credetti, dapprima, che volesse divellerne uno dei sostegni ma, evidentemente, ciò non era nelle sue forze, o nelle sue voglie, poiché presto parve rinunciarvi. Quindi la sua attenzione fu attirata dalle mollette.
Ne staccò quattro montandole a croce, poi vidi la sua opera volare.
Poco dopo si avvicinò la sorellina, trattenuta fino a quel momento in casa da una fiabesca conserva di frutta. La piccola guardò il lavoro del suo modello estivo preferito e subito tentò, per pronta emulazione, di afferrare quelle mollette così magiche. Non riuscendo nel suo intento chiese al fratello di aiutarla.
Giulio le offrì temporaneamente il proprio velivolo poi, costruitone uno nuovo, si accinse a tornare a giocare. La bimba, però, con gesto veloce aveva già distrutto, in leale combattimento, il primo aeroplano. Lo stesso che brevemente, aiutato dalla sua mano sinistra, aveva volteggiato nell'aria. Il fratello rise, poi, rimontati velocemente i pezzi necessari, partì per un nuovo giro di perlustrazione.
Un piccolo laghetto, una pozza, attendeva gli stessi oggetti che, in quel momento, il leggero vento della fantasia aveva trasformato in barche e che solo a fine giornata ci avrebbero nuovamente aiutato a smaltire il duro lavoro della nostra lavabiancheria.

sabato, dicembre 01, 2007

Ipermercato

Lo trovi così
a cianciare di vita:
mozze domande,
tessere,
punti
- grazie e arrivederci -.
Chiedi chi sia,
e ti rispondi.

venerdì, novembre 30, 2007

Heather Brooke e Chloe Des Lysses

Sono qui da ore a guardare Heather e penso che lei
potrebbe pure sconfiggere Chloe cioè non è che lei
è più bella ma il fatto è che io non ho mai visto lei
in un filmato e ho sempre solo immaginato che lei
insomma doveva essere brava come nelle foto lei
però più con il culo perché in quelle i pompini lei
non li fa mai e poi quella bionda la Heather dico lei
secondo me è proprio insuperabile per come a lei
riesca ad entrare tutto in gola anche con i dildo lei
li fa sparire che fa impressione insomma come lei
c'era Linda ma ero piccolo e non ho visto il film lei
con l'uomo quello dal cazzo enorme erano bravi e lei
è diventata famosa per questo ma in fondo Chloe lei
mi da più soddisfazione e io riesco a sognare con lei.

mercoledì, novembre 28, 2007

[Condomini] Il baule

Io ciò tante cose messe dentro al baule che nemmeno lo apro più che tanto lo so che non ci entrerebbe niente. Allora certe volte lo guardo e penso a quello che ci potrei trovare. Secondo i miei ricordi. Per quello che non vedo.
Di sicuro ci sarà la foto dei nonni. Quella grande con la cornice che sembrava di legno e che poi una volta è caduta e abbiamo scoperto che era gesso invece. Fatto bene però che mai nessuno senera accorto.
In quella foto lui era vistuto da militare e lei era davanti a lui assittata tutta seria. Strano! Io me la ricordo sempre additta che ci prepara da mangiare e poi aspetta appoggiata alla credenza un poco più lontano mentre lui svuota il piatto. E lo guarda mia nonna quel suo uomo. E sorride contenta se mangia che poi dopo prepara anche per i figghi e per noi.
Forse cè anche il libro delle battaglie lì dentro. Quello con la copertina rossa del fascismo e le cose di guerra del popolo italiano che ci stanno nei quadri. E gli Orazi e Barletta e Adua e tutte quelle donne un poco a nura che io me le sognavo qualche volta anche se non dovevo.
Credo che ci ho messo anche il vecchio macinino del caffè nel baule.
"Fatti rari tannicchia di cafè do Zu Turi!"
E io partivo tutto contento che finalmente uscivo. Ero grande. E di sicuro sarebbe arrivata qualche avventura.
Il baule lo guardo qualche volta. Certe volte arrivo ad accarezzarlo anche. Ma tanto non ci entrerebbe più niente.

martedì, novembre 27, 2007

13,20 tangenziale ovest

che tu scriva
ancora
credo sia già qualcosa

narrami
allora
un sapido ricordo

o di questi ingorghi d'anime scorate
al tumular dell'ora

venerdì, novembre 23, 2007

Lariano

Non così.
Non il visto,
ma il vero al Vero serve
e morte
- raggiante, amorosa morte -
se Pietà,
al quieto tuo miraggio,
risponde.

martedì, novembre 20, 2007

[Condomini] Ignazia Aragonese

Il suo primo figghio cera nato che lei ciaveva tredici anni.
Nel palazzo nessuno senera accorto di quella panza che unchiava. E non era facili sapiri del resto pecchè la carusidda nisceva poco dalla sua casa e sempre con la famigghia che mancu nella scuola andava.
Questi fatti però il giudice di sicuro non li conosceva. Pecciò ci livau la creatura. Pecché vide che lei non capiva nenti di quello che ci dicevano gli altri e la sua famigghia non ciaveva soldi per mangiare. E così la fece partorire e poi la rimandò di nuovo a casa.
Io non dico che fece male fatto sta però che dopo due anni e tannicchia di confusione che si sentiva ogni tanto arreri alla sua porta ce ne spuntò unaltro di picciriddu. Macari questo ce lavevano levato e per evitare altre cause e travagghi al tribunale decisero di metterla in un posto tranquillo con i pazzi e le monache.
Era da pochi giorni che era tornata e sera fatta ancora più bedda. La vedevo ogni tanto al balcone.
Cantava ora.
Stava ferma assittata con le mani a camuriarisi la faccia e dalla bocca le usciva una voce dangelo. Cantava tutto il giorno la stessa canzone. Forse laveva imparata in quella casa. Io non ci capivo nenti pecchè era una canzone degli inglisi però mi piaceva sentirla mentre ripeteva quella musica. 
La polizia dice che è stato un incidente. Io nel muro vicino a dove è caduta ciò messo un cartoncino per ricordarla:
Ignazia Aragonese 1981-2000 

domenica, novembre 18, 2007

Appunti modenesi

questo t'amo lontano
a cercarlo lo trovo
aprendo questa mano
ché la tua mi manca
e anche questa notte
che mi stanca d'assenza
non voluta non cercata
faccio finta mai sia stata
e vivo

venerdì, novembre 16, 2007

Il poeta con poesie di Giorgio Bassani, Elio Pagliarani, Sandro Penna

"Se la poesia deve essere ormai - come tu dici -
 
considerata né più né meno d'un semplice

strumento di comunicazione
uguale a tantissimi altri ebbene
sia
Comunicare tramite l'arte del resto fu ognora
la mia ambizione suprema
pur se non giunsi mai e poi mai
a sperare di riuscirci persino con te
coglione" *

Ieri alla scuola di scrittura mi hanno spiegato come il mio pensiero manchi di spazialità e forza evocativa. Ho chinato il capo un po' disperato, pensavo già ai soldi buttati via.
Il Maestro, forse intuendo quel vergognoso pensiero, mi ha subito dopo incoraggiato e rivelato, con quelle belle frasi che gli sono proprie, lo spessore autobiografico delle parole da me elencate. Forse non tutto è perduto.
Il fatto è, caro lettore, che io (Didattico Dorelli, di anni Quaranta, di professione Disoccupato) lo so già da me di non essere capace! Ma la mia fidanzata sostiene il contrario e, complici le innumerevoli poesie a lei dedicate, e segretamente, nonché diligentemente, copiate, mi son visto così costretto a seguire il suo "consiglio" (metto tra parentesi quest'ultima parola perchè forse qualcuno di voi sa già di cosa parlo e di come sono certe donne) dando, per questa nobile causa, fondo ai miei ultimi risparmi.

"Ma dobbiamo continuare
come se
non avesse senso pensare
che s'appassisca il mare" *

Alcune volte, confesso, ho tentato di rivelarle tutto, ma come? Insicuro della risposta da dare a quest'ultima domanda ho sempre rimandato ed ora spero solo di riuscire a mettere, su carta, qualche poetica parola in un momento di grazia; magari oggi dopo aver fatto l'amore o in altra pari o strana occasione. Dopo, mi son detto, potrei sempre dire di aver perso la grazia suprema del compositore. Fino ad ora, però, la vena non è mai arrivata.

"Oh nella notte il cane
che abbaia di lontano.
Di giorno è solo il cane
che ti lecca la mano." *

Mio buon lettore, cosa dirti? Chiudo qui i miei pensieri che ad andar oltre non son capace; certo però la prossima volta, la prossima donna, mi accontenterò di pronunciare un "ti amo".


* Poesie di Giorgio Bassani, Elio Pagliarani, Sandro Penna.

giovedì, novembre 15, 2007

[Condomini] ABP

E cera questo caruso anche che il nome e il cognome pimmia era difficile a ricordare pecchè a lui tutti ci dicevano Abbipi invece di chiamarlo.
E Abbipi mi faresti questo e Abbipi mi faresti questaltro ci gridavano a lui quelle lavannare del palazzo e iddu a tutte ci rispondeva di sì e poi però faceva i cazzi suoi ca sinni futteva. Nonostante questo però nessuna ci diceva mai niente e anzi ciarrialavano caramelli come se fosse stato utile davvero.
Io ero già più vecchio e per questo non giocavamo assai insieme. Solo una volta mi ricordo ce ne siamo stati vicini un po' più di tempo.
Era piovuto tutta la notte e la mattina anche e io non c'erò potuto andare a scuola che non si passava con quel fango. Poi allimprovviso era spuntato vento e un sole come destate e io ero sceso sotto a giocare. Non cera nessuno. Anzi no. Cera Abbipi davanti a una pozza ranni come a un laghetto che ci ittava pettri dentro. Massittai sopra a un muretto poco distante e mi misi a taliari quello specchio di terra e acqua. Dopo un poco vinni anche lui.
Il cielo azzurro e le nuvole passavano veloci lì sopra. E i muscuni e lacidduzzi e i pinseri anche.
"Quando addivennu ranni ci potrò ittari pietre in faccia a tutti" mi rissi. Però è assai che non lo vedo.

mercoledì, novembre 14, 2007

Ormai hai nove anni


domani disarcionerai l'eroe
e non capirò
non saprai

domani
forse

ciechi
oggi si gioca
a rintracciare lo specchio


lunedì, novembre 12, 2007

Falsa indagine

Cerchi forse riparo dalla pioggia
ma il tuo giocare - la falsa ritrosia,
il lucido cuore su cui nulla poggia -
sterile appare, spenta fantasia.

Forse è sangue ciò di cui hai paura,
ma se, nell'affrontare le battaglie,
nascondi la più vera tua natura,
chi vorrà vivere tra quelle maglie?

Non sono feroce - come tu credi -
e cerco inutilmente di esser vero,
ma è solo quell'inutile che vedi

quando, vicino te come straniero,
mi affaccio, nudo ora, a indagare.
Ancora mare. E picchi da scalare.
<

venerdì, novembre 09, 2007

Il pregante interrogativo

Non riusciva proprio a crederci, eppure... ripensando a certe parole, allo strusciare casuale nei giorni di festa, al leggero tremolio di quelle mani quando la domenica sfioravano le sue... avrebbe dovuto capire, avrebbe dovuto intuire... ed ora? Non sapeva proprio cosa fare...
"Maria vieni è pronto"
La voce di sua madre la fece trasalire, rialzò in fretta gli slip e scappò in cucina.
"Cos'hai? Sei tutta rossa!"
"Credo di avere un po' di febbre"
"Vieni qui! Fai sentire. Ah! Benedetta figliola! Ti avevo detto di non uscire per Natale, magari è..."
"Ma mamma!"
"E sì, e sì... ne avrai tante di feste! Che vuoi che..."
"Non vedo niente di pronto"
"Non senti questo profumo? Guarda dentro il forno"
Il sorriso nascosto dietro quell'ultima frase le fece capire tutto; magari sottraendole il gusto della sorpresa ma, di certo, restituendole la fame.
"Don Aldo mi ha chiesto se di pomeriggio passavi per le prove"
"E' stato qui? Ma perché non mi hai..."
"Dormivi"
Maria abbassò il capo. Il pane caldo le bruciava le dita. Avrebbe deciso dopo, c'era tempo.

mercoledì, novembre 07, 2007

Smettere di fumare riduce il rischio di malattie cardiovascolari e polmonari mortali

Quando ti affacci non sempre puoi vedere tutto: anche se ti sporgi, anche se ti arrampichi sulla balaustra e ti viene paura di volare.
Quando ti affacci ci sono le persone e le macchine e la vita, da qualche parte, che, lucida, ti sfiora. Sarà solo questa leggera brezza, ti dici, e con gesto rapido alzi la cerniera della felpa con le strisce laterali da carabiniere.
Quando ti affacci vorresti sempre incrociare lo sguardo della ragazza che ascolta i Joy Division, quella che una volta hai sorpreso in mutande ad annaffiare i fiori e ti ha sorriso. Sono mesi ormai che la sua finestra è chiusa e una ragnatela si è impossessata dell’angolo in alto sul balcone.
Brilla, a volte, padrona di misteriosa luce.

Quando mi sono affacciato, oggi, tutto pareva lontano. La mia miopia ho pensato, e ho chiuso le imposte.

Franco Fortini - Internazionale

Noi siamo gli ultimi del mondo. - Ma questo mondo non ci avrà.
Noi lo distruggeremo a fondo. - Spezzeremo la società.
Nelle fabbriche il capitale - come macchine ci usò.
Nelle sue scuole la morale — di chi comanda ci insegno.

Questo pugno che sale — questo canto che va
è l’Internazionale, — un ‘altra umanità.
Questa lotta che eguale — l’uomo all’uomo farà
è l’Internazionale. — Fu vinta e vincerà.

Noi siamo gli ultimi di un tempo — che nel suo male sparirà.
Qui l’avvenire è già presente. Chi ha compagni non morirà.
Al profitto e al suo volere – tutto l’uomo si tradì.
Ma la Comune avrà il potere. – Dov’era il no faremo il sì.

Questo pugno che sale — questo canto che va
è l’Internazionale, — un altra umanità.
Questa lotta che eguale — l’uomo all’uomo farà
è l’Internazionale. — Fu vinta e vincerà

E tra di noi divideremo — lavoro, amore, libertà.
E insieme ci riprenderemo — la parola e la verità.
Guarda in viso, tienili a memoria — chi ci uccise e chi mentì.
Compagno, porta la tua storia — alla certezza che ci unì.

Questo pugno che sale — questo canto che va
è l’Internazionale, — un ‘altra umanità.
Questa lotta che eguale — l’uomo all’uomo farà
è l’Internazionale. — Fu vinta e vincerà.

Noi non vogliamo sperar niente. — Il nostro sogno è la realtà.
Da continente a continente — questa terra ci basterà.
Classi e secoli ci hanno straziato — fra chi sfruttava e chi servì.
Compagno, esci dal passato — verso il compagno che ne uscì.

