"La poesia è scritta da qualcuno che non è lo scrittore a qualcuno che non è il lettore" - Paul Valéry -
giovedì, novembre 23, 2017
la fatica dell'acqua
ni scurdamu u bummulu
inchiutu alla funtana
la fatica dell'acqua
a biddizza do riposu
no travagghiu
Fonte immagine: Bummulu
mercoledì, novembre 22, 2017
lettere
attruvai arreri a muarra
un biglietto
ca sapeva di tia.
era un pizzuddu tuttu scicatu
che le parole
si dovevano immaginare
e tutto il resto, macari.
no menzu una macchia di inchiostro
e poi
piccole cose ammucciate, cancellate
a farimi mancari u ciatu
un biglietto
ca sapeva di tia.
era un pizzuddu tuttu scicatu
che le parole
si dovevano immaginare
e tutto il resto, macari.
no menzu una macchia di inchiostro
e poi
piccole cose ammucciate, cancellate
a farimi mancari u ciatu
lunedì, novembre 20, 2017
[Alfredo] aro titano -rev1-
Intrappolato nel piccolo bagno di casa Alfredo non sa bene cosa fare. L’aria è calda e umida. Sul tubo della doccia qualche goccia d’acqua si condensa per scivolare subito via. Lui, nudo, è seduto sul vaso. Ha dimenticato le mutande nell’altra stanza ma la porta non ha voluto cedere ai suoi strattoni e il bagno è cieco, nessuna possibilità di fuga.
“Che strano dire cieco” pensa Alfredo e chiude anche lui gli occhi come a voler solidalizzare con l’ambiente. Riapre gli occhi e si guarda in giro, se fosse costretto a rimanere lì non potrebbe neanche vestirsi, ha lasciato tutto nelle altre stanze. Al massimo qualche asciugamani, l’accappatoio appena lavato che ancora profuma di qualcosa che Alfredo non sa bene identificare, ma che gli risulta piacevole. Improvvisamente lo assale il pensiero di rimanere lì per sempre.
“Chissà se è possibile mangiare il dentifricio” fantastica, ma poi scarta l’idea e dice a se stesso che potrebbe accontentarsi dell’acqua per il tempo necessario, prima di essere salvato. “Quale tempo però?” “Se ne accorgerà qualcuno?” “Mi cercheranno?” Troveranno un cadavere rinsecchito solo per l’odore che attraverserà la casa giungendo a impregnare di se le mura del palazzo?
Dispiace ad Alfredo l’idea di lasciare solo il ricordo di puzzo di carogna e allora gli viene in mente che ha posato lì, dentro al mobiletto per la biancheria e i medicinali, l’ammorbidente comprato all’Iper. Il profumo è di lavanda, così è scritto, di sicuro lo stesso dell’accappatoio, e lui inzuppa tutte gli asciugamano per gli ospiti con quel liquido viola fino a svuotare il flacone.
Nell’aria si spande un odore così forte da dargli quasi nausea, ha bisogno di muoversi. Prova a distendere le gambe e ad appoggiare la schiena rimanendo seduto, ma lo spazio non è sufficiente. Alfredo si sente sempre più a disagio e affiora anche qualche piccolo brivido a contrargli il corpo. Si alza e in quel momento rammenta di aver letto di un fiore bellissimo, anzi il fiore più grande del mondo. Deve averlo visto su una rivista, immenso, dai petali rossi come di sangue. Il suo odore, c’era scritto, era insopportabile. Sembrava quello di carne putrefatta, eppure qualcuno aveva l’ardire di coltivarlo e di attenderne fiducioso la fioritura .
Un sorriso illumina il viso di Alfredo. Ha smesso di tremare. La mano, con calma, riprova ad abbassare la maniglia.
Una corrente d’aria fredda gli strappa uno starnuto.
Fonte immagine: US Botanic Garden. - http://www.usbg.gov/your-visit/Titan-Day-1.cfmhttp://www.usbg.gov/images/july23at745am_lg.jpg, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3107340
sabato, novembre 18, 2017
[Alfredo] aro titano
Intrappolato nel piccolo bagno di casa Alfredo non sa bene che fare. L’aria è calda e umida. Lui, nudo, è seduto sul vaso. La porta non ha voluto cedere ai suoi strattoni e il bagno è cieco.
“Che strano dire cieco” pensa Alfredo prima di chiudere anche lui gli occhi. Se fosse costretto a rimanere lì non potrebbe neanche vestirsi, ha lasciato tutto nelle altre stanze. Al massimo qualche asciugamani, l’accappatoio appena lavato che ancora profuma di qualcosa che Alfredo non sa bene identificare, ma che gli risulta piacevole.
“Chissà se è possibile mangiare il dentifricio” fantastica, ma poi scarta l’idea e dice a se stesso che avrebbe dovuto accontentarsi dell’acqua per il tempo necessario. Quale tempo però? “Se ne accorgerà qualcuno?” “Mi cercheranno?” Gli dispiace lasciare di se solo il puzzo di carogna e allora ricorda che ha lasciato lì, vicino al mobiletto per la Biancheria da bagno e i medicinali, l’ammorbidente comprato all’Iper. Il profumo è di lavanda, così è scritto, e lui inzuppa qualche spugna fino a svuotare il flacone. L’odore è così forte da dargli quasi nausea.
Alfredo prova a distendere le gambe e ad appoggiare la schiena, ma non riesce a farlo comodamente in quel piccolo spazio e poi inizia anche a sentire qualche brivido. Allora si alza e in quel momento gli torna in mente di aver letto di un fiore bellissimo, anzi il fiore più grande del mondo. Ricorda di averlo visto su una rivista, immenso, rosso come di sangue. Il suo odore, c’era scritto, sembrava quello di carne putrefatta.
Un sorriso illumina, un attimo, il suo viso. La mano di Alfredo riprova ad abbassare la maniglia, una corrente d’aria fredda gli strappa uno starnuto.
Fonte immagine: US Botanic Garden. - http://www.usbg.gov/your-visit/Titan-Day-1.cfmhttp://www.usbg.gov/images/july23at745am_lg.jpg, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3107340
venerdì, ottobre 27, 2017
Ciambella di ricotta
La regola del tre è semplice da ricordare, del resto il tre è il numero perfetto: noi più l'altro, il pari e il dispari, il reale e il sogno.
Rompere le tre uova intere, aggiungere lo zucchero, la scorza di limone grattugiata, un pizzico di sale. Semplice. Poi, velocemente, montare l’impasto fino a farlo diventare gonfio, spumoso.
Lo spazio si trasforma. Ogni perimetro si rigenera in nuova materia. Ciascun senso indugia, si confonde nell'impossibilità di predominare sull'altro. Ricerca, felice, la sconfitta.
Ora e il momento di unire, poco per volta, la ricotta e il lievito e la farina a pioggia. Densa neve da amalgamare, delicatamente.
Se si potesse sarebbe bello allontanare il momento del travaso, dello stampo, del già dato.
Fuggire dal buio infernale per godere del dubbio, della magia dell'incompiuto.
Attendere, pensarti. Ricordare ogni cosa.
Dopo il forno lo zucchero a velo è solo una maschera che precede l'addio. Il grido taciuto tra le labbra. La piccola morte dell'anima.
"Non ti avrò mai!" avrei dovuto urlarti. "Non mi avrai mai!" avrei dovuto dirti.
Rompere le tre uova intere, aggiungere lo zucchero, la scorza di limone grattugiata, un pizzico di sale. Semplice. Poi, velocemente, montare l’impasto fino a farlo diventare gonfio, spumoso.
Lo spazio si trasforma. Ogni perimetro si rigenera in nuova materia. Ciascun senso indugia, si confonde nell'impossibilità di predominare sull'altro. Ricerca, felice, la sconfitta.
Ora e il momento di unire, poco per volta, la ricotta e il lievito e la farina a pioggia. Densa neve da amalgamare, delicatamente.
Se si potesse sarebbe bello allontanare il momento del travaso, dello stampo, del già dato.
Fuggire dal buio infernale per godere del dubbio, della magia dell'incompiuto.
Attendere, pensarti. Ricordare ogni cosa.
Dopo il forno lo zucchero a velo è solo una maschera che precede l'addio. Il grido taciuto tra le labbra. La piccola morte dell'anima.
