lunedì, dicembre 30, 2013

Amleto - 4 -



 
"Buongiorno!"
Il vecchio Don Nico li talia con la faccia schifata mentre loro accumenciano ancora a prendere vita.
Vicino a lui so mugghieri e dietro una carusidda che Tino la riconosce subito. E' quella del filmi. E del sogno macari. E non può essiri si dice nella testa Tino ma poi non ci fa più molto caso a questo pensiero che limportante è che quella esista. Carmelo accumencia a fare un po' di ordine ma sua madre lo ferma subito e si leva il cappotto e si mette addosso una vestaglietta e pigghia lattrezzi.
"Sistema i valiggi" ci dice e Carmelo ubbidisce come a un cani vastunato.
"Gemma tu aiutalo che quello è un incapace"
Tino fa subito mente locale che vuole sapere tutte le persone e le femmine soprattutto che lui ha conosciuto e che si chiamano Gemma ma non ce ne vengono in mente nessuna e mentre cerca di ricordare non ci leva gli occhi di dosso a quella che ha di fronte anche se lei ha già cangiato stanza e di suo è rimasto solo il ciauro di una cosa buona.
"Lopera dei pupi!" ci veni alla fine nella testa. "Sì! Lopera dei pupi"
E una fimmina che combatteva e che si chiamava accussì Gemma. Gemma della Fiamma.Se la ricorda Tino che ciaveva anche uno zito quella che si chiamava Erminio della Stella d’Oro. E ora che ci torna tutto in testa e ricorda anche. Lui cera rimasto male che quello era stato lunico spettacolo dei pupi che aveva visto e non cera Orlando e Rinaldo e neanche quel traditore di Gano cera.
Insomma lui era nico ma cera rimasto male lo stesso che lui a quelli si aspettava. Che così ci avevano detto.
E mentre Tino pensa a queste cose nemmeno se ne accorge che il vecchio si è seduto a tavola e si sta pigghiannu il loro caffè e ora si accende la sigaretta e li osserva a uno a uno fino a quando si siddia e astuta la cicca dentro alla tazza e si susi e la faccia è ancora schifata.
"Iu minni staiu iennu a cuccarimi" ci dice alla moglie e poi sparisce.

domenica, dicembre 29, 2013

Amleto - 3 -



La casa è tutta o scuru. Tino si alza dal divano e sciddica quasi che a terra cè ancora il suo vomito. Riesce per fortuna a tenersi a una sedia ma il rumore richiama gli altri che alzano la testa e lo guardano stupiti. Giacomo è ancora assittato con le carte nelle mani e non si capisce cosa sta facendo che di sicuro non si vede niente. Michele invece va ad alzare la tapparella e all'improvviso una lama di luce taglia la stanza e ci dà vita come se prima tutto fosse stato interrotto e ora partissi di nuovo il cinema. Carmelo che dormiva davanti alla televisioni astutata si susi. Urla:
"Chiffà nu facemu un cafè?"
Gli altri non rispondono ma non cè bisogno.
Tino si leva le scappe. Le controlla che quella di sinistra ciavi attaccati pezzi di pizza e muco ancora denso. Poi li abbia di lato. Pigghia uno straccio nella lavanderia per puliziare e si inginocchia che tutto è difficile. Gli altri invece accumenciano a furiare senza parlare e senza sapere bene quello che stanno facendo. Solo Concetto sembra un po' più sveglio e si lava la faccia nella pila e si mette il giubbotto e nesci che gli altri non capiscono ancora cosa sta succedendo ma non ci riciunu nenti che non ce ne hanno forza di parrari. Quando lui torna la cafittera da dodici ha appena iniziato a fiscari. Nelle mani ciavi una guantera con le raviole di ricotta appena sfornate che appena apre il pacco il ciauro di cannella riempie la stanza.
Stanno ancora mangiando quando suonano alla porta ma nessuno ha voglia di aprire. Carmelo alla fine si susi che è lui il padrone di casa e gli altri continuano come se niente fosse. La testa è un flipper impazzito e il corpo un palloncino sgonfio pieno di purtusa.

venerdì, dicembre 27, 2013

curare il panico

e di tutto questo amore
solo qualche pixel,
in penombra

Amleto - 2 -




Rommi Tino e mentre rommi ci pari di esseri dentro il filmi e il diavolo ci parra macari a iddu e solo che è un diavolo gentile che ci discute come se fosse un amico.
Sono a casa di Carmelo assittati a tavola. Quello sta fumando una sigaretta e beve il vino. Deve essere vino di quello buono. Di quello che costa assai perchè anche Tino lo sente nella bocca anche se non cià il bicchiere davanti. Parlano e Tino ci cunta della partita e del palo che ha preso e il Diavolo sorride come se lavesse vista veramente lazione. Come se fosse stato lì. Poi però succede che cambia la scena e loro ora sono assittati a un tavolino del bar. Non lo sa Tino che bar è. Sa solo che anche questo è tutto elegante e cè un gran passio anche se loro sono gli unici seduti in mezzo a tanti tavoli vuoti. Però è come se il loro posto fosse in mezzo alla strada anche se non ne passano machine. Anche se non si sente niente oltre i passi della gente.
Il diavolo in mezzo alle cosce cià una bocca che va su e giù e ogni tanto nesci fora una lingua lunghissima che lo attorciglia tutto come a una corda. Cè solo quella bocca e il diavolo però è tranquillo che si mangia la sua granita e guarda i passanti mentre Tino non riesce a non fissare quelle labbra e sente come a una fitta che lo sa che però è solo desiderio.
"Vuoi che te la passo?"
"Ammia mi piacciono tutte intere"
"Come quella?"
Il diavolo indica con il dito e lindice si allunga fino a toccare le minne di una fimmina dellaltro lato della strada. Lei è a terra. Appoggiata con le spalle al muro come a una che chiede lelemosina. Ha gli occhi bassi prima che quel dito la tocchi ma quando li alza Tino si accorge che è cieca. Lei afferra con le mani quel dito e se lo porta tra le gambe e inizia a mimare. E il suo ventre è la bocca e il dito è il battagghiu del diavolo che le cose si confondono negli occhi di Tino e lui si vergogna e ora fissa i so peri. Ma ecco che la scena cambia di nuovo e inizia a volare u carusu e cè lei con lui e finalmente la riconosce. E' quella del film.
Allimprovviso tutto diventa confuso e Tino sa solo che quella è la campagna che ha visto alla televisione e loro si abbracciano e fanno lamore anche. Velocemente. Fino a urlare. Poi quando si sveglia invece cè lha ancora duro e una grande macchia nei pantaloni.

giovedì, dicembre 26, 2013

Amleto - 1 -








Tino è a casa dei suoi amici che ci ha passato la serata. Dorme ora ma prima invece viveva. Gli altri sembra che nemmeno lo sanno che nemmeno se ne accorgono che lui runfa sopra al divano.
Michele e Concetto assittati ancora al tavolo parrunu di fimmini e sinventano storie che lo sanno anche loro che sono minchiate epperò ci si divertono. Carmelo talia la televisioni solo che non si è accorto che il segnale sé fermato e allora  ci sembra che quella faccia  ferma  nello schermo lo vuole sfidare a cu chiuri prima locchi. Giacomo invece si fa un solitario con le carte che solo lui conosce le regole e nel frattempo finisce la seconda bottiglia di uischi che si sono accattati tornando a casa nel nuovo negozio dei cinesi allangolo.
Sono tra quelli del calcetto. Che loro si vedono una vota o misi e quasi sempre sono diversi che non si sa mai chi è libero e chi manca. Finita la partita Tino si siddiava a tornare a casa che già era tardi e accussi ha deciso anche lui di farisi puttari una pizza e le birre macari che la casa di Carmelo è libera I suoi non ci sono. Sono partiti a trovare per Natale la figghia alla Germania che quella si è diplomata e ha trovato il travagghio e loro vogliono essere sicuri che tutto è a posto.
Alla televisioni prima cera un filmi in bianco e nero. Un filmi stranu che cè una fattucchiera che ci piace uno che si chiama Antonio e che però vuole sposare a unaltra. E allora lei la fattucchiera ci abbia il malocchio a quello e poi ci succedono altre cose nella storia come un bambino morto che la cunotta o il prete che ci mette le mani addosso e il Demonio che ci parla macari e tante altre avventure che alcune possono essere macari vere e altre invece sono solo minchiate.
Tino talia e vivi e a un certo punto non lo sa più quante birre ha vivuto che il tavolo è pieno e ci viene di parlare e allora si metti assittato sopra alla seggia con la panza appoggiata allo schienale e i iammi aperti e accumencia a gridare che prima però con un fiscuni ha attirato lattenzione di tutti:
"Io vi vulissi sulu riri che ammia... ammia non minni futti nenti di tutto. E questa è la verità!"
E dopo queste parole Tino accumencia a scuncittari che nello stomaco non ci rimane più niente e la testa furia e furia e attorno a lui tutti arrirunu che non lo sa se lo stanno pigghiannu pò culu o stannu pinsannu e sò cazzi ma lui non se ne preoccupa che ora si sente più leggero e si susi e si sdraia nel divano e saddummisci.


ps Il film è questo

domenica, dicembre 22, 2013

Testamento di Claudio Orlandi

Le mie braccia alle formiche
Le mie mani ai mugnai
Le mie orecchie alle foglie
I miei occhi ai fiorai