Franco Fortini 1968, 1971, 1990, 1994.

lunedì, novembre 05, 2007

oggi

Altro non dire
alle labbra

ché quel ti amo
riposi

difeso da baci
e paure.

domenica, novembre 04, 2007

Cinque minuti

20 Luglio 2004 ore 22.50

Cinque minuti esatti, ho cinque minuti per creare questa storia... ed un personaggio.
Ecco lo vedo, appare un po' spaesato tra strade che conosce benissimo ma a guardarlo bene si comprende che quello è il suo modo di camminare: testa bassa a scansare escrementi, braccia rigide, pensieri altrove.
Improvvisamente si ferma per raccattare qualcosa. Un pezzo di vetro, si direbbe. Con gesto rapido incide il palmo della mano sinistra, poi lo getta via. Una striscia di sangue. Mi accorgo solo ora delle antiche macchie rossastre che anticipano sul marciapiede il suo cammino.

20 Luglio 2004 ore 22.55

sabato, novembre 03, 2007

Ricomposizione


Nuvole ad incastri, sotto una striscia di sole,
artigliano la pazienza mia,
del giocatore.

Narcotizzati, immagino, i sensi ma,
poi, improvviso, un dettaglio
a negare attenzione.

E' tardi, allora. Ti alzi.
Lo faccio anch'io,
ad ignorare questo scuotersi del cuore.

[Condomini] Abou El Sayed

Stamattina mi visti spuntare davanti alla mia casa i carabbineri.
Avevano bussato a tutte le porte ma nessuno ciaveva aperto. E cetto. La signora Agnello di sicuro non cera e sarà dovera con il suo carusiddu. Nelle altre case del primo piano a quellora non cera nessuno. Forse lamericana. La signora Alagna al secondo piano. Ma capace che era uscita per cercare sua figghia in qualche vanedda.
Comunque sunanu da me.
"Buongiorno -mi disse il più giovane- stiamo cercando un certo Abu Elsaied. Sa dirmi se abita in questo palazzo?"
Lo guardai come si talia una bottiglia china dopo una imbriacatura. Di sicuro cercavano il marocchino.
Da quando sera messo dentro casa la moglie di Antonio sera fatto la macchina nuova e tanti amici. Lo venivano a trovare la sera. Uno entrava e uno nisceva. Qualcuno del palazzo sera lamentato per il portone che rimaneva sempre aperto la notte ma lui per farli stari muti un giorno ciaveva fatto mettere con i suoi soldi la chiusura automatica.
"Maresciallo qua ci stanno tante famigghie - ci rissi- no sacciu come si chiamano tutti. Forse allottavo piano"
Quando scinnenu Abù era in mezzo alle divise e piangeva. Angela lo seguiva in silenzio però non ci andò nella macchina con loro.
Pochi minuti dopo era dietro la mia porta che bussava.
Aveva ancora la vestaglia di casa tutta rossa con i fiori e un paio di tappine con le perline.
"Totò! Totò! Su puttanu! E ora comu fazzu? Sti bastaddi!"
Chiangeva Angiluzza e la faccia ci diventava tutta piena di strisce nere.
Ci resi un fazzoletto e labbracciai strettastretta. La conoscevo da quando era nica e riempiva le bottiglie alla fontana.
Mi cuntò tutte le sue cose.
Che lei ci voleva bene veramente a Abù e che per campare ci volevano i soldi e quel disgraziato di Antonio non ci voleva dare il divorzio che se lei poteva a questora già se lera già sposato a lui anche lindomani. Accussì avissi fatto e allora non ce lo avrebbero portato via per il permesso e tante altre cose che quasiquasi piangevo anche io con lei.
"Non ti preoccupare!" Non ti preoccupare ci ripetevo. E nel mentre continuavo a stringerla e ci facevo tante carezze. Na facci. Sopra le minne. In mezzo alle cosce.
Poi finalmente si calmò.

venerdì, novembre 02, 2007

Confini

Confini.
Attese smembrate
nei riflessi. Silenzio.
Notte sui duelli
delle fronde, senza terra
il vento.
Ombre.

giovedì, novembre 01, 2007

fiuuu

ora esco, saranno ormai due anni che non vedo altro che queste lunghe crepe, il latte a scaldare sul fornello, le foto, ora esco, dalla finestra ho osservato il cielo, il vento, siamo in pochi a conoscerlo, loro pensano che non si possa vedere, annusare, forse, toccare, con il palmo ben aperto aprendo e chiudendo le dita, tagliando, ma ora. ora esco e più in là la strada e quei rumori, le voci, i fantasmi di luce. erano le tredici e venticinque del sedici marzo millenovecentonovantanove, il coltello nella mano destra illuminava la fetta di pane, ed esplodeva, la marmellata, e rideva, e parlava, e iniziava a raccontare, e tu, tu non sei capace di, tu non potresti fare, tu non riusciresti a. ora esco, la gattina pare mi voglia salutare, è di fragola come il muro su cui osservo le foto, lo specchio, a volte lo prendo tra le mani e osservo il mio corpo, le gambe, il torace, l'inguine, una volta è caduto per terra ma non si è rotto, sapete le disgrazie, eccetera, ma non si è rotto, dicevo, e l'ho di nuovo raccolto, e il muro. ecco, li sento. sono arrivati. ora esco, ora esco. no, non sono loro, i miei amici e parliamo, cosa? dimmi, no, ti ho detto che non sono loro. dormi, dormo.

martedì, ottobre 30, 2007

La morte rise del suo nuovo amico

Gareggi ancora,
insipienza,
con me,
donna,
come buon vino,
tribale suono
di memoria.

Sono stanco, ormai,
m’arrendo.

domenica, ottobre 28, 2007

Motel

Ci faremo domande,
domani.
Ci daremo risposte.
Poi,
cancellando le tracce dei nostri pensieri,
con movimenti e gesti studiati
impareremo a mentire.
Oggi è diverso.
"La finestra dà sul mare"
Il portiere non aggiunge altro.
Annota i nomi e conosce il suo lavoro.

sabato, ottobre 27, 2007

[Condomini] Vito Albana

Vito Albana viene dalla campagna anche se ora abita nello stesso mio palazzo.
Quando era più caruso ci finì un braccio sotto il trattore e così non lo pigghiano più a raccogliere la robba della chiana. Ma nella disgrazia fu fortunato. Un suo amico lo fece andare a travagghiare come custode in una ditta di costruzioni della città e lui in questo modo potè continuare a mangiare.
A Vito ci piace parlare con me. Lui mi ha insegnato a usare le arance e i limoni per colazione pranzo e cena. Li sa cucinare in tutti i modi possibili. Ci fa le granite. Linsalata. Il riso. I dolci e i liquori. Quando saccatta la carne poi usa tutte le cose. Foglie scoccia e succo.
Se capita che la ditta non ciavi cantieri aperti Vito ritorna per qualche giorno al paese. Ne approfitta per pigghiare tutto quello che può che così può conservarselo nella sua casa. Cette volte in quelloccasioni passa da me per sapere se voglio anche io quaccosa e poi me lo porta che ne napprofittiamo per fare due chiacchiere.
Fu per questo che ieri mattina lo visti spuntare dietro alla mia porta di casa alle sei precise che ancora sembrava notte. Si presentò con una bella forma di pane. Due cipolle. Un pezzo di pepato fresco e mezzo litro di vino.
Voleva fare colazione.
Mi disse che era dalle cinque che era pronto ma aveva avuto paura di distubbare e così aveva aspettato unaltra ora. Era tutto contento di potermi raccontare le ultime novità del paese.
Di suo nipote Mariano che senera fuiuto con una carusidda di tredici anni. Di Carmela. Pecchè la gelatara del corso ciaveva lamante e lo sapeva solo lui. Dello Zio Cola che sera ammuccato venti uova e cinque chili di sasizza cruda per scommessa. Di sua madre che ancora a novantanni se ne andava ogni giorno al cimitero per parlare con suo marito. Mi disse anche che maveva portato della ricotta accussì buona che a mangiarla con la pasta di casa che ciaveva lui era meglio di un pranzo di matrimonio.
Vito non sera mai sposato.
Non ne voleva compassione per il suo braccio.
Alle femmine oneste invece ci tremavano le mani quando ci vedevano quel pezzo di carne che cera rimasto. Mi cuntò che per questo quando ciaveva vogghia di farisi taliare lattro pezzo ca pinneva apriva il portafoglio e chiureva locchi.

giovedì, ottobre 25, 2007

inerzia

Ed è in questo silenzio
di nubi, di vento,
di pioggia,
di passi,
di notte nascosta alle stelle,
di pelle,
che, come un soffio
alla mente, catturo un: "ti amo".
Accompagna i tuoi fianchi,
le labbra dischiuse,
le voglie che taci,
che il corpo rivela.
E ti svela,
e mi svela.

martedì, ottobre 23, 2007

"Sotto l'angolo retto di una stella"

Se anche tu non fossi vera ma
terra nel cuore
a bruciare
quell’inganno cela
che mi ha dato amore e ancora nuvole
a sfumare.

lunedì, ottobre 22, 2007

Flipper

Proviamo a giocare a lottare sul letto sudati bendati dai nostri domani e m'appare sincero il lento sfiorare il tuo seno un segno casuale che serve a spezzare quel parlottare d'amore di latte di figli ma dopo ti spogli mi spogli lontani da ieri dalle foto sbiadite dalle tranquille rispettose vite i corpi e la pelle e le rughe e l'odore sui peli che la lingua percorre nel suo caldo tragitto e sconfitto è soltanto il ricordo mentre muto ti mordo mentre nuda mi cerchi.

La Fortezza

Chiederei di te.
In un soffio a ricordare una vita
di sale e di olio che unge le dita
le labbra che bagna quel pane
già caldo quel pane che scotta.
Una vita che perde i confini del
gruppo che gioca che ruba che
spreme dagli acri limoni dai
mossi abbandoni. Gli stessi del
mare e girovagare tra oggi e
domani nelle tue mani o nel
viso che rosso risale a cercare
il nostro in silenzio riamare.
Parlerei di me.

Aktion 1005


Forse così, in nota di stupore,
brume accoglierai, madre,
di noi acerbi fuochi.

Un tempo corpi,
prosciugati al ricordo
e al pianto.

domenica, ottobre 21, 2007

[Condomini] Petites Madeleines

Prima ca ci facevano i fimmi di futtiri cerano stati tutti i combattimenti di Bruslì e Franco e Cicco macari che però non mi piacevano assai pecchè preferivo già i minni della Fenecc.
Fuori dallentrata a volte cerano tanti picciriddi che ciavevano i legni con le catene e chi non se li poteva comprare si futteva la catenella del cesso alla scuola e sarrangiava a combattere che tantu nuddu li sapeva usare.
Di fronte al cinema cera il biliardo.
Addire la verità cenerano due di biliardi. Uno per i professionisti ca ci mittevano la lira nelle partite e arrivavano tutti con la stecca personale da montare. E uno che invece non cera nessuno che controllava i puttusa nel tappeto. Quello era il mio. E degli altri carusiddi.
Nella stessa vanedda ci stava macari una putia. Ogni tanto ci scappava quacche bicchiere di zibibbo che a noi a quei tempi ci pareva che ci scippava la testa di quantera forte e vineva vogghia di parrari e cantari e futtiri macari che per quello cera sempre "a napoletana" ca chiureva un occhio se acchianavi al primo piano senza documenti che tanto tutto era controllato e prima che arrivavano gli sbirri a fare lispezione il palazzo era deserto. Qualcuno che conosco ci fici la scuola ni du postu e si pigghiau macari qualche ricordo personale di quelle fottute.
Svoltato langolo cera il barbiere.
Du seggi a molla e un cavadduzzu per i nicuzzi. Cetto me la ricordo ancora quella stanza ma di più però il ciauro delle immaginette che ci dava ai clienti più fedeli. O a quelli che crescevano. Quannu vinni il mio turno piddù rialu addivintai tuttu russu e mattisau la minchia. Allora scinnii veloce dalla poltrona e scappai a casa.
Non lo sapevo ancora che non è peccato.

sabato, ottobre 20, 2007

Il ballo delle streghe (Ingorda)

Ride. Come fosse mattina di nebbia sul bus, girandola nitrica. Ride. Mi narra di un furto, e di truffe allo stato. Il suo corpo sfiora il bisogno, il rancore. Non ho occhi per riuscire a guardarla, non ho mani. Stringo i pensieri sull'acciottolato delle labbra. Sulla lingua indiscreta. Con forza. Un ultimo slancio, dunque. A liberarmi da questo secreto. Da lei, tugurio e prigione. Halloween. Halloween s'avvicina, le dico. Già mi vesto.

venerdì, ottobre 19, 2007

Del trasferirsi della morte

>Il tuo viso spaventato, e quelle analisi. Lì, in quella carpetta lucente.
"Aiutami. Ti prego, aiutami" piangevi.
Tre mesi. Solo tre mesi. Prima che il corpo iniziasse a ribellarsi, prima che il caso accompagnasse i tuoi gesti. Io continuavo ad udire la tua voce. Il dolore. Imparai il sapore delle lacrime.
"Lo farò io amore, lo farò io" ti dissi.

Quando mi chiamarono era notte. Tu dormivi ancora al mio ritorno.

Avrei potuto confessarti quello scambio. Raccontarti, ridendo, del primario. Rabbuiato. Nervoso. Unico colpevole in quella stanza. Rivelarti i suoi pensieri.
"Dimenticare l'inesattezza, l'incidente." "Non far scoppiare inutili pubblicità".
Avrei potuto confidarti le mie angosce. Parlarti del trasferirsi della morte.
Del suo volto, anche, del suo corpo.
"Lo farò io amore, lo farò io" solo questo ripetei al tuo risveglio.

Quando ti portarono via era notte. Lei dormiva ancora al mio ritorno.

martedì, ottobre 16, 2007

Carlo Ginzburg - sul gusto -

"Il gusto è un filtro che ha implicazioni morali e cognitive, oltre che estetiche."

lunedì, ottobre 15, 2007

Cheek to cheek

Ombro sulle labbra il silenzio.
Un'inquietudine - quel bacio -
vela ai tuoi occhi il briccicare
dell'anima che invano attende.

domenica, ottobre 14, 2007

[Condomini] Il Cavaliere Arcidiacono

Arcidiacono conosce a Bellusconi.
Me la detto quando è venuto da me pecchè ci aveva suo figlio da votare che è un bravo ragazzo. Lui ma ricordato che io lo conoscevo da quando pisciava nel letto a du carusiddu e che sacchianava mi poteva aiutare.
Io al cavaliere Arcidiacono lo ascoltato sempre pecchè quando cera a democrazia maiutao tutte le volte che ciandavo a casa sua per parlarci e mi fece travagghiare pure a me e a quaccuno della mia famigghia.
Poi per un poco di tempo non sera capito più niente. Uno non sapeva più a chi doveva chiedere per un favore e accussì manco ti prendevano macari ca uno ciaveva la volontà. Io questa cosa non la sopportavo proprio pecchè a me che mene fotte se si mangiavano i soddi?
Io travagghiavo e potevo guardare in faccia a tutta a me famigghia e a quei cuttigghiari del palazzo.
Ce le dissi quella volta queste cose a Arcidiacono e lui già li sapeva.
Mi disse di non preoccuparimi che tutto si sarebbe sistemato e poi mi diede cento euri così me lo ricordavo meglio il nome di suo figlio e non mi scordavo di nesciri da casa alla domenica.

giovedì, ottobre 11, 2007

Bacco

Fra freisa e fresie
m'attardo. Poi
frango il vermiglio
di sangue frammisto.
Compio.

martedì, ottobre 09, 2007

Aprile 1982

"Guarda! Che ne pensi? Leggi!"
Nello non sembrava sentirmi, prese distrattamente il foglio che gli avevo passato poi, guardando fuori dalla finestra, lo appallottolò per tentare un clamoroso centro dalla ragguardevole distanza di tre metri dal cestino.
"Che cazzo fai?" urlai. Era un intero pomeriggio che tentavo di scrivere quel volantino.
“Ho bisogno di uscire” rispose.
Nora, circondata dalle compagne, continuava a parlare di cose che non capivo.