"Non ti avrò mai!" avrei dovuto urlarti. "Non mi avrai mai!" avrei dovuto dirti.
mercoledì, settembre 20, 2017
Paoletta
"Marrizzettu! Marrizzettu"
A vuci di Paoletta si sentiva fino al mio piano. Pareva una marmitta attruccata che uno difficile avissi pinsato alla fimmina che cera dietro. Iu però u sapeva. A visti crisciri. Era una truttulidda.
Suo padre era unottima persona. Travagghiaturi. Mossi che stava turnannu a casa sopra alla vespa prima di cascari e un camion ci passau di supra che non lo visti. Sua madre pigghiau u so postu nella fabbrica e ce la fici lo stesso a crescere a lei e al fratello ma poi però accuminciano altri vai che a quello su puttano al collegio visto che spacciava davanti alla scola e quella addivintau troppu bedda per non attirare vespe muscuni e suggi di tutte letà e di tutti i generi.
Paoletta pareva non capirla questa cosa. Come a tutti quelli che il loro talento è un rialo del cielo e non celhanno la coscienza della fatica. Dellimpegno. Lei continuava a crisciri come a un ciuri di campo e sua madre non poteva starici dietro sempre che lei ciaveva il suo tormento con la giustizia e lavvocati. Accussì a nicuzza continuava a stari fora in giro e a nesciri dalla porta mezza a nura che a tutto il quartiere ci acchianavano le calorie quannu passava.
"Marrizzettu! Marrizzettu! Non nesciu chiù di sta casa" sintii di nuovo. Poi invece dal balcone a visti ca ieva a ghittari la spazzatura. Il sole era già malato che lestate ormai stava passando ma ancora però quel porco ciaveva la forza di accarezzarla a quella carusidda. Iu agghiuttii sulu a saliva.
Fonte immagine: “Getting dark already. I love #Fall.” by Rach is licensed under CC BY 2.0
lunedì, settembre 18, 2017
Butterfly
Iu ciù riceva a quella cristiana che non poteva fari accussì. Che muovendosi tutta inturciniata ammia con quelle minne e quella lingua e quelle coscie ciauruse non ci avrebbe tratto profitto.
Lei però insisteva e pareva accussì vero che non ciaveva importanza questa mia preghiera ca iu vinni subito come una diga troppu china.
Dopo le solite cose. Un abbraccio. Una parola. La sigaretta ca non si vuleva addumari comu u battagghiu na so ucca.
Alla prima tirata però mava acchianatu di novu supra. Ci vireva i spaddi. U culu. Pareva una farfalla ca vuleva sulu avvulari.
Fonte immagine: “Butterfly” by Tavins Origami is licensed under CC BY 2.0
domenica, settembre 17, 2017
silenzi
No sacciu chi successi.
Tutto allimprovviso le parole sinniienu a farisi una passiata. Forse a trovare unaltro padrone chiù ricco di fantasia oppure a curriri libere nelle strade e nella testa della genti.
Iu che avevo sulu chistu di passatempo marritruvai chiu abbabbasunutu di prima.
Cera cu nella strada o nelle scale mi spiava e mi diceva: "Chiffai Totò non parri chiù?" ma iu accalavo sulu a testa e quasi senza salutari vutata bordo.
Di cussa acchianavu a casa. Rapevu a finestra e aspittavu laria per riprendere il respiro.
Sirrata a ucca. Sirrati locchi e lanima.
Fonte immagine: “Silence” by Leland Francisco is licensed under CC BY 2.0
sabato, settembre 16, 2017
Agnosia
A volte è solo un difetto occasionale,
un breve spazio di tempo,
una momentanea confusione.
Si sovrappongono ai miei occhi,
dei commensali, i volti...
maschere tra maschere: noi, uguali.
Fonte immagine: “Faces” by Roy Lister is licensed under CC BY 2.0
martedì, giugno 13, 2017
sognando
Ancora notte.
Le lenzuola a terra
a fare da cornice,
i cuscini fradici,
noi.
Improvvisa l’aurora.
Riesco a scorgere i tuoi fianchi
prima che tutto sparisca
in una luce che acceca ancora
l’anima.
Fonte immagine: “love or dream?” by AngelsWings is licensed under CC BY 2.0
venerdì, giugno 09, 2017
[Alfredo] a portata di mano
Alfredo guarda il pubblico: si appassiona alle rughe, alle rapide occhiate di ricerca, ai piccoli gesti di cortesia delle persone.
Sul palco vecchie musiche di lotta e cori. Lui ha trovato un posto in ombra, per fortuna è arrivato un po’ in anticipo e la piazza, quasi tutta invasa dal sole, era ancora semi deserta.
Ascolta. Ogni tanto una canzone lo invita gentile e allora Alfredo socchiude le labbra quasi volesse rispondere a quell'invito, ma non esce nessun suono dalla sua bocca. Come non fosse possibile, come non fosse più possibile.
In effetti Alfredo non canta. Parla sempre meno, a dire il vero, e se potesse anche quelle poche parole le lascerebbe volentieri andare via in un respiro fatto di attesa e ricordi:
“O ragazza dalle guance di pesca,
O ragazza dalle guance d'aurora...”
Sorride ora. Attende che la canzone, che chiude il concerto, finisca, poi decide di andare a passeggiare tra i tigli.
Fonte immagine:“sOs Revolt (souls in Re-evolution)” by jeici1 is licensed under CC BY 2.0
sabato, maggio 20, 2017
memento
Smettere prima del ridicolo,
dell'immobile maschera.
Rinascere da se stessi,
come fosse sempre possibile
la meraviglia.
Fonte immagine: “Kid” by Ted Van Pelt is licensed under CC BY 2.0
lunedì, maggio 15, 2017
[Alfredo] condividere
Alfredo ha trovato un pacco dentro l’armadio. Dentro il pacco una pistola. Sembra funzionare. Ha anche i proiettili. Alfredo li passa, uno ad uno, tra le dita, poi ripone tutto. Vorrebbe sapere perché è lì, ma non se ne cura poi tanto. Potrebbe essere utile una pistola. Anche usata come schiaccianoci. Senza proiettili inseriti, certo. Non è mai utile agire senza sicurezza.
Pochi minuti dopo è già fuori.È tornato il sole.Un sole caldo, opprimente.
Alfredo inizia a sudare già durante i primi passi. Ha dimenticato il cappello e la cosa lo preoccupa parecchio. Quando arriva vicino al suo albero si sente più tranquillo.
La panchina è libera e all'ombra. Nessun altro oltre lui.
“Dove sono finiti tutti?” Si domanda. Poi ricorda che quello è un giorno di festa. Il ponte. I viaggi programmati. Le auto cariche in fila in autostrada.
Sorride Alfredo e ringrazia il cielo di essere vecchio e di quella panchina, anche, a cui invitare dio.
Pochi minuti dopo è già fuori.È tornato il sole.Un sole caldo, opprimente.
Alfredo inizia a sudare già durante i primi passi. Ha dimenticato il cappello e la cosa lo preoccupa parecchio. Quando arriva vicino al suo albero si sente più tranquillo.
La panchina è libera e all'ombra. Nessun altro oltre lui.
“Dove sono finiti tutti?” Si domanda. Poi ricorda che quello è un giorno di festa. Il ponte. I viaggi programmati. Le auto cariche in fila in autostrada.
Sorride Alfredo e ringrazia il cielo di essere vecchio e di quella panchina, anche, a cui invitare dio.
sabato, maggio 13, 2017
[Alfredo] assenze
Ora gli è rimasto solo il ricordo di averne avuta una e un drappo di immagini, di particolari, che ogni tanto gli si affollano in testa regalandogli un sorriso o un leggero esitare della mano che alcuni potrebbero interpretare come una carezza.
Alfredo è stanco, ma non sa bene cosa ciò significhi.
sabato, aprile 29, 2017
che poi
Che poi, di questo si occupava il dolore:
tenere desta l’anima,
scegliere,
al crocicchio delle occasioni,
lo stretto sentiero,
il sogno.
tenere desta l’anima,
scegliere,
al crocicchio delle occasioni,
lo stretto sentiero,
il sogno.
sabato, aprile 22, 2017
[Alfredo] isole
Alfredo guarda lontano. E’ tornato al parco e questa volta ha scelto di sedersi al sole. C’è stato un po’ di freddo nei giorni precedenti e le ossa iniziano a far male.
