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14/07/15

Beatles, parole e mutande


Il menù propone esclusivamente piatti locali. Michele guarda in giro e solo ora si accorge che in effetti tutti i clienti sembrano italiani, come se quella struttura avesse due facce: un mondo ufficiale esterno fatto di migranti e quello, nascosto, interno riservato ai locali.  A unire i due mondi solo quel corridoio scuro e un comune ridestarsi dei sensi.    
Iniziano a parlare. E’ soprattutto Gilda a farlo, come è già successo la prima volta. Tronca spesso le frasi e salta da un argomento ad un altro, da un racconto a una confessione. Michele riesce a capire che vive da sola e a conoscere qualche altro particolare della sua esistenza, come i tanti viaggi fatti o i molti amori. Michele è affascinato da quella donna, da quella strana unione fisica e mentale di vintage e moderno, da ogni suo gesto. Ogni tanto la interrompe. In genere risponde ad una sua domanda o le chiede qualcosa. 
“… ecco era così e poi c’è stato anche il fatto che. però tu non mi hai detto nulla della tua donna e io invece mi trovo qui a. insomma ho ragione io vero? Perché tu continui ad ascoltarmi e magari ora pensi solo al fatto che vorresti scoparmi e anche io . cioè tu mi piaci mi sei piaciuto subito appena ti ho visto e non è che me freghi tanto se uno mi piace mi piace non credo che sia necessario resistere tanto a quello che ti ordina il corpo e non è che io abbia sempre pensato così sarà la vecchiaia non ridere non  lo dico per farmi fare un complimento o per elemosinare una tua bugia. credo sia solo una questione di percorsi e tu prima sei così e poi sei sempre la stessa ma lentamente sei diventata un’altra un po’ come la pelle in estate a me è sempre piaciuto tirarla via dalle braccia dalle gambe. lo facevo da bambina che i miei mi mettevano un cappellino e io stavo per ore sulla battigia e mia madre stava solo attenta alle onde mi ricordo che lei si perdeva a guardarle mentre mio padre un po’ più lontano discuteva e leggeva il giornale cerano sempre un sacco di amici dei miei e quella casa. perché noi avevamo acquistato una casa che ci permetteva di essere subito sulla spiaggia e allora. Ah! ma ti stavo dicendo della pelle tu hai mai provato a tirarla via? Ecco noi cambiamo pelle e allora magari...”
“Io credo proprio di amarla Giulia, lei si chiama Giulia sai?”
Michele sente la propria voce e si sorprende perché le parole sono venute fuori senza nemmeno pensarle gli sembra. Gilda si ferma come se non stesse aspettando che quello. Come se lo invitasse a proseguire, ma non è necessario farlo ché ora tocca a Michele perdersi tra le parole.
“E anche lei mi ama me lo ha detto prima di sparire che non so dove possa essere andata cosa le sia successo lei vive con un’amica e poi anche con me e con i suoi ogni tanto e poi lei non sa decidere  o non vuole decidere crede di essere debole di essere inadeguata ma è come se trovasse la via più facile quella di denigrare se stessa per avere un alibi che io lo sento quando stiamo insieme che invece potrebbe far tutto potrebbe essere tutto se solo si decidesse a rischiare a mettere via le sue difese a lasciarsi andare che poi lei dice lo stesso di me e insomma forse io sarei l’ultimo a poter pensare questo oppure invece è così che siamo noi insieme la vera forza ed è così veramente è così perché quando sto con lei mi sento capace di ogni cosa e anche lei lo sento che è così. Prima non ci eravamo mai detto queste parole sai i ti amo non ci eravamo mai fatti queste domande e insomma io credo di avere sbagliato a chiederlo che se tu ami qualcuno e ti viene voglia di dirlo lo dici e non è necessario non. Non è necessario ma l’ultima cosa che lei mi ha detto è stata questa e poi è sparita e allora mi chiedo se non sia legata a questa cosa qui il fatto insomma magari ora ha bisogno di pensarci su e se torna io potrò chiederle se ha voglia di vivere con me se possiamo tentare di condividere uno spazio un momento e non mi servono i progetti non ne abbiamo non ne ho i progetti servono solo a nascondere il presente come quelle fotografie le conosci? Quelle di Hamilton quelle con l’effetto flou ecco i progetti mi sembrano come quello sfocare il presente e tutto ti sembra magico bellissimo perché lo immagini e vedi solo quello che desideri vedere. Io non voglio progetti voglio il presente e in questo presente voglio Giulia e sono sicuro che anche lei però ecco anche questo anche questo essere sicuro io non voglio essere sicuro per lei io vorrei solo che lei sentisse questo stesso bisogno ecco non è facile da spiegare e sicuramente non ci riesco ma io vorrei solo che le che le nostre scelte coincidessero che nessuno dei due sia un traino che”
Michele si ferma. China un po’ la testa poggiando il mento sulla mano sinistra. Le dita carezzano il viso. Scorrono sui peli irti del volto. Rialza la schiena e versa ancora del vino a se stesso e alla donna che gli siede di fronte. Ne ha dimenticato il nome. Forse è solo una mia fantasia pensa e si immagina di star sognando di essere a casa nel suo letto. Chiude gli occhi per un po’ e li riapre. Tutto gli gira attorno. No è proprio una brutta sbronza conclude. Sente la donna parlare la vede mentre gli sorride, ma non è più capace di rispondere vorrebbe solo sdraiarsi e dormire. Raduna tutte le forze e si alza strascica uno “scusami vado in bagno” e si allontana.
Deve concentrarsi per evitare di fare disastri spostandosi tra i tavoli, ma alla fine riesce. Inquadra la tazza, sbottona i pantaloni e piscia con piacere come se stesse godendo. Poi mette la testa sotto il rubinetto e fa scorrere l’acqua per un tempo lunghissimo. Non si accorge che qualcuno è entrato nel bagno ed ha chiuso la porta a chiave. Inizialmente non sente neanche le mani che fanno di nuovo scendere i suoi pantaloni. Le braccia che lo fanno girare. La bocca che inizia a stuzzicarlo.
Quando viene le sue mani sono ferme sulla nuca di Gilda e le spingono il capo quasi a soffocarla. La donna lacrima, batte leggermente i pugni sulle gambe di lui, ma non si ritrae. Michele chiude gli occhi e poggia la testa sul muro. Ora le braccia penzolano stanche. Tutto è stranamente silenzioso. Si riprende e riapre gli occhi, sciacqua ancora il volto poi rientra. In sala un blues lunghissimo dei Beatles e gli stessi volti di prima. Gilda è seduta al tavolo, lo attende come non fosse successo nulla.
“Pensavo mi avessi mollata qui. Stai bene?”
“Sì. Sì. Bene grazie”
Non riesce a capire se tutto sia successo veramente. La chitarra di Lennon gli pulsa in testa. Qualcosa di appiccicaticcio nelle mutande lo infastidisce. 



«I want you, I want you so bad
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, I want you so bad babe
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, I want you so bad babe
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, I want you so bad
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

She's so heavy
Heavy, heavy, heavy

She's so heavy
She's so heavy, heavy, heavy

I want you, I want you so bad
I want you, I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad

I want you, you know I want you so bad babe
I want you, you know I want you so bad
It's driving me mad, it's driving me mad yeah

She's so...»

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