Tutta la dolcezza ai vermi
Tutta la dolcezza a te


Le mie gambe alle catene
Il mio fegato ai pollai
La mia gola alle cicale
La mia testa a Salomè

Ma tutta la dolcezza ai vermi
Tutta la dolcezza a te


La mia schiena agli specchi
Il mio sangue alle querce
Le mie spalle alle bandiere
Il mio cuore agli operai

Ma tutta la dolcezza ai vermi
Tutta la dolcezza a te!

sabato, dicembre 14, 2013

targhette

io ci sono momenti che non ne ho parole e giro e talio e vivo come sempre che se è per quello io continuo a mangiare e a camminare come prima e a guardare e a rispondere e a salutare macari ma non ce lho lo stesso le parole che quelle sono fuggite sono scappate e lo decidono loro quando tornare a farimi compagnia. a darimi la loro libertà.
io ormai le conosco a quelle cornutelle e le lascio fare e non ci casco a questi sghezzi. e certo un po’ mi preoccupo perché non ci so stare bene senza a idde  ma ho fiducia che in fondo non le ho mai trattate male a loro e certo questo qualche cosa vorra dire.
oggi infatti sono tornate che io ero sopra il treno e aspettavo di scendere che non ce ne avevo fretta che ormai ero arrivato e mi aspettava solo la bicicletta per tornare a casa a mangiari e cuccarimi poi che la giornata era stata dura.
proprio prima della porta della carrozza accalai locchi. io lo sapevo che ci trovavo. cerano i posti riservati che io li ho sempre chiamati così che per questo non mi ci sono mai seduto che poi se ti capita ti devi alzare e macari non ne trovi di altri. cerano questi posti riservati dicevo e però alla parete non cera scritto nenti. non cerano le parole che conoscevo. che a me mi sembra che cerano sempre state. non cera proprio scritto nenti. e macari è accussì da un sacco di tempo ma io non ci avevo mai fatto caso che le cose quando ce le hai sotto agli occhi è sempre una scoperta se ci metti tannicchia di attenzione. al posto di vecchi al posto di mutilati al posto di donne incinte al posto di donne con picciriddi al posto di queste cose cerano solo quattro disegni nichi nichi. che uno lo doveva capire bene che stavano a significare.
e allora io mi sono accorto che le parole invece a me mi erano ritornate. che avevo voglia di raccontarla questa minchiata. ero contento insomma ma qualche cosa dovevo fare per quelle altre che le avevano fatte sparire. e io allora per protesta ho chiuso gli occhi.

martedì, dicembre 10, 2013

Nubi pulviscolari di Andrea Pomella

"Ultimamente mi è capitato di leggere libri di racconti che vengono presentati come romanzi con la scusa che i racconti sono “legati tra loro da un filo sottile”, il timore è che se li presentassero per quello che sono, cioè per dei racconti, i lettori ne risulterebbero spaventati. Nel mondo dell’editoria dire “racconti” è come in politica pronunciare la parola “patrimoniale”. Perciò ci si attacca a quel filo sottile sperando che il lettore non si scoraggi dalla esasperante brevità delle storie. Ciò che risulta poco chiaro è che anche in una raccolta di racconti “puri” scritti da un qualsiasi autore esiste un filo sottile che unisce le storie, anche nel caso in cui le storie narrate non abbiano nulla in comune l’una con l’altra, né per ambientazione né per personaggi o temi ricorrenti, se non altro perché a scriverle è la stessa mano. La questione è che il racconto rilascia attorno a sé una nube pulviscolare molto più estesa di quanto non faccia il romanzo, il racconto agisce sul sottaciuto più che sul detto, e questa è la forza che lo rende facile alla connessione.[...]"

Fonte:  http://andreapomella.wordpress.com

sabato, dicembre 07, 2013

zebre e savane

io a quella voce che mi urla nella testa a quella voce che azzanna che ordina io a quella voce non ci ho mai creduto e neanche le prime volte che tappavo le orecchie e chiudevo gli occhi e la mia bocca si serrava e lei mi diceva mi sussurrava io non ci ho mai creduto e cercavo di farla capire questa cosa a quelli e ripetevo e ripetevo ma loro i bianchi i medici i dottori che mi guardano i dottori che mi strappano il vestito nuovo della festa che mi tirano le braccia i dottori che mi uccidono i dottori non mi vogliono credere non mi vogliono credere i dottori e mi spogliano e mi tolgono tutto e le mani le mani mi toccano tra le gambe le mani le loro mani nella mia faccia sopra il mio seno le mani e poi il sangue il sangue che cola tra le gambe che scende che macchia il vestito nero il vestito della festa il sangue e ora la voce è la mia voce che urla che piange e qualcuno poi mi manda nella stanza della luce e tante volte tante volte ancora che tutto passerà dicevano tutto passerà e non ci sarà più nessuna voce e tornerai a casa e potrai bere la tua cioccolata che a me è sempre piaciuta la cioccolata che a me è sempre piaciuta e io lo ricordo ancora che avevo la mia tazza con Pluto che addenta un osso nella mia tazza solo che i colori erano tutti sbagliati tutti capovolti e Pluto era viola nella tazza che quella invece rimaneva bianca tutta bianca e avevo la mia mamma anche e la mia mamma diceva brava brava e rideva che a me è sempre piaciuta la cioccolata e la voce ancora non c'era e mamma rideva e poi piangeva piangeva tanto mamma che io non lo sapevo mica perchè piangesse ma poi lo ha fatto di nuovo che la casa bruciava e io ero dentro e poi anche lei bruciava e io avevo quei fiammiferi nelle mani quei fiammiferi e la faccia tutta nera e gli occhi e le mani nere e il vestito della festa anche che poi non l'ho più vista e la voce allora è arrivata e prima però mi hanno portato qui prima mi hanno legata stretta mi hanno legata e io piangevo anche io piangevo come la mamma come la casa che bruciava.
io a quella voce che mi urla nella testa io a quella voce non ci ho mai creduto anche se lei mi mostra le cose e mi dice guarda hanno lasciato qui quella forchetta prendila prendila guarda nascondila e io non l'aveva presa però avevo resistito che era stata la voce era stata lei che lei mi odia e lo sa che poi se la trovano c'è la camera c'è la camera se la trovano e io la volevo consegnare  la volevo solo consegnare ma nella stanza invece nella stanza attorno c'era solo sangue e quelli mi hanno trovato così che il dottore ha detto che se lo aspettava e la voce urlava uccidili uccidilo ma io ero legata ero legata e non sono stata non sono stata io non.
io a quella voce che mi urla nella testa io a quella voce non ci ho mai creduto non ci ho creduto a quella voce.

sabato, novembre 30, 2013

José Mujica - La mia idea di vita è la sobrietà

"La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere."

mercoledì, novembre 06, 2013

Valerio Magrelli - il vetro zigrinato delle docce

Dieci poesie scritte in un mese
non è molto anche se questa
sarebbe l'undicesima.
Neanche i temi poi sono diversi
anzi c'è un solo tema
e ha per tema il tema, come adesso.
Questo per dire quanto
resta di qua della pagina
e bussa e non può entrare,
e non deve. La scrittura
non è specchio, piuttosto
il vetro zigrinato delle docce,
dove il corpo si sgretola
e solo la sua ombra traspare
incerta ma reale.
E non si riconosce chi si lava
ma soltanto il suo gesto.
Perciò che importa
vedere dietro la filigrana,
se io sono il falsario
e solo la filigrana è il mio lavoro.
Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, Milano, Feltrinelli, 1981

