“Dobbiamo parlare!” gli dice lei tenendosi ancora alla porta spalancata.
“Dello gnomo? Sì, certo”
“No Michele, dobbiamo parlare…” la sua voce è bassa, quasi rassegnata.
“Entra almeno” le risponde lui.
Giulia chiude la porta alle sue spalle e si getta sul divano. Michele si siede accanto a lei, le afferra le mano sinistra e inizia a darle piccoli baci risalendo piano lungo il braccio fino ad arrivare al collo, fino a cercare le sue labbra. Giulia non reagisce, ha solo chiuso gli occhi come fosse assente. Lascia che lui le tiri giù la parte superiore del vestito e inizi a stuzzicarle il seno con piccoli morsi, quasi a farle male. Non si ribella nemmeno quando lo sente penetrare in lei dopo averle solo scostato gli slip, quando si sente riempire da lui, quando sente lo sperma colarle tra le gambe.
Michele si rialza e riprende la birra che aveva lasciato a terra.
“Non mi vuoi più?” le chiede
Giulia riapre gli occhi.
“Non è questo Michele, non è questo… è che io, che noi non siamo pronti, anzi non so se io sarò mai pronta a dover dividere, a fingere, a inventare magari una scusa per poter incontrare il mio amante, la tua amante… se vale veramente qualcosa questo dover esser coppia, famiglia e i figli che verranno e il disinteresse verso te, verso me… io credo, io credo di stare bene con te, credo di amarti sai? Sì credo di amarti, e allora cos’è questo senso di possesso che già mi fa dubitare e che non riconosco? Tu non sei mio, io non sono tua, e se stiamo bene insieme e proprio perché siamo così, è proprio perché non ci aspettiamo dall’altro nulla di quello che egli, oggi, in questo momento, sia e io non voglio cambiarti e non vorrei mai che tu lo facessi con me… ci piacciamo così come siamo Michele, ci giustifichiamo per quello che siamo perché siamo riusciti a imparare a convivere con noi stessi, perché magari ci autocompiacciamo delle nostre battute stupide, del nostro sbagliare oppure diveniamo pavoni per una nostra vittoria e tutte queste cose sono nostre e ora non me la sento, no non me la sento di imparare a rivedere ogni cosa e magari arrivare a immaginarti per come non sei, come fossi un bambolotto da vestire, da accudire, o sperare, convincermi che non possa esserci nessun’altra capace di farti stare meglio anche solo con un sorriso, un pompino, anche solo con una carezza... no, non ci credo che la vita si fermi a noi due Michele, non voglio, non posso credere all’annullamento della noia, credo invece al suo nascondersi solo per tirare avanti meglio e ogni volta che cederemmo a questo, ogni volta non sarà altro che un ennesimo gradino verso la menzogna… fin quando conosceremo ogni nostro gesto di finzione, fin quando il nostro diventerà solo uno stupido esercizio di scacchi in cui ogni mossa è conosciuta dai due avversari eppure eseguita con un sorriso… perché è questo che io aspetterò da te, è questo quello che tu ti aspetterai da me, una cortese menzogna.”
Ha parlato senza fermarsi, guardando dritto come a incrociare l’orizzonte. Quando finisce si rannicchia su se stessa tenendo le gambe tra le braccia e inizia a piangere. È un pianto silenzioso, un pianto che non riesce a trattenere. Anche se vorrebbe, anche se si sente ridicola lì, davanti a lui.
Michele non sa cosa fare. La guarda, ma non si avvicina. Le si siede di fronte, a terra, quasi nella sua stessa posizione e chiude gli occhi. Sul disco che aveva messo prima parte Shiny Happy People dei R.E.M.
«Shiny happy people laughing
Meet me in the crowd
People people
Throw your love around
Love me love me
Take it into town
Happy happy
Put it in the ground
Where the flowers grow
Gold and silver shine
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people laughing
Everyone around love them, love them
Put it in your hands
Take it take it
There's no time to cry
Happy happy
Put it in your heart
Where tomorrow shines
Gold and silver shine
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people laughing»
“No Michele, dobbiamo parlare…” la sua voce è bassa, quasi rassegnata.