Camera Dei Deputati (seduta del venerdì 23 aprile 1982)
"È iscritto a parlare l'onorevole Catalano. Ne ha facoltà."
"[...]L'obiettivo dei nostri ordini del giorno è di condizionare nel merito la spesa militare, sottolineando innanzitutto che non una lira deve essere spesa per armi nucleari, batteriologiche o chimiche o per infrastrutture destinate ad ospitare in qualsiasi modo queste armi. Questo è
l'impegno del movimento per la pace, l'impegno preso dalle 500 mila persone che hanno manifestato il 24 ottobre 1981 a Roma, ed anche successivamente con la manifestazione di Comiso del 4 aprile scorso."
"E' stato incredibile! Ad un certo punto dal palco hanno detto che anche noi eravamo arrivati, solo che qualcuno ha storpiato il nome! Boggilori, così ci hanno chiamato, capisci? Boggilori, quelli del Collettivo Studentesco del liceo Boggilori di Catania hanno detto, e noi lì tutti contenti che però volevamo salire e dirglielo a quelli del palco che si erano sbagliati"
L'erba era di quelle buone, lentamente arrivava a svolgere il suo lavoro, il suo compito. Nora giocava con la chitarra mentre Umberto le raccontava tutto stringendola alle spalle.
Io e Nello ridacchiavamo guardando le foto in bianco e nero della manifestazione.
Un vento terribile spingeva contro il nostro striscione. Rosso e senza parole, che lì, a Comiso, bastava solo esserci.

Radio uno (26 Aprile 1982) Battiato "Gli uccelli"
“Volano, gli uccelli volano nello spazio tra le nuvole, con le regole assegnate a questa parte di universo, al nostro sistema solare. Aprono le ali, scendono in picchiata e atterrano meglio di aeroplani, cambiano le prospettive al mondo. Voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili: codici di geometria esistenziale. Migrano, gli uccelli migrano con il cambio di stagione. Giochi di aperture alari che nascondono segreti di questo sistema solare. Aprono le ali,
scendono in picchiata e atterrano meglio di aeroplani, cambiano le prospettive al mondo. Voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili: codici di geometria esistenziale. Volano, gli uccelli volano nello spazio tra le nuvole, con le regole assegnate a questa parte di universo, al nostro sistema solare.”
"Guardate che questo non è un posto sicuro"
Le bombolette erano già pronte, ma a due passi dalla centrale dei carabinieri scrivere su quel muro un gigantesco "No alle basi" era proprio una gran cazzata. Rimasi a controllare mentre Umberto iniziava, Nello continuava ad agitare la seconda bomboletta per quella che era ormai la sua firma, un pugno chiuso con una chiave inglese. Una maestria degna del miglior Giotto.
Me li trovai alle spalle, riuscii solo a vedere il No che gocciolava e le bombolette a terra, poi vi fu solo la macchina, con Umberto, e il maresciallo.

Vincenzo Vasile (sull'Unità)

“Violo dopo tanti anni il vecchio comandamento del cronista: non apparire. Per dire che qualche ora dopo ci sarei stato anch’io su quella macchina. La Fiat 131 che vidi sforacchiata e zuppa di sangue alle 9,30 del 30 aprile 1982 in piazza generale Turba, a Palermo. La gamba di Pio penzolava dal finestrino, e pensai: almeno li ha presi a calci. E Rosario alla guida sembrava dormisse a bocca aperta, il capo sul poggiatesta e un buco rosso.[...] “
La mattina è ancora un po' fredda. Prima della scuola e dopo la lunga nottata passata a dialogare con i caramba mi fermo per un involtino ripieno di crema. Scotta. Da lontano i giornali sembrano riportare un'unica notizia. Pago alla cassa poi attraverso la strada e mi avvicino per leggere meglio.
"Ucciso il dirigente comunista Pio La Torre e l'autista Rosario Di Salvo"
La crema densa scivola sulla mia mano e cade a terra con uno strano rumore. Mi ritrovo a correre verso la scuola. Ecco qui a destra, ci siamo quasi. Poi mi blocco.
Sul muro, dove ieri ci hanno fermato, una scritta, enorme: "Nora ti amo"

domenica, ottobre 07, 2007

[Condomini] Istituto Case Popolari

Stamattina è arrivata una dellistituto delle case e accuminciau a suonare a tutti i campanelli:
"Buongiorno. Sono Amanda Accaria dell'Istituto Case Popolari, potrebbe essere così gentile da scendere? Cosa? Sì! Debbo presentare a tutti i condomini del palazzo alcune importanti comunicazioni dell'Ente"
Non è che tutti i capenu quelle parole però nel giro di mezzora ci fu una confusione come quando siamo scappati per il terremoto. E cera cu bestemmiava. Cu si visteva nelle scale. Cu napprofittava per lamentarisi dellascensore. Cu ci tuccava u culu a Margherita.
Era una settimana che quelli dellistituto telefonavano per annunciare la visita dellincaricato e accussì eravamo tutti tannicchia curiosi.
Quando accuminciao a parlare si fece silenzio però bastanu due parole per fare volare subito tappine e sigarette addumate. Una era spese e laltra aumento.
La signora sembrava che selaspettava. Forse anche se era nuova qualcuno allistituto ciaveva avuto pietà e laveva avvettita. Sammucciò di corsa dietro alle spalle del Cavaliere che era vicino a lei ma quando spuntò fuori da quel rifugio non cera più nessuno a sentirla tranne a me e a Arcidiacono.
Non disse nenti. Mancu salutau.
Tutta russa nisciu dal portone e menumali che la macchina laveva messa a due metri da lì pecchè allimprovviso ci arrivò tutta la munnizza dai balconi che i cani ancora stanno festeggiando e lei puliziando il parabrezza.

sabato, ottobre 06, 2007

Tu, dybbuk

Cullo la tua ombra al sole di maggio.
Altro non ho
che memoria,
alterato oblio di specchi,
e tempo.

venerdì, ottobre 05, 2007

gioco in b

Mi alzai una mattina e non esisteva più la seconda lettera, la prima consonante, insomma quell'utilità che mi permetteva di riconoscere il luogo della mia prima sosta mattutina appena uscito da casa. Sparito. Tutto ciò che la conteneva si era dissolto come neve. Persi improvvisamente un tot d'amici e conoscenti, parti varie del corpo, la mia asciugasete preferita, il compagno fedele della mia marmellata d'arance.
Che cosa fare? A chi chiedere?
Ripassai mentalmente le primarie necessità: mangiare, scopare, vivere. Quasi tutto funzionava. Avrei potuto assumere acqua dagli alimenti iniettati in vena dalla giugulare, praticare sesso pur senza importanti "varianti", sopravvivere su una confortevole sedia a rotelle.
Telefonai euforico a tutti i segnali orari del mondo, più nulla da pagare pensai, poi crollai in un sonno profondo. Mai più, mai più avrei avuto quei terrificanti sogni che da giorni parevano perseguitarmi.

mercoledì, ottobre 03, 2007

Prossemica

Continui a parlar d’altro
ché questo è ciò che ci slega
ma stringi le dita
a catena
e ti accorgi
e riprendi del nulla a narrare
che passi l’attesa
il momento
la cenere fredda
dello stupore

lunedì, ottobre 01, 2007

Sui quaderni

Sui quaderni
geometriche farfalle
chiudevano fatiche.
Colorati fiocchi di neve
le accompagnavano, a volte,
in pianti ed incubi.
Lentamente s'arrivava alla festa,
cantando,
scrivendo e sperando
in regali.
Mai quelli giusti.
Il treno, i pedali, i cowboy, gli indiani
sfumavano in un rosso di lana
eppure bastava
serviva ai giochi più belli
che continuo a giocare.

domenica, settembre 30, 2007

Datalife

Se rinasco sarò velluto
altro che pietre e scarafaggi sui muri
e forse imparerò l'inglese
anche se non è mai stato importante.

Se rinasco avrò cinque angoli
per sognarti prima dei risvegli
e mi rifarò ancora
anche se non mi è mai piaciuto.

Se rinasco ti mozzerò braccia e gambe
saltellando sul bordo di un'amaca
e brucerò incenso a dei e ricordi
anche se non ci ho mai creduto.

sabato, settembre 29, 2007

Didascalica

A un certo punto putissimu riri ca finisci tuttu.
Na stu sirrari di cosce. Na stu vuoto
c'acchiana fino alla testa. Na sta luci
c'adduma locchi. Che fa tempesta.
C'è chi giura.
Come se l'amuri fussi sulu stu piscari.
E cu piscaturi e cu pisci
na stu mari.
No. No sacciu comu ci arrinesci a diri chistu l'altra gente.
Cetto. A un certo punto putissimu riri ca finisci tuttu
ma io e tu u sapemu ca non è accussì. Che no.
Non è veru nenti.

Tardo pomeriggio

Vorrei, al mio Dio, parlare a cazzo,
raccontargli qualcosa per cui rida,
non solo narrare la fatica
o lo stupido agitarsi, lo schiamazzo.

Vorrei, a questo Dio, dire del mondo,
per come io lo vedo (che lui l'ha fatto),
parlare del mio bello e del suo brutto
come vecchi, giù al molo, che stan giocando.

venerdì, settembre 28, 2007

Foto di fabbrica

Qui tutti sono senza volto. E' un'antica foto d'inizio '900, "Officina Fiat a Torino" recita la didascalia, peccato ci siano solo persone, e fanciulli davanti, fantasmi.

La seconda è del '17, "Corso Dante: reparto apparecchi elettrici", son tutte donne, alcune giovanissime, poche guardano verso la macchina... la nostra attenzione, invece, corre tra quelle forme, insegue dettagli: un medaglione sul collo; un sorriso paziente; forse qualcuna di loro è tra quelle che, in una foto del '23, eseguono lunghi conti su strane macchine, calcolatrici, diremmo oggi, ma dietro quelle dita scattanti, lì, in fondo, sagome nere, e due cravatte.

Del '35, invece, è una foto da soviet -Fiat lingotto, Reparto grandi presse- con il dio dentato in attesa di sacrifici e quel povero emulo dell'eroe staliniano.

"Operai! Uscendo di qui dimenticate quanto avete fatto, visto, e saputo. Chi parla, anche con i propri intimi, tradisce i fratelli che combattono per la Patria!"

All'O.s.r. si lavora di piccone, è il '57, se non sapessi che la foto ritrae uno spicchio di fabbrica penserei al carcere, ma l'Officina sussidiaria ricambi rimarrà sempre l'Officina Stella Rossa.

Tra le bandierine c'è la 600, "Torino: family Day", e bimbi, e signore, e volti sbarbati, il boom è vicino, ma, quasi venti anni dopo, altri ragazzi, in un'altra foto, ben più felici e sinceri: "Torino: figli di operai davanti al Lingotto, 1973".

L'ultima foto è di Melfi, ed ecco l'uomo scompare.



Le immagini sono presenti su: Liliana Lanzardo (a cura di), Storia fotografica della società italiana: dalla bottega artigiana alla fabbrica, Editori Riuniti.

martedì, settembre 25, 2007

[Condomini] La guerra

Me dispiaciuto per il signor Amaddio.
Quando visti suo nipote celo detto che il nonno era una persona gentile e educata. Cetto anche lautista che selaveva messo sotto ciaveva avuto i suoi guai ma poi tutto sera risolto pecchè avevano visto che la colpa non era di quel mischino.
Amaddio con la storia dellinaugurazione sera caricato come uno scecco.
Per questo aveva perso lequilibrio mentre lautobussu pattiva che lautista sera mosso solo pecchè era già in ritardo e si voleva spicciare.
Cose cammattunu.
Me lo ricordo come fosse ora al vecchio. La vestaglia. Le scarpe di lana. Il berretto di pelo.
Quando entravo in casa sua cera un freddo che sembrava la siberia. E lui ogni volta me lo raccontava che cera stato in quel posto. Con leseccito. Nei tempi di quandera giovane che però tunnau vecchio.
"La stufa costa e il freddo tonifica il corpo."
Accussì mi diceva quando mi vedeva tremare.
Ma dinverno io alla sua casa ci trasevo solo se era veramente necessario.
A volte che ero lì di pomeriggio dopo il caffè lo vedevo che lui liberava il tavolo della cucina e accuminciava a metterci tutte le carte dei supermercati. Poi pigghiava gli occhiali più doppi per vedere bene e leggeva.
Prima di ritirarisi dalla scuola dove faceva il bidello sera preso una bella cartina gigante della città e sera sistemato la stanza per attaccarla al muro.
Ciaveva disegnato i percorsi dellautobussu che quando li cambiavano cera da consumare una gomma intera. Ciaveva scritto i nomi di tutti i supermeccati. E vicino al muro ciaveva messo anche una vaschetta dove teneva tante bandierine colorate.
Rossa per le buatte di pomodoro. Bianca per la pasta. Verde per la frutta e la verdura e griggia per la carne. Cenera pure una tutta dorata per laquisti speciali. Era novanova.
Sarà che fine hanno fatto tutte queste cose.

festina lente

Il neon, alla finestra dei vicini, indicò il mattino.

Ciò che più non ci apparteneva si era liquefatto nell'irrealtà del nostro aggrapparci, sulle tue piccole mammelle, tra le mie mani, nella guazza d'insanguinate bucce.

"Circonderemo di nenie il tramonto per non più sorridere al dispento?".
"E tu saprai odiarmi? Diverranno brandelli d'arcobaleno le tue ferite?".

Fu allora che la porta apparve intristita cornice. E io l'attraversai, e tu mi precedesti. Nessun rumore.

In noi la pioggia.

domenica, settembre 23, 2007

Aci (a G.L.)

Terra,
pi cummigghiari u focu,
e acqua,
parrusbigghiari i sensi.
Aria, poi,
comu stu ventu ca porta ciauru di meli,
di tia,
di sta notti lucenti,
di sta luna sbirra
ca spogghia e gilusa
ti talia.

sabato, settembre 22, 2007

semi

Ma sono ancora frammenti
di pelle
sotto la mano che fruga
a cercare i tuoi versi, i miei versi,
dispersi
in fianchi serrati, a lungo coperti
ed ora svelati da labbra-cimosa.
Polvere resta di dissolvenze e paure,
di corpi divisi,
parole.

venerdì, settembre 21, 2007

Tapallara

La salma era sopra il letto.
Allicchittiata come a quando era festa Ninuzza guardava il tetto con locchi sirrati. Un crocifisso sopra il petto. Due cannili. Quaccosa però cera che stonava. Cominciai a ridere ammucciuni che non sta bene farlo davanti ai parenti quando ci visti le braccia che erano messe con le mani dietro la testa. Come quando uno si riposa in campagna sotto a un albero che ancora arutta la sasizza e il vino della festa del primo di Maggio. In pace. Beato.
Per un momento pinsai anche di avvicinarmi e di diriccillu di susirisi e di finirla di fare questi scherzi. Per fortuna mi fermai in tempo prima di farla questa minchiata.