venerdì, novembre 01, 2013

[Condomini] Matilda

Io a Bellafonte lho conosciuto pecchè cera Filippo che ci passau una estate intera mentre che eravamo insieme. Era stato che quellanno avevamo fatto un mese di collegio per colpa di una vecchia che sera messa a tirare la borsetta così forte che io ero caduto dalla vespa e per fortuna non mi ero fatto male solo che il tempo di risalire mero trovato con le mani di uno sbirro addosso e la faccia unchiata di coppa.
Insomma comunque ci era andata bene che il giudice aveva visto che era la prima vota e poi eravamo nichi e allora ceravamo stati solo un mese a cuntari i muschi e dopo era arrivato il caldo e il prete ci aveva preso nella colonia che ci dava il comune per laltro mese che ci mancava.
Filippo spariva dopo la preghiera della mattina che non lo diceva mai a me cosa faceva e dopo spuntava  direttamente a mare che sera accattatu una radio con le cassette e ciaveva questa di bellafonte che ce la metteva sempre e poi macari era anchelunica.
Diceva che ce laveva data sua madre ma io lo sapevo che non poteva essere che sua madre allargava le cosce nel continente e nessuno lo sapeva in che città travagghiava mentre lui stava cu sò nanna. Comunque queste non sono cose che si possono rimproverare a un amico che poi ognuno è libero di credere quello che vuole. Lui dicevo veniva con questa radio piazzata nellaricchi e il volume al massimo e camminando si annacava per la gioia di qualche volontario di quelli che aiutavano a Don Gino.
Che noi lo sapevamo che per passare qualche capriccio in più ci sarebbe bastato darici il biscottino a qualcuno di quelli ma per un mese non ne valeva la pena e così ci divertivamo solo a farli sbrugghiari tannicchia che di più non ci interessava..
La spiaggia era quasi sempre vuota che la stagione non era ancora iniziata anche se si stava bene al sole e già ci eravamo abbronzati e si puteva fari il bagno macari. Quelli che montavano le cabine nel lido vicino travagghiavano dalla matina fino alla sira e noi ci avevamo fatto amicizia che quando si fermavano per mangiare noi ci avvicinavamo. Il fatto è che il nostro pranzo era a ora di colazione. Che un cristiano non mangia alle dodici. E noi invece sì e per giunta dopo non si puteva manco fare il bagno.
"Ma a scola ci iti?"
"Ma quali scola? Chicciiemu a fari?"
"E bravi! Accussì ni viremu macari lanno prossimo"
"Macchiddici Franco? Fu una disgrazia la nostra!"
Franco era quello più simpatico e anche il più caruso che di sicuro ancora non ciaveva mancu vintanni. Ammucciuni ogni tanto ci dava nacari tannicchia di vino e noi ciavevamo cuntato dello scippo.
"E quanto cera nella borsa?"
"Cinque euri"
"Un lavoro di fino insomma"
"Ahu! Chistu cera!"
Filippo laveva guardato incazzusu che non lo sopportava di essere pigghiatu po culu ma Franco laveva smontato arrirennu che dopo un pò anche noi lo avevamo seguito.
Lui cera stato macari al collegio ma ciaveva passato due anni che aveva pungiuto a uno per una questione di onore. Però non aveva voluto cuntari chiossai solo che non ci voleva tornare e che era stato fortunato che aveva trovato questo travagghio che lo chiamavano o spissu per i lavori di fatica.
Io e Filippo aspettavamo che fineva di mangiari e poi ci salutavamo e noi tornavamo a priari che nel pomeriggio cera anche il rosario. Lui invece si allontanava che non capivamo bene dove andava solo che scumpareva ogni giorno dietro a una casetta arancione che era lunica in muratura che cera in tutta la spiaggia.
"Sarà ca caca" diceva Filippo e io ridevo che quello era un appuntamento preciso come con la zita.
Lultimo giorno Filippo arrivò nella spiaggia tutto pulito e ordinato e  fischiettando che io la conoscevo quella canzone che lavevo sentita tante volte. Aveva posato la radio sopra alla sabbia e sera spogliato come negli spogliarelli della televisione aspettando che tutti lo taliassero. Poi quando ciaveva fatto venire la bava a tutti i chierichetti aveva messo la radio a tutto volume e aveva accuminnciato a ballare. Furiava a piedi nudi nella spiaggia con una mano allaria e con laltra che si teneva la minchia dura. Ero scoppiato a ridere e dopo lavevo seguito anche io che era troppo divertente anche se ero meno bravo di lui.
"E bravi! E bravi! Unaltro mese non ve lo leva nessuno!"
Era la voce di Don Gino che lavevano avvertito ed era corso fuori dalla chiesa tuttu suratu con la sua panza che abballava insieme a noi.
Insomma per quella minchiata veramente ci fecero fare un mese dentro in più che questa veramente fu una ingiustizia. Ma in quel momento non ci pensavamo che ancora ridevamo.
Mentre salivamo dietro la rete che separava la colonia dal lido vistumu a Franco che ci guardava e sorrideva come a uno che se lo immaginava. Vicino a lui cerano sei cuccioli che giocavano e cialliccavano le scarpe.

martedì, ottobre 29, 2013

Edgar Morin - Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere

Le nuove tecnologie, il computer, la video-conferenza ecc... sono divenute indispensabili. Intendiamoci, esse non possono rimpiazzare un insegnante fisicamente presente. Ha detto Platone: «Per insegnare, occorre eros». Eros è una parola greca che significa piacere, amore, passione. Per comunicare, non serve a nulla dispensare il sapere a fette, ma bisogna amare ciò che si fa e le persone che sono dinanzi a noi.

L’insegnante è colui che, attraverso ciò che professa, può aiutarvi a scoprire le vostre proprie verità. Se la letteratura ha una grande importanza per me, è perché essa mi racconta esperienze di vita. Perfino le tanto disprezzate serie televisive parlano d’amore, gelosia, ambizione, morte, tristezza, in breve dei sentimenti qui molto stereotipati ma tratti dalla vita quotidiana. A mio avviso, l’insegnante è un mediatore che aiuta ciascuno a comprendersi, a conoscersi. E la letteratura gioca in questo un grande ruolo. Io sono di quelli che hanno riconosciuto le loro proprie verità attraverso grandi romanzi. Dostoevskij mi ha insegnato a comprendere i miei sentimenti riguardo la vita.

Io non credo che occorra scartare certe discipline, col pretesto che esse hanno un pubblico di nicchia. Le belle lettere non sono un lusso! Se tante persone leggono sulla metropolitana, è perché si immergono in un universo di cui hanno bisogno. Perché amiamo il cinema? Perché ci permette di vivere meglio i nostri sentimenti d’amore, di partecipazione, di simpatia ecc... Il cinema meriterebbe d’altronde di trovare un posto più importante nella cultura; è un’arte fondamentale... In realtà, così come sussistono ora, le discipline devono essere integrate in grandi insiemi.

Cosa sono la fisica, la chimica, se non il mondo di cui siamo fatti, posto che noi abbiamo delle cellule biologiche composte da interazioni fisico-chimiche? La grande scoperta degli anni Cinquanta è che non c’è una sostanza vivente diversa dalla sostanza materiale normale. Noi siamo fatti di elementi chimici che esistono nella natura, ma che sono organizzati in modo ben più complesso e nuovo. La fisica come la chimica sono noi stessi! È il mondo nel quale noi siamo.

Il compito della scuola è aiutare a imparare a vivere. Certi insegnamenti non fanno parte delle discipline, ma permettono di integrarle. Che cos’è, essere umani? Oggi, in mancanza di pedagogia, questa domanda rimane completamente scollata dal resto. Essere umani è senz’altro essere un individuo, ma un individuo che fa parte di una società e di cui anche la società fa parte. Da quando si nasce, ci viene inculcato infatti il linguaggio, la cultura, ciò che si deve fare, non fare ecc... In effetti, il nostro essere è costituito da tre parti in una: membro di una società, membro di una specie e individuo.

Secondo me, conoscere la nostra natura umana è dunque essenziale. E questo passa per forza attraverso l’insegnamento dell’incertezza. Ci si rende conto oggi che ci sono fenomeni che non si possono controllare, così nelle discipline come nella microfisica. Si è certi della morte, ma non si sa quando arriverà. Ci si sposa, si pensa che si sarà felici, ma potrebbe essere un matrimonio orribile. Si cerca il lavoro senza essere sicuri di trovarlo... L’incertezza fa parte del destino umano, ma nessuno è preparato per affrontarla. A mio avviso, la riforma dell’insegnamento deve anzitutto andare in questa direzione.

Effettivamente, essere specialista di tutto è essere specialista di niente. Raymond Aron, mi sembra, diceva che il proprio del lavoro di uno specialista è sapere tutto su un dominio estremamente ridotto, cioè pressoché niente. Delle due cose, l’una: o si ha una mancanza di conoscenze precise, o una conoscenza talmente precisa che alla fine non ha alcun interesse. In effetti, bisogna partire dal problema della conoscenza. Se si ha un’informazione, ma si è incapaci di situarla nel suo contesto (frammentato attraverso le discipline), si arriverà per forza a un’informazione senza interesse.

Si è d’altronde obbligati a contestualizzare senza posa – il proprio della storia è di essere una scienza che contestualizza gli eventi. Come uscirne? Alcune risposte sono già state date, attraverso raggruppamenti scientifici. Prendiamo l’esempio dell’ecologia, scienza fondata sull’idea di ecosistema, ma che riguarda molte discipline. In un dato ambiente, l’insieme degli esseri viventi, vegetali, animali, i microbi ecc... costituisce un’organizzazione spontanea, a sua volta collocata in una data cornice fisica, geografica e meteorologica.

Pertanto, l’ecologo, che si interessa ai meccanismi della formazione e delle disfunzioni degli ecosistemi, possiede conoscenze varie ma incomplete. Dovrà dunque chiedere l’aiuto del botanico, dello zoologo ecc... Lo stesso per le scienze della terra: la meteorologia, la vulcanologia, la sismologia, la geologia sono state separate fino al momento in cui si è scoperta la tettonica a placche. Avendo dimostrato da allora che la terra è un sistema funzionale molto complesso, ci si è impegnati a riunire queste differenti materie.

Le interazioni tra differenti discipline sono difficili da riconoscere, ma sono necessarie. Per esempio, la mondializzazione di cui si parla molto oggi è un fenomeno economico che ha anche i suoi contro-aspetti: l’omogeneizzazione tecnica provoca dei movimenti di chiusura sull’identità nazionale e religiosa. Qualche cosa di economico ha dunque delle conseguenze sulla religione e sulla psicologia. In effetti, non si può separare l’economico, lo storico, lo psicologico, il mitologico ecc... Einstein lo mostrava già ai suoi tempi. Era un globalista-matematico, pensatore, ingegnere, qualcuno che sperimentava i concetti. Adorava suonare il violino, “perdeva tempo” interessandosi d’arte, di politica... Gli specialisti, loro, si accontentano di verificare le sue teorie.