“Entra almeno” le risponde lui.
Giulia chiude la porta alle sue spalle e si getta sul divano. Michele si siede accanto a lei, le afferra le mano sinistra e inizia a darle piccoli baci risalendo piano lungo il braccio fino ad arrivare al collo, fino a cercare le sue labbra. Giulia non reagisce, ha solo chiuso gli occhi come fosse assente. Lascia che lui le tiri giù la parte superiore del vestito e inizi a stuzzicarle il seno con piccoli morsi, quasi a farle male. Non si ribella nemmeno quando lo sente penetrare in lei dopo averle solo scostato gli slip, quando si sente riempire da lui, quando sente lo sperma colarle tra le gambe.
Michele si rialza e riprende la birra che aveva lasciato a terra.
“Non mi vuoi più?” le chiede
Giulia riapre gli occhi.
“Non è questo Michele, non è questo… è che io, che noi non siamo pronti, anzi non so se io sarò mai pronta a dover dividere, a fingere, a inventare magari una scusa per poter incontrare il mio amante, la tua amante… se vale veramente qualcosa questo dover esser coppia, famiglia e i figli che verranno e il disinteresse verso te, verso me… io credo, io credo di stare bene con te, credo di amarti sai? Sì credo di amarti, e allora cos’è questo senso di possesso che già mi fa dubitare e che non riconosco? Tu non sei mio, io non sono tua, e se stiamo bene insieme e proprio perché siamo così, è proprio perché non ci aspettiamo dall’altro nulla di quello che egli, oggi, in questo momento, sia e io non voglio cambiarti e non vorrei mai che tu lo facessi con me… ci piacciamo così come siamo Michele, ci giustifichiamo per quello che siamo perché siamo riusciti a imparare a convivere con noi stessi, perché magari ci autocompiacciamo delle nostre battute stupide, del nostro sbagliare oppure diveniamo pavoni per una nostra vittoria e tutte queste cose sono nostre e ora non me la sento, no non me la sento di imparare a rivedere ogni cosa e magari arrivare a immaginarti per come non sei, come fossi un bambolotto da vestire, da accudire, o sperare, convincermi che non possa esserci nessun’altra capace di farti stare meglio anche solo con un sorriso, un pompino, anche solo con una carezza... no, non ci credo che la vita si fermi a noi due Michele, non voglio, non posso credere all’annullamento della noia, credo invece al suo nascondersi solo per tirare avanti meglio e ogni volta che cederemmo a questo, ogni volta non sarà altro che un ennesimo gradino verso la menzogna… fin quando conosceremo ogni nostro gesto di finzione, fin quando il nostro diventerà solo uno stupido esercizio di scacchi in cui ogni mossa è conosciuta dai due avversari eppure eseguita con un sorriso… perché è questo che io aspetterò da te, è questo quello che tu ti aspetterai da me, una cortese menzogna.”
Ha parlato senza fermarsi, guardando dritto come a incrociare l’orizzonte. Quando finisce si rannicchia su se stessa tenendo le gambe tra le braccia e inizia a piangere. È un pianto silenzioso, un pianto che non riesce a trattenere. Anche se vorrebbe, anche se si sente ridicola lì, davanti a lui.
Michele non sa cosa fare. La guarda, ma non si avvicina. Le si siede di fronte, a terra, quasi nella sua stessa posizione e chiude gli occhi. Sul disco che aveva messo prima parte Shiny Happy People dei R.E.M.
«Shiny happy people laughing
Meet me in the crowd
People people
Throw your love around
Love me love me
Take it into town
Happy happy
Put it in the ground
Where the flowers grow
Gold and silver shine
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people laughing
Everyone around love them, love them
Put it in your hands
Take it take it
There's no time to cry
Happy happy
Put it in your heart
Where tomorrow shines
Gold and silver shine
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people holding hands
Shiny happy people laughing»
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