Sembra assorto Alfredo, in effetti quando inizia a guardare così per lui tutto scompare e dentro la sua testa inizia un lavorio fatto di coincidenze e assonanze ed elementi esterni e fughe scontate verso pensieri privi di significato.
Ecco oggi è iniziato tutto da un movimento strano che gli era sembrato di scorgere tra due alberi.
“Un coniglio” si era detto e subito però era arrivato quel rubasogni di un Walt con il suo panciotto e l’orologio che un po’ gli ricordava quello ricevuto dal nonno, chissà se era davvero così alto il prestigio dei ferrovieri un tempo in quell'Italia fascista fatta di treni in orario e confini, pensare che solo pochi anni qualcuno aveva parlato di vacanze, magari in un isola, a Ustica o sulle Tremiti, a Pantelleria.
Ci sarebbe tornato volentieri Alfredo a Pantelleria, c’era stato da giovane. Lui che non sapeva neppure nuotare, prigioniero di un luogo e di gente straordinaria, chissà cosa hanno in comune gli isolani e i montanari, forse solo il legame forte con la propria terra, l’appartenenza, un po’ come il sentirsi ancora comunista, il graffio della gatta a chi si avvicina ai suoi piccoli, il sapore di una granita alla mandorla in una mattina d’agosto, il fuoco.
Il sole inizia a dare fastidio, Alfredo si alza e si dirige verso casa. Il piccolo parco è deserto, solo un ragazzo che si avvicina a lui e lo ferma per chiedergli dei soldi, qualcosa da mangiare. Ha quel finto abbigliamento americano da ghetto che il vecchio odia e dignità. Alfredo decide che può fidarsi. Saranno in due a tavola, oggi, a dividere il pasto.
Fonte immagine: “PANTELLERIA” by mauro is licensed under CC BY 2.0
[Alfredo] Romani
“Hanno sparato di nuovo. Questa volta alla polizia, però”
“Già”
“E domani ci sono le elezioni... sa che il poliziotto ucciso era omosessuale?”
“Crede sia importante? Dopodomani comunque, le elezioni”
“Sì, sì. Dopodomani, è vero. È il giorno del compleanno di mia nipote“
“Auguri”
“Grazie, grazie. Le ho già comperato il regalo, sa? Un libro bellissimo, sui romani”
“Le piace la storia?”
“Non lo so, li studia quest’anno. Ma il libro ha tutte le pagine che si sollevano e magari...”
“Sì, certo. E come finisce?”
“Cosa, mi scusi”
“Il libro. Come finisce?”
“Non credo abbia una fine. Cioè non è la storia con le battaglie e i confini e la repubblica e l’impero, è più... e più sui costumi, ecco”
"Niente fine dell'impero, allora"
"No, no. Niente fine"
Fonte immagine: “Money from around the world” by Images Money is licensed under CC BY 2.0
lunedì, aprile 17, 2017
[Alfredo] ai miei tempi
Ai miei tempi sarebbe già stato in pensione. Avuto dei nipoti, forse. Amici con cui bere e imprecare ai tavolini.
Ai miei tempi avrebbe votato comunista e maledetto servi e padroni.
“Ai miei tempi” è quello che oggi ritorna, mentre attraversa una città deserta, mentre ricorda di giovani morti a Milano tanti anni prima, di lotte.
“Ai miei tempi” è la frase che Alfredo fugge e, quando questa torna, lui la appallottola e la calcia via.
Ai miei tempi è un passato mai esistito, un presente che non esisterà.
Fonte immagine: “SDS protest: University of Michigan students sit-in at Administration Building, November 5, 1968.” by Wystan is licensed under CC BY 2.0
sabato, aprile 15, 2017
[Alfredo] fogli
Sui giornali le notizie di una prossima guerra mondiale si mischiano a quelle sui pettegolezzi, sulle scaramucce da piccolo cortile. Chissà se è sempre stato così, nelle altre guerre, al loro iniziare.
Alfredo è diviso tra la voglia di godersi in pace questi giorni di luce, questa piena primavera e quella di discutere, di approfondire. Forse è proprio questo a renderlo così nervoso, così incapace di fare, di muoversi. Forse è proprio per questo che decide di fare ordine in casa. Accade sempre in tali frangenti. Alfredo crede che fare ordine in casa quando si è in difficoltà sia essenziale. Un puro atto spirituale.
Da un cassetto escono fuori delle vecchie foto, probabilmente sono lì dal trasloco.
Alfredo sfoglia i piccoli libretti dalla plastica ingiallita, “il passato è passato” pensa e un po’ si auto assolve dai disastri che sente intorno.
In uno di quei libretti tra due foto sente, sotto il tatto, un bozzo. E’ un pezzo di carta. Alfredo lo estrae con curiosità. Un vecchio foglio di quaderno piegato con precisione. Da un lato equazioni di algebra, dall'altro solo una frase “Presto occuperemo il paradiso”.
Fonte immagine: “Model of the Hiroshima bombing” by Maarten Heerlien is licensed under CC BY 2.0
venerdì, aprile 14, 2017
[Alfredo] alzare lo sguardo
Ci sono giorni in cui Alfredo esce di casa a caccia di Bellezza.
Per farlo, quando capitano queste urgenze, Alfredo, a volte, segue strani percorsi. Attraversa strade mai utilizzate, ricerca incontri non immaginati. Più spesso affronta le solite vie. Semplicemente, in questo caso, cambia prospettiva: invertendo il senso di marcia abituale, guardando al di là dei tabelloni pubblicitari, spiando tra le grate o dentro alle finestre aperte, cercando negli occhi della gente.
Non sempre è una caccia fortunata, Bellezza sfugge se l’occhio e il cuore non desiderano avvicinarla, se è solo la testa a chiedere. Ma Alfredo sa già che anche questo può succedere e allora dimentica in fretta l’accaduto e si dà un nuovo indefinito appuntamento. Un altro giorno.
Oggi gli è sembrato di essere fortunato. Ha potuto riconoscerla in un soffitto meraviglioso, tutto in legno. Cassettoni dipinti con dentro i colori del cielo e dell’oro. Avrebbe voluto sdraiarsi sul pavimento di quella stanza e rimanere lì a fissare quel nuovo cielo. L’esatta alternanza prospettica di ottagoni e quadrati concentrici. Il magnifico affresco centrale.
Era sempre stata chiusa quella finestra o forse era solo stato lui a non aver mai alzato lo sguardo.
Fonte immagine: “BEL SOFFITTO” by Gianni PINO is licensed under CC BY 2.0
giovedì, aprile 13, 2017
[Alfredo] Chopin
Ora Alfredo ascolta alla radio Alice Sara e nel frattempo pulisce le sardine acquistate il giorno prima, in offerta, al supermercato.
Sembravano ancora fresche e lui aveva proprio voglia di pesce.
Sotto le sue dita i piccoli animali si aprono delicatamente e con pazienza Alfredo toglie loro le viscere, la lisca, la testa appuntita.
Nella cucina piena di sole Chopin lo accompagna e tutto pare abbia un senso, una dolcezza infinita.
Anche quelle povere vite, a cui ha già chiesto perdono, brillano. Sul tavolo un bicchiere, dei biscotti, una bottiglia ancora chiusa di vino.
“Frédéric Chopin” by Jarosław Pocztarski is licensed under CC BY 2.0
mercoledì, aprile 12, 2017
[Alfredo] Busker
“Ma tu lo hai visto quel tipo? Campi di concentramento! Da non crederci...”
“Passi tu a prendere il piccolo? Non posso proprio. Una consegna urgente, sì...”
“No, li dovevi proprio vedere. Nessun pudore, come gli animali ti dico, come gli animali...”
Basta stare fermi. Basta stare fermi in un via del centro e attendere che le notizie arrivino addosso. Puzzle. Alcuni semplici. Piccoli rebus con parole e immagini. Altri da comporre aggiungendo pezzi personali. Incastrare. Buttare via. Tutto qui il gioco.
