mercoledì, dicembre 31, 2008

Bob Marley - Get Up, Stand Up

 Get Up, Stand Up

Get up, stand up

Stand up for your rights

Get up, stand up

Stand up for your rights

Get up, stand up

Stand up for your rights

Get up, stand up

Don't give up the fight

Preacher man don't tell me

Heaven is under the earth know you don't know

What life is really worth

It's not at all that glitters is gold

Half the story has never been told

So now you see the light

Stand up for your rights

Get up, stand up

Stand up for your rights

Get up, stand up

Stand up for your rights

Get up, stand up

Stand up for your rights

Get up, stand up

Don't give up the fight

Most people think

Great good will come from the skies

Take away everything

And make everybody feel high

But if you know what life is worth

You would look for yours on earth

And now you've seen the light

You stand up far your rights

Get up, stand up

(Yeah Yeah)

Stand up for your rights (Oh)

Get up, stand up

(Get up, stand up)

Don't give up the fight

(Life is your right)

Get up, stand up

(So we can't give up the fight)

Stand up for your rights

(Lord Lord) Get up, stand up

(People struggling on)

Don't give up the fight (yeah)

We're sick and tired of your easing kissing game

To die and go to heaven in Jesus' name

We know and understand

Almighty God is a living man

You can fool some people sometimes

But you can't fool all the people all the time

And now we've seen the light

(What you gonna do)

We gonna stand up for our rights

Get up, stand up -

Stand up for your rights

Get up, stand up -

Stand up for your right

Get up, stand up -

Stand up for your rights

Get up, stand up

Don't give up the fight


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Alzatevi, ribellatevi

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Non arrendetevi

Predicatore, non raccontarmi

Che il Paradiso è sottoterra

So che non sai

Quel che vale davvero la vita

Non è tutto oro quel che luccica

Metà della storia non è mai stata narrata

Così ora che vedete la luce

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Non arrendetevi

La maggior parte della gente pensa

Che il Bene scenderà dal Cielo

Porterà via ogni cosa

E renderà tutti felici

Ma se capiste quanto vale la vita

Badereste alla vostra su questa terra

E ora che avete visto la luce

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi (Sì sì)

Ribellatevi per i vostri diritti (Oh)

Alzatevi, ribellatevi

(Alzatevi, ribellatevi)

Non arrendetevi

(La vita è un vostro diritto)

Alzatevi, ribellatevi

(Quindi non possiamo arrenderci)

Ribellatevi per i vostri diritti

(Signore Signore)

Alzatevi, ribellatevi

(Il popolo continua a lottare)

Non arrendetevi (Sì)

Siamo esasperati dal vostro facile gioco ruffiano

Morire e andare in

Paradiso nel nome di Gesù

Sappiamo e comprendiamo

Che Dio Onnipotente è un uomo vivente

Talvolta potete ingannare un po' di gente

Ma non potete ingannare tutto il popolo tutto il tempo

E ora che abbiamo visto la luce (Cosa farete?)

Noi ci ribelleremo per i nostri diritti

Alzatevi, ribellatevi-

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi-

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi-

Ribellatevi per i vostri diritti

Alzatevi, ribellatevi

Non arrendetevi


Lewis Hide da Il briccone fa il mondo. Malizia, mito e arte

"Per una comunità umana una cosa è plasmare il proprio mondo, un'altra è conservare la forma che gli si è data; specie se, come sempre avviene, quella forma è in qualche modo arbitraria, se la sua creazione ha richiesto delle esclusioni e se gli esclusi stessi sono affamati. In questo caso occorrono anche delle regole tese alla sua salvaguardia. [...] Chiunque riesca a infrangere queste regole, a mettere a dormire i guardiani, a oltrepassare la soglia del sacro prato e inondarlo di contingenza, a rubare le pietre che contrassegnano i confini, eliminerà l'incantesimo che protegge il disegno che presiede a quella creazione"
[pag.244]

domenica, dicembre 28, 2008

[Condomini] Una casa felice

Sammazzau di fronte a Mario u iettabummi. Prima sava fattu fora tutta la famigghia. Accussì. Senza un motivo che uno putissi anche pensare che può capitare a tutti di nesciri pazzu per quello. Una casa felice. Il barista mu cuntau dopo un misi. Prima con tutto che lui è uno abituato non ce la faceva. Ci veniva difficili. Poi finalmente si sfogò.
"Totò ancora ciaiu tutto nella testa. Lui è entrato come tutte le altre volte che si pigghiava u cafè. No. Non era un cliente fisso. Ma insomma capitava. E poi io lavevo visto tante vote passare ca sò famigghia davanti al bar. Insomma lui è entrato e quando ciò chiesto che voleva lui nisciu fora con questa discussione...