Si è disgiunto tutto ciò che riguarda l’essere umano: il cervello in biologia, la mente in psicologia... Le scienze umane sono state esse stesse delimitate. La filosofia è una riflessione anzitutto sulle conoscenze acquisite e sul destino umano e sui grandi problemi del nostro tempo. Ora, le conoscenze sono troppo disperse perché questa disciplina possa nutrirsene. C’è qui una grande lacuna. La missione di raccoglierle insieme necessita tanto di uno sforzo nel mondo scientifico quanto nel mondo filosofico. È in questo senso che il sistema di insegnamento meriterebbe di essere riformato.
Edgar Morin

Fonte: http://www.avvenire.it

domenica, ottobre 27, 2013

Lewis Allan Reed - Perdita


WASTE

Sometimes when I’m all alone
I feel a type of fear
dawn’s descending, dusk is breaking
creep my darling near.
I see my life before me
as a seamstress sees her pins
full and lined with failure
and coated then with sin.
An education gone to waste
talent left ignored
imagination rent with drugs
someone who’s always bored
scared to death of life itself
but even more by death
not fit company for anyone
let alone a wife
no example for a child
therefore no sun for me
I am told never to think these thoughts
for they make me unhappy.

The sin was craziness you see
don’t blame yourself for that -
a strange childhood, well that is true
but nothing can be done about that.
The future is the same for all
we face it as we can
and there is nothing wrong with fear
it proves that you’re a man.
Then other times I feel so good
the opposite you see
I think I’m full of talent
good old intuitive me.

I write all hours of the night
terrible poetry.
Others say that it is good
but they are lying to me.
Why would they lie, you might ask
and to this I would reply
encouraging me encourages them,
to cut me shows their lie.
For mine was illusion of life
well spent,
everyone thought so.
I was courted as a rake
wherever I did go.
But I know warts, you can’t fool me
with flattering and praise.
You sing my songs
to prove to yourselves
that you are not a waste.
PERDITA

A volte quando sono solo
provo un tipo di paura
l’alba discende, irrompe il crepuscolo
striscia vicino lentamente, tesoro.
Vedo la mia vita davanti a me
come una sarta i suoi spilli
piena, e segnata di fallimento
poi coperta dal peccato.
Un’educazione andata a farsi benedire
un talento ignorato
l’immaginazione a nolo con le droghe
qualcuno vinto dalla noia
intimorito dalla vita stessa fino alla morte
ma ancor più dalla morte
non adatto alla compagnia per nessuno
tantomeno per una moglie
non è modello per un bimbo
pertanto non c’è sole per me
mi è stato detto di non pensare mai queste cose
perché mi intristiscono.

Il peccato è la pazzia, capisci
non fartene una colpa-
una fanciullezza strana, be’ questo è vero
ma non c’è nulla da fare a riguardo.
Il futuro è uguale per tutti
lo affrontiamo come possiamo
e non c’è nulla di male nella paura
dimostra che sei un uomo.
Poi altre volte mi sento così bene
proprio l’opposto, vedi
penso di essere pieno di talento
il caro vecchio me stesso pieno di intuito.

Scrivo a qualsiasi ora della notte
della terribile poesia.
Altri dicono che sia buona
ma mentono.
Perché mai mentirebbero, potresti chiedere
e ti risponderei
che incoraggiarmi li incoraggia,
stroncarmi mostra la loro menzogna.
Perché la mia è stata un’illusione di vita
ben spesa,
tutti lo hanno pensato.
Sono stato corteggiato come uno importante
ovunque io sia andato.
Ma conosco il gioco, non potete farmi fesso
con lusinghe e lodi.
Cantate le mie canzoni
per provare a voi stessi
che non siete uno scarto.

 

giovedì, ottobre 24, 2013

Goffredo Riccobono [2 di n]

Goffredo Riccobono ripensò subito ai suoi giochi da bambino, ai pomeriggi passati in attesa dei programmi televisivi per i ragazzi, alle immagini di sconosciute contrade, d’italici volti, trasmesse in bianco e nero dalla televisione di stato, poi alzò gli occhi da quell’immagine e si rese conto un po’ meglio che lo attendeva una lunga attesa.

Almeno un gruppo con tre signore, un po’ avanti con gli anni, che tra loro elencavano i propri acciacchi e un po’ in disparte un altro informatore scientifico che attendeva con loro il proprio turno, lo precedevano. “Uno ogni tre pazienti” era la regola di quel luogo ed egli, purtroppo, era arrivato dopo quell’austero e silenzioso signore. Del resto che quella fosse la regola lo si poteva anche leggere su un piccolo foglio A4, stampato di certo proprio dal medico, incorniciato e appeso come memento tra le riproduzioni della Marilyn di Warhol e di un cielo stellato di Van Gogh.
Accanto all’uomo con il bambino sostava anche una bionda un po’ volgare, ma Riccobono non riusciva a comprendere se ella fosse insieme alla coppia o meno. Insomma sperando che nessuna delle tre anziane avesse voglia di parlare ma si limitasse al solito elenco di medicinali da prescrivere e comprendendo anche l’uomo sarebbe andata via più di un’ora piena. Anzi no, certo di più, perché solo allora uscì dal bagno un altro signore, un quarantenne si sarebbe detto, che certo lo aveva preceduto.

Il pallore di quell’uomo strideva stranamente con il corpo tozzo e il volto tondo. Portava una polo bianca e dei jeans alla moda con tagli d’ordinanza finto vissuti, ma Goffredo fu colpito soprattutto dalla lunga serie di puntini che coprivano il collo, il viso e le braccia.
Morbillo? Quarta, quinta, sesta malattia? Scarlattina, forse? O varicella? Tifo? Colera? Sifilide? AIDS?
A ogni assalto della propria, scarsa, memoria medica Goffredo Riccobono perdeva forze guardandosi attorno sempre più disperato. Cercava aiuto, conforto, nei presenti e si sarebbe allontanato volentieri da quel luogo, da quello stanzone, se un improvviso panico non lo avesse lì costretto. Gli altri sembravano non essersi accorti di nulla, solo l’uomo con il bimbo aveva colto il suo sguardo seguendolo fino all’uomo a pois. Goffredo lo vide  stringere con più forza il proprio bimbo e poi allontanarsi come per caso, come avesse solo in uggia il rimanere lì ad attendere. Magari ne fosse stato capace anch’egli.

mercoledì, ottobre 23, 2013

Goffredo Riccobono [1 di n]

Goffredo Riccobono viveva molte vite, di alcune aveva piena coscienza, di altre immaginava la presenza, di molte ignorava ogni cosa; tutto ciò non rappresentava certo un problema per la qualità della sua esistenza, giacché è scientificamente dimostrato che questo avviene normalmente per ognuno di noi. Lo stesso Goffredo aveva letto qualcosa su tale fenomeno, un giorno in cui attendeva, impaziente, il proprio turno nella sala d’attesa del medico curante.
“Scopri te stessa” recitava il titolo di quell’articolo, era, infatti, una famosa e storica rivista femminile e il “te stessa” faceva chiaramente intendere l’utenza di riferimento. Di seguito l’estensore usava lo studio di una “prestigiosa università americana” per spiegare e confermare proprio quelle frasi che fanno da prologo al nostro piccolo narrare.
Goffredo Riccobono, alla lettura, si era dapprima stupito che ciò potesse realmente accadere, poi aveva iniziato ad annuire a ogni frase, strabuzzando un po’ gli occhi, così come egli era solito fare a ogni nuova scoperta che lo trovasse curioso spettatore, quindi aveva dimenticato ogni cosa.
Ciò era accaduto non appena la porta dello studio del dottore si era aperta e un “A presto!” aveva accompagnato l’informatrice scientifica che da più di trenta minuti aveva preso possesso dell’attenzione del medico.
Lei, uscendo, gli aveva sorriso, quasi impercettibilmente dietro quel leggero trucco che le illuminava il volto. Egli l’aveva osservata parecchio prima, durante l'attesa, mentre lei trafficava con il suo tablet e rispondeva compulsivamente al cellulare alzandosi e spostandosi nella stanza di quel poco che ai propri occhi rappresentava il necessario rifugio. Goffredo ne era rimasto affascinato. Non che lei rappresentasse il suo modello, ma le sue movenze, le gambe, il piccolo seno, appena intravisto grazie alla scollatura all’americana, le belle spalle da nuotatrice, lo avevano turbato ed eccitato. Aveva chiuso gli occhi e immaginato per un attimo di possederla, lì tra quelle sedie, tra quelle mura, poi li aveva riaperti e un signore con un bimbo in braccio gli aveva chiesto se fosse stato veramente lui l’ultimo in attesa, così come gli era stato detto.
“Sì, sì, sono io” aveva risposto Goffredo e subito dopo aveva scelto proprio quella rivista tra quelle presenti sul tavolino in vetro poco distante dalla sua sedia e iniziato a sfogliarla. Ricordava, Riccobono, di essere stato colpito dalla copertina, una foto in bianco in nero di un’altra Italia, lo squarcio di una nazione che egli ricordava con quella luce per averci vissuto e averne, negli anni, costruito memoria. Ecco in questa foto un gruppo di bambini giocava in strada, una strada quasi priva di auto e di vecchi.

domenica, ottobre 20, 2013

Dino Buzzati - Una riga si potrà salvare

 Scrivi, ti prego. 

Due righe sole, almeno, anche se l'animo è sconvolto e i nervi non tengono più. 

Ma ogni giorno. 

A denti stretti, magari delle cretinate senza senso, ma scrivi. 

Lo scrivere è una delle più patetiche e ridicole nostre illusioni. 

Crediamo di fare cosa importante tracciando delle contorte linee nere sopra la carta bianca. 

