I ragazzi dell'ufficio si preparano a manifestare, la gente della città si prepara a manifestare e improvvisamente mi pare di non riconoscerli più quei colleghi così tanto salutati, quei volti tante volte incontrati. Mi sembrano altri, spauriti nelle loro facce di forzati contestatori, tristi, quasi sentissero la necessità di quello che si apprestano a fare avendone, però, smarrito il senso, la storia.
Eccoli qui sulla via davanti alla sede, gocce che non diventano nuvola, prigionieri felici dei propri rapitori.
Da mesi io e Giorgio ne incontriamo parecchi e lui ogni volta cambia strada come se non volesse vedere, non volesse ascoltare. Forse lo fa per difendermi dalla polizia oppure è solo un piccolo crumiro, io lo seguo senza opporre resistenza tanto lo so che prima o poi tutto ci si ripresenterà davanti e non avremo più strada quella volta o possibilità di fuga.
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Anche oggi Borghetti parlava poco. A volte credo abbia paura di me lo vedo nelle sue mani che si muovono disordinatamente, nelle spalle che oscillano senza un vero perchè, nella birra che scende giù troppo in fretta o troppo lentamente.
Borghetti oggi parlava poco e allora mi sono sforzato un po' e gli ho chiesto della famiglia, ma poi non ho atteso la risposta che tanto si dicono sempre le stesse cose e gli ho descritto, invece, la donna che fa capolino tra i suoi baffi, il suo amico in costume. Lui allora ha iniziato a sorridere e si è illuminato anche. Credo abbia pensato che io sapessi, ma io non so nulla, nulla.
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Ho fissato mio figlio, cercavo di rintracciarmi, di ricordarmi com'ero, dentro i suoi occhi, ma faticavo, non riuscivo. L'ho visto, poi, prendere le chiavi di casa e uscire. Ero invisibile dietro la sua ombra e mi sono detto che lo avrei lasciato andare non appena lo avrei visto incontrare gli amici o la nuova morosa. Lui invece ha iniziato e poi continuato a percorrere il tratto di strada attorno all'isolato e i suoi passi tracciavano a poco a poco un solco sempre più profondo, un fossato come nei castelli e io ne ero fuori, irrimediabilmente. Così mentre rientrava a casa e dalla finestra mi salutava beffardo con la mano io l'ho guardato piangendo e non sapevo allontanarmi e non riuscivo ad avvicinarmi. Mi sono svegliato che la mano di Cloe era sul mio viso e la mia tra le sue gambe.
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"Finalmente anche voi siete come tutti gli altri"
"Pensa?"
"Eh sì! Me lo lasci dire! Io ho cambiato sette lavori nella mia vita, cosa crede? E lei invece? E i suoi colleghi? Comodo così"
"Ecco lei è un gatto allora"
"Cosa centrano i gatti? Ma cosa dice?"
"Anche i gatti cambiano vite sa? Sette per l'esattezza, me lo ricorda sempre il mio Giorgio che qualcuna, di sicuro, lui l'ha già persa, non lo sapeva?"
"Sì, sì, comunque... ora toccherà pure a lei"
"Io cercherò solo tra quello che non è stato"
"Ah! Ho capito! E' ripartito il computer? Non mi faccia perdere tempo, ho fretta"
"Certo signore, non ha mai smesso di funzionare. Nulla smette mai di essere"
"Ecco, bene. Mi dia la pratica allora, è pronta no?"
"No, deve attendere. Manca ancora un visto"
"Cazzo mi dia quella pratica, è la terza volta che mi fate tornare qui"
"Certo signore, manca solo un visto. E' il mio sa?"
"Ma mi prende in giro? Mi faccia parlare con qualcuno, lei..., lei non mi sembra in grado di..."
"Certo signore, certo"
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