macchissacciu! una birra. un liquore. mi rassi quello che vuole. tanto... no! non cinnaiu problemi. picchì? lei li sapi sempre le cose che vuole? a me certe volte mabbasta sapere che posso scegliere. poi di quello che capita me ne fotto. tanto... bella quella foto! cu ie? a so famigghia? macari io ciò due figghi. ciavevo insomma. come? no! no! i miei sono chiù nichi. ma. ma mi luvassi una curiosità. comè che si ciarriva alla sua età? comè insomma che passano i ionna e le notti e poi uno si fa una foto così che arrirri. che pare tutto felice e senza pinseri? sì certo anche io ci voglio bene ma unne la scelta? vabbene và. minnirassi unaltro. cosera? vodka? vabbe a scusari! io non è che bevo sempre. anzi. mi pareva la bottiglia. usapi quella della pubblicità. come si chiama? ce una. un pacchiuni. assumigghia tannicchia a me mugghieri. picchi arriri? non ci crede? vabbè canciamu discorso. tanto... ma a lei se ci venisse come un senso di accupazione. se si sintissi mancare laria. il respiro. che farebbe? comu chi significa? chissaccciu. fare sempre le stesse cose. dire sempre le stesse parole. macari sintirisi dire che è un uomo fortunato. no! na pusassi quella bottiglia! unaltro! ne voglio unaltro! no. non mincazzo! ce lo da pagare lo sa? chiffà i voli? dimmelo che vuoi solo i soldi bastardo! dimmelo! anzi ora ti rugnu. e macari chista ti rugnu. a viri? talia comè lucida! e allora? ora cillai una scelta vero? chiffazzu? tammazzu? tanto... me mugghieri nemmeno lei ci credeva. e mancu i me figghi allinizio. chinni sapevano ancora della vita mischinazzi! no! non ti scantari. a viri? è cà. vicino alla mia testa. tanto...

Io non ciò fatto in tempo a fermarlo Totò. Non ciò fatto in tempo" 

sabato, dicembre 27, 2008

Proposizioni principali e secondarie

Accendo una MS.
Parli.
Potrei cambiare marca. Non fumare affatto.
Penso ai morti 
per cancro.
Ai parenti.
Il presepe illumina la stanza.
Accendo un'altra sigaretta.
T'ascolto. Tossisci.
La finestra è
chiusa.
La indichi come fosse un regalo.
"Da fare" mi segno.
Il breve silenzio mi coglie impreparato.
Sfioro i tuoi capelli come fossero fumo.
Riprendi a dire
mentre io vorrei solo pisciare.
Svuotarmi.
"Vado in bagno" borbotto.
Dubita il tuo sguardo.
Mi baci. Ti bacio.
Buonanotte.