Alfredo non riesce a capacitarsi di questo mettersi in piazza, di questi ridicoli soliloqui.
Ogni tanto vorrebbe fermare qualcuno, chiedergli qualcosa.
“Ma lei ha fonti sicure su questa notizia? Cosa pensa che potremmo fare? Sarà possibile organizzarsi, aiutare? E lei signora, crede veramente che suo marito non sappia del suo amante? E tu? Tu hai mai veramente amato con passione? E cosa è per te il pudore?”
E però Alfredo cerca di dimenticare in fretta quelle voci e continua a camminare. Solo spera ancora che da una finestra lasciata aperta sulla via arrivino i primi accordi di un piano o che un artista da strada sfugga alla giustizia dell’urbano decoro.
Fonte immagine: “Busker in Florence” by Justin Norris is licensed under CC BY 2.0
martedì, aprile 11, 2017
[Alfredo] ozio
Per le piccole pause di ozio Alfredo si affida alla sua poltrona. E' un rituale ben preciso: niente scarpe, vestiti comodi, occhi chiusi.
Alfredo si assenta e lascia che affiorino le sensazioni della giornata.
Può essere il piccolo dolore al ginocchio che lo tormenta da mesi o le note del fisarmonicista udite nella passeggiata mattutina. A volte sono i brontolii di una colazione mal digerita o un formicolio che si affaccia malinconico al basso ventre.
Mancano sempre i pensieri più profondi in questo suo riordinare. Egli li ricaccia via ogni volta che essi tentano di presentarsi e per farlo parla spesso loro con dolcezza: “Questo è il momento delle sensazioni, lo sapete, inutile che veniate qui a bussare, ci sarà tempo per voi, ce n’è sempre stato”, ma capita, a volte, che quelli non vogliano proprio ascoltarlo. E' allora che Alfredo, con atto d’imperio, inizia a dormire.
Fonte immagine: “For a life of leisure” by Donald Lee Pardue is licensed under CC BY 2.0
domenica, aprile 09, 2017
[Alfredo] sottobosco
Non è più tornato in piazza Alfredo e la scatola presa a casa dell’amico è ancora al suo posto. Non sa bene cosa ne farà, se la utilizzerà.
No, non si è tirato indietro. Il fatto è che Alfredo non sa bene di chi sia ora la responsabilità di quello che accade nella sua città. Non che di questa ignori la storia o il presente politico, ma ha perso familiarità con quel sottobosco che esegue o anticipa le decisioni del vertice, che si inebria di finto potere e che fa della soddisfazioni dei desideri altrui, siano essi dichiarati platealmente o percepiti dallo stesso lacchè, il proprio lavoro.
Lentamente Alfredo costruisce un archivio: ritaglia articoli di giornali locali, appunta stralci di discussione, ipotizza vari interventi. Ci vorrà del tempo, lo sa.
Fonte immagine: “In Politics” by MCAD Library is licensed under CC BY 2.0
sabato, aprile 08, 2017
[Alfredo] Sogni
Alfredo non ricorda quasi mai i suoi sogni.
Da piccolo, invece, gli capitava spesso di farne a puntate, come negli sceneggiati della televisione, e lui allora attendeva con ansia che il sogno arrivasse, che i personaggi riprendessero, sera dopo sera, quella sua personale creazione.
Non c’era mai una conclusione in quei sogni, ma la cosa non lo infastidiva poi tanto.
Da adulto solo qualche incubo, alcuni sogni erotici, la felicità, nei sogni più fortunati, di rivedere il viso di chi era andato via per sempre.
Alfredo ascolta con attenzione i sogni degli altri. Gli piacciono soprattutto quelli in cui il lato fantastico scaccia via la logica del reale. Quando però, puntualmente, gli viene chiesta un’opinione, una decodifica buona per i numeri del lotto o per riaddormentare la coscienza, lui scuote la testa e risponde solo: “E’ stato un magnifico sogno, conservalo se puoi” poi passa a parlare d’altro.
Fonte immagine: “Dreaming” by Pedro Santiago is licensed under CC BY 2.0
domenica, aprile 02, 2017
[Alfredo] Vecchio
Alfredo legge distratto. È seduto sul divano e il libro è un bel libro, trascinante, arguto. Eppure Alfredo non riesce a isolarsi totalmente, non avviene quello che sempre succede quando legge con passione. Deve essere qualcosa che dal libro si è riversata su di lui, un pensiero, una frase. Prova, allora, a tornare indietro, a saltare tra le righe a caccia di piccoli tremolii dell’anima, fin quando non trova la soluzione.
Lo scrittore, quasi fuori tema, parla di una piccola lolita, dei turbamenti coscienti del protagonista. Eccolo seduto al bar con un amico sussurrare un “i giovani non perdonano nulla ai vecchi” prima di riprendere il filo vero del romanzo. Chissà cosa ha imposto allo scrittore questo piccolo intaglio esistenzialista. Un intermezzo banale, forse, nella sua acclarata verità, se non fosse che lo stesso Alfredo, ora, lo senta improvvisamente suo. Si scopra, senza alcun vero preannuncio, vecchio.
Fonte immagine: “Old Man” by Daria is licensed under CC BY 2.0
giovedì, marzo 30, 2017
[Alfredo] Armi 2
Il ritorno verso casa è ancora più monotono. Alfredo poggia la testa sul finestrino e cerca di dormire, ai suoi piedi una busta e dentro la busta una scatola e dentro la scatola qualcosa che non ha mai usato.
Quando arriva casa gli sembra più bella di come l’aveva lasciata. Non è cambiato nulla, lo sa bene, ma gli piace pensare che sia così. Trova un luogo sicuro dove nascondere la scatola e poi va a dormire. Ha preferito non aprirla, ne ha solo sentito il peso, e ora, sotto le coperte, ripensa a come sia stata buffa l'idea di utilizzare una vecchia scatola del Monopoli.
Fonte immagine: “Beretta P818” by Beau Maes is licensed under CC BY 2.0
martedì, marzo 28, 2017
[Alfredo] Armi
Alfredo esce presto da casa. Ha già comprato il biglietto della corriera e la strada è lunga e noiosa. A guardare dai finestrini la pianura sembra essere stata dimenticata, nascosta da costruzioni senza importanza o storia. Capannoni. Ruderi. Ogni tanto però riappare e diventa colore e gli alberi artigli di vita ancora pronti a graffiare il cielo.
Quando arriva quasi non riconosce il paese, poi decide di abbandonare la vista di quelle vetrine di una improbabile america e si affida ai palazzi, alle pietre. La casa che cerca un tempo era fuori dal centro, ora è circondata da condomini bianchi e cartelli stradali.
“Ma sei tu? Dai entra!”
Il vecchio che gli ha aperto la porta ha pochi capelli e buchi larghi tra i denti, però sembra ancora in forma e l’abbraccio che gli riserva è di quelli che lasciano pochi dubbi sull'essere amici anche dopo tanti anni.
Alfredo gli racconta poco perché poco gli e successo, poi gli chiede delle armi.
“E cosa dovresti farne?” chiede il vecchio.
Lui risponde solo “mi servono” e tutto finisce lì, che basta.
Fonte immagine: “Beretta P818” by Beau Maes is licensed under CC BY 2.0
domenica, marzo 26, 2017
[Alfredo] Western Stories
La bimba, seduta a cassetta sulla diligenza di plastica, tira le redini di quattro cavalli neri e ride sballottata da sussulti automatizzati, sempre uguali agli occhi degli adulti, sempre diversi.
La madre, con un tatuaggio di piume, è poco lontana, gli occhi e le mani sul cellulare, attende di caricare un nuovo gettone in quella macchina infernale che le assicura qualche minuto di riposo, ma nel frattempo parla degli acquisti e dell’amante con l’amica forzando le parole fino a farne una trama rumorosa di menzogne. Una coppia di ragazzini si esplora senza pudore su una delle panchine poste di fronte ai negozi, le altre sono quasi tutte terra di conquista di vecchi abbandonati o di mariti che fumano insofferenti.
Alfredo non ricorda bene perché sia finito lì, o meglio lo sa ma la cosa ha perso per lui ogni importanza. Vorrebbe abbandonare subito quel luogo, ma è contro la sua natura fuggire. Cammina lentamente allora, le mani dietro la schiena e un cappello leggero a proteggere dal sole che scalda la pista.