Comunque, questo è il tuo mestiere, che non ti sei scelto tu ma ti è venuto dalla sorte, solo questa è la porta da cui, se mai, potrai trovare scampo.

Scrivi, scrivi. 

Alla fine, fra tonnellate di carta da buttare via, una riga si potrà salvare.

(Forse).

mercoledì, ottobre 16, 2013

Luigi Bernardi (Ozzano dell'Emilia, 11/01/1953 – Bologna, 16/10/2013)



C’è un libro dal quale non ti separeresti mai?
No, altrimenti come potrei rimpiangerlo?



Fonte foto e intervista: http://poetarumsilva.com

Il sito di Luigi Bernardi:  http://www.luigibernardi.com/

martedì, ottobre 15, 2013

memoria 3 - Gianni Rodari


«Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. Innumerevoli eventi, o microeventi, si succedono in un tempo brevissimo. Forse nemmeno ad avere tempo e voglia si potrebbero registrare tutti, senza omissioni.
Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.»
Gianni Rodari, Grammatica della fantasia (1973)

lunedì, ottobre 14, 2013

memoria 2 - Italo Calvino



"Imparare molte poesie a memoria: da bambini, da giovani, anche da vecchi. Perché fanno compagnia: uno se le ripete mentalmente. Inoltre, lo sviluppo della memoria è molto importante.
Anche fare dei calcoli a mano: delle divisioni, delle estrazioni di radici quadrate, delle cose molto complicate. Combattere l'astrattezza del linguaggio che ci viene imposto, con delle cose molto precise.
Sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all'altro. Certo,  goderlo: non dico mica di rinunciare a nulla, anzi. Però sapendo che da un momento all'altro tutto quello che abbiamo può sparire in una nuvola di fumo."

Fonte: Rai scoperta grazie a  il blog del mestiere di scrivere

domenica, ottobre 13, 2013

Memoria

Forse riesci già a capirlo, forse riuscirai a capire come sia importante avere una memoria oppure queste ti sembreranno soltanto frasi difficili, inutili e ti stancherai presto di sentire questo vecchio parlarti con la sua voce tabaccosa, alitarti parole vicino al viso, ma è così. E' necessario che io ti dica, è necessario parlarne almeno una volta. Ecco vedi, un tempo la memoria era tutto e i vecchi parlavano dei propri vecchi ai più giovani e questi voltavano gli occhi a sfuggirne proprio come fai tu, ma intorno a loro le case, le strade, i campi, rimandavano le stesse parole e presto ognuno di loro scopriva che quelle rimanevano lì a sorridere placide sotto il leggero sole del tardo pomeriggio, quando ancora la sera non aveva coperto ogni cosa, offuscando la realtà per farne magia. Perchè quella era l'ora, quello era il momento.
Ora le case, le strade, non hanno più memoria, non hanno più memoria ti dico, e solo qualcuna di esse ha avuto nella sua vita l'onore di aver visto la morte, pochissime, le più fortunate, la vita. Ecco, il parto vissuto con dolore, il primo vagito... solo rantoli tra quelle mura e spazi di tempo, caleidoscopici frammenti, amori forse, ma nessuna morte, nessuna vita.
Forse riesci a capirlo, forse riuscirai a capire come sia importante avere una memoria ma ti assicuro che no, non è quella della tabellina, del valore delle carte con cui giochi, del numero dei telefoni a cui chiami.
No, memoria è quello che odori giorno dopo giorno, è il blu che vedi all'orizzzonte da questa finestra, è il verso del mare che muore godendo con il vento. Memoria sono io che ti parlo, è quello che ricorderai e cambierai di queste frasi. Memoria è quel vestitino della tua compagna che ti sei sorpreso a guardare. E' lo schifo per qualcosa di cui ti sei ingozzato. Memoria è ciò che è stato e ciò che è. Memoria sei tu.

martedì, ottobre 08, 2013

A chi esita - An den Schwankenden - di Bertolt Brecht




 
Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può più mentire.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha travolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

mercoledì, ottobre 02, 2013

diavoli blu

Oggi avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
a pugni fino a spaccargli la faccia lo avrei preso,
a pugni fino a vedergli i denti sorridere di sangue,
e dopo, dopo gli avrei offerto una birra,
una birra ghiacciata per le sue ferite gli avrei offerto,
una birra ghiacciata per le mie ferite,
perchè è così amore, perchè è così.

Oggi avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
perchè ero senza notizie di te, perchè la strada era lunga,
perchè il vino era un pessimo vino e io,
io ho camminato e camminato, ho camminato e camminato,
e le gambe mi si piegavano e il corpo mi doleva
e la strada era lunga e non volevo fermarmi,
perchè avevo paura, perchè avevo paura e poco tempo per trovarti,
perchè è così amore, perchè è così.

Oggi avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
quando attorno a me c'erano i diavoli blu,
quando attorno a me i diavoli blu ridevano e urlavano:
"Ehi muovi quel culo uomo! Muovi quel culo!"
Ma io avrei solo preso volentieri a pugni qualcuno
sì amore, avrei preso volentieri a pugni qualcuno,
perchè è così amore, perchè è così.



Scritto per l'EDS Il blues del blu proposto da La Donna Camèl.
Lo hanno fatto anche:
singlemama con NY Blues
MaiMaturo con Colori 
singlemama con La linea blu
lillina con Il blu dell'universo che non c'è
lillina con Morte nel blu
Pendolante con Il trattore
Call me Leuconoe con Crossroad
Marco C. con Le ore scure (grigio, rosso e blu) 
Hombre con I won't let you down
Calikanto con Onde
Cielosopramilano con Fever
Melusina con Neon 
La Donna Camèl con Dritto e rovescio   
Melusina con Sostiene Teresa
La Donna Camèl con Diritto e rovescio 2, la vendetta
Cage of a common man con So long
Hombre con Davvero non lo so

lunedì, settembre 30, 2013

Pioggia

far parte della terapia,
fa parte della terapia,
parte della terapia.

Sguazza nella pozza,
zampetta
a cacciar via misteriosi  parassiti
dall'anima,
afferra l'immagine riflessa,
il cielo avaro di luce.

Solo il piccolo verme
gli sfugge; il lombrico
uscito dalla terra, a respirare.

venerdì, settembre 20, 2013

"so you want to be a writer?" di Charles Bukowski




if it doesn't come bursting out of you
in spite of everything,
don't do it.
unless it comes unasked out of your
heart and your mind and your mouth
and your gut,
don't do it.
if you have to sit for hours
staring at your computer screen
or hunched over your
typewriter
searching for words,
don't do it.
if you're doing it for money or
fame,
don't do it.
if you're doing it because you want
women in your bed,
don't do it.
if you have to sit there and
rewrite it again and again,
don't do it.
if it's hard work just thinking about doing it,
don't do it.
if you're trying to write like somebody
else,
forget about it.


if you have to wait for it to roar out of
you,
then wait patiently.
if it never does roar out of you,
do something else.

if you first have to read it to your wife
or your girlfriend or your boyfriend
or your parents or to anybody at all,
you're not ready.

don't be like so many writers,
don't be like so many thousands of
people who call themselves writers,
don't be dull and boring and
pretentious, don't be consumed with self-
love.
the libraries of the world have
yawned themselves to
sleep
over your kind.
don't add to that.
don't do it.
unless it comes out of
your soul like a rocket,
unless being still would
drive you to madness or
suicide or murder,
don't do it.
unless the sun inside you is
burning your gut,
don't do it.

when it is truly time,
and if you have been chosen,
it will do it by
itself and it will keep on doing it
until you die or it dies in you.

there is no other way.

and there never was.

giovedì, settembre 12, 2013

"Andiamo" di kchntn

Una volta non eravamo neppure usciti insieme ci eravamo incontrati per caso per strada ed eravamo rimasti insieme e avevamo camminato era caldo forse primavera forse eravamo andati a bere in quel posto dove andavamo sempre a bere ma non eravamo ubriachi forse abbiamo solo camminato c’era molta gente in piazza il cinema all’aperto forse estate lei indossava una maglietta rosa un paio di jeans che finivano sotto il ginocchio i capelli molto biondi e raccolti e i tacchi alti non metteva mai i tacchi alti essendo già molto alta ma quella volta aveva i tacchi alti e sotto il cielo blu abbiamo camminato fino a casa e siamo entrati nell’ascensore
Il cielo era molto blu e si aveva l’impressione che non sarebbe mai diventato nero neppure a notte fonda sarebbe rimasto di quel blu strano scuro ma luminoso pur se senza stelle dava l’idea che non sarebbe mai diventato nero quel cielo pur scuro e senza stelle una volta nell’ascensore ci siamo saltati addosso toccando baciando leccando la cabina si è fermata all’ultimo piano e siamo rimasti dentro le porte si sono chiuse e riaperte tre o quattro volte poi lei ha detto andiamo e io ho capito ti amo e ho detto anch’io ti amo e lei si è messa a ridere e ha detto no ho detto andiamo non ti amo e io ho detto ok andiamo
Non voleva venire a casa perché sapeva che avremmo fatto l’amore e non voleva fare l’amore perché poi avrebbe voluto rifarlo e poi saremmo di nuovo usciti e saremmo tornati a bere in quel posto dove andavamo a bere in quei giorni e in quelle notti di tot anni fa e io ho detto ok ti amo lo stesso e non ho insistito ma ho camminato verso casa e lei camminava al mio fianco ora zitti non dicevamo più niente finché siamo arrivati sotto casa e non ho insistito e ho tirato fuori le chiavi e lei ha detto ok salgo e poi l’ascensore e poi ha detto andiamo e ho capito ti amo e lei rideva come stupefatta come incredula di trovarsi in quel posto di stare facendo quelle cose e io mi vergognavo come un cane di aver capito ti amo al posto di andiamo e lei mi ha guardato in un modo che quegli occhi me li ricordo ancora adesso come se ce li avessi davanti adesso
Fonte: like falling stars