lunedì, dicembre 22, 2008

Filu di vespru

Quando andai ad aprire la porta non ci potevo quasi credere, davanti ammia cera una fimmina come poche ne avevo mai viste: alta, minne a inchiririsi locchi, cianchi unni pusari comodo le mani e iammi belle ritte come a colonne... un rialu di Dio, insomma. In pochi secondi me lero cucinata e digerita e mero innamorato anche, però, mannaggia!, mi scappau sulu un:
"Buongiorno! Desidera?"
"Buongiorno - rispose lei- mi scusi se la disturbo, sono la dottoressa Pagnozzi dello studio notarile Grotz. Cercavo il signor Buonamico. So che vive in questo palazzo, lo conosce?"
Minchia che fortuna! Cercava ammia.
"Sì sono io, in che cosa posso servirla? - e poi subito dopo con l'occhio sguercio da pleibboi - Prego, vuole trasiri?"
Lei evidentemente non lo sapeva se ciavevo detto la verità, che per un momento mi passi di vederla dubbiosa, ma comunque, pò sì e pò no, entrò.
Dopo essersi seduta sopra al divano, senza farimi vedere niente, che si chiuriu le cosce accavallandole come a una vera signora, accuminciau a parrari.
"Finalmente la trovo signor Buonamico - e mabbiau un sorriso- probabilmente lei si starà chiedendo il motivo della mia visita... ecco, scusi la mia brutalità ma... credo sia meglio così... ecco...io sono qui perché lei, signor Buonamico. Lei, lei ha un fratello".
Qui fece una pausa pecchè forse saspetttava un mio gesto di sorpresa e, in effetti, un po' di sorpresa da parte mia ci fù, ma solo pecchè la signorina spostandosi per avvicinarsi di più a me, che mi doveva confidare questa minchiata, mostrò ancora meglio quello che cera sotto la camicetta e cè da dire che la natura proprio le voleva bene alla carusidda.
"E allora signor Buonamico?"
Astutai locchi e marrupigghiai.
"Ma mia madre...". Mi nisciu fora.
"Sì lo so, lo so -continuò lei- credo proprio che non le abbia mai detto che...".
"Ma pecchè?" continuai, e qui mi passi di vedere, nellespressione di quella, qualcosa di strano, come una che sa bene di cosa parla.
"Lei era piccolo... sua madre era rimasta da poco vedova, e... insomma... suo fratello ora vorrebbe conoscerla".
Comunque, per farla breve, io, Cirino Buonamico di fu Crispino e Benedetta Brancitelli, mi ritrovai a non essere più figghiu unico.
Questa cosa del fratello, in fondo, non mi dispiaceva assai, che io mai cenavevo avuto di frati, e mancu di soru a dire la verità, pecchè la mamma, Dio labbia in gloria, senera andata non appena maveva visto nesciri dal paradiso e mio padre aveva preferito futtiri a sbafo e senza muddichi invece di maritarisi di novu; infatti, io ero cresciuto di nicunicu con tante zie e con mia nonna Rosa la quale ciaveva avuto il suo bel daffare cummia anche se mi aveva voluto sempre bene, ma questo è un altro discorso.

Lo studio Grotz si trovava in Via Amantia, una via alle spalle della piazza del Fortino. E' questa una piazza con una specie di porta gigante che però è finta e che serve a farici fare una passiata ai Turisti. Loro arrivano ci fanno una foto e sinni vannu che lo capiscono subito che il monumento è una minchiata e il resto agli stranieri non ci interessa.
Io invece se ciavissi una machina fotografica come a quella loro ve lo farei vedere meglio questo posto. I vecchi che ci stanno assittati nelle panchine con le carte della scopa o davanti alla putia a parrari di cosi inutili. I ladri che furiano che tutti li conoscono ma loro se ne fottono che tanto qualche pollo si trova sempre. Quelli che la sera vendono sangeli con pignate gigantesche e fumanti. Le case intorno che parunu paisi dimenticati e che sono invece in mezzo alla città. Ecco io dentro alle foto ci mittissi queste cose ma non cillaiu sta machina maggica e allora, se proprio volete, ve la procurate voi una foto o ci iti, tantu ammia chimminnifutti di spiegarvelo.
Io ve lo volevo dire solo pecchè quellindirizzo era una cosa strana per un notaio, e ci ariflittii assai sopra a questa cosa, ma poi arrivai a concludere che forse quello aveva i suoi clienti migliori in mezzo a altri mortazzi di fame come a mia e accussì non ci pinsai chiù.
All'ingresso cera quel pezzo di sticchio che mi era venuta a trovare a casa: "Buongiorno Signor Buonamico. Prego si accomodi, il notaio la riceverà immediatamente"
Senza taliarla, che già solo la voce mi faceva sbrugghiari, massittai sopra a una seggia che cera dopo lingresso ma la voce di lei mi fermò prima che io fossi riuscito a trovare una posizione comoda per le mie ossa.
"No, non lì! - urlò- prego venga, mi segua"
Dall'ingresso la Signorina mi portò, con quel suo culo addisignatu, in una stanza misa alla fine di un corridoio lunghissimo e senza finestre e lì mi lassau. Sulu, con due poltrone e un tavolino come coreografia.
Cercai subito un posto dove affacciarmi che con tutto quel taliare avevo bisogno daria.