Ovunque voci e pessima musica in sottofondo. La gente è accaldata, i maglioni mattutini spariscono attorno ai fianchi dei ragazzi o si affacciano profumati dalle borse delle signore quasi a chiedere aiuto, quasi fossero stati rapiti. La primavera, improvvisa, è arrivata.
Fonte immagine: “al centro commerciale day” by Luca Biada is licensed under CC BY 2.0
sabato, marzo 25, 2017
[Alfredo] Pesce
Alfredo aveva tentato di afferrare qualcosa di utile tra tutte quelle notizie che gli erano piovute in testa come pioggia battente.
Era ancora a tavola.
Era stato invitato a cena da una sua vecchia amica e la loro conversazione, fino a quel punto abbastanza piacevole, era stata interrotta da un'espressione di sorpresa sul volto di lei (alla veloce lettura seguita a un bip d'avviso del cellulare) e dall'immediato arrivo (dopo un'affannata ricerca del telecomando) di un torrente di voci a commentare l'ennesima strage.
La televisione era alle sue spalle, ma lui non si era nemmeno voltato a guardarla. Piuttosto aveva atteso paziente che lei si decidesse a ritornare al loro incontro.
"E' incredibile, è incredibile" continuava a mormorare la donna. E poi: "Ma come fai? Come riesci a non preoccuparti?"
Alfredo aveva alzato le spalle per poi riprendere a cenare da solo.
Il pesce era proprio buono, gli sembrava fosse anche un ennesimo affronto alle vittime e ai carnefici rovinarlo.
Fonte immagine: “A Plate of Fried Fish” by Dave Collier is licensed under CC BY 2.0
venerdì, marzo 17, 2017
[Alfredo] Pozzi
Alfredo cerca le chiavi di casa, poi gli occhiali, il portafoglio, le caramelle alla menta che porta sempre con sé, i fazzolettini di carta, i bollettini da pagare alla posta.
Alfredo si muove da una stanza all'altra e guarda fuori ogni tanto e si siede e si rialza e di nuovo controlla di avere tutto.
Alfredo finalmente esce di casa e un sole festoso lo accoglie, lo abbraccia con delicatezza, gli fa dimenticare gli impegni, lo trasporta verso il parco.
“Alfredo! Alfredo!”
Qualcuno lo chiama, ma lui non si ferma e prosegue e allora la voce lentamente sparisce fino a quando non ne rimane che un rivolo nella mente.
Alfredo si ferma all'edicola, una di quelle piccole casette che hanno sostituito i vecchi chioschi degli incroci, e il proprietario lo saluta quasi urlando mentre lui risponde solo sorridendo.
Gira lentamente tra tutte quelle copertine sapendo già che non acquisterà nulla, che prenderà solo il solito giornale, quello che in genere compra la domenica o quando si siede sulle panchine in centro a vedere passare la gente. Già le panchine, quelle che hanno tolto, quelle che devono tornare.
Alfredo prende il giornale e si sposta verso il parco, trova un luogo dove può sostare tra ombra e luce e si siede e sfoglia con attenzione le pagine prima di iniziare a leggere e ritorna indietro e inizia e smette e riflette su come sia strano il fatto che i giornali parlino in tanti loro articoli di televisione e pensa che lui la televisione ha smesso di guardarla tanti anni prima, il 13 giugno 1981 per essere precisi.
Fonte immagine: “Light and dark” by Tom Anderson is licensed under CC BY 2.0
giovedì, marzo 16, 2017
[Alfredo] Posare lo sguardo
Alfredo ama la gente, tutte le persone che incontra o conosce, anche se spesso questo amore somiglia a quello dell’etologo per le sue creature.
Il fatto è che ad Alfredo piace osservare gli umani. Passerebbe ore a spiarne i movimenti, a sentirne le parole, a immaginarne l’anima. Tutto questo avviene senza che egli dia alcun valore morale alle azioni sviluppate dal suo oggetto di studio. Alfredo è sempre pronto a giustificare, a razionalizzare qualsiasi scelta, qualsiasi pulsione.
Certo questo tirarsi fuori nel momento dello sguardo non gli impedisce, quando egli stesso rientra negli osservabili, di criticare, di esprimere giudizi, di partecipare attivamente al proprio presente, poiché anche il suo vivere è un personalissimo caso di studio.
Il fatto è che ad Alfredo piace osservare gli umani. Passerebbe ore a spiarne i movimenti, a sentirne le parole, a immaginarne l’anima. Tutto questo avviene senza che egli dia alcun valore morale alle azioni sviluppate dal suo oggetto di studio. Alfredo è sempre pronto a giustificare, a razionalizzare qualsiasi scelta, qualsiasi pulsione.
Certo questo tirarsi fuori nel momento dello sguardo non gli impedisce, quando egli stesso rientra negli osservabili, di criticare, di esprimere giudizi, di partecipare attivamente al proprio presente, poiché anche il suo vivere è un personalissimo caso di studio.
lunedì, marzo 13, 2017
[Alfredo] Regoli
C’è una piccola via del centro che Alfredo ama percorrere. Larga solo due metri e lunga una ventina ha piccoli portoni colorati posti a breve distanza uno dall'altro e mura di colori e stato di conservazione diversi.
Ad Alfredo quella via ha sempre fatto venire in mente i regoli con cui da piccolo avevano tentato di insegnargli la matematica. Lui con quelli, però, si divertiva molto di più a giocarci, a inventare ballerine costruzioni sempre sul punto di crollare per essere poi ricostruite.
Lì, in quella via, gli sembrava che quei pezzi fossero stati attaccati uno all'altro senza altro disegno che non fosse la casualità. Certo Alfredo sapeva benissimo che quel curioso aspetto era dovuto a una lunga serie di successioni familiari e che per uno strano vezzo nobiliare le divisioni erano state fatte in verticale, per cui quasi ogni abitazione era composta da due o più piani con non più di una grande stanza per piano, ma questo non toglieva nulla alla magia di quel piccolo caleidoscopio.
Lui, dopo averla attraversata, dopo aver scoperto ogni volta un nuovo particolare sfuggito alle visite precedenti, chiudeva gli occhi e tornava bambino.
domenica, marzo 12, 2017
[Alfredo] Moka 2
“Io credo che dovremmo tornare a fare qualcosa”
Alfredo inizia a parlare a occhi bassi, lentamente, cercando le frasi giuste da dire.
“Ecco sì, credo che ormai con i nostri acciacchi... non abbiamo più molto da perdere e allora dovremmo tornare…”
“Tornare dove?”
Le parole dell’amico fermano la sua ricerca. Lo sta guardando con in una mano la tazzina del caffè e nell’altra la zuccheriera.
“No, no grazie. Lo prendo amaro... tornare a farci sentire, fare qualcosa insomma...”
“E magari finire con una bella pallottola in testa o a preparare il caffè agli amici di cella”
“E allora? Credi sia meglio ora senza nemmeno una panchina su cui sedersi?”
“Panchina?”
“Sì, sì, panchina! Potrebbe anche essere solo qualcosa di dimostrativo, qualcosa per far capire che ci siamo ancora. Io ricordo ancora alcune cose, posti dove si può trovare materiale…”
“Alfredo non c’è più tempo per noi, non c’è più tempo” lo interrompe l’altro sorridendo.
Ora sono seduti a fianco, sullo stesso lato del tavolo da cucina. Il caffè è magnifico e Alfredo prova a centellinarlo in attesa di nuove parole. Stanno un po’ in silenzio poi lui si alza.
“Bene, devo proprio andare ora”
“Abiti sempre nella stessa casa?”
“Sì”
“Ci penserò su, allora”
“Bene”
“Bene”
Alfredo è di nuovo in strada, si sente meglio, è passata anche la nausea. Si ferma al bar e si concede una pasta, niente caffè stavolta perché allora la pressione schizza.
Fonte immagine: “Moka Pot” by Bill Rice is licensed under CC BY 2.0
[Alfredo] Moka
Alfredo si è appena svegliato. Ha dormito male questa notte, lo sente nelle ossa che scricchiolano più del solito, nella difficoltà a mettere a fuoco ogni cose. Prepara la caffettiera e prova anche ad assaggiare uno di quei biscotti al burro che ha comperato il giorno prima, ma subito avverte una forte nausea e allora rinuncia, così rimane solo l’amaro della tazzina e lo stomaco che borbotta qualcosa prima di riprendersi un po’.