domenica, settembre 01, 2013

venerdì, agosto 30, 2013

lunedì, luglio 29, 2013

martedì, luglio 23, 2013

20. Nozze dell'eroe. La storia si conclude con le nozze dell'eroe e una prospettiva di vita lunga e felice.

Alla casa di Cettina Calogero sabbuffa a scoppiare. Scieron ha preparato un pranzo come nelle feste. La pasta con il ragù. I puppetta e il fassumauru. U muluni ghiacciato. E per fine anche la torta.  A Calogero sopra alla tuvagghia celeste ci pare come a una nuvola nel cielo quella cosa ianca e tunna.
Mangiano e si cuntano le cose che sono successe. Anche il padre di Concetta pari cuntentu che forse è anche il vino che sè calato. Quel pomeriggio non ce ne ha travagghiu e accussì cè potuto andare sotto. Quando si susi si viri che è tannicchia mbriacu e allora saluta a tutti e sinni va a cuccarisi tannicchia mentre Scieron accumencia a fare i suvvizza. Cettina e Calogero invece decidono di farisi una partita a carte e si spostano nella stanza della picciridda.

"Cettina senti mi staiu cuccannu macari iu ca cè cauru e finii"
"Sì. Sì. Va bene! Ora Calò sinni va"
"Non cè problema u sai. Basta ca non faciti confusioni. U sai come fatto to o pa"
"U sacciu! U sacciu!"

Cè qualcosa di strano in quellultima risposta e infatti appena Scieron chiuri la porta Cettina ci parra sottovoce a Calogero. Come se ci deve dire un segreto.

"Ora accumenciano le feste"
"Chi voi riri?"
"Tu mutu! E guai a tia su cunti qualcosa!"
"E certo! Ma mutu picchì? Chi succeri?"

La risposta ce la dà quello che allinizio sembra un lamento e che poi aumenta tannicchia e continua in mezzo a parole che non si capiscono. A suspira.

"Ma stannu futtennu?"
"Almeno du voti o ionnu. Qualchi vota me o pà ci lassa i pinni cu stu iocu. Mu rissi Aitina a me cumpagna ca so o pa mossi accussì"
"Scieron però è simpatica. Me lero figurata peggio"
"Sì. E' vero! Megghiu di quella tapallara che cera prima. Furiava a casa tutta a nura e non sapeva fari nenti e non mi faceva mancu nesciri"
"E chi fini fici?"
"Macchissacciu! Na vota me o pà ci misi tutti i sò cosi arreri a potta e lei tuppuliau tutta la matinata e però io non ci rapii che così lui mi aveva detto. E dopo non lho vista più"
"Ci veni a partita chiù tardu?"
"E ce la fai cu sta panza china?"
"E certo!"
"Allura vatinni a casa ora. Poi però passa cà. Ci iemu nsemula! Vuoi?"
"Comu no? Va bene. Accussì viru su mangiau me o ma'. E poi mi rugnu una rinfrescata e pigghiu i scarpetti macari"

Calogero è contento. Cammina piano verso casa ma tra la panza china e u suli a picu accumencia a surari che deve mettere di corsa la testa sotto alla fontana per sentirisi megghiu.

"Calogero. Calogero si tu?"
"E cu pogghiessiri o ma'?"
"E comu fu il pranzo"
"Bonu! Bonu o ma''"
"Mi fa piacere. E ora? Chiffai nesci di novu?"
"Ciaiu a partita"
"Va bene! Va bene!"

Calogero si spogghia a nura e si metti dentro la vasca da bagno. Senza acqua però.  Non ce nè bisogno. Ci basta sentiri u friddu dello smalto per stare meglio. Con la mano trafichia in mezzo alle gambe fino a quando si sente tuttu russu na facci. Poi chiuri locchi che ancora cè tempo.

Il campetto della chiesa è un po' chiù nicu di quello vero. Ci stanno sette. Otto giocatori per squadra. A giocare tranquilli. A divertirsi. Ma quel pomeriggio sono in sei che quella è una partita importante. Di campionato. Che ci sono macari i figghi di Don Tano.
Lui viene messo di punta che Antonio e Michele invece giocano alle ali.
Arreri alla rete del campo cè Cettina che lo talia. E Iano. E anche Lino è venuto che sarà chi cè lo ha detto. Calogero si accorge che non è tanto bravo. Che quando ci stanno incoddu quelli dellaltra squadra quasi sempre ci riescono a luvarici u palluni. Però succede che verso la fine Antonio riesce a fare un cross perfetto. Che la palla scinni come radiocomandata verso di lui. E allora Calogero appoggia forte il piede destro a terra e si dà lo slancio. E andando in aria isa la iamma sinistra. E poi veloce veloce di nuovo il piede destro a calciare forte il pallone prima di cascare nterra.
Quando si susi cè silenzio. La palla è arreri al portiere. Allora Calogero urla:

"GOOOL! GOOOL! GOOOL!"

e si fa il giro del campo di corsa u carusiddu . E arriva fino a Cettina. E da dietro la rete la vasa.

lunedì, luglio 22, 2013

19. Punizione dell'antagonista. Il falso eroe o antagonista, cioè il "cattivo" della storia, viene punito.

Quella fu una notte quasi tranquilla. Certo è ammaccato e ci fa male dappertutto. Che ha pigghiato cauci e pugna e coppa. Ma però le cose pare che si sono sistemate e allora Calogero chiuri locchi e saddumisci.
Saddummisci in una notte scurusa Calò. Una notte senza sogni e senza colori. Fatta tutta dun ciato che la mattina dopo si sveglia presto tutto surato e con lossa che ci fanno chiù mali della sera prima.
Sistema a sua madre Calogero e aspetta che arriva quella del comune. Poi quando quella accumencia i sivvizza iddu nesci e si porta dietro il pallone e si mette le scarpette anche se ci manca assai per la partita. Anche se si consumano i tacchetti con le pietre e con lasfalto.
Questa volta però non se ne va nella piazzetta. Trasi dentro le spine del parco e arriva al suo albero e accumencia a palleggiare che perde macari il conto di quanto riesce a farne e quando ci casca la palla ricomincia. E ricomincia sempre. Ricomincia fino a quando non si sente le iamme che sono stanche che ci tremano e allora sassetta e guarda il cielo. E cerca la luce che passa in mezzo ai rami. Sogna di squadre importanti. Di goll. E certe volte ci veni nella testa macari Cettina che non lo sa perchè.

"Senti io ce lo dovevo dire..."
"Oh! Talia! U pezzu di medda!"

Iano era arrivato antrasatta che Calogero aveva chiusi gli occhi. Non sera scantato però per quella improvvisata che laveva riconosciuto subito la voce.

"Mi spiasti macari oggi?"
"Calò iu non sugnu sbirro!"
"Chiffazzu arriru?"
"Senti mu rissi me o ma di dircelo a Don Tano. Io tavevo visto e ciu cuntai"
"E to patri?"
"Non sapeva nenti"
"Ma picchì da munsigneria della telefonata allura?"
"Chissacciu! Mi nisciu accussì!
"Senti... ma invece to o pa' u sapi che Don Tano si futti a so mugghieri?"
"Macchidici! Bastardo!
"A virità"
"Bastardo!"

I due carusi accumenciano a darisi coppa. E sono uno sopra laltro in mezzo alla terra. E non cià finisciunu fino a quando non ce la fanno più che qualcuno dice "Basta!" e laltro pure. E appoggiano la schiena sul tronco. E dopo finisci tutto.

"Ticcattasti ora sti scarpetti?"
"Mi rialanu"
"Belle"
"Oggi ciaiu una partita al campetto del prete. Chiffai ci veni?"
"Dopu macari. Quando iniziate. Che allora se arrivo presto quello mi chiede di fare il rosario"

Calogero accumencia a ridere. E Iano macari.  Si lassunu che vanno a mangiare e la partita è solo alle cinque.
E' quasi al portone quando lo chiamano.

"Calò! Calò! Femmati!"
"Buongiorno signora"
"Senti chiffai voi veniri a mangiari da noi? Cettina dice che tanto non poi veniri che cè tua madre ma iu ci rissi proviamo e poi visti nesciri a signora del comune poco fa e insomma che costa spiartelo? Che anche se dici no e no e se invece vieni è già tutto pronto che oggi fici macari una torta. Con la crema di limone che a me marito cioè o papà di cettina insomma ci piaci e poi putiti iucari nella sua camera che lei ha tanti giochi e allora dimmillo tu che..."