Il caruso dellelettrauto stava finendo di distruggere una lanna a colpi di martello. Non sembrava che ci fosse molto lavoro da quelle parti, il garage era vuoto e quello che forse era il padrone stava stravaccato sopra a una seggia di paglia taliandosi la scena e arraspannusi la panza. La maglietta cera acchianata fino quasi alle minne e i piedi stavano dentro a due zoccoli cunsunti. Una fontana, misa di latu, doveva garantire da bere a tutte le abitazioni. Aggratisi naturalmente, pecchè a quella era stato aggiunto, no cannolu dellacqua, un tubo di gomma che spariva sotto a una gittata di cemento sistemata lì per farici passare le machine. Lo stesso tubo poi, con tante derivazioni, ricompariva nelle vicinanze delle porte delle case. Case insomma, si fa per dire. Sicunnu mia erano tutte vecchie stalle e qualcuna forse faceva ancora il vecchio servizio a giudicare dai resti di pagghia che si vedevano qui e là. Sopra a due di queste abitazioni era stato però costruito una specie di primo piano unico, con un balcone lungo lungo che era proprio dirimpetto a quello dove stavo io.
Maddumai una sigaretta e malirissi a me minchia per quella uscita.
Stavo per rientrare quando una cristiana si affacciò per stendere i robbi. Poteva avere una cinquantina di anni e, forse, una decina di figghi a giudicare dai cianchi e dalle mutanne bagnate che tirò fuori dalla cesta.
"Buongiorno" ci fici, ma lei, per tutta risposta, mi taliau storto e con una sputazzata che cadendo sfiorò il martellatore mi salutau e sarritirò a so casa lassannu stari macari il travagghio che stava facendo. Questa scena però, o a me vuci, attirò lattenzione dei lavoratori di sutta.
"Buongiorno" mi fece u panzuni.
"Buongiorno" ci risposi.
Poi però nessuno di noi due tirò chiù fuori una parola. Il ragazzino invece, dopo avere posato il martello, sera messo a taliarimi con curiosità. Mimmaginai che voleva chiedermi qualcosa e infatti, dopu tannicchia, si avvicinò al balcone e rapiu a ucca:
"Comè vistuta oggi?"
Per un attimo non ciarrivai a capire, poi però accuminciai a spiegarici  il colore della gonna e...
"Buongiorno signor Buonamico "

Mi vutai di scatto mentre stavo per accuminciare a parlare della camicetta. Un ometto in giacca, cravatta e mustazzi dordinanza mi squadrava tutto serio. Non potti fare a meno daddivintari tuttu russu. Lei però non cera e questo mi risollevò tannicchia.
"Vuole seguirmi?"
U nutaru mi guardava tutto serio e io ci seppi fare solo di sì con la testa. Attraversammo di nuovo tutto il corridoio fino ad arrivare all'ingresso, poi, da lì, passando per una stanza nica e leggia arrivammo al suo studio. Arristai con locchi aperti e la bocca spalancata. Era bellissimo. I tetti alti  come in una chiesa erano tutti appitturati e cerano fimmini e, piante e vino che scorreva a fiumi, e bestie strane, e colori poi, che erano più luminosi e veri di quelli della televisione che cianno messo al bar, quella grande, quella che pare un cinima.
Per tutto il resto però la stanza era a nura. Solo una scrivania e due seggie. Una come a quelle dei re e unaltra a misura dei purazzi.
"Prego si accomodi... dunque... "
Da sotto una pila di carte Grotz pigghiau un foglietto e iniziò a guardare, prima quello e poi ammia, poi di nuovo quello e ancora unaltra volta ammia. Mi sentivo a disagio. E non era solo per quelle occhiate, è che mi veniva di ridere. Da cosa cutta e laria sera assittato tutto comodo e io, di fronte a lui, riuscivo a vedere solo a so facci di suggi e le sue mani, mi pareva di essere tornato nico quando me ne andavo cummè nonna a taliari gli spettacoli dei burattini.
"E allora notaio, mi dica." provai a chiedere.
"Sì, sì... dunque, dicevo."
Veramente navarittu niente fino a quel momento e anche dopo quel balbettio si firmau subito. Stavo per scoppiare e utari bordo quando, da una porta che non avevo visto, entrò la dottoressa.
Ni rianimamu tutte e due. Iddu scinniu dal trespolo e misi i so occhi infacci alla camicetta menza sbottonata dellangelo, io, invece, mi gudii la scena di quelle due minne che inzuttavano ogni religione.
"Le ho portato l'incartamento che mi aveva richiesto"
"Bene, sì, mi raccomando dottoressa, non voglio essere disturbato... ah... dimenticavo... - poi disse rivolgendosi a me - Signor..."
"Buonamico" ci suggerii io.
"Dunque Signor Buonamico, posso offrirle qualcosa? Un caffè? Un liquore?"
"Un caffè grazie"
"Sì, bene, può portare allora due caffè dottoressa? La ringrazio"
Quando sassittau si mise a guardare le carte che aveva ricevuto e non mi resi chiù attenzione. Pareva che non cinteressavo. Lattesa durò poco però che la signorina spuntau subito con i caffè e con quello che reclamavano le mie voglie, e io mi sintii megghiu solo a taliarla. Così quando la vidi sparire di nuovo pinsai proprio di andarmene anchio, ma ora il notaio sembrava diventato più sveglio e, infatti, acccuminciau subito a parlare:
"Dunque Signor Buonamico, le abbiamo già anticipato il motivo di questo invito però, però non le abbiamo detto tutta la verità, o meglio, intendiamo rivelargliela in questo incontro"
Non sapevo più quanti cristiani mi stavano parlando però la cosa diventava sempre più interessante, ammia merano sempre piaciuti i misteri e questi fatti mincominciavano a sembrare come a quelli che succedono nelle storie dei telefimmi.
"Dunque, la mia collaboratrice le ha già parlato del suo fratellastro... ecco, purtroppo, le sue cattive condizioni di salute non gli hanno permesso di essere qui con noi oggi, però... però ci ha pregato di consegnarle questo plico e di indicarle la via per un possibile incontro".
Qui si alzò, chivvuleva fari? E quale via? Chiccipareva che non ciarriniscevo a tornare a casa?
Savvicinò ammia e mi mise una mano sulla spalla, ora sentivo solo la sua voce e il suo ciato che sapeva di gigaro e di rocculi.. Le sue parole però marrivavano di luntanu, quasi solo sussurrate. Come a quando da picciriddu, dopo avere inchiutu la vasca di bagno con lacqua caura mi immergevo con locchi chiusi in mezzo alla schiuma e dimenticavo tutto, e in verità  anche in quel momento mi scordai tutto. Ciaiu in mente ora, mentre vi cunto questa storia, solo poche parole di quellavvinimento: percorso, pericolo, strada... cose senza senso insomma che poi poteva anche essere che celavevo messe io nei miei ricordi, accussì tanto per non fare la figura do fissa.