Si lava, si veste ed esce. Ha deciso di rivedere un vecchio compagno, lo ha incontrato al funerale del Pascutti. Tante bandiere, tanta gente, addirittura alcuni ragazzi. Alfredo si era anche lasciato andare a un canto e alla sensazione di ritrovarsi a casa.
“Ciao, cosa fai qui?”
“Voglio parlarti”
“Dai entra”
Lo aveva visto, quella volta, con un pesante cappotto addosso, elegante come sempre era stato. Ora invece gli aveva aperto in mutande. Addosso una vecchia maglia di lana e ciabatte ai piedi.
Si allontana e lo lascia da solo in cucina. Quando, poco dopo, torna, indossa una tuta.
“Dormivi?”
“No, tentavo di masturbarmi”
“Non fa mai male”
“No”
Si volta e prende la moka, prepara un caffè.
"Non fai la montagnetta?" sussurra Alfredo.
"No, preferisco raso"
I due attendono in silenzio. Alfredo è seduto, l'altro rimane vicino al fornello a guardare il fuoco basso.
Alfredo ora è un po’ perplesso su quello che voleva dire.
Fonte immagine: “Moka Pot” by Bill Rice is licensed under CC BY 2.0
sabato, marzo 11, 2017
[Alfredo] Panchine
Alfredo cammina. E’ sulla via principale della città in questa giornata di luce, di primo tepore. Il suo passo è lento: non ama correre Alfredo. E poi correre verso cosa, verso dove?
Qualcuno lo supera urtandolo o gli arriva addosso distratto, ma lui non se la prende troppo. Vuole solo arrivare in piazza, sedersi un po’ a leggere il giornale, guardare passare la gente. Non lo fa da tempo. Ultimamente si è limitato a gironzolare nel quartiere vicino casa o al massimo ad arrivare al parco più vicino.
Quando finalmente lo spazio si allarga, Alfredo scopre che sono sparite tutte le panchine. Per sedersi ora bisogna utilizzare le sedie ai tavoli dei bar o i pochi gradini che portano al piedistallo del barbuto. Alfredo scarta quest’ultima possibilità. Non ha più l’età e non c’è più spazio tra quei ragazzi che a gruppetti giocano a definirsi. Così decide di tornare verso la fermata del bus, verso casa.
All'angolo della piazza, sul lato opposto a quello da cui è arrivato, un tavolo con delle bandiere. Qualcuno fa firmare i passanti, qualcun altro distribuisce volantini “contro il degrado”.
Alfredo porta subito la mano in tasca come a cercare qualcosa, poi gli torna in mente che è passato ormai tanto tempo. Stringe, allora, solo il pugno a ricordare e porta gli occhi verso le luci delle paline informative. Anche oggi l’autobus è in ritardo.
Fonte immagine: “Garibaldi in Anghiari” by Monica Arellano-Ongpin is licensed under CC BY 2.0
venerdì, marzo 10, 2017
[Alfredo] Vespro
C’è un momento della giornata in cui Alfredo ama particolarmente guardare il mondo. E’ quello in cui il sole è appena tramontato alla vista e una luce affiora fioca da dietro i palazzi illuminando ancora un poco il cielo. E’ il vespro, l’ora delle laiche preghiere.
Lui toglie gli occhiali e guarda lontano dall'unica finestra di casa. Tutto gli appare indistinto, spariscono i contorni, le stesse luci delle case, delle strade, tremolano come stelle. A volte Alfredo viene così preso da quel paesaggio che raggiunge per un attimo la sicurezza di farne parte. Di essere anch'egli mondo.
Da piccolo una volta la maestra gli aveva fatto disegnare lo sfondo di una città su di un cartoncino nero, per farlo si era servito di uno dei preziosi gessetti con cui si scriveva alla lavagna, quelli riposti sempre con attenzione nel cassetto della cattedra. Alfredo si era impegnato molto, credeva anche di aver fatto un buon lavoro.
“Ora ritaglia seguendo il contorno” gli aveva detto lei, dopo aver controllato.
Anche quello era stato fatto con precisione, pur con qualche comprensibile difficoltà. Alfredo, in effetti, non sapeva bene come scontornare i frondosi rami che aveva inserito e anche i contorni dei semafori furono un problema.
Quando finalmente ebbe finito la maestra lo invitò a scegliere un nuovo cartoncino di colore diverso. Lui ne prese uno color arancio.
“Ecco ora incollalo su questo” gli suggerì lei.
“Così?” chiese Alfredo
“No, no. Prova a capovolgerlo” spiegò con gentilezza la maestra.
Improvvisamente sparirono porte e finestre e strade e palazzi, rimaneva, agli occhi di Alfredo, un indistinto nero su cui la donna applicò con leggerezza piccoli punti di luce subito sfumati dai polpastrelli delle sue dita lunghe e sottili.
Alfredo si accorse quella volta che la maestra non portava lo smalto sulle unghie, non lo aveva mai notato prima.
Fonte immagine: “Sunset @ Old City of Annecy” by Guilhem Vellut is licensed under CC BY 2.0
giovedì, marzo 09, 2017
[Alfredo] Casa
Quando fuori piove Alfredo rimane in casa a conversare. Vengono a trovarlo in molti e a lui diverte parlare con loro di ciò che nel mondo succede o di quello che poteva o potrebbe succedere.
Alcuni dei suoi ospiti sono già morti e lui non potrà mai rivelare loro le sue conclusioni, altri sono lontani o hanno una vita di cui lui ormai non sa più nulla, magari, certuni, non li ha mai conosciuti, ma questo non impedisce ad Alfredo di accalorarsi e di sorridere e di annuire o dissentire con convinzione.
Quasi sempre si discute di grandi temi anche se Alfredo trova più divertente, con gli amici più assidui, tirar fuori le piccole beghe che a volte li hanno quasi fatto litigare.
A volte succede che sbuchino all'improvviso facce che Alfredo ha da tempo cancellato, lui allora si alza dalla sedia e cammina e apre il frigorifero e fa ordine nei ripiani della credenza finché quelle non sono andate via.
La casa di Alfredo ha due stanze e un piccolo bagno con una finestrella sul cortile; lui la lascia sempre chiusa per impedire agli odori della cucina del ristorante cinese, giù dabbasso, di invadere ogni cosa.
Fonte immagine: Anna Paghera s.r.l. - Interior Design
martedì, marzo 07, 2017
[Alfredo] Figli
"Lei non ha figli?"
Alfredo abbassa un
po’ lo sguardo poi riprende a parlare d’altro.
Gli sembra che
quella storia di cui stavano discutendo sia poco plausibile, montata
a dovere per dimostrare che nessuno si salva, che tutti sono uguali. L’uomo con cui sta dialogando da più di un’ora riprende allora a
elencargli date e avvenimenti, ma Alfredo non lo segue più, pur
seguendolo.
Quando sente la voce di quello spegnersi dice:
"Ecco adesso mi è
più chiaro" e si alza come si fosse ricordato solo in quel momento di qualcosa di importante da fare.
"E stato un piacere" aggiunge salutando. L'altro lo ferma stringendogli la mano.
"Potremmo vederci
domani, lei viene spesso qui?" domanda.
"A volte" risponde Alfredo e si allontana.
Il sole è già
andato via e l’aria è divenuta più fresca. Alfredo chiude il
cappotto e sistema meglio il cappello sul capo. Sull'autobus che lo
porta verso casa poche persone: un giovane immigrato che guarda passare le vetrine, una
badante con una busta da supermercato sdrucita poggiata a terra tra le gambe, due ragazzi che si
annusano innamorati.
Fonte immagine: “Autobus 6 B. Pastore -Sacca” by Claudy-o Cdy-o is licensed under CC BY 2.0
domenica, marzo 05, 2017
Agota Kristof - Ho solo cinquant’anni -
"Ho solo cinquant’anni. Se smetto di fumare e di bere, o piuttosto di bere e di fumare, potrei ancora scrivere un libro. Dei libri no, ma un libro solo forse sì. Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia. Se resto qui, non scriverò mai un libro."
sabato, marzo 04, 2017
[Alfredo] Nomi
Alfredo aveva sempre sofferto il fatto di non saper dare nomi precisi alle piante, di non essere in grado di distinguere tra salici e pioppi, tra olmi e lecci, tra querce e tamerici.
Tante volte aveva provato a superare questa sua mancanza, soprattutto riguardo agli alberi. Per farlo ne aveva letto con attenzione le storie sui libri, acquistato vecchi volumi con disegni bellissimi, visitato, tutte le volte che poteva, gli orti delle città in cui si trovava.
Grazie a questo aveva imparato ad aver paura dell’alito mortale del tasso, a sorridere del chiasso del bagolaro, ad aver pietà di chi aiutò Giuda, a cercare il cipresso e il suo gemello nei momenti di fame, ma nonostante tutto ancora si confondeva, anche quando aveva solo un riconoscibilissimo, maestoso Cedro di fronte ai propri occhi. A nulla serviva imprecare contro la propria ribelle memoria, contro quel ricordarsi le inezie dimenticando il necessario.
Nella sua passeggiata mattutina quel giorno era stato attratto da un albero che gli pareva di non aver mai visto. Era ai margini della città. La verde chioma tondeggiante poggiava su un tronco così alto che sembrava voler dividere il cielo.
Poco distante sorgeva un piccolo parco giochi: uno scivolo, una altalena doppia, una vasca di sabbia. Su una panchina sedeva un vecchio, guardava un bimbo indaffarato ad arrampicarsi sulla scaletta di quel regno momentaneamente solo suo.
Alfredo chiese informazioni senza successo. Si avvicinò allora ancora più alla pianta, sperando in un cartello o in un improbabile rinsavirsi della propria memoria. Giunto quasi a toccarne la corteccia gli parve di udire una flebile voce. Qualcosa di misterioso e musicale. Poggiò allora l’orecchio al tronco e, senza ragione, iniziò a piangere. Gli succedeva sempre più spesso con l’avanzare dell’età. Quasi a rispondere a quel pianto la voce divenne più chiara, ora sembrava quasi cantare.
Fu così che Alfredo seppe di quell'essere e questo bastò.
Ritornando verso casa il vecchio volle chiedergli, forse per deriderlo:
“Allora? Ha scoperto qualcosa?”
Alfredo lo guardò sorridendo:
“Quel faggio vive” rispose.
Fonte immagine: “Faggio” by Luigi Mengato is licensed under CC BY 2.0
venerdì, marzo 03, 2017
[Alfredo] Il Gran Ghetto
Capita che Alfredo sia molto distratto. Gli basta poco. E' facile per lui perdersi dietro il contorno di una nuvola o inseguendo una coccinella che lenta si arrampica sul muro. Capita.
E' successo anche oggi, mentre qualcuno gli parlava di catapecchie bruciate, di morti.
"Sono bruciati in due, gli altri li hanno cacciati via. Ci sono i caporali lì... e poi tutte quelle baracche... Come in Africa! Come a Rio! Che vergogna!"
Alfredo era altrove. Il fatto è che qualcosa tra i rami dell'albero di fronte a lui pareva brillare e Alfredo non riusciva a stabilire se quel luccichio fosse dovuto a un piccolo raggio di sole che filtrava tra i fitti aghi o ad un semplice riflesso dovuto a qualcosa rimasto impigliato tra i rami, magari un oggetto portato lì dal vento gentile o da un uccello innamorato. Forse era solo una lacrima, una vecchia ferita della pianta oppure lo scherzo di una strana prospettiva che giocava a ingannarlo.
"Cosa ne pensi?" continuava intanto a chiedere quello e ad Alfredo sfuggì un incauto:
"Dobbiamo vedere, sarebbe meglio guardare con più attenzione"
La frase non incontrò la soddisfazione dell'interlocutore. I due si salutarono poco dopo.
Fonte immagine: “The Shantytown outside of the Allenridge Commuity Center” by adamr.stoneis licensed under CC BY 2.0
giovedì, marzo 02, 2017
[Alfredo] Sala d'aspetto
Alfredo legge con diligenza. La sua attenzione è tutta indirizzata alle confessioni di una donna che sembra, c’è scritto lì, faccia televisione. Lei risponde alle domande dell’intervistatore e racconta dei suoi amori, dei drammi, delle fortunate coincidenze. Mancano ancora poche righe quando è costretto a smettere. È il suo turno. Alfredo chiude la rivista e rimanda la fine dell’articolo al prossimo incontro con il medico.
Una volta un suo amico, anche lui paziente dello stesso studio, gli aveva chiesto conto di quella attività. “Come fai?” aveva ripetuto più volte scuotendo il capo. Si conoscevano da tempo.
Alfredo lo aveva guardato sorridendo, era il sorriso di chi possiede un segreto che non vuole rivelare, poi, in silenzio, era tornato a concentrarsi sulle didascalie che accompagnavano le foto degli ospiti di una esclusiva festa privata in Sardegna.
Fonte immagine: “Doctor's Office, Waiting Room” by Consumerist Dot Com is licensed under CC BY 2.0
giovedì, febbraio 16, 2017
normalizzare
a questo punto dovremmo usare la forza
irremovibili, mozzare
le mani,
le labbra agli innamorati
tener segrete tutte le anime,
ai cieli
immagine: Egon Schiele
mercoledì, febbraio 08, 2017
Paolo Poli su Gozzano
Gozzano si è rifugiato in soffitta in mezzo alle cose abbandonate. Mentre D’Annunzio elogiava la sua bellezza, i suoi successi con le donne, Gozzano diceva: «Non amo che le rose | che non colsi», e invece di queste belle donne, di queste Basilisse («la fiamma è bella!»), lui aveva la cuoca: « Signorina Felicita... a quest’ora che fai? Tosti il caffè: | e il buon aroma si diffonde intorno? | O cuci i lini e canti e pensi a me, | a l’avvocato che non fa ritorno?» Si è nascosto dietro i vasi di marmellata. Mentre D’Annunzio aveva il tripode, il bucintoro, la nave con le vele che sbattono.
Gozzano è una specie di entomologo bambino che va acchiappando le farfalle e nel finale c’è un atropo, con la testa di morto, che minaccia e annuncia la fine. Di lui mi piace molto anche quel firmarsi minuscolo guidogozzano, anch’io ogni tanto mi firmo paolopoli, come se fossi una città greca.
Ci sono ancora nelle nostre case dei giornali vecchi di quando le zie ricamavano il corredo, che ora non si usa più perché si comprano le lenzuola di carta. C’erano delle poesie che informavano le donne sui fatti della vita, gli affetti familiari. Ah, la grazia artigianale imbambolata di quei nostri giocattoli gozzaniani di cartapesta dipinta: cavallini che strizzano l’occhio per imperizia del pittore, barometri réclame con la santa che cambia di colore, cassette per elemosine col frate in piedi e il negretto inginocchiato che dondola la testa in ringraziamento della moneta. Riscalda il cuore il mondo delle stampe in bianco e nero, a tratteggi grossi ma non grossolani e simmetrie prevedibili ma non sprovvedute, dove l’immaginazione anche la più modesta è sollecitata a intervenire, è stimolata a suggerire toni e timbri, luci e atmosfere sulla povera scorta di quei magici segni. Come si rallegra il fanciullino che è in noi al ritrovare il volto di certe nostre avole e balie buonissime che ci condussero come a una festa alla visita domenicale del cimitero gremito di floreali angioli artistici o ci tirarono per mano su per la via crucis del finitimo santuario delle illustrate stazioni!
Alfabeto Poli, Paolo Poli (a cura di Luca Scarlini)
martedì, febbraio 07, 2017
Quasi primavera
Appoi
attacca a chioviri e pari
ca st'acqua niura vulissi sulu cummigghiari
a iurnata.
Accumenciu, allura, ca testa a trafichiari:
pinseri babbi, cose successe,
cose ca putevunu accapitari.
No ricu a st'animedda c'aspetto sulu ca scampi,
c'arrivi u suli cauru ad asciugari,
ma è cu stu pinseru ca m'affacciu
alla finestra e l'occhi
arrirunu
quannu sentu a vuci china da terra
chiamarimi, u ciauru,
comu tra li tò jammi,
acchianari.
attacca a chioviri e pari
ca st'acqua niura vulissi sulu cummigghiari
a iurnata.
Accumenciu, allura, ca testa a trafichiari:
pinseri babbi, cose successe,
cose ca putevunu accapitari.
No ricu a st'animedda c'aspetto sulu ca scampi,
c'arrivi u suli cauru ad asciugari,
ma è cu stu pinseru ca m'affacciu
alla finestra e l'occhi
arrirunu
quannu sentu a vuci china da terra
chiamarimi, u ciauru,
comu tra li tò jammi,
acchianari.
sabato, febbraio 04, 2017
[Condomini] Soldatini
A luna ancora non ni vuleva sapiri di irasinni a dormiri e arristava appinnuta no cielu come alla stella cometa nello sfondo del presepe.
Carmelo Cicculata a taliava assittatu no pisolu della chiesa. Cera friddu ma lui era coperto bene che sava accattatu un giubbotto di quelli che uno ci può andare anche al polo nord. Era entrato nel negozio e ciaveva detto: "Questo" che per lui non era un problema di soddi.
"Ah! Si cà!"
Carmelo si furiau che quella voce la conosceva.
"E unni ava stari? Era qua lappuntamento. Ciccio non è cuttia?"
Turi iamma di lignu ci fici di no con la testa prima daccuminciari a scatarrari nterra comu su avissi u focu nei polmoni. Era fattu siccu. "Sarà unni sammucciaiu" pensò Carmelo e nella testa ci passanu le scene di quellultimo mese. Era stata come a una condanna. Peggio do carciri.
"U sai ca non putemu stari fora tanto" ci disse allamico.
"Certo co sacciu!" rispunniu Turi che sembrava essersi ripreso anche se la faccia era russa russa.
"I documenti cillai?" continuò Carmelo.
"Frischi frischi" rispose quello e si misi la mano nella sacchetta del cappotto comu a essiri sicuro che cerano veramente.
Carmelo si susiu e saddumau una sigaretta.
"Chi facemu?" spiau.
"Aspittamu" disse con calma Turi che nel frattempo sera spostato che a lui dava fastidio il fumo.
"Sì ma su non spunta?"
"Altri dieci minuti. Arriva non ti preoccupari"
Cera poca gente in giro. Carmelo si sinteva nivvusu. Taliava a destra e a manca e fumava come a un condannato a morte. Stava per parrari di novu quannu di luntanu u visti. Ciccio u bummularu li salutava con il braccio alzato per farsi vedere. Pareva un bambolotto. Tutto panza che la testa quasi spareva e poi iammitti e razza di un picciriddu. Turi lo guardava sorridendo:
"Visto ca e cà? E' sempri u stissu" ci scappau dalla ucca.
"Sì sempri u stissu" ripetè Carmelo.
Quando furono vicini si abbracciarono ma senza perdere tempo che era pericoloso e non era il momento di cuntarisi le ultime novità. Turi distribuì i documenti e i soddi spiegò quello che cera da fare.
"Allora deciso. Iu pigghiu lautobus, tu Carmelo invece vai alla stazione e ti fai il biglietto con tante tappe però che è più sicuro del treno diretto"
"E iu?" domandò Ciccio con la sua vocina di signorina di cresima.
"Tu pigghi la machina. E' posteggiata qua vicino. Anzi prima ci accompagni accussi parramu di dopo"
"Ma picchi iu? U sai camaddummisciu facili a viaggiare"
"E' proprio per questo fissa! Su ti scanti non corri e non fai minchiati mentre guidi" spiego ridendo Turi.
Erano misi a cerchio come a fare il girotondo. Il primo proiettile ne pigghiau dui di loro na panza facendo un puttuso che ci poteva passare una mano. Gli altri non si capiù unni trasenu che erano troppi.
Tre gruppi di carusazzi li avevano circondati senza farsi vedere. Sparavano a coppia. Uno con la mitraglietta e uno con la pistola. Carmelo crollò a terra subito ma prima riuscì a vederla tutta la scena dalla vetrina che ciaveva di fronte. Sembrava come quannu era nicu che giocava con i soldatini di prastica che si trovavano nelle bustine dal giornalaio. Ricordava bene. I mitteva supra a tavola e organizzava guerre e agguati fino a quando non arristava chiu nuddu vivo e tutti erano a panza allaria.
Fu una questione veloce comunque. I sò occhi cercavano ancora la luna quannu arrivau lultimo colpo na nesta. Poi turnau a notti.
Carmelo Cicculata a taliava assittatu no pisolu della chiesa. Cera friddu ma lui era coperto bene che sava accattatu un giubbotto di quelli che uno ci può andare anche al polo nord. Era entrato nel negozio e ciaveva detto: "Questo" che per lui non era un problema di soddi.
"Ah! Si cà!"
Carmelo si furiau che quella voce la conosceva.
"E unni ava stari? Era qua lappuntamento. Ciccio non è cuttia?"
Turi iamma di lignu ci fici di no con la testa prima daccuminciari a scatarrari nterra comu su avissi u focu nei polmoni. Era fattu siccu. "Sarà unni sammucciaiu" pensò Carmelo e nella testa ci passanu le scene di quellultimo mese. Era stata come a una condanna. Peggio do carciri.
"U sai ca non putemu stari fora tanto" ci disse allamico.
"Certo co sacciu!" rispunniu Turi che sembrava essersi ripreso anche se la faccia era russa russa.
"I documenti cillai?" continuò Carmelo.
"Frischi frischi" rispose quello e si misi la mano nella sacchetta del cappotto comu a essiri sicuro che cerano veramente.
Carmelo si susiu e saddumau una sigaretta.
"Chi facemu?" spiau.
"Aspittamu" disse con calma Turi che nel frattempo sera spostato che a lui dava fastidio il fumo.
"Sì ma su non spunta?"
"Altri dieci minuti. Arriva non ti preoccupari"
Cera poca gente in giro. Carmelo si sinteva nivvusu. Taliava a destra e a manca e fumava come a un condannato a morte. Stava per parrari di novu quannu di luntanu u visti. Ciccio u bummularu li salutava con il braccio alzato per farsi vedere. Pareva un bambolotto. Tutto panza che la testa quasi spareva e poi iammitti e razza di un picciriddu. Turi lo guardava sorridendo:
"Visto ca e cà? E' sempri u stissu" ci scappau dalla ucca.
"Sì sempri u stissu" ripetè Carmelo.
Quando furono vicini si abbracciarono ma senza perdere tempo che era pericoloso e non era il momento di cuntarisi le ultime novità. Turi distribuì i documenti e i soddi spiegò quello che cera da fare.
"Allora deciso. Iu pigghiu lautobus, tu Carmelo invece vai alla stazione e ti fai il biglietto con tante tappe però che è più sicuro del treno diretto"
"E iu?" domandò Ciccio con la sua vocina di signorina di cresima.
"Tu pigghi la machina. E' posteggiata qua vicino. Anzi prima ci accompagni accussi parramu di dopo"
"Ma picchi iu? U sai camaddummisciu facili a viaggiare"
"E' proprio per questo fissa! Su ti scanti non corri e non fai minchiati mentre guidi" spiego ridendo Turi.
Erano misi a cerchio come a fare il girotondo. Il primo proiettile ne pigghiau dui di loro na panza facendo un puttuso che ci poteva passare una mano. Gli altri non si capiù unni trasenu che erano troppi.
Tre gruppi di carusazzi li avevano circondati senza farsi vedere. Sparavano a coppia. Uno con la mitraglietta e uno con la pistola. Carmelo crollò a terra subito ma prima riuscì a vederla tutta la scena dalla vetrina che ciaveva di fronte. Sembrava come quannu era nicu che giocava con i soldatini di prastica che si trovavano nelle bustine dal giornalaio. Ricordava bene. I mitteva supra a tavola e organizzava guerre e agguati fino a quando non arristava chiu nuddu vivo e tutti erano a panza allaria.
Fu una questione veloce comunque. I sò occhi cercavano ancora la luna quannu arrivau lultimo colpo na nesta. Poi turnau a notti.
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