Calogero non lo segue più quel fiume in piena e pensa che non ci dispiacerebbe e allora ci accala la testa. 
"Ma prima viru come sta" dice e acchiana di corsa per controllare e darsi una ripulita macari che è chino di terra fino a dentro laricchi.

domenica, luglio 21, 2013

18. Falso eroe smascherato. Il falso eroe - che può coincidere con l'antagonista - viene smascherato.

Il vecchio Sciaroso ciavi la faccia niura quando si affaccia alla porta. E' siccu e lungo ca pari il palo della fermata dellautobussu. Appena vede Calogero ci va il sangue alla testa e lesto come fa u iattu quando viri u suggi lo pigghia per gola e ci runa cauci e testate e u pigghiassi macari a muzzicuni se non ci arrivassi na uccalamma un pugno che lo fa stramazzari nterra. Don Tano non se laspettava tutta quella velocità e così sera fatto sorprendere. Ma non era durato assai che subito aveva ripreso in mano la situazione e laveva astutata quella furia. Pigghiandolo per il colletto della cammisa poi lo trascina dentro casa. Aspetta che i due carusi lo seguono e chiuri la porta che non cè più bisogno di fari pubblicità. Che tutti hanno già visto quello che cera da vedere.
Non si senti nenti dentro a quelle mura. Calogero ancora trema per lo scantazzo e per il dolore e Cettina cerca di cunuttarlo e con un fazzoletto che ciaveva nella sacchetta ci pulizia tannicchia di sangue che ci nesci dalla testa. Don Tano solleva Sciaroso e lo mette sopra a una seggia poi rapi il frigorifero e ci pigghia un bicchiere di acqua fredda per farlo calmare. Quello però ancora non parla e Don Tano allora accumencia a girare nelle stanze che cerca Luciano. Lo sa che è lì. Prima si è informato e gli hanno detto che è rimasto con il padre che gli altri della famigghia invece sono tutti fuori che sono partiti nelle matinate.
Si incazza u pannitteri che non lo trova a quello e allora accumencia a ittari tutto allaria. A fari sgrusciu. Fino a quando finalmente non senti il pianto a singhiozzo del caruso. Sè nascosto dentro la cesta dei robbi loddi. Nicu nicu come a quelli del circo. Come allacrobati che poi nesciunu e sautano e acchianano sopra alle corde e ti fanno arririri.
Don Tano trascina anche a lui per il colletto e lo fa assittari vicino a suo padre poi ordina a Cettina e a Calogero di cuntari tutto di nuovo e i due ragazzi ubbidiscono che non cè altro da fare. Luciano aspetta la fine. Conosce tutto. Non cè bisogno di ascutare. Quando però quei due finiscono di parrari ci abbia una sputazzata a Don Tano e quello per risposta ci fa furiari la testa con una scoppola. Poi si ferma lì. Sembra solo che vuole dimostrare a loro che è lui a comandare e non cè bisogno di fare altro che quel picca per riuscirci.
E infatti dopo a questa sceneggiata nesci fora da quella casa e li lascia lì. Assittati attorno al tavolo della cucina come a una famigghia in attesa del pranzo.  E' come una fotografia quella. E nuddu parra. E nuddu si movi. Quando suonano alla porta è Luciano a susirisi e dopo un secunnu torna che dietro di lui cè il padre di Cettina.

"Ma chi succiriu? E chi ti facisti Calò? E unnè Don Tano?"

Ci tenta tannicchia quelluomo a farsi dare qualche risposta ma poi ci rinuncia che quelli parunu fantasmi. Si pigghia a so figghia e o carusiddu e se li porta fuori spingendoli verso la porta. Calogero nei peri ciavi ancora le scarpe del pallone che le sue li ha lasciate al panificio.
Nella strada Cettina si metti vicina a so o pa' e quello ci passa un braccio sulla spalla e la tira vicino a lui. La picciridda chianci. Chianci senza fare rumore. Senza lamintarisi. Calogero è dietro di loro che ogni tanto ci
runa un calcio a qualche pietra chiù rossa delle altre. Pensa che deve fare qualche cosa ma non lo sa cosa di preciso.
Quando si separano nemmeno si salutano. Solo un attimo locchi di Calò cercano quelli di Cettina. E si incontrano. E poi basta.   

"Calogero. Calogero si tu?"
"E cu pogghiessiri o ma'?"
"Finalmente! Tunnau me figghiu. Tunnau!"

sabato, luglio 20, 2013

17. Riconoscimento dell'eroe. All'eroe, già riconosciuto nella sua identità, vengono tributati gli onori del caso.

"Aspetta ca vi fazzu rapiri a saracinesca"

La voce di Don Tano si senti bella forte e poco dopo u sgrusciu del ferro ca si isa supera ogni altro rumore che viene dalla strada.
Cettina e Calogero entrano e lei gli prende di nuovo la mano e la stringe forte che tannicchia si scanta. Nterra è tuttu vagnatu ma non sembra che ci sono stati danni assai e anche nella stanza del forno dove cè Don Tano con i figghi ca pulizia cè solo tannicchia di fetu carristau appiccicato al muro. Insomma niente di importante.  Niente che non si può aggiustare.
Don Tano trafichia con le teglie. Cettina lo guarda con attenzione. Dai pantaloncini loddi ci nesci lelastico delle mutanne. Cè scritto "maschio" che accussi so mugghieri non si cunfunni quando posa le cose nei cassetti pensa la picciridda. La schiena ianca e pilusa ci brilla di gocce sutta la luci del neon e macari i mustazzi quannu si furia su loddi di farina. Quando si dedica a loro li talia con locchi semichiusi come su facissi fatica a metterli a fuoco.

"Vi stavo aspettando"
"A tutte e due?"
"A tutte e due. Mu rissunu che ceri macari tu"
"E cu fu?"
"E' importante? Ratici una mano ai me figghi ca iu acchianu a casa e mi canciu"
"Ma noi... ma io"
"Staiu tunnannu!"

I figghi di Don Tano continuano a travagghiari senza parlare. Michele u chiù nicu ci metti ne manu una scopa e una paletta e poi torna ad aggiustare il carrello che ci sautau una ruota. Antonio invece sistema i sacchi di farina e separa quelli ca si vagnanu dagli altri.
Luciano deve avere dato fuoco all'entrata pecchè qui cè quasi solo feto di bruciato e anche dellacqua dei vigili ne è arrivata picca.
Calogero e Cettina si sono messi a lavorare anche loro in silenzio e uno spazza e laltra raccoglie e poi abbia tutto in uno scatolo già chino di munnizza.

"Me patri mi rissi ca si bravu co palluni"
"Iu?"
"E cui se no? Viri qualcunaltro?"
"Mi piaci tirare al volo..."
"Ci voi veniri dumani a fari una partita?"
"E unni?"
"Nel campo della chiesa"
"E quando?"
"E cincu"
"Va bene"
"E cillai i scappetti?"
"Ciaiu chisti"
"E chicciaffari a gita da scola? Provati chiddi"

Michele ci fa viriri un paru di scarpette misi in angolo. Ci mancano i lazzi e però sono quasi nuove. Calogero se li mette subito che gli stanno a pennello. Una sciccheria.

"Calogero! Calogero! Iu minnaia iri. Mio padre sta per ritornare"
"Dobbiamo aspettare a Don Tano"
"Ma iu non posso"
"Aspetta. Putemu fari che cè lo dico io a to o pa"
"Certo. Accussì unchia a facci prima a tia e poi a mia!"
"E allora aspetta. Ora torna"

Gli altri due ora sembra che nemmeno li sentono o li vedono. Michele ha subito ripreso quello che stava facendo e Antonio ha cambiato stanza. Improvvisa arriva una musica.

"Antonio mettila chiù forti. Vi piaci? Me o pa' mi fici canusciri. Alessio e Nensi si chiamano"

Michele si trasforma e sorride eppoi accumencia a cantari dappresso al ritornello.

"Simme duje pazz nnammurate..."

Antonio rientra nello stanzone che abballa muvennu la testa e dietro di lui cè Don Tano tutto allicchittiato.

"Fozza niscemu!"

Calogero e Cettina lo seguono senza contraddirlo. La picciridda si allarma quando vede che stanno andando verso a so casa. Ma non parla. Non dice niente.

"Don Tano!"
"Salutamu"
"E tu chicchifai fora a stura?"
"E' cummia. Stamu iennu a fare una visita"
"Certo. Certo. Vi serve qualcosa Don Tano?
"No! Vi saluto"
"Saluto a vossia"

Don Tano si furia e scinni i scali sempre seguito dai due carusi. Cettina arriri pensando alla faccia di sua padre. Lo sa che non ce ne avrà problemi tornando per dormire.

Quando arrivano davanti alla porta della casa di Luciano il vecchio si furia e finalmente ci dice qualcosa.

"Ora vi stati muti e parrati sulu quannu ve lo dico io. Intesi?"

E senza aspettare risposta suona il campanello che di sicuro già lo hanno visto lì dentro quellarrivo. 

venerdì, luglio 19, 2013

16. Danno riparato. L'eroe è in grado di rimuovere le sciagure o la mancanza iniziale riparando il danno.

Quando Calogero nesci cè nellaria una piccola scia di friscu. Lui la ciauria tutta quella brezza di mare che ogni tanto profuma le sere. E tutti questi palazzi e queste case e questa munnizza non ciarrinesciunu a fermarla quella goduria.
Quando era nicu sua madre una volta lha portato in un posto che cera il mare e la spiaggia nica nica e dietro la sabbia cerano le rocce che acchianavano verso il cielo. Erano tutti chini di piante quei massi che pareva che i tronchi fussiru per cascare da un momento allaltro e invece resistevano e scavavano. E di petra niura facevano terra odorosa. E di deserto paradiso.
Lui aveva giocato e sera fatto il bagno e poi tornando a casa dentro la corriera sera messo a ciauriarisi che nella pelle attaccato cera rimasto un odore... un odore che a lui ci piaceva e non lo voleva levarselo dalla testa. Lo stesso ciauro di quella sera. E ora ci sale nella testa quel ricordo e caccia ogni malinconia.