E' così che mi ricordo la scena del cunsolo.
"Di chi?" quaccuno si sta spiannu. Lo so! Lo so che accuminciata in questo modo la storia che vi voglio contare non ciavrebbe senso pecchè questa in verità era lultima cosa che vi dovevo dire e ognuno di voi invece giustamente saspettava che fosse questo linizio.
A pensarci bene poi ho anche dimenticato a presentarmi. Ma questo è semplice di riparare. Totò. Come a quello dei filmi.
Bene. Ora che sapete con chi ve la dovete pigghiare se per caso queste vicende non vi parunu raccontate bene possiano continuare. O megghiu. accuminciamo dalla testa che la coda labbiamo vista.

Le campagne di Pedara acchianano sopra u monti. Nel niuro della terra. Lì dove i pampini fanno festa al cielo. Certo ora cenè molta di gente che ci abita in quei posti pecchè Catania è a due passi e laria è ancora pulita ma a quei tempi era un paisittu niconico come a tanti. Una chiesa e qualche casa attorno a farci compagnia.
In questi posti nasciu la morta: Antonia Alimanni. Alimanni sì. Che questo era il cognome di sua madre. E il suo.

Ancora si stava cugghienno la racina e il tempo era bello anche se qualche nuvola ciaveva messo paura al massaro. La nicuzza era stata sfornata sotto a un peri di fico vicino al pagghiaro con laiuto di due coperte e della ZaRosa che ciaveva fatto da levatrici alla madre.

"U sentu! U sentu! Sta arrivannu!"
"Macchiddici Mena! Ancora è prestu. E poi tu rissi ca è fimmina. No viri chi panza tunna cacciai?"
"Aiutatimi! Aiutatimi. Vi prego"
"Aspetta. Assettiti cà ca pigghiu quacche cosa"
"Non mi lassati! Non mi lassati!"
"Eh... santa figghia! Ecchissarammai un furettu sta criatura? Aspetta! Non ti preoccupari!"

Ma forse solo la picciridda non sera preoccupata veramente di nasciri in quel posto. Idda pensava solo a respirare e a chianciri. Sembrava una sampugna. Che se ci levavano la minna di sua madre era capace di farsi sentire nel paese vicino. Niente ci poteva. Né lacrime e né vasuni. Nè preghiere e nè canzuni.

San Filippo d'Argirò
a nica dormi e iu no.
Idda dormi e vui vigghiati
tutti i diavuli ci cacciati

Santu Paulu de li serpenti,
mazzu d'addauru,
spina pungenti,
non muzzicari alla me figghia
caccia li diavuli dalla famigghia

Sant'Aituzza, viniti, viniti,
ca de me minni ciavi siti.
Do me latti è divutedda
sta creatura. Sta figghia bedda.

Quando quella picuredda diventò una signora muntuata quasi nessuno però seppe che era nata paesana pecchè Filumena se la portò subito a Catania per farsela registrare cittadina.
Era stato anche merito del massaro questa cosa. Lei ciaveva bisogno di travagghiare e lui laveva raccomandata ancora incinta frisca al figghio di un suo compaesano che ora viveva nella città in una via vicino a dove cè il liafante.
"Questa è una cortesia che mi dovete fare" ciaveva detto il massaro a quello.
Senza però spiegarici chiossai che tra uomini ci si capisce.

Il nuovo padrone si chiamava Don Iano. Era vedovo da tempo. E senza figghi. Però tutti lo sapevano che sfrazziava con le femmine e i soddi per questo a picca a picca ci stavano finendo. Che ci poteva fare? Ciattisava sempre mischino e non ciaveva pace senza abbagnari.
Prima di pigghiare quella picciotta aveva voluto vederla. Si fidava solo dei suoi occhi e anche quando non era necessario a tutti ci ripeteva che la carne doveva essere frisca per metterla sopra al fuoco e mangiarisilla con gusto. La visità funzionò bene e accussì un paio di giorni dopo il parto decise di chiamare la mammina per cominciare a farci fare le pulizie del palazzo e ci resi
una stanza anche. Vicino al portone grande. Per dommiri e badare alla figghia.
Mena travagghiava lesta e precisa e a Don Iano ci piaceva quella gioventù che furiava casacasa. Quelle minne pesanti e quasi a nura cabballariavano mentre lei puliziava gli specchi. Quei cianchi di iumenta. Fu accussì che una sera ci venne la pensata di provare a farla mettere a picurina. Per vedere se era brava anche a lucidare a caldo il vecchio battagghio.
In verità doveva essere solo il divertimento di una vota ma da quella notte ci tornò così viva la vogghia di sperimentare altri lavori di precisione e fu accussì contento dei risultati che otteneva che decise di portarsela davanti al prete a quella donna.

"Non cantu l'armi; li lassamu stari
in manu di li vappi e spataccini.
Li fimmini, li masculi, l'amuri,
li purcarii, l'audaci imprisi iu cantu."

Così cera scritto in un quadro allingresso della sua casa con la firma di Micio Tempio a fianco e sotto a una figura di un masculo e di una fimmina che cera poco da immaginare quello che stavano facendo.
Ma in fondo non era una mala persona Don Iano.
Quando era stato giovane prima di trasferirsi nella città sera sposato con una bedda carusidda della sua strada che lui però già allora superava la trentina mentre lei pareva sua figghia tanto era ancora un bocciolo. Tutti erano rimasti contenti di quel matrimonio. Le famigghie erano ricche e muntuate e dentro il paese uno per bene non si poteva desiderare altro dalle cose del mondo.
Ma non era solo questo il motivo di tanta cuntintizza pecchè anche gli sposini i loro i primi anni li avevano campati felici nel miele e tra li carizzi. Ma tutti lo sanno che unnicè il grano cè anche la gramigna e che linvidia come la fame è facile a spuntari.
Il fatto grave fu il tempo che passava.
I figghi non arrivavano e la gente cominciava a parrari e diceva che era lui che non era buono pecchè lei era ancora giovane e china. Forse per questo a quelluomo cera pigghiata la fantasia del fottere in zi chitanza o forse anche pecchè sua moglie con il tempo la sera faceva sempre di più la santuzza devota e senza vogghia. Comunque sia a picca a picca tutti accuminciarono a sapere delle sue uscite fatte con la iaggia aperta e le femmine della città pigghiarono a spiarlo ammucciuni quando lo vedevano passare tutto elegante in mezzo alla strada che un poco facevano loneste e un poco lo sticchio ciavvampava. Quando la sposa morì con la spagnola a Don Iano per quacche tempo ci passano i spittizzi che anche per lui letà cera e oramai quasi solo con i soldi sastutava la cannila.
Larrivo di quella palummedda però ci diede di nuovo fuoco.
Tutto ci passi come una vota. Fresco e pulito. Macari quella figghia attruvata che allinizio mezzo arrirennu e mezzo serio faceva vedere a tutti. "Minnii a fare un giro in campagna e mi tunnau la simenza" diceva. Macari quella fimmina che nellamore non ciaveva più niente da imparare ma che ci stava accanto fedele e che senza lamintarisi in tutti i modi lo faceva contento.
Fu però in questa sua ultima impresa che perse petto e baddi. Forse pecchè a scoprirsi vecchio rimase muto e sincattiviu. Oppure fu solo il troppo sburrari che cullanni ci salì alla testa. Fatto sta che sempre più spesso infatti capitò che stava giornate intere davanti allo specchio della camera da letto tutto a nura. E si taliava. E sa minava se ci riusciva. E bestemmiava. Fu così che si fece pigghiari dalla morti. Cazzu rittu e mano a pugno per questultima novità che laspettava.
Ma questo successe dopo e ancora non ci siamo arrivati a questo punto della storia. Per ora ci interessa sapere che Ninuzza grazie a quel matrimonio di sua madre non ciaveva avuto tanti problemi di soddi pecchè anche se non era Biancaneve da mangiare cera e ciabbastava e cresceva e accuminciava a darici cauci al patrigno e risposte a sua madre e vedeva come si cucinava e sentiva come si futteva e imparava a capiri comè nasciri fimmina e bastarda.

Passò il tempo e passò macari la faccia tunna collelmetto e la guerra dellamericani. Ora era arrivata la libettà. O almeno accussì dicevano.
Quaccuno a dire il vero non sera fatto incantare da sta badda e come se niente fosse aveva proseguito la sua vita. La maggiopparte della gente invece sera misa a sognare di terra e di giustizia come a quando era arrivato Garibbaddi. E aveva accuminciato a movirisi anche.
Pensavano che tutto poteva essere diverso.
Non lavevano considerato il fatto che per i puvirazzi le cose che succedono supra a questa terra pari ca si ripetono sempre i stissi. Senza guadagno.
"Dui su i putenti. Cu ciavi assai e cu non ciavi nenti". Accussì dice il proverbio e accussì ripetevano loro quando si incontravano. Ma come a centanni prima tanta gente prima di svigghiarisi senza mutanni si ritrovò in carcere o peggio ancora suttaterra. A comandare mancu a dirlo tornarono presto i panzi di canigghia. Le stesse facce di prima insomma. Che così fino ad ora è sempre successo.
Queste cose Ninuzza in quel momento non li sapeva e non sapeva nemmeno che poi un giorno a lei ci sarebbe piaciuto leggerla nei libri la vita che aveva fatto quandera nica anche se non tutto quello che cera scritto era come lei se lo ricordava. Forse pecchè è sempre stato ca è cu teni u vastuni che poi ti cunta la novena o forse pecchè alla fine tutta la vita è come la nostalgia dellemigrante e se pensi alla mela russa sopra allalbero capita che ti scordi del verme che se la mangiava. Comunque. Cangiamo discorso.
Quella carusidda era proprio bedda quando sinniieva a prendere lacqua alla fontana che già i primi occhi si furiavano e le mani incominciavano a farsi pesanti. Come quelle del suo patrigno che cercava ogni scusa pinfilaraccilli in mezzo alle cosce o quelle di sua madre che quando lei non ci rispondeva scangiava i pizzicuni che ci dava per carezze.

"Ninuzza. Ninuzza. Veniccà!"
"Chiccè papà?"
"Fatti viriri... sei fatta grande. Dimmi... cillai u zito?"
"Ma no papà. Macchidici"
"Megghiu accussì... veni. Avvicinati. Ti fazzu viriri una cosa. Avvicinati. U viri chistu? U sai acchì serve? Veni... tocca. Talia comu è cauru!"
"Ma..."
"Veni ti rissi! E isiti sta gonna... fatti viriri megghiu... Si fatta ranni oramai"
"No. No papà! Ma chiffai? Papà..."
"Finiscila. Non ti rissi nenti to o ma'? Non cinnè sangue mio ne to vini. Non sugnu capace dicono. Però tu si mia u stissu! Comu a idda! Comu a sta seggia! Comu a sta casa! Ti pari ca taia crisciutu per niente? Veni! Fatti tuccari!"
"No! Fermo! Fermo!"
"Non fari vuci! Non fari vuci e non ti fari sentiri ca ora ti fazzu una bella visita... comu u dutturi..."
"Lassami! Lassami!"
"Ahia! Bastarda! Sì. Sì. Scappa. Scappa. Tantu sempri cà ti trovo. Bastarda!"

Crisciu lo stesso la picciridda. Senza troppe puccarie. Bedda e pulita come un ciuri di campo. E sammucciava sempre quando era sola a casa pecchè cercava di evitarli quei guai con il patrigno e faceva la muta con sua madre pecchè sperava che lei non capisse. Non vedesse. Non sapesse niente di quelle cose.
Finì le scuole anche. A leggere e a scrivere ciarrinisceva oramai e non serviva altro a una fimmina onesta. Questo ci fece capire un giorno a scoppole quelluomo che Ninuzza nonostante tutto continuava a chiamare papà. Poi però ci fu un momento macari che tutti i cosi pigghianu culuri.

La strada niura di lava e fatica scottava sotto i calcagni. Non ci voleva assai per arrivare allangolo della strada e lacqua ca nisceva dalla fontana era frisca e sapurusa quasi come il ciauru dei gelsomini.
"Ninuzza chiffai mu runi un vasuni?"
Ciaveva tre denti doro Alfio il cestaro. E una moglie. E cinque figghi. Ma "u pacchiu e duci" ci diceva allamici e rideva. E "a parrari non si fanno puttusa" aggiungeva. Già loro nel frattempo serano tutti lanciati a babbiare di corna e di futtuti.
Ogni matina però quella fimminedda ci canciava il cuore. Le cose che ci diceva a idda ci nascevano nella testa senza malizia. Come quando taliava un suo travagghio ben fatto e ci veniva vogghia di tenerselo per se e di accarezzallo e di dire grazie a Dio e a tutti i Santi per quella gioia. Ninuzza queste cose non le poteva sapere tutte ma capiva lo stesso e arrireva a quellimpertinente e ci passava di nascosto sopra con locchi a quelle dita di seta come se non avessero padrona. Certo sua madre ci ripeteva che "su talii la strada non sbagghi traversa" macchì ci poteva fare lei se ogni tanto inciampava e poi quel giorno cerano un paio di causi di signore vicino a Alfio. E scarpe lucidate. E una cammisa bianca. E mani pulite. E occhi sopra i suoi occhi. E lamore.
"No. No. Non vogghiu. Non mi piaciunu sti iochi".
Era la prima vota che si vedevano ammucciuni.
Laveva portata al cinema che facevano "Due soldi di speranza" e lei pensava che quellattore... come si chiamava? Musolino! Era proprio un belluomo quello. E poi si chiamava come al suo zito. Vincenzo. Di diverso cera che quello nel filmi non ciaveva le mani lunghe come al suo. E mancu gli stessi soddi. Che la famigghia del suo zito savamisu a fare il mercato con la guerra e ora ciavevano negozi e campagne che potevano scegliere loro che cosa mangiare e quando travagghiari.

La mamma sua invece non lo sapeva che lei era al cinema.
"Sugnu a casa di Agata checciaiutu a fare le pulizie" ciaveva detto.
Ma Agata era unamica e ci faceva il cummogghio. Era stata lei a pristarici un vestito bellissimo tutto scampanato con i quadretti bianchi e neri che se non stava attenta a muoversi si vedevano le minne pecchè le sue erano grosse e non ci stavano tutte dentro come a quelle dellaltra.
Ninuzza però ora nello scuro della sala si sinteva più tranquilla.
Di sicuro nessuno che la conosceva laveva vista. Il cinema era lontano dal centro e non ciandava molta gente a quellora. Ciaveva pensato tanto prima dincontrarlo a questo rischio e anche al fatto che non sapeva come si sarebbe comportato du masculu appena si fossero astutate le luci.
Le cose in pochi giorni erano andate avanti velociveloci. Vincenzo sera presentato la mattina dopo che serano visti la prima vota e lei ciaveva sorriso e ciaveva parlato. Lui era uno abituato a farisi rispettare e lei non cera riuscita a dirci di no quando dopo una settimana lui ciaveva detto:
"Domani andiamo al cinema".
Ci piaceva quando Vincenzo parlava in italiano come i signori e si vireva che era uno importante pecchè aveva fatto le scuole che era maestro e lo venivano a trovare dal continente per fare affari. Anche Alfio lo diceva a tutti di comera muntuato e preciso e simpatico quel suo cliente.
Le mani addosso però non li voleva. Ci pareva di essere una tapallara. Come se il suo patrigno ciavesse raggione quando quelle volte che arrinisceva a pigghiarla a solo le diceva piano naricchi:
"Si na buttana comu a to matri e tu giuru prima o poi macari tu ma suchi!".
No! Non era accussì! Lei era riuscita a non farceli fare mai i propri comodi addu poccu. Macari se lui per ripicca con la scusa di darici leducazione la prendeva sempre a pugni e cauci facendola chianciri tutti i ionna.

