Si lava, si veste ed esce. Ha deciso di rivedere un vecchio compagno, lo ha incontrato al funerale del Pascutti. Tante bandiere, tanta gente, addirittura alcuni ragazzi. Alfredo si era anche lasciato andare a un canto e alla sensazione di ritrovarsi a casa.
“Ciao, cosa fai qui?”
“Voglio parlarti”
“Dai entra”
Lo aveva visto, quella volta, con un pesante cappotto addosso, elegante come sempre era stato. Ora invece gli aveva aperto in mutande. Addosso una vecchia maglia di lana e ciabatte ai piedi.
Si allontana e lo lascia da solo in cucina. Quando, poco dopo, torna, indossa una tuta.
“Dormivi?”
“No, tentavo di masturbarmi”
“Non fa mai male”
“No”
Si volta e prende la moka, prepara un caffè.
"Non fai la montagnetta?" sussurra Alfredo.
"No, preferisco raso"
I due attendono in silenzio. Alfredo è seduto, l'altro rimane vicino al fornello a guardare il fuoco basso.
Alfredo ora è un po’ perplesso su quello che voleva dire.
“Io credo che dovremmo tornare a fare qualcosa”
Alfredo inizia a parlare a occhi bassi, lentamente, cercando le frasi giuste da dire.
“Ecco sì, credo che ormai con i nostri acciacchi... non abbiamo più molto da perdere e allora dovremmo tornare…”
“Tornare dove?”
Le parole dell’amico fermano la sua ricerca. Lo sta guardando con in una mano la tazzina del caffè e nell’altra la zuccheriera.
“No, no grazie. Lo prendo amaro... tornare a farci sentire, fare qualcosa insomma...”
“E magari finire con una bella pallottola in testa o a preparare il caffè agli amici di cella”
“E allora? Credi sia meglio ora senza nemmeno una panchina su cui sedersi?”
“Panchina?”
“Sì, sì, panchina! Potrebbe anche essere solo qualcosa di dimostrativo, qualcosa per far capire che ci siamo ancora. Io ricordo ancora alcune cose, posti dove si può trovare materiale…”
“Alfredo non c’è più tempo per noi, non c’è più tempo” lo interrompe l’altro sorridendo.
Ora sono seduti a fianco, sullo stesso lato del tavolo da cucina. Il caffè è magnifico e Alfredo prova a centellinarlo in attesa di nuove parole. Stanno un po’ in silenzio poi lui si alza.
“Bene, devo proprio andare ora”
“Abiti sempre nella stessa casa?”
“Sì”
“Ci penserò su, allora”
“Bene”
“Bene”
Alfredo è di nuovo in strada, si sente meglio, è passata anche la nausea. Si ferma al bar e si concede una pasta, niente caffè stavolta perché allora la pressione schizza.
Alfredo inizia a parlare a occhi bassi, lentamente, cercando le frasi giuste da dire.
“Ecco sì, credo che ormai con i nostri acciacchi... non abbiamo più molto da perdere e allora dovremmo tornare…”
“Tornare dove?”
Le parole dell’amico fermano la sua ricerca. Lo sta guardando con in una mano la tazzina del caffè e nell’altra la zuccheriera.
“No, no grazie. Lo prendo amaro... tornare a farci sentire, fare qualcosa insomma...”
“E magari finire con una bella pallottola in testa o a preparare il caffè agli amici di cella”
“E allora? Credi sia meglio ora senza nemmeno una panchina su cui sedersi?”
“Panchina?”
“Sì, sì, panchina! Potrebbe anche essere solo qualcosa di dimostrativo, qualcosa per far capire che ci siamo ancora. Io ricordo ancora alcune cose, posti dove si può trovare materiale…”
“Alfredo non c’è più tempo per noi, non c’è più tempo” lo interrompe l’altro sorridendo.
Ora sono seduti a fianco, sullo stesso lato del tavolo da cucina. Il caffè è magnifico e Alfredo prova a centellinarlo in attesa di nuove parole. Stanno un po’ in silenzio poi lui si alza.
“Bene, devo proprio andare ora”
“Abiti sempre nella stessa casa?”
“Sì”
“Ci penserò su, allora”
“Bene”
“Bene”
Alfredo è di nuovo in strada, si sente meglio, è passata anche la nausea. Si ferma al bar e si concede una pasta, niente caffè stavolta perché allora la pressione schizza.
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