21/09/07

Tapallara - 1 -

La salma era sopra il letto.
Allicchittiata come a quando era festa Ninuzza guardava il tetto con locchi sirrati. Un crocifisso sopra il petto. Due cannili. Quaccosa però cera che stonava. Cominciai a ridere ammucciuni che non sta bene farlo davanti ai parenti quando ci visti le braccia che erano messe con le mani dietro la testa. Come quando uno si riposa in campagna sotto a un albero che ancora arutta la sasizza e il vino della festa del primo di Maggio. In pace. Beato.
Per un momento pinsai anche di avvicinarmi e di diriccillu di susirisi e di finirla di fare questi scherzi. Per fortuna mi fermai in tempo prima di farla questa minchiata.

E' così che mi ricordo la scena del cunsolo.
"Di chi?" quaccuno si sta spiannu. Lo so! Lo so che accuminciata in questo modo la storia che vi voglio contare non ciavrebbe senso pecchè questa in verità era lultima cosa che vi dovevo dire e ognuno di voi invece giustamente saspettava che fosse questo linizio.
A pensarci bene poi ho anche dimenticato a presentarmi. Ma questo è semplice di riparare. Totò. Come a quello dei filmi.
Bene. Ora che sapete con chi ve la dovete pigghiare se per caso queste vicende non vi parunu raccontate bene possiano continuare. O megghiu. accuminciamo dalla testa che la coda labbiamo vista.

Le campagne di Pedara acchianano sopra u monti. Nel niuro della terra. Lì dove i pampini fanno festa al cielo. Certo ora cenè molta di gente che ci abita in quei posti pecchè Catania è a due passi e laria è ancora pulita ma a quei tempi era un paisittu niconico come a tanti. Una chiesa e qualche casa attorno a farci compagnia.
In questi posti nasciu la morta: Antonia Alimanni. Alimanni sì. Che questo era il cognome di sua madre. E il suo.

Ancora si stava cugghienno la racina e il tempo era bello anche se qualche nuvola ciaveva messo paura al massaro. La nicuzza era stata sfornata sotto a un peri di fico vicino al pagghiaro con laiuto di due coperte e della ZaRosa che ciaveva fatto da levatrici alla madre.

"U sentu! U sentu! Sta arrivannu!"
"Macchiddici Mena! Ancora è prestu. E poi tu rissi ca è fimmina. No viri chi panza tunna cacciai?"
"Aiutatimi! Aiutatimi. Vi prego"
"Aspetta. Assettiti cà ca pigghiu quacche cosa"
"Non mi lassati! Non mi lassati!"
"Eh... santa figghia! Ecchissarammai un furettu sta criatura? Aspetta! Non ti preoccupari!"

Ma forse solo la picciridda non sera preoccupata veramente di nasciri in quel posto. Idda pensava solo a respirare e a chianciri. Sembrava una sampugna. Che se ci levavano la minna di sua madre era capace di farsi sentire nel paese vicino. Niente ci poteva. Né lacrime e né vasuni. Nè preghiere e nè canzuni.

San Filippo d'Argirò
a nica dormi e iu no.
Idda dormi e vui vigghiati
tutti i diavuli ci cacciati

Santu Paulu de li serpenti,
mazzu d'addauru,
spina pungenti,
non muzzicari alla me figghia
caccia li diavuli dalla famigghia

Sant'Aituzza, viniti, viniti,
ca de me minni ciavi siti.
Do me latti è divutedda
sta creatura. Sta figghia bedda.

Quando quella picuredda diventò una signora muntuata quasi nessuno però seppe che era nata paesana pecchè Filumena se la portò subito a Catania per farsela registrare cittadina.
Era stato anche merito del massaro questa cosa. Lei ciaveva bisogno di travagghiare e lui laveva raccomandata ancora incinta frisca al figghio di un suo compaesano che ora viveva nella città in una via vicino a dove cè il liafante.
"Questa è una cortesia che mi dovete fare" ciaveva detto il massaro a quello.
Senza però spiegarici chiossai che tra uomini ci si capisce.

Il nuovo padrone si chiamava Don Iano. Era vedovo da tempo. E senza figghi. Però tutti lo sapevano che sfrazziava con le femmine e i soddi per questo a picca a picca ci stavano finendo. Che ci poteva fare? Ciattisava sempre mischino e non ciaveva pace senza abbagnari.
Prima di pigghiare quella picciotta aveva voluto vederla. Si fidava solo dei suoi occhi e anche quando non era necessario a tutti ci ripeteva che la carne doveva essere frisca per metterla sopra al fuoco e mangiarisilla con gusto. La visità funzionò bene e accussì un paio di giorni dopo il parto decise di chiamare la mammina per cominciare a farci fare le pulizie del palazzo e ci resi
una stanza anche. Vicino al portone grande. Per dommiri e badare alla figghia.
Mena travagghiava lesta e precisa e a Don Iano ci piaceva quella gioventù che furiava casacasa. Quelle minne pesanti e quasi a nura cabballariavano mentre lei puliziava gli specchi. Quei cianchi di iumenta. Fu accussì che una sera ci venne la pensata di provare a farla mettere a picurina. Per vedere se era brava anche a lucidare a caldo il vecchio battagghio.
In verità doveva essere solo il divertimento di una vota ma da quella notte ci tornò così viva la vogghia di sperimentare altri lavori di precisione e fu accussì contento dei risultati che otteneva che decise di portarsela davanti al prete a quella donna.

4 commenti:

  1. Ecco, questo racconto, oltre a suscitare il piacere di leggerlo, come "Ciardi"..io..lo comprendo meglio (anche perchè..non mi serve il vocabolario ;-) Il riferimento è ai commenti a "Ciardi"...Ma la (presunta) maggiore comprensione non vuol dire nulla di particolare: mi piacciono entrambi, per motivi diversi..Del tipo: bella caratterizzazione e interessanti i personaggi, qui; un maggiore stimolo a "far correre" la fantasia e la curiosità(che mi intrigano sempre..) lì..
    Ciau :-)
    Frida

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  2. Spero, allora, di continuare a trovarti da queste parti :-)
    Dario

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  3. Le mani dietro la testa e il sorriso beato di chi ha la pancia piena. Effettivamente anche io ho riso, quando ho pensato a una morte così, davanti alla quale i visitatori, lontani dal piangere, con il sorriso sulle labbra e lo spirito di chi ha capito lo scherzo, ti dicono di smetterla di babbiare e di susirisi subitu. Sono sicuro che è uno dei modi più nobili e leggeri di morire.
    Ciao Amico

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