Marrusbugghiai che la testa mi faceva ancora ziuziu. Ero a mè casa. Dalla finestra aperta trasevano laria fridda e le luci astuta e adduma dei negozi. Bello Natale che si stava preparando!
Mi susii per chiudere quellinferno gelato e maddumai una sigaretta per riflettere. Nenti. Non mi ricordavo come cero tornato in quel letto. Macchiera stato? Chi mi era successo?
Sul comò allimprovviso notai una busta, grande, gialla e con il nome mio scritto bello con il pennarello. Mi misi una coperta sopra alle spalle e massittai nel letto. Scicai la chiusura aiutandomi con i denti e dopo avere tirato la carta che cera intra accuminciai a leggere. Era una lettera scritta a mano come si usava una vota. Con gli svolazzi e le parole scritte belli ranni e chiare.
"Caro fratello, permettimi di chiamarti così anche se non ci siamo mai conosciuti, credo tu ti stia chiedendo il perché di questo mio improvviso cercarti e di certo sarai rimasto sorpreso da questa tardiva scoperta. Non ho, non cerco, non voglio scuse. Sappi solo che sto morendo e come tutti i condannati mi sono affacciato al ricordo ed al rimorso. Avrei voluto per conoscerti, abbracciarti, sapere di nostra madre, di quella che è stata la sua vita però purtroppo ciò non è più possibile. Mi è stato vietato di spostarmi da letto in cui sono confinato e queste stesse parole le sto dettando alla mia cara moglie, che spero, un giorno, incontrerai. Ti saluto, dunque. Addio."
Chi lettera sconclusionata pinsai. Non ero ancora sicuro di aviri un frati ma se cellavevo era chiù scemu di mia. Ava stato mutu fino a quel momento e picchì non continuava allora? Per dirimi che stava morendo? Che ciaveva una mogliettina? Macchiminifutteva! Stavo per buttare tutta quella giornata nella munnizza quando vidi che nel dietro del foglio cera un disegno. Era una mappa con una icchisi a segnare qualcosa. Non ciaveva molto senso ma pinsai subito alle vie dove mi avevano cuntato che ero nato e dove qualche volta da piccolo ero voluto passare. E coincidevano per giunta! Che anche se non cerano i nomi io lo sapevo che quella disegnata grande era la Via dei Verdurai e che le traverse erano quelle dei Tre Santi e che lì dove cera la icchisi cera il Cuttigghio della Lite, quello che poi quando avevano abbattuto la casa più grande ciavevano cangiato anche il nome per fare un piacere al papa antico, quello buono che saffacciava di notte con la luna.
Qualche cosa non funzionava. Chi vuleva dire questa storia? Mi vistii di corsa e me ne andai fuori. Volevo cercare di parlare con il notaro, anche pecchè ancora non mi spiegavo comè che cero arrivato da quellla seggia scomoda del suo studio al mio letto.

Quando finalmente arrivai allindirizzo la strada era tutta o scuru. E certo questa non è una novità per Catania e per questi posti spidduti dalla grazia do Signuruzzu. Il portone grande che dava sul cortile era aperto e una lucina veniva da quelle che ammia mi erano sembrate le stalle. Mi avvicinai. Di certo sarebbe stata una cosa buona avere qualche notizia in più sopra a questo figghiu di sucaminchi.
Arrirrii cuntento. Ero stato fortunato. Il caruso della matina era assittatu a terra che trafichiava con una bici e saiutava con una torcia. Mavvicinai tranquillo:
"Ciao, senti..."
Locchi non vistuno chiù nenti. La luci che quello mi sparò addosso mi impedì di proseguire ogni discussione e quando finalmente tutto turnau scuru davanti a mia non cera chiù nenti e era sparito macari il ragazzo. Con un dribblinghi alla maradona mi era passato avanti come a un fantasma e senera andato con la sua bici e con le mie risposte. Appena marripigghiai ci provai a inseguirlo ma mi fermai subito davanti al portone che non si vedeva più nessuna traccia di lui. Vutannumi mi accorsi che non era stato il solo a scumpariri. Appizzata nel muro infatti  mi passi ca mancava, nosacciu picchì, anche la targhetta dorata che avevo visto la prima vota entrando per acchianare le scale che portavano allo studio. Sul momento comunque non ci sturiai troppo su questa cosa. Era tardi. Decisi di tornare a me casuzza e di riprendere il sonno dove lavevo lasciato prima di arrusbigghiarimi per il freddo. Sarei passato lindomani con la luce vera mi rissi per convincermi.
E accussì fici.

Mi alzai friscu e contento. Mero fatto una panzata di sonno come non mi capitava da assai. Tutta intera e senza susirimi mai, mancu per pisciare. Avevo anche sognato e ce poco da ridere se vi confido che cera la Pagnozzi in questo sogno, pecchè accussì è. Eppoi megghiu idda che quella cosa cutta del suo principale.
Io allinizio ciavevo la testa sopra alle sue minne, però non la vedevo anche se lo sapevo che era lei, ma poi ci siamo trovati sopra a una specie di muntagna di rina che tutto attorno cera il mare. Ho incominciato a
spugghiarla che mi batteva veloce veloce il cuore, e anche lei mi livava i robbi però con più calma come quando una picciridda spogghia u pupu, poi a poco a poco abbiamo iniziato a affondare dentro alla sabbia e alla fine ci siamo spariti dentro: senza nemmeno ribellarci, o che so gridare aiuto.
Mah! Chissù strani i sogni.
Appena nisciuto mi venne voglia di vedere se quello che avevo pensato della mappa era vero e così allungai la strada e mi diressi verso la Via dei Verdurai. Anche se cera qualche bancarella nuova e un paio di facce che non conoscevo non si poteva dire che era diversa da come me la ricordavo e scommetto che anche uno motto qualche secolo fa se si fosse trovato al posto mio non avrebbe trovato molti problemi a ambientarsi. Forse lunica difficoltà sarebbe stata per quegli alberi di plastica e per quelle luci che annunciavano il natale, ma si sarebbero abituati presto, penso.
Accuminciai a passeggiare lentamente dal lato destro, quello dove ci sono le traversine dei santi. Cerano ancori tutti e tre, con i loro nomi, e le nicchie, e gli altarini a ogni incrocio: Alfio, Filadelfo e Cirino, venuti a moriri in Sicilia dalla lontana Francia.
Era Maggio, e a uno ci tirano la lingua, allaltro u  cucinanu come a un pisci, e o chiù nicu ci ficinu un vestito di pece e bitume. Insomma da chistu allacido e al cemento non è che ci sia tanta differenza... sarà che la vita è una questione di tradizioni.

Camminando camminando arrivai al famoso cuttigghio. Anzi in Piazza Giovanni icchisi icchisi e tre aste. Bancarelle e negozi qui non cenerano. Un albero consunto, la traccia di una rete in metallo a segnare ormai solo la terra, quattro panchine di cemento che uno stanco non ci si poteva nemmeno riposare la schiena. Questo cera, non picca e mancu assai. Massittai lo stesso supra a quei blocchi friddi. Senza un vero motivo e senza nemmeno averne voglia, ma i cosi su accussì, o i fai, oppure nefai, tanto è inutile starci a pensare.
Pigghiai la mappa dalla sacchetta e mi riliggii di nuovo la lettera, poi furiai il foglio. Supergiù a dove era segnata la croce corrispondeva una palazzina di un piano. Aveva un balcone al centro bellissimo, tutto di ferro intarsiato, e anche due finestre ai lati, con le persiane di legno. Al centro del tetto, proprio sopra al balcone, cera una nicchia vuota che era circondata da una scritta, però non si leggevano le parole, che la distanza era assai e u niuro e la luddura del tempo macari. Sforzandomi arriniscii a decifrare una cosa tipo "mater" ma chistu fu tutto. Decisi di vedere se riuscivo a sapere chiossai di quella casa e così mi avvicinai al portone. Mancavano i campanelli e anche i nomi all'ingresso.
"Accù cecca?"
Non avrei saputo cosa rispondere, che ci dovevo dire? Non lo sapevo nemmeno io cosa cercavo.
"Lei è qui per la madre?"
Ancora non riuscivo a vedere chi mi stava parlando, che nellandrone cera scuro, e già questo maveva fatto due domande. Continuai a fare scena muta.
"E allura? Chi ci tirano a lingua?"
Seduto sui primi gradini della scala che portava al piano superiore accuminciò a materializzarsi una specie di Garibaldi vistutu di niuro. Ciaveva una buttigghia di vino in mezzo alle gambe e masticava con piacere pani friscu. Decisi che era il momento di fare u figghiu dellemigrante.
"I miei genitori abitavano qui vicino" ci dissi.
"Ah sì? E comu si chiamavunu?"
"Brancitelli" risposi.
Mi passi casaffugau quanto sentì quel nome, però dopo diventò più gentile.
"Veni, veni! Avvicinati! U voi tannicchia di vinu? E' bonu!"
Guardai per un momento il collo di quella bottiglia piena di pezzi nichi di muddica e decisi di no.
"No, grazie. Ma lei abita qui?"
"Iu? No, no! Chimmivoi mottu?"
Non la capii quella frase, ma lui continuò e non ci potti spiari autru.
"Brancitelli dicisti... cenera una di Brancitelli... era una donna bellissima... ma tu chiccecchi? Veni assettitti!"
Mi fece spazio nel gradino continuando a bere e a parlare. Solo il pane aveva lasciato. Di lato, vicino a una cartata di olive.
"Io lo so a cosa stai pensando ca iu sugnu mbriacuni, ma non è accussì!"
E fu proprio mentre diceva queste cose caddivintau strano.
"U viri stu vinu? E' sangue, e questo pane... questo pane, u viri? E' il corpo dei poveri cristi come ammia, e io me lo mangio e arriru e mi mangio macari iu, e cacario, e piscio, e rutto, e che centra chistu dirai? Nenti, ma nenti non è come sembra e ora iu spostu sta buttigghia e non ce più. U viri? Ti pari na magia? No! Non è accussì! E quando tutti lo capiranno saranno liberi, e macari iu, e tu... che non lo sai ancora."
Accuminciai a spostarmi per alzarmi, ma quello mi pigghiau per il braccio tenendomi strettostretto.
"Fermati! Ti devo cuntare una storia... che quelli non lo sanno chi erano i tre santi, e pensano ca immazzananu per gioco, pecchè erano cristiani... ma il motivo è che loro invece dicevano che tutti siamo uguali, e questo non andava bene, e quando io celo dissi anche mi volevano ammazzare, macari ammia, capisci? Ma teni