Lei non li voleva fare questi iochi. Lei sognava. E vireva principi e principesse e fiori e castelli.
Ma quando arrivò la prima manata del suo zito ci passò tutta questa poesia. E Vincenzo non era più Musolino. E lei non era più la stessa fimmina del filmi. E il cinema non era più il cinema.

Erano già quasi usciti. Vincenzo pigghiò le chiavi per chiudere la porta ma poi saccorse che nella stanza doverano stati era rimasta addumata la cannila.
Rientrò veloceveloce e lastutò tra le dita.

Un paio di ore prima tenendola per mano aveva guidato Ninuzza in mezzo allombre dell'ingresso e solo quando erano arrivati davanti a quellultima porta aveva tirato fuori dalla tasca della giacca per addumarlo quel pezzo di cira che sera portato da casa. Erano entrati così in camera da letto. Come in una processione. Poi lui aveva posato il lumino e i pospira sopra al comò e aveva iniziato a baciarla.

La sua faccia era russa come quella del diavolo ma le sue dita erano fredde a sentirle dentro le mutanne di tila. A Ninuzza ci scappò una risata muta quando Vincenzo iniziò a trafficare con i ganci del reggipetto che pareva un carusittu della chiesa. Uno di quelli che non lanno conosciuta e tuccata mai una fimmina vera.
Ummuttau sopra il letto e astutò quella fiamma traditrice. Poi voltandosi cominciò a spugghiarisi lentalenta.
Quel giorno sava misu una camicetta tutta ianca con gli sbuffi nel collo e una gonnellina blu rittaritta che celaveva regalata una vicina di casa.
Cera rimasta male per questo quando serano incontrati. Lui non ciaveva fatto nemmeno un complimento. Come se lei non ciavesse studiato tanto prima di scegliere e mittirisi quelle cose.
Voleva sembrare bella. Farlo sentire orgoglioso. E invece...
Aveva comunque fatto finta di niente per quella scortesia e laveva seguito come se non ciavesse avuto importanza. Ora però voleva stare solo attenta a posarli bene quei vestiti. Poteva sempre capitare che quacche conoscente virennula nella strada si fissassi a taliari una piega di troppo della sua gonna per poi cuntari cose strane in giro oppure che nella foga Vincenzo strappasse quacche cosa.
Ma la causa più vera di quello scuro era che Ninuzza saffruntava di livarisi tutto davanti a lui. Di ristari a nura davanti a un masculo. Quando finì però si rese conto che locchi oramai serano abituati addù niuru e vutannusi saccorse anche che a Vincenzo non cera dispiaciuto assai di taliare. Anzi. Tutto a nura e senza cummigghiarisi dove cera bisogno pareva un signore messo comodo in prima fila a teatro.
Tirò un sospiro la palummedda. Oramai non poteva più tornare indietro. Era tardi. E non voleva correre il rischio darritirarisi di nuovo a casa con la faccia russa che quando cera capitato dopo che erano andati al cinema ciaveva dovuto raccontare minchiate supra a minchiate a suo madre. Per non metterla in agitazione. Per continuare a nesciri.
Senza parlare addumau di nuovo la cannila e poi si sdraiò vicino a iddu aspettando con locchi chiusi.
Laveva sempre immaginato quel momento e anche se laveva visto fare allanimali quella cosa e aveva sentito le voci e i sospiri dei cristiani quando si cuccavano la notte e conosceva bene le puccarie che voleva farci fare il vecchio ancora non lo sapeva veramente quello che succedeva nellamore. Quello vero intendo. Pensava a baci e carizzi. A giochi e parole. Vincenzo invece pareva addivintato muto. Con una mano ci fece aprire le cosce e poi ciacchianau di sopra. Non è che Ninuzza sentì dolore assai. No chistu no. Anzi forse nemmeno ci dispiaciu. Ma quando iddu si levò che aveva finito lei era come se non ciaveva più parole per lui. E continuò.

Si maritanu che era primavera. Il suo patrigno era morto due mesi prima ma non cera stata vogghia di rispettare il lutto e così ci fecero il cunsolo il giorno dopo e poi tutto quello che era stato di quelluomo finì sotto alla terra. Mancu soddi lasciò Don Iano pecchè negli ultimi anni aveva ricominciato a mangiarisi tutto a divertimenti e puttusa ipotecando e vendendo quasi ogni cosa di quello che aveva.

Ninuzza con una mano sulla panza unchiata e laltra sotto il braccio di suo marito guardava drittodritto il fotografo e non pareva poi così felice nella foto che aveva conservato anche se la sua creatura doveva nascere presto e per prete ciavevano avuto il viscovo in persona.
Tutti gli altri invitati ceccavano di sistemarisi in posa e quaccuna ci diceva ai suoi figghi di stare fermi. Quaccunaltro saggiustava locchiali. Qualche fimmina schietta sallisciava la gonna.
Solo sua madre sembrava taliarla rittaritta. Era lontana da lei nella foto. Un gradino sotto a Ninuzza. A destra. Nel mezzo cera qualche cliente fidato della famigghia dello sposo. Di quelli che fa prestigio e sustanza averli come ospiti.
Forse non era stato Vincenzo a metterla lì. Forse era stata una decisione del fotografo. Per il suo vestito a lutto o pecchè non la conosceva bene o non sapeva chi era. Oppure ancora era Mena stessa che si stava abituando a stare in quel modo. In disparte. Del resto oramai il suo dovere laveva fatto e non sivvevano altre sceneggiate al mondo per stare in pace.
Ma nonostante questo proprio lei pareva lunica cosa sincera e felice dentro a quei pochi cartoncini a due colori che Antonia aveva tenuto con se. Gente morta e gente viva. Tutti bianchi e neri. Neri e bianchi.

Vincenzo aveva dovuto fare il masculo per sposare a quella picciotta. Tutti lamici lavevano sconsigliato che la famigghia di lei era quello che era e che forse la carusa era una bastarda e che una disposta a farsi unchiare la panza non è una fimmina seria. Anche a sò casa cerano state discussioni e fino allultimo la sua famigghia sera rifiutata di nesciri una lira per quel matrimonio disgraziato. Ma a lui non cinteressavano queste chiacchere. Certo forse ciavevano ragione per quacche cosa. Ninuzza non parrava bene litaliano. Ciaveva amicizie di due lire. Non si sapeva vestiri. Però era una cosa viva e le cose vive cè sempre tempo per aggiustarle e poi si vedeva anche che lo voleva bene veramente. Non come a quelle quattro strafallarie che gli volevano fare sposare. Le conosceva a tutte lui. Una per una. Che quanderano a casa o dentro la chiesa ubbidivano alle famigghie e priavano il Signore ma che poi appena ciavevano il ciato libero e la compagnia giusta sammucciavano dentro le vanedde. O scuru. E facevano certi lavori con le mani e con la funcia a farici nesciri u sucu che un masculo serio dopo quasiquasi non ce la faceva più a camminare. Tutte sante e vergini erano. Fino a quando non si sapeva nenti e si campava tranquilli.
A Ninuzza invece lui laveva convinta a picca a picca. Con la mano ferma. Certo. Ma anche con laffetto. E lei non ne faceva cose di cui vergognarsi come a quelle. Cera anche dispiaciuto la prima vota a vederla piangere dopo che aveva finito. Lo sapeva che laveva fatto solo per lui e che quellangelo ciaveva sofferto per quel sacrificio. Non era riuscito a dirci niente di questo quella vota ma nella sua testa aveva preso la decisione di sposarsela. E poi ora cera quel figghio che stava arrivando e la sua carriera anche che lo stava facendo diventare uno importante davvero.
Perchè lui quando nella Sicilia le acque serano calmate sera abbiato nella politica che celaveva consigliato un suo amico parrino. Questultimo laveva anche presentato alla gente giusta e Vincenzo non cera stato assai a capire che quellambiente ci piaceva. Sembrava come se fosse nato con questo dono. Tutto ciarrinisceva facilefacile e in pochi mesi era riuscito a farisi sentiri dentro al partito che già ciavevano promesso un posto di assessore alle prossime elezioni.

Cè una cosa importanti che mi scordai di dire.
La famigghia di Vincenzo già a quel tempo ciaveva un piccolo giardino vicino alla città. Tutto chino di limoni e di ficu e di ceusa. Di ciauru e di friscu.
Nel mezzo di questa campagna cera una casa di quattro stanze. La cucina. Il soggiorno. Un cesso messo a nuovo. La camera da letto. Anzi a essere precisi di questultima stanza già vi avevo parlato. Ma in certe occasioni non serve dire altro.
Insomma. No sacciu se vinteressa anche questa informazione ma forse prima quella era come a una piccola massiria e serviva a metterci tutti gli attrezzi per travagghiare la terra e la frutta che si cugghieva anche. Ma ora lavevano aggiustata così bene che pareva quasi come a una reggia. Sempri frisca e asciutta. Estati e inverno.
Fu lì che Ninuzza partorì. Una fimmina. A continuare la stirpe.
I dottori ciavevano detto che ancora mancavano due mesi alla nascita e perciò non cera nessuno quella sera a farle compagnia anche pecchè tutto pareva tranquillo e lei poi sera intestardita che voleva stare sola. Vincenzo era già da una settimana a Palermo a fare un congresso e Ninuzza si sentiva ogni giorno sempre più triste per questa mancanza e con strani presentimenti nel cuore.
Ma lassamu stari queste cose. La nicuzza nasciu dicevo.
Tutta rosa saffacciò in mezzo alle cosce della madre quasi ammucciuni. Senza farla soffrire troppo. Lei fino a quel momento aveva visto partorire solo a Merilin. La cagnuledda che furiava sempre incinta frisca nel suo quartiere. Ma fu come se sapesse lo stesso. Di quello che succedeva e di che cosa doveva fare. E così tutto andò bene.
Cerano le stelle e un silenzio cicalato quella notte e Ninuzza se la stringeva al petto quella sua creatura e ci cantava e si sentiva felice e triste e di nuovo felice e di nuovo triste. Pensava che sua figghia avesse diritto a avere gioia a questo mondo e nel mentre continuava a tenerla in mezzo alle sue minne quella carne. Cantando e stringendo. Baciandola e piangendo. Fino a quando ci finiu la voce. Fino a quando vide la nicuzza dormire tranquilla e anche la notte passò e spunto unaltro giorno e unaltro sole.

Ancora la fimminedda cercava il latte quando tutta la famigghia sinniu a stare in una casa nuova. In via Etnea. Come i nobili.
Vincenzo non solo era diventato assessore ma lavevano fatto anche presidente di tutti i commercianti catanisi e a lei ora tutti un poco per sbaddo e un poco per verità la chiamavano la presidentessa.
Ninuzza ciaveva vestiti e soddi. Di certo chiossai di prima. E una cammarera che ci cucinava. E una che ci faceva le pulizie della casa. E macari una machina anche. Con lautista che la portava dove voleva. Se voleva.
A lei però ci piaceva quasi solo crescere a sua figghia Carmela che così avevano deciso di chiamare la picciridda e poi a parte questo Ninuzza non sapeva nemmeno dove andare se ci fosse vinuta la vogghia pecchè Vincenzo con i suoi amici della politica aveva accuminciato a fare abbattere tutte le case del suo vecchio quartiere che diceva che era per fare più bella Catania e non cera rimasto più nessuno che lei conosceva da farci una visita. Una di quelle visite che ti assetti fora dalla porta e vedi la gente passare e parri di questo e di quello e arriri come solo la gente sincera arriri e saluti tutti anche e da tutti senza malizia si salutata.
Ora non cera chiù nenti. Erano partiti tutti per il nord oppure senerano andati a abitare nelle case che stavano costruendo attorno alla città.
Grazie a lei che celaveva chiesto a Vincenzo macari alla sua amica Agata ciavevano dato una abitazione nuova. Era la stessa dove ero andato a stare anchio. Anche pecchè a quellepoca io e Agata eravamo sposini frischi. Non ceravamo ancora divozziati. Ci volevamo bene e manco ci pensavamo a questa possibilità. Comunque. Lassamu perdiri. Che chistu non centra niente con quello che vi sto cuntando. Dicevo di quella casa. Era un palazzo in mezzo alle campagne che visto da lontano di essere bello era bello solo che ancora dentro ci mancava lacqua e la luce anche e la strada per arrivarci era una striscia di fango buona per quando passavano le pecore.
Ninuzza però anche se voleva non ci poteva proprio andare lì. Ora era una ricca e non stava bene frequentare i pizzenti. Macari se erano amici. Macari su puttavano voti. Questo ciaveva detto Vincenzo quando lei aveva chiesto il permesso di farici una visita a Agata. E sera incazzato anche che lei queste cose doveva capirle da sola e che ciaveva una reputazione ora e che poi per lei era arrivato il momento che si metteva nella testa che doveva imparare a fare la signora e a praticare alla gente giusta. Quella che contava.
Ninuzza aveva attaccato a chianciri pecchè non sapeva cosa risponderci ma non era stata quella la prima vota. Dopo il matrimonio suo marito ciaveva fatto sempre più spesso vuci. Certo mai a quel modo ma la verità è che con il tempo Vincenzo era addivintato sempre più nervoso. Lei aveva immagginato che era così pecchè ciavevano avuto una femmina e lo sapeva bene come invece lui e la sua famigghia avevano desiderato tanto un masculiddu. E poi cera anche tutto quel lavoro che lui faceva e laffari anche a stancarlo. Che a casa quasi non lo vedeva più. Passando i giorni però non è che poi era rimasta tanto sicura di quelle pensate. Cetto lei non era una che pigghiava liniziativa in queste cose ma sera accorta che suo marito... insomma... la cercava poco quando si cuccavano e accussì qualche brutto pensiero ci stava accuminciando a venire e per questo sera decisa a stare più attenta alle cose che sentiva casacasa.

"Allora hai deciso?"
"Dovrei lasciare qui mia moglie anche se..."
"E non è meglio per te? Te la immagini Antonia a cena con le mogli degli altri deputati? E se sono le donne che cerchi non credo proprio che troverai problemi"
"Lo so, lo so. Accumencio a pensare che mia madre aveva ragione: tinatilla pi futtiri adda fimmina e marititi cu una vera signora mi diceva. E io no, che sì le volevo far dispetto, ma... di fronte a quella donna non resisto neppure ora..."
"Ecchiciavi? U meli?"
"Già. Pittia è facile. Ma ci pinsai bene. Tra un paio di giorni... capitano tante cose brutte a questo mondo"
"Non penserai..."
"Già. A che servono allora gli amici?"

Parlavano accussì lassessore e il ministro e non sapevano che la voce è come il vento. E se si lascia la porta aperta in una stanza il vento furia e furia e arriva dove non dovrebbe arrivare e cancia laria e gira e forma tempesta.
Quella notte stessa Ninuzza si pigghiò di nuovo il destino di sua madre. Tornò a essere Alimanni la carusa. E si portò dappresso a sua figghia anche. Lì dove la nicuzza era nata. In campagna. Che lo spazio cera e nessuno faceva domande.
Vincenzo non faticò assai a trovarle. Ninuzza per lunica vota della sua vita aveva usato lautista per raggiungere quel posto senza pensare a nientaltro che a stare lontano da quelluomo.
Lui anche se non ciaveva le prove selera immaginato subito il motivo di quella fuga. Non era sicuro però che lei avesse sentito e capito tutto. Fu per questo che allinizio da dietro alla porta tentò di convincerla e di farla parlare con le buone. Per sapere se aveva raggione nei suoi sospetti o se cera quacchecosaltro che lui non conosceva.
Ninuzza però stava muta e non ci dava conto. Stringeva tra le braccia a Carmela con le spalle appoggiate al legno e na sò testa priava.
Poi Vincenzo tentò di trasiri con la forza. Pigghiò a dare pugni allingresso. Accuminciò a fare voci macari. Malirissi a lei. Alla sua pazzia. Prima di decidere di andarsene ci gridò anche che si sarebbe ripreso a sua figghia. Ma era solo per fare tannicchia di scena. Per fare scumazza.
Lo sapeva anche lui che era megghio accussì. Chi celo faceva fare di dovere favori tanto importanti a certa gente. Chiccinnaveva di doversi crescere da solo una figghia.
Lui nel continente e Ninuzza nella campagna allora. Non era una cosa malvagia pinsau avere una mugghieri viva e vedova. Pecchè del resto Vincenzo non ci voleva avere più niente accheffare con una ca pareva che cerano nisciuti i senzi. Eppoi Roma oramai era vicina. O almeno questo lui credeva. Pecchè quella vota su iucanu per una ventina di voti e lo fecero stare a fare affari nella sua città che ci dissero che ci conveniva chiossai.
E Catania veramente stava diventando unaltra cosa. Tutti quelli che ciavevano due soddi accuminciano a fare i muratori. Ma soprattutto chi di soddi cenaveva assai capì che quello era il momento giusto per chiantarli e vederli crescere.
Fu accussì che spuntarono centinaia e centinaia di palazzine. Nel frattempo però sparirono giardini di frutta e pummaroru e il mare anche. Pareva che tutti lo volevano ammucciare a quello sfregio. Roba inutile che tanto non ci si poteva costruire di sopra. Ma tutto questo sembrava non interessare a nessuno pecchè anche se a quaccuno ogni tanto ci pigghiava la fantasia di dire che non si rispettava la legge tutto in poco tempo si aggiustava. Ma quale legge! Lo sapevano tutti e lo sanno ancora che la legge è una sola. Quella di chi ciavi munita e comanda e da travagghiu e sarricchisci.
Vincenzo ci mise impegno nel lavoro che ciavevano dato e senza perdere tanto tempo riuscì anche a diventare avvocato collaiuto di qualche amico prufissuri alluniversità. Che a farsi chiamare dottore cenerano tanti ma uno vero contava sempre chiossai.
Insomma la fulinia cresceva. E sallargava. E lui con le sue mani e la sua chiacchera si muoveva a meraviglia in queste cose e faceva e disfaceva e imparava a usare parole nuove che erano sempre giuste quando si trovava di fronte a qualche scassaminchia.
Aggiornare. Rielaborare. Riconsiderare. Ammodernare. Creare la Milano del sud.

Laveva cercata assai senza trovarla e sera preoccupata molto per quella assenza ma poi quando ogni cosa era stata chiarita la vecchia Alimanni non ciaveva voluto chiedere niente a Ninuzza di quello che era successo. E tante altre cose non cera mai riuscita a spiarici alla figghia anche se lo sapeva che molte volte e per molte cose importanti ce ne sarebbe stato bisogno. Ma alla finfine quali domande? Che le risposte le sapevano tutte e due e se le erano scambiate con locchi per anni tutti i giorni. Ora che era nonna a Mena ci bastava di vederla tranquilla alla sua nicuzza e di iucari con la niputedda.

Erano passati quasi tre anni. Il giardino a tannicchia a tannicchia fu circondato dalle case. Ma Ninuzza non ci badava assai a questa cosa. La matina arrusbigghiava con una carezza a Carmela e la portava fuori a farici respirare il sole. Fino a due anni e mezzo lei ciaveva dato il suo latte alla creatura ma uno nemmeno se lo immaginava questa cosa pecchè ciaveva ancora due minne tunni e chini che parevano ianca pasta di mandorla. Ne sapeva quaccosa Alfio che ogni sabato ci portava la spesa grossa dal mercato e che la taliava sempre come a un babbalecco. Ma tutto si fermava a quelle taliate. A quegli occhi che chiedevano. A quelle mani che ammucciavano voglie.

"Cumu stai?"
"Bene e tu?"
"Ci puttai una bambola alla picciridda. Talia. Ciavi macari u biberon"
"Grazie, ma lo sai. Io..."
"Finiscila. Non ti preoccupari. Iu sugnu cuntentu ogni vota che..."
"Che?"
"Su ti viru felice, ecco"
"Come sta tua moglie Alfio?"
"Bene, grazie. E' a casa pì cucinari"
"Vacci annunca! Caspetti?"
"Sì, sì... è ca iu ti vulissi..."
"Vai Alfio, a sabato. Non ci pensare a me. Sugnu tranquilla. E ora sta venendo mia madre per aiutarmi"
"A sabato allura... macchiè stu sgrusciu? Chissù sti vuci?"
"Corri Alfio. Corri. Viri chi successi"

Era allangolo della strada. Da sotto alla lapa china di bombole spuntava una striscia rossa. Nellasfalto dietro a quel carretto a tre ruote sintravvedeva quaccuno a terra.
"Ammazzau! Ammazzau!" "Ciacchianau di supra du disgrazziatu!" "Presto! Presto! Fimmati quacche machina!" "Forse è ancora viva!" "Non si movi! Non si movi!"
Tutti erano attorno a quello spettacolo. Ittannu voci. Taliando muti. Facendosi il segno della croce.
Il cistaro savvicinò al gruppo che ancora lautista doveva scendere. Se mai ciavissi arrinisciuto quel carusiddo senza vavva a capire quello che aveva fatto. Tutto iancu stringeva stretto stretto il volante e guardava avanti come uno che non riesce a svigghiarisi e preia. Ma non cera più niente di priari. Quaccuno arrivò presto con una coperta a coprire quello che restava di quella mischinazza.
Fu per caso che in mezzo a tutta quella confusione Alfio visti vicino al marciapiede una cosa niura con i manici dorati. Ora fu sicuro di sapiri cuiera la morta. Ci venne un colpo. Laveva vista tante volte quella borsa a casa di Ninuzza. Quella che Mena sera accattata per il matrimonio.
La pigghiò come una reliquia per portarcela al suo amore. Camminando verso il cancello accuminciò a sintirisi come tanti ruppa nello stomaco. E ci mancava la forza per dariccilla quella notizia. E per pensarla anche.

Ai funerali cerano solo tre fimmini e nemmeno un ciuri. Ma così era stato deciso.
Una di quelle era muta e con i palitti ritti.
Unaltra invece cullocchi vivi sannaculiava e iucava senza parlare.
Lultima nel suo cuore arriscurreva con la morte.

Vincenzo ci faceva sempre avere i soddi per la figghia a sua mugghieri e si faceva viriri anche. Quando era festa. Quando uno che è padre non può mancare. Si comportava come se ci volesse bene veramente a quel sangue suo e forse era proprio così.
Quando lui arrivava che prima la faceva avvertire da quaccuno Ninuzza si chiureva nella sua stanza. Non ci voleva parrari. Non lo voleva vedere. Poi però non resisteva e li guardava lo stesso a Vincenzo e alla figghia. Dalla finestra. Appoggiava locchi alle striscie di luce in mezzo alle serrande abbassate e stava lì fino a quando riusciva a seguirli.
Spesso chianceva di gioia vedendo a Carmelina e a quel diavolo che laveva fatta innamorare che schezzavano e giocavano nel giardino come se niente fosse. Qualche vota capitava anche che a guardarlo ci venivano pensieri strani. Allora la chiureva tutta lavvolgibile e chiureva locchi macari. Dà. In quella stanza maliritta. La mano veloce curreva come se non fosse stata la sua. Cercava la conca addumata sotto alla gonna e lastutava. Per un attimo così le finivano tutte quelle pene che le altre non le passavano mai.
Cerano volte però che neanche le dita da sole ciabbastavano. E ci sarebbe piaciuto sentiri quel calore furastero di intra. Il ciato nel collo. Le parole accarizzati. Sarrusbigghiava subito però da queste fantasie. Lei non ciaveva bisogno solo di questo. "Su tutti i stissi" si diceva. Macari Alfio. Macari gli altri. E allora Ninuzza sinnieva a rapiri il frigorifero oppure si sciacquava la facci con lacqua fridda immodochè poi per quella volta ci passava ogni cosa.

Non cera la televisione nella casa di campagna e nemmeno le canzoni entravano li dentro che mancava la radio. Ma Ninuzza non sinquietava per questo. Aveva scoperto che ci piaceva leggere. Era cominciata subito questa cosa della carta scritta. Nei primi tempi che lei era lì. Ci passava la collera sfogliando tutte quelle belle storie con le fotografie.
I giornali ce li faceva avere la sua amica Agata quando veniva a trovarla. Ogni giorno si può dire. Che ora non cera più nessuno a impedirlo.
Poi era capitato che ciavevano messo una fermata dellautobusso che portava in centro. Proprio vicino al cancello della sua casa. E a lei cera cambiato il mondo.
Lidea celaveva data la parrucchiera. Ninuzza leggeva così assai ed era tanto accanita in questo anche se cerano sempre gli stessi giornali dentro a quel negozio che tutte le altri clienti quando la vedevano assittata passavano avanti pecchè tanto lo sapevano che lei non se ne sarebbe nemmeno accorta impegnata comera a finire qualche storia:
"Ninuzza ma invece di veniri cà per sforzare locchi... ma picchì non tinni vai alla biblioteca e te li porti a casa tò i libri?".
Certo forse la stava prendendo in giro ma Ninuzza invece pensò che quella era una buona idea e accussì una vota a settimana vestiva a festa a Carmelina e sinnieva in Biblioteca a farsi prestare un libro. Non è che allinizio era molto pratica di queste cose però una persona che laiutava la trovava sempre e così quando ritornava a casa era sempre tutta soddisfatta. Solo una vota uno tentò di fare lo spetto e ci fece pigghiari un libro che già alla seconda pagina lei era diventata di mille colori e cò focu di intra. Lo chiuse quasi subito macari se ancora celaveva la vogghia di continuare e per quella settimana ci resi lacqua alle piante.
A lei ci piacevano di più le storie damore. Quelle chine di difficoltà che si arrisolvevano quasi sempre con un bacio o un matrimonio alla fine della vicenda. E ogni vota che dopo le prime pagine si accorgeva che il libro era come voleva lei pigghiava a so figghia e sassittava davanti alla porta di casa a leggere a vuci di testa.
Quellangelo lascoltava tutta attenta arripetendo tutte le sue espressioni e anche se a volte non capiva le parole lo sapeva che il loro significato poteva trovarlo nella faccia della madre.
Un giorno mentre erano cumminati accussì Vincenzo spuntò allimprovviso che Ninuzza non si potè ammucciari.
"Voglio mandare Carmela in collegio" ci disse. E quelle erano le prime parole dopo quattro anni.
Antonia accalau la testa. Si sentiva moriri. Ma non parlò però. Entrò dentro casa per pigghiare carta e penna e ci scrisse le sue condizioni a quelluomo.
Accettò tutte cose Vincenzo che ora che a Roma finalmente cera arrivato non cenaveva vogghia di fare discussioni con quella pazza.
Accussì ogni mattina una macchina veniva a pigghiari la picciridda per portarla dalle suore e poi il pomeriggio laccompagnava di nuovo a casa.
Sua madre laspettava sempre davanti al portone e la stringeva ogni vota forteforte prima di farisi raccontare tutto quello che aveva fatto. Non cera niente che non la interessava. Voleva sapere ogni cosa. Chi cera e chi non cera. E le lezioni. E il mangiare. E i vestiti. E le preghiere. Carmela iniziava a cuntari e a rispondere. E continuava. E non cià fineva fino a quando dopo cena non saddummiscevano insieme nel letto grande.

Nella capitale quacche cosa non era funzionata bene e Vincenzo senera tornato in Sicilia. Ora cerano nuovi affari.
I piu importanti erano fatti con quella polvere ianca che attraverso gente fidata si mannava allamerica. In cambio di questa arrivava a carrettate la munita. Bella pronta per essere pulizziata e spinnuta. E questa era la parte della storia che cinteressava di più a lui che per le altre cose cerano i suoi amici di sempre. Il fatto è che se uno ci sapeva fare veramente a maniare quei soldi il guadagno era alto e rischi noncinnerano.
Poi però cerano anche i soliti travagghi. Quelli dove la genti ci andava fino a casa a chiederci lamicizia e a portarci regali. Per questi lavori non cera mancu bisogno di farisi chiamare onorevole o di faticare assai. Bastava poco per sistemare una firma che non arrivava o trovare un documento che mancava. Solo una parola giusta a quelli che aveva sistemato negli uffici. Una telefonata. E se ce lo chiedevano lui era anche sempre pronto a darici quaccosa in prestito a chi ciaveva problemi di munita.
Ogni tanto si faceva macari quacche futtuta. Ma a parte il fatto che non era riuscito più a trovare una fimmina intelligenti e stuppagghiara come a quella che aveva conosciuto e lasciato a Roma a parte questo dicevo non erano i fimmini che a Vincenzo cinteressavano chiossai.
Lui voleva i soddi. Tanti soddi e rispetto. Dovevano accalari la testa tutti quanti quando lui passava. E pisciarisi nei causi se arrivava a incazzarisi.
Soddi e potere. Questo era quello che Vincenzo voleva. Quello che aveva.

Lo so che ora vi vinni la curiosità e volete sapere di quella fimmina e di quello che era successo fuori dalla Sicilia. Nel continente. Ma ve lo giuro che non è niente di particolare.
Lui sera ambientato bene che laveva preparata da tempo la trasferta e le amicizie non mancavano. Poi però cera stata loccasione di tagghiari la strada. Di prendere una scorciatoia. E Vincenzo ciaveva voluto provare.

A vederla da quella terrazza Roma pareva proprio una cartolina. Ci era spuntata la fame quella matina e mentre mangiava senza sapere pecchè si mise a pensare a Sua Santità. Chissà che stava facennu il Papa in quel momento. Priava? Leggeva il Vangelo? Futteva?
Maria era assittata nella sdraio che si stava tingendo lugna dei piedi. La gonna leggera senera calata sopra i cianchi ma a lei non sembrava che ci importasse assai di stare a cosce aperte e senza mutanni. Ogni tanto lo taliava e sorrideva.
A quella femmina cerano sempre piaciuti i masculi che non si sforzavano di fare i mammalucchi per passare una notte con lei. In genere però quelli che incontrava non la pensavano allo stesso modo.
Ne vedeva tanti: alcuni pensavano che la strada giusta era quella di mannarici ciuri e gioielli oppure di cuntarici minchiate sui loro matrimoni; altri invece facevano i cannaruzzuni e recitavano la parte dei fissa per fare intendere di essere tutti innamurati e pronti a qualsiasi cosa per un suo desiderio. Che scemenze. Avevano tutti una gran vogghia di futtiri. Era questa lunica verità. Non cera bisogno di nasconderlo. E poi macari a lei ci piaceva passare il tempo in quel modo e se ciaveva il desiderio non cera nemmeno bisogno di domandare.
Ora cera questo Vincenzo. Ce ne avevano parlato bene. Uno che pareva destinato a una grande carriera. Erano stati in tanti a dirici di frequentarlo che ci conveniva assai e a dire il vero anche per il resto non cera stato tanto bisogno di sforzarsi con lui.
Quando ce lavevano presentato selera immaginata subito quella lava che sammucciava sotto a quella presenza profumata e in ordine. Raramente Maria si sbagghiava in queste cose e infatti lonorevole laveva subito invitata a cena a casa sua e cetto celaveva fatto capire che non era solo per fare amicizia o parrari. Lei sperava però lo stesso di non sentire troppe discussioni inutili prima di cuccarisi. Era stata comunque una preoccupazione dei fissa pecchè lui non laveva fatta questa minchiata. Lei non era ancora arrivata a trasiri nella porta dingresso che quelluomo ciaveva subito piazzato la sua lingua nella ucca e una mano nivvusa in mezzo alle cosce. Sarebbero andati daccordo.

Vincenzo saccorse che ci stava diventando di nuovo duro. Sullavissuru saputo i suoi amici come celaveva sucata la signorina della televisione quella notte ci sarebbe venuto un colpo. Quella fimmina non ciaveva proprio rivali. Savvicinò vicino alla sdraio e senza parlare la fece mettere a culo a ponte.

"Lo facevi così con tua moglie?"
"Muta, buttana, muta!"
"Scommetto di no. Vero Vincenzo? Vero?"
Cianfilau a siccu a quella iaddina.
"Macchiminteressa -pensò- su tuttu funziona come devessere mi fazzu rari u divozzio a S.Pietro e macari lassoluzione a sta vacca ci rugnu. Tutto. Tutto"

Si stava pulizziannu quando suonò il telefono.

"E allora Vincenzo com'è la situazione?"
"Tutti gli amici sono pronti. Ma mi hanno detto che il Principe vuole un elenco con tutti i loro nomi e prima ci vogliono garanzie"
"Non preoccuparti. Parlerò io con lui. Piuttosto... lo sanno che è tutto a posto con gli americani?"
"Certo. Si aspettano molto da voi"
"Bene. Di' loro di iniziare a muoversi"

Erano passati solo due mesi. Già sera stancato dei puttusi di Maria e del bordello che cera stato per quelle ammazzatine in Sicilia. E manco lì le cose della politica stavano andando bene. Tutto era stato sospeso e per giunta avevano attaccato a quacche amico innocente.

"Qui si sta scatenando il finimondo"
"Te l'ho detto, lo abbiamo addormentato"
"Sì ma intanto ora ci sono i processi"
"Dovresti saperlo che non ti devi preoccupare per questo. Pensa a futtiri. Anche i tuoi amici lo sanno che è tutto a posto"
"Ma io..."
"Ritornerai un po' a casa. Ci servi di nuovo lì. Non vogliamo che qualcuno pensi che abbiamo abbandonato gli affari"
"Bene"
"Bene"

Vincenzo a Roma non cera più dovuto salire per fare presenza al Parlamento. Parlava con chi di dovere e quando era il momento al suo posto ci mandava a quelli che voleva lui. Poi questi qua ci riferivano le novità e ubbidivano. Senza fari tanti problemi che lo sapevano quanto cuntavano.
Laltri amici fidati invece avevano continuato i loro affari come prima. I processi sono cose che ci vuole tempo e su sempri chini di fumo anche quando si parla di un colpo di stato. E poi se cè proprio bisogno qualche liggi si può sempre fare per aiutare chi cià problemi o primura. Ma questa è cosa che si sa. Limportante fu che quasi nessuno in quelloccasione si ritrovò a rancurarisi.

"Allora parti..."
"Sì"
"Ed io?"
"Ed io cosa?"
"Niente... mi verrai a trovare?"
"Ti spaventa restare sola?"
"Non sei divertente"
"E perchè dovrei esserlo? Per farmela sucare megghiu?"
"Vaffanculo"

La prima manata arrivò precisa e senza risposta. Dieci minuti dopo Vincenzo ci stava come un pazzo in mezzo alle cosce mentre lei invece cullocchi vagnava i linzola e con le gambe cercava di farici un ruppo dietro la schiena.
Fu lultima futtuta quella che poi non si vistero più.

Ora dopo tanto parlare di Vincenzo vi vorrei cuntare un po' megghiu di Carmela. Sua figghia.
Per farlo forse però mabbisognerebbe tornare a essere assai chiù nicu. Che a noi ci sembra sempre di capirlo quello che sti picciriddi cianno nella testa ma in realtà secunnu mia non ne sappiamo niente e nemmeno ciarriniscemo a ricordarcelo quello che vedevamo noi e quello che sognavamo macari. Insomma per fare bene avissaffari come se fossi stato io il suo angelo custode. Quello a cui lei diceva tutto.
Mah! Comunque! Basta con queste chiacchiere vah! Accuminciamo. Che annunca il piatto si fridda.

Carmela oggi ha dieci anni e sincominciano a vedere le minne e lei celo dice a suo padre che ciaccarezza i capelli lisci e lunghi e ride di quella innocenza.
Carmela non lo vuole sapere pecchè papà non ci sta nella stessa casa con lei e nemmeno pecchè lui non ci parla con la mamma. E' ancora nica. Ce lo dicono sempre quelli grandi. Che per ora non può capire. Che poi verrà il tempo e ci spiegheranno ogni cosa.
Anche le sue amiche lo sanno che Carmela è figghia di separati e quando litigano con lei come fanno i bambini a quelletà sono veloci a usarla questa parola. Si sono accorte che lei ci soffre a sentirselo ripetere e chianci quando succede e ce lo dice alla suora.
Le sue compagne pensano che non è giusto che ogni vota la monaca cunotta solo a lei e ci da ragione. Come se Carmela fosse una santa e forse proprio per questo loro tornano a ripetercela quella cosa. Per vendetta.
Secondo me comunque anche loro... non è che sono tinte. E' che non lo capiscono bene che cosa vuole dire quel discorso che non ce ne sono assai di mamme che vivono da sole. Loro sanno solo che a quella bimba ci fa male pinsarici e accussì se ne servono per giocare.
A volte per questo Carmela sarritira tutta triste dalla scuola e allora se cè una bella giornata si mette subito a camminare nel giardino. Lì ciavi tutti i posti dove lei pensa che nessuno può trovarla pecchè anche se la cercano si tira il ciato e non si muove neanche se una musca viene a darle fastidio.
Comunque nonostante queste cose ha tutti buoni voti la nicuzza. Anzi è proprio brava. La suora cià detto alla mamma che quella picciridda ha il dono della scrittura. E scrivere ci piace proprio a Carmela.
Lei lo fa sopra a tanti foglietti azzurrini che una vota cià regalato suo padre. Inizia con la data come si fa a scuola e poi ci scrive tutta ordinata le cose importanti che succedono così come ce le racconta alla mamma ogni giorno.
Quando uno di quei fogli è tutto chino dinchiostro lo mette in una borsa vecchia che ha trovato conservata sopra allarmadio un giorno che era rimasta sola.
Fu accussì che successe: la mamma era uscita e lei aveva iniziato a fare lesploratrice dentro la casa vuota. Cercando cercando sera messa con la seggia di fronte allarmadio per guardarsi bene allo specchio e lì alzando gli occhi prima di scinniri laveva vista. Quando era ritornata Antonia con il gelato Carmela aveva nascosto quel tesoro senza dirci niente. Forse però selera solo dimenticato a chiederci il permesso pecchè sera trovata a mangiare tutta contenta quella delizia. Era al limone il gelato. Tuttu iancu e asprignu che accusì buono lo sapeva fare solo il gelataro che passa ogni pomeriggio allangolo della via dove abita lei. Già. Forse proprio per questo sera dimenticata della borsa.
Là dentro ci sono anche le sue poesie e le foto. Quelle che ci piaciunu chiossai. E i segreti macari. Per questo ora la tiene ammucciata in un posto segretissimo che nessuno la deve scoprire.
Da oggi appoi non ciavrà più bisogno della carta azzurra pecchè la monaca per il suo compleanno cià regalato un quaderno grossogrosso e tutto profumato e cià scritto una cosa anche nella prima pagina:

"Voglio darti questo. Sarei felice se tu iniziassi a scrivere qui ogni tuo pensiero. Vedi... vorrei che questo quaderno riuscisse a seguirti, ad accompagnarti. Come se, per sempre, io fossi al tuo fianco. Fino al giorno in cui S. Giuseppe non deciderà di farti incontrare un bravo marito. E poi ancora, fino al momento in cui la Madonna non ti concederà la gioia della maternità. Fino a quando, un anno lontano, il nostro buon signore Gesù non ti chiamerà con sé nel suo gregge celeste"

Cetto la bimba lo sa che quella ci vuole bene e anche lei cinnivoli ma Carmela non glielà detto lo stesso che da grande non si voli maritari e che vuole fare la dottoressa che cura i bambini. Chinnipò capire una vestita di niuru di quello che sogna una picciridda?
Intanto lei sallena con le sue bambole. E le veste e le spogghia e ci fa le punture e ci da i medicinali dopo le operazioni che si inventa ogni giorno.
Cenà tante di bambole. Tutte quelle che ci ha regalato suo padre da quando lei ci ha detto che Alfio gliene ha portato una bellissima. E anche la mamma spesso ci gioca con lei e la guarda e ride e ripete che cià la casa piena e non sa più dove metterle tutte queste pupe.

Oggi è il suo compleanno. E vinni so o pà a pigghiarla che celaveva promesso. E ci saranno due torte anche. E baci.

Ninuzza se lo ricordava ancora quando era capitato il giorno preciso che per la prima vota si erano salutati. Era di Settembre. Il quindici.
A lui lo vedeva sempre alla fermata dellautobussu che lei pigghiava per tornare a casa quando sinnieva alla biblioteca. Pareva che ciavevano appuntamento. Come se ogni vota lui era lì per aspettarla.
Nellultimi tempi capitava che non si portava sempre la picciridda dietro pecchè lei ciaveva i compiti da fare o si siddiava a nesciri e voleva stare a casa. Si capisce. Ora era una ranni che faceva il liceo e già qualche masculiddu ci passiava davanti alla porta. Non poteva seguirla sempre.
A Ninuzza però ci dispiaceva lo stesso assai di non avere la compagnia della figghia e si preoccupava anche del fatto che la nicuzza restava sola. Dalla morte di Mena non ciaveva più nessuno della famigghia e anche se qualche vota ci chiedeva il favore a Agata di darici un occhiata alla creatura non lo poteva fare sempre. Un po' comunque anche a questa novità sera abituata e poi le sue uscite erano velociveloci che non ci stava mai più di due ore a iri e tunnari.
Ma veniamo a noi. Dicevo che i due si incontravano alla fermata dellautobusso.
Non è che si notava assai quel masculu. In genere leggeva. Un giornale. Un libro. Un pezzo di carta. A lei mentre lo guardava di nascosto cera piaciuto immagginare che doveva essere quacche professore delluniversità. Ma non è che allinizio cimportava assai di sapere se era vero e del resto lui poi quando si parranu non ce lo disse mai se aveva indovinato.
Passau parecchio tempo però prima di scangiarisi qualche frase. Loccasione capitò pecchè Ninuzza non lo vide più per qualche mese e così quando chistu tornò a lei ci venne spontaneo di farici un sorriso e di salutarlo. Lui ci rispose con cortesia e così a picca a picca pigghianu a parrari. Erano frasi niche. Niente di particolare. Manco il loro nome si dissero. Lei quando ce lo aveva cuntato a Agata questo segreto diceva che per loro era come nei fotoromanzi che tante cose non ci entrano nei fumetti vicino alle fotografie. Però un po' a essere sinceri pareva quasi che quei due si scantavano a fare sentire la loro voce. Si taliavano soprattutto. Per tutto il tempo della strada. E tutto intorno era come in certe foto che cianno la nebbia fatta apposta e si vede chiaro e pulito solo quello che cè al centro dellimmaggine.
Agata a sentire questi racconti ci diceva che era arrivato il momento di finirla di sognare. Però poi non ciarrinisceva a insistere con lamica per questa cosa.
Oramai laveva imparato che era fatta accussì e quando Ninuzza parlava lei si limitava quasi sempre ad ascoltarla annaculiando solo la testa per farci capire come la pensava. La faceva sempre anche con me questa cosa che lo sapeva che mi dava fastidio e che avrei preferito litigare invece di suppurtari quella cannirola.
Comunque lassannu perdere queste cose che sono private secondo me Ninuzza lo sapeva che Agata in fondo ciaveva raggione. E tante volte lei stessa ci cuntau a idda che ciaveva pensato a chiedere a quelluomo di venirla a trovare a casa sua. Per scambiare qualche parola in più. Per prendersi un caffè. Ogni vota che ce lo stava per dire però arrivava la fermata. Quella prima della sua. E lui scendeva.
E lei pensava che la prossima vota. Sì la prossima vota.
Poi quelluomo sparì di nuovo. Era allinizio di Luglio. E passò un anno. E un anno ancora senza vedersi. E non capitò chiù.

La prima vota che era entrata al liceo a Carmela ci passi di fare festa e di essere libbera e ranni finalmente. Ma poi quei cinque anni furono come se non volessero scurare mai. Anche se si era divertita. Anche se aveva imparato tante cose e baciato e ballato anche.
Il fatto è che la sua testa era a pattiri. Per lunivessità. E già ne aveva parlato con i genitori di questa cosa che loro le avevano detto di sì. "Però sturia prima!" avevano aggiunto tuttedue che sembrava quasi che serano parlati o messi daccordo addirittura.
Lei celaveva messa tutta la volontà in questa cosa e i risultati per fottuna erano arrivati. Così tutta contenta la signorina sera potuta preparare le valigie.
Non laveva più scelta medicina però. Oramai tutte le bambole erano sfasciate e lei era diventata grande. Pissicologgia aveva scelto. Che pensava che le teste forse ancora quelle quacchecosa si poteva fare.

Ora da quando era arrivata nella sua nuova città ogni giorno continuava a scriverci a Ninuzza piccuntarici tutto come quando era nica. E soprattutto allinizio di cose che non conosceva e scopriva cenerano tante in quel posto cheppoi invece nelle cose niche tutti i posti sono uguali. Lei scriveva e sua madre nella lettera dopo o quando ci acchianava la curiosità spiava di altri particolari o ci diceva la sua anche e qualche vota loro due la pensavano nello stesso modo e qualche altra invece era come se parravano di cose diverse.
Certo ora Carmela non era più precisa come apprima. Non è che lei ci diceva tuttu tuttu. Quaccosa per forza scappava. Per esempio lo sapeva che Ninuzza lavrebbe inchiuta di raccomandazioni e sarebbe arrivata a chiederle di tornare a casa se ciavesse scritto che ora abitava insieme con un uomo.

Palmiro si chiamava il masculo di Carmela.
Il padre di lui era stato a tempo di guerra in mezzo ai russi e ancora lo ripeteva a tutti di quello che aveva visto e del comunismo e dei pattiggiani e degli italiani che erano stati traditi dallamericani e dalla chiesa. E non si stava muto neanche mentre accompagnava il figghio al cimitero. E parlando non ce la finiva di chiamarlo come se fosse ancora vivo. So figghiu. Lunico che ciaveva e che era morto di un mali tintu mentre lui vecchio ancora campava.

Carmela e Palmiro serano incontrati che era mattina e già cera la facoltà china di studenti che facevano festa. Però lui era arrivato solo pecchè la fabbrica era chiusa per la manifestazione e lì celavevano portato i suoi amici.
Palmiro travagghiava. Noncinnaveva tempo per fare la rivoluzione per tutti. Già ciaveva provato suo padre in questo gioco. A lui ci bastava la sua di liberazione anche se non lo sapeva ancora cosa sarebbe stata. E così per ora ogni giorno pigghiava con il muletto i bidoni di cento litri dalla fabbrica che laveva assunto e poi li caricava sopra il camion che ciavevano dato. Quando il camion era bello chino li portava in un deposito in mezzo alle campagne. Vicino al ciume. Due. Tre viaggi per ogni turno. Anche di notte se era necessario che cera stato tanto lavoro. Un suo amico della fabbrica ciaveva detto che era pericoloso lasciare allaperto quella munnizza ma a lui noncinnera mai fottuto assai di sapere pecchè e la stissa persona comunque ciaveva anche fatto sapere che per lui noncinneruno rischi. Bastava fare attenzione.
Palmiro era contento di quel travagghio. La paga era buona e lui in fondo non era costretto come agli altri a restare chiuso tutta la giornata dentro lo stabilimento per fare passare la vita.

Era stata lei che sera avvicinata. Lo taliava da un pezzo. Non laveva mai visto in quel posto e quel ragazzo ciaveva la faccia simpatica.
In effetti non si sbagghiava la carusa. Palmiro era veramente uno che pareva appena uscito mezzo imbriaco e felice dalla putia e così mentre lui per farsi bello babbiava lei aveva cominciato a ridere e non si era più fermata.
Laveva invitato quella sera stessa in un locale vicino alla facoltà per continuare la discussione ma quando dopo lui laveva seguita fino a sotto casa Carmela non ciaveva resistito a dirci di no e laveva fatto salire. Da quel giorno lei non ciaveva proprio più pensato a cacciarlo fuori e neanche lui del resto aveva trovato motivi buoni per andarsene da quel posto.

"Fatti baciare". Palmiro chiuse locchi. Non poteva dire di no. Era quacche giorno però che si sentiva sempre stanco. Ancora non ciaveva telefonato alla ditta ma pensava che se continuava accussì finiva che se li prendeva veramente le ferie che ciaveva arretrate. Quelle che voleva conservare per la nascita di sua figghia.
Carmela non parlava più. Continuava a baciarlo come fa un ciatu daria a primavera. "Sei bellissima" pensò Palmiro "Anzi no. Tu sei la mia liberazione".
Sorrise a fare questi pensieri ma non ce le disse però a lei queste cose. Senza nemmeno sapere pecchè. Che non cè mai un pecchè importante.
Avevano appena finito di fare lamore ma quella donna anche se si iniziava a vedere la panza non sembrava mai sazia o forse era proprio vero che lui stava male.
Ora sentiva la lingua di lei che punziddiava quel mascarato che non voleva più crescere. Si alzò un poco per sistemarsi meglio sopra il letto quando un filo di luce che vineva dalla finestra ci illuminò la faccia e ci fece rapiri locchi. Li chiuse in fretta senza pensare più a niente. Pareva che finalmente cera tornata la vogghia di travagghiari a quello sfaticato di sotto e Carmela se lo teneva al calduccio muovendo la testa lenta lenta.
Allimprovviso Palmiro sintiu un calore fortissimo.
Non si ricordò più niente di quello che era successo in quel momento ma quannu sarrusbigghiau era già o spitali.

Da qualche tempo cera quaccuno che aveva accuminciato a scassarici la minchia.
Non è che Vincenzo era uno facile a scantarisi. No. Questo no. Però ci dava fastidio questa cosa lo stesso.
Allinizio quando ancora non senera accorto celaveva confidato un suo amico giudice che dentro alla polizia cera chi sera fissato con lui. E in effetti dopo quella discussione Vincenzo accuminciau a giurare che quaccuno lo seguiva quando nisceva da casa sua. Era strana questa impressione.
Per non fare la parte del fissa ammuccalapuni lui ci vosi spiari anche agli altri amici che ciaveva al tribunale se era solo una fisima sua oppure no. Un poco però ciarristau lo stesso sorpreso quando loro ci rissuno che era vero. Che cera gente uno in particolare che voleva sapere cose sopra a iddu e faceva domande a tutti.
I primi tempi comunque si fice due risate lo stesso per questa impertinenza.
"Su proprio pacchiuttazzi se pensano che li porto da qualche parte" pensò e nello stesso momento promise a se stesso di non metterci più testa. Però non riuscì a dimenticarla completamente questa cosa anche pecchè la rottura di coglioni continuò per un bel pezzo e qualche notizia addirittura arrivò supra alla carta do pisci. Ai giornalisti insomma.
Di questi però non cera di che scantarisi. Erano tutti amici suoi e fidati anche. Quaccuno di loro doveva a lui quel lavoro e non se lo poteva dimenticare. Per non parlare poi del padrone dellunico giornale della città. Mischino. Ancora lo ringraziava e se lo ricordava bene quello di quanto Vincenzo ciaveva fatto avere i soddi giusti per alcuni debiti di gioco che si era fatto e che doveva a certe persone tannicchia incazzuse.
Non tutti quelli che scrivevano però si vutavunu a taliari il panorama. Un pugno di carusazzi comunisti serano messi a fare caciara in quellultimi tempi. Sopra alle pagine che stampavano cerano nomi e cognomi. E cosi inventate che parevano vere. E cose vere che parevano inventate.
Di sicuro qualche scemenza su di lui ce laveva passata quello sbirro. Quel pezzo di merda.
Per fare sgrusciu e vedere cosa succedeva. Per questo ora Vincenzo doveva stare più attento. Non poteva più parrari tranquillamente al telefono o ricevere a so casa chi cazzu vuleva. Nemmeno quando sinnieva a buttane ci davano pace quei motti di fame. Lui li vedeva che trasevano nella stessa vanedda e così sammusciava anche la vogghia.
"U carvuni se non tinge mascaria". A questo pensava Vincenzo e la cosa più preoccupante era che nello stesso momento che allocchi e allorecchie della gente arrivava la notizia che quaccuno poteva toccarlo aumentava il rischio che chi ci doveva favori incominciasse a scantarisi oppure provasse a fare il masculo.

"Pronto"
"Pronto... sono io..."
"Lo sai che ti chiamiamo noi. Soprattutto ora"
"Il telefono non è mio e funziona bene... e macari iu stassi bonu senza tutti sti muschitti vicino alla mia faccia"
"... uhm... e allora perché non te ne liberi?"
"Già. E' che non mi vulissi rari manati na facci"
"Vabbene và. Facciamo così. Dicci a Tano di passare a ritirare la bomboletta sprai che così ti viene un lavoro pulito"
"Cu stu cauru è quello che ci vuole..."
"Ti saluto"
"A presto"

Era una sira frisca per essere già luglio. Il poliziotto si stava ritirando a piedi alla centrale. Quello era lultimo giorno prima delle ferie e lui aveva già prenotato il posto al campeggio. Lo stesso dove andava ogni anno. Quello con la piscina e le rocce e la sala da ballo.
Ci sarebbe piaciuto cambiare per una volta. Partire. Magari da solo o ancora meglio con Ninuzza. Già. Era proprio bedda a mugghieri di Don Vincenzo. E duci macari. E anche se non era servito a niente starici dietro lui dopo un po' sera voluto inventare una scusa in ufficio per continuare a vederla. Ciaveva detto al giudice che forse cera la possibilità che lei collaborasse alle indagini e
quello ciaveva dato lo stabbene. Ci pensava spesso addà fimmina. Se non fosse stato che era in servizio... se si fossero incontrati solo per caso.
Il direttore del campeggio al telefono ciaveva ripetuto più di una volta che questanno cerano centomilalire chiossai da pagare pecchè era arrivata una nuova tassa. Ma lui aveva preso lo stesso il posto per la rulotte che allora chi li sentiva a sò mugghieri e ai suoi figghi. Dio cinni scansi e liberi. Appena arrivato pigghiau le chiavi per aprire il portone di casa.
"Voddiri che qualche sera rinunciamo alla pizza" pensò e mentre pensava a questa cosa nello stesso momento sarrustiu.

Da quando era fuori Catania Carmela vedeva a suo padre quasi tutti i mesi che lui saliva a trovarla con laereo e ogni vota ci dava una busta e un vasuni.
Lei lo salutava felice. Ci diceva che tutto andava bene e ci faceva vedere i risultati delluniversità. Se cera qualche esame che era riuscito meglio nella busta arrivata a casa trovava sempre più soddi ma Carmela non laveva mai voluto capire come ciarrinisceva suo padre a saperlo di questi successi prima di incontrarla.
Ogni tanto era anche cominciato a capitare che vedeva la faccia di Vincenzo in quacche giornale ma dopo le prime volte che aveva pianto per quello che aveva letto sera abituata anche a questa cosa. Non ci faceva più caso e manco ci voleva pensare a quelle notizie. Tanto era sicura che lì nessuno lo sapeva come faceva veramente di cognome e poi sera convinta da quello che gli altri dicevano sulle cose della Sicilia che non lavrebbero mai capito veramente quello che succedeva dassutta. Per la prima volta insomma il fatto di essere una Alimanni qualsiasi lei lo considerò come una cosa buona per la sua vita e importante macari.
A suo padre ciaveva raccontato quasi subito di Palmiro e poi anche di come lui sera ammalato e della niputedda macari che stava arrivando. Tanto lo sapeva che ancora non si parlavano con la mamma e poteva stare tranquilla per questo.
Vincenzo non aveva detto nemmeno pio per questi fatti. Nella sua testa aveva pensato che di sicuro era colpa di quacche vena di pazzia di Ninuzza che era andata a finire dentro a sua figghia.
Però non ci andava di fare storie con la sua picciridda.
Accussì nonostante tutto ciaveva aumentato lo stesso i soddi che ci dava anche se lei non celaveva chiesto e sera messo anche ammucciuni di Carmela a fare domande e a proporre soluzioni allamici suoi per un concorso nuovo che dovevano organizzare. Non importava dove. Al comune. Alla provincia. Alla reggione. Nazionale. Limportante era che poi chi vinceva arrivava a Catania con un posto sicuro e di prestigio. Tutti serano messi a disposizione che lavevano capito che per Vincenzo era una cosa personale e non ci tenevano a farselo nemico.

Era stato subito dopo il funerale di Palmiro. Carmela non cela faceva più a non dirci niente a sua madre anche pecchè Ninuzza da tempo sembrava che senera accorta che qualcosa era più come apprima e ogni volta ci scriveva lettere piene di punti interrogativi. Lei si sentiva in colpa per non avercene parlato subito. E poi mettendo munzignarie sopra a munzignarie ogni vota diventava più difficile raccontarle tutto quello che era successo.
Quella volta ci spedì insieme alla lettera anche un disco. Nella copertina ciaveva fatto due cerchietti rossi attorno a due faccie sfocate che ballavano in mezzo allaltra gente. Però non laveva scritto che quelle facce erano del suo uomo che era morto e la sua. Voleva fare una specie di sorpresa e nel suo cuore voleva soprattutto dirici la verità e avere tannicchia di cunottu.
Accussì ci restò male quando sua madre al telefono invece che di questo ciaveva chiesto se era diventata comunista. Lei il disco selera ascoltato tutto e tante volte anche e alla fine aveva sentito che cera quasi la stessa canzone che nisceva dagli altoparlanti quando al tempo dellelezioni passava la macchina per il comizio di Berlinguere.
Però a sua figghia invece non laveva riconosciuta che Palmiro invece nemmeno sapeva chi era. Pensava a due scarabocchi fatti a caso sopra alle fotografie. E poi anche il resto di quella musica non è che laveva capita assai. Cera sembrata tannicchia confusionaria. E le parole anche. Solo una cosa si ricordava bene "Giocare col mondo facendolo a pezzi". Che voleva dire? Ninuzza ciaveva chiesto a Carmela di spiegarcele queste parole e anche quella A dentro il cerchio che aveva visto nella copertina. Ma Carmela anche quella volta aveva fatto finta di dimenticarle tutte le domande della mamma e nella lettera che ci scrisse dopo cangiau discorso.

Era tutta il giorno che Ninuzza sallicchittiava.
Carmela tornava. Tornava la picciridda. Sarritirava na sò casa a dutturedda.
Ninuzza aveva pulizziato tutte le stanze pecchè sua figghia ciaveva scritto che allinizio veniva a stare con lei ma che però poi ora che ciaveva un travagghio e uno stipendio voleva vivere da sola. La madre un poco aveva mussiato per questa idea ma poi aveva pensato che forse ciavissi arrinisciutu a farici cangiari strada.
Ora era tutto pronto finalmente o almeno così Ninuzza pensava pecchè in realtà in quella casa mancava un letto nico in più.
Ma che ne poteva sapere Ninuzza di quella picciridda? Di quella cosa ruci che Carmela ci presentò quando lei ci aprì la porta. Antonia si chiamava. Sua nipote. E diceva parole in inglisi e francisi e arrireva sempre che non ci capiva assai quando la nonna ci carezzava la faccia e ci ripeteva:
"Quantu si bedda! Quantu si bedda!".
Sassittanu presto a tavola che Ninuzza aveva preparato un bendidio e u mangiari non si ietta. Una cena come se fossero state allultimo dellanno. E infatti si fece notte fino a quando ciarriniscenu a finire tutte quelle cose. Però per stabilire come sistemarisi per dormire non ci furono tante discussioni. Tutte e tre nel letto grande a continuare la scampagnata.
A picca a picca sua figghia finalmente arrinisciu a cuntarici tutte le cose che ciaveva tenuto ammucciate per tutto quel tempo e Ninuzza anche ci disse cose che prima mai le aveva detto. Accussì chiancennu e arrirennu si fici quasi giorno.
Carmela e la picciridda quagghianu sopra il suo petto. Lei no. Lei pensava. E ci sembrò come in sogno di capire ogni cosa. Si alzò senza fare rumore spostando pianopiano quelle teste che aveva continuato a coprire di baci e nisciu per andare a vedere il sole che stava spuntando.
Passò davanti alla porta dove sassittava un tempo per leggere con Carmela e dove ora sempre più spesso si mitteva adascutari il silenzio e arrivò finalmente sotto al grande albero di fico. Sera portata una coperta. Per il primo friscu della matinata. La mise sopra alle radici e si sdraiò un attimo con locchi fissi al cielo e la schiena appoggiata tannicchia al tronco. Non pensava più ora. Vedeva solo quella luce che a poco a poco si mangiava tutto.
Mise le braccia dietro la testa sorridendo. Era felice.