Il panificio ciavi la saracinesca abbassata ma dentro cè luci che di sicuro ci stanno lavorando. Calogero spera di trovare Cettina affacciata al balcone che non ci vuole suonare alla porta o almeno non ci voli sunari mentre cè sò o pa o qualche strafallaria di quelle che quel cristano si porta a casa ogni sei misi.
Aspetta Calogero ma poi non cè la fa chiù a stari dassutta che li sente gli sguardi di quelli che sono affacciati e lo sa che stanno parlando di lui e del panificio e allora si decide e entra nel palazzo e tuppulia.

"Ohhh! E cu cè cà? Calò! Il piccolo Calo!"

La fimmina ciavi una magliettina longa che ciammuccia i mutanni e un culu chinu comu la panza di un quartara. Calogero nemmeno ce lo chiede come conosce il suo nome che tanto non è importante e allora fa il gentile e:

"Buonasera signora cè Cettina? Ciavissa dire una cosa"
"Certo. Certo che cè! Trasi. Accomodati! Cettina! Cettina! Ti cercano. Veni cà! Cettina!"

La carusidda spunta che sembra contrariata ma poi spinge Calogero dentro a una stanza. Che "sarà la sua" pensa lui. E la stanza ciavi tutti i pelusci e i disegni attaccati no muru e un letto e una scrivania macari che Calogero non lha mai vista quellabbondanza. Neanche nella stanza di Luciano è accussì che quello ciavi tutta una parete che ci hanno messo larmadio per tutta la famigghia e allora lo spazio per lui non è come quello che cè qua.

"Picchì vinisti?"
"Ti devo chiedere una cosa"
"Che cosa?"
"Cià cuntari tutto a Don Tano..."
"Tu sì pazzo!"
"No. No. Ora ti ricu. Ascuta."

E mentre il caruso parla Cettina è tutta attenta. Ogni tanto accala la testa che Calogero ce ne ha conforto e prende coraggio e non si ferma con le parole. Alla fine lui la talia tutto contento che lo sa che lei gli dirà di sì. E infatti accussì succeri. A Cettina ci scappa anche di abbracciarlo e di mittirisi a chianciri che Calogero non lo sa bene cosa fare. Rimane fermo come a un baccalaru. Immobile. Poi però quando lei si stacca ci passa un dito sotto locchio e ci leva una lacrima e se la mette in bocca e dopo fa una smorfia che i due carusi accumenciano a ridere e non ce la finiscono chiù.

"Cettina! Cettina! Diccillo al tuo amico su voli un gelato! Calò! Calò chiffai u voi un gelato?"

La voce della donna ferma le risate e Cettina ci risponde solo:

"No Scieron. Non ne vuole Calogero gelato. Stamu niscenno. Cinque minuti e tonnu."
"Ma comu? E' tardi! U sai che poi tuo padre bruntulia"
"Cinque minuti Scieron. Tonnu presto. Prima casarritira"

Cettina ci pigghia la mano a Calogero fino a quando sono fuori nella strada. E insieme vanno verso il panificio mentre Scieron rimane a sistimarisi. A passarisi la crema nelle cosce e nelle braccia che più tardi torna il suo amore e lei non può farisi trovare come a una pezza lodda. Ciavi trentanni ormai. E troppe delusioni alle spalle. Troppe sfortune. Quello è un partito buono. E poi a lei ci piace che è un belluomo. Macari su ciavi una figghia viziata e un chiodo fisso nella testa e in mezzo alle gambe.

giovedì, luglio 18, 2013

15. Prove difficili. L'eroe viene sottoposto ad alcune prove che devono attestare la sua vera identità.

Calogero accumencia a cuntari tutta la storia che tutta tutta proprio no perchè ha pudore a mittirici dentro anche il fatto della pumata o dellaiuto di Cettina. Però che era stata lei a telefonare lo dice subito che ancora non lo capisce che beneficio può avere quel pezzo di merda di Iano a cuntare quelle cose.
Don Tano ascolta e non parra e non si sarebbe capito nulla dalla sua facci se non ciavissuro ogni tanto tremato i mustazzi. Ma forse quello è solo un tic e non un segno di nervosismo come pensa Calogero.
Iano invece continua a ripetere "sì munsignaro!" "sì munsignaro" ma si capisce che ormai lo fa solo per non passare per quello che è:  un infame.
Quando Calogero finisce Don Tano vuole vedere la bicicletta e poi sinni va senza dire più niente seguito da Iano che proprio non ci  può più stare in quella casa.
Calogero non lo sa cosa pensare. Sua madre continua a non parlarci come se non ci fosse nessuno con lei e lui invece avrebbe bisogno di sfogarsi. Di capire. Accussì decide di chiedere a Don Ciccio. Lui di sicuro può darici qualche consiglio che il quartiere lha visto nascere e canusci a tutti. E poi è quasi lorario che verso le tre passa sempri sutta ai palazzi che porta i gelati.
A Calogero ci piace quello di limone che ha quel gusto dolce sulla punta della lingua e poi invece fa rizzari do friddu i cannarini. Eppoi macari che è una cosa di picciriddi iddu su pigghia nella coppetta il gelato che allultimo arresta tutto liquido e lui si allicca quella squisitezza fino allultima goccia.
Accussì Calogero aspetta e mentre aspetta ci cala il sonno che ha dormito poco e nenti. E saddummisci macari. Che proprio non resiste. E quando si sveglia è di nuovo scuru e una mano lo sta spingendo.

"Calò! Calò!"
"Chiccè? Cu sì? Ah zia! Comu stai? Chiccifai cà?"
"Tu comu stai! Taddimuscisti assittato na seggia"
"Io..."
"Sì. Sì. U sacciu. Senti... ci pinsai iu a to o ma'. Chiffai voi rommiri ancora?"
"No. No"

Calogero non lo sa ancora quando tempo è passato ma guarda la finestra e capisce.

"Menumali ca vinisti!"
"Mi chiamò alla finestra Don Ciccio"
"Don Ciccio?"
"Sì! Mi rissi di dariti unocchiata pecchè ti aspettava e non spuntavi"
"Aspittava a mia?"
"Accussì mi rissi"
"E tu? E le chiavi?"
"Mi puttau Don Tano"

Dicendo questo la Za Rosa fa un sospiro come se fosse stata imbarazzata per questa cosa. E insomma Calogero la può anche capire che quella è vitua e anche una bella donna ancora.

"Ah!"
"Allura chiffai? Voi mangiari?"
"Non cè nenti a casa"
"Ti puttai tannicchia di pasta"
"Sì! Allura sì!"

Rosa rapi una busta e tira fuori un fazzoletto legato che dentro ci sono due piatti a manteniri u cauru. Ma la pasta è già ncuppulata ca passau tempo assai da quando è stata fatta. Con tannicchia di olio una leggera frittura è una passata di ricotta salata la donna ce lo aggiusta quel mangiare e poi ce lo serve che ci consa macari la tavola.

"Comè?"
"Bona zia!"
"Essì. Senti..."
"Rimmi"
"Chiu tardi Don Ciccio passa a trovarti. Non nesciri"
"No. No. Non nesciu"
"Bene. Ora saluto a me soru e minnivaiu. Mi raccumannu"
"Va bene zia"

Calogero si runa una bella sciaquata alla faccia e si pulizia tannicchia e fa appena in tempo che Don Ciccio suona alla porta.  Sua madre già saddumisciu e allora u gilataru sassetta vicinu a iddu nel tavolo della cucina

"Mu rici chi cumminasti?"

Calogero non cià tanta vogghia di cuntare tutto di nuovo. Però non può non farlo. Lo sa che quello già conosce ogni cosa e non ci fussi bisogno. Ma lui anche se è nico lo ha capito che questo è lordine delle cose e uno certe tradizioni li deve rispettare. E non può tirarsi indietro. Questa volta però nella sua storia non nasconde niente ma quando finisce subito ci addumanna:

"Ma comu facevi a sapiri che venivo da te?"
"E unni vulevi iri? Ora dobbiamo pensare solo a risolverlo questo guaio. Per primo devi fare vedere che non volevi fare danno a nessuno"
"E comu fazzu?"
"Bisogna fari parrari a Luciano"
"Sì! Semplici!"
"Ci pensu iu. So o pa' mi deve un favore. Lo convincera lui."
"E poi?"
"E poi si viri. Insomma ci dobbiamo fare capire che ci hai detto la verità a Don Tano"
"Ma du bastardo di Iano..."
"Non ti preoccupari! Don Tano u sapi quando valunu iddu e so o pa'. Che per quando riguarda sua madre invece è unaltra storia..."
"Chivvoi riri?"
"Nenti. Ava varagghiari e parrai. Non ti preoccupare. Non su cosi che ti riguardano"
"Machiffà? Ci fa i conna? Con Don Tano?"
"Ti rissi che non ti interessa. Ora invece tinni vai da Cettina e ci rici di cuntarici tutto a Don Tano che io nel frattempo mi spiccio laltra questione"
"Va bene. Va bene. Vi ringrazio Don Ciccio"
"E chimmiruni di nuovo del voi?"
"e' ca iu..."

Don Ciccio arriri e poi nesciuno insieme verso due strade diverse però che le faccende che dovevano fare non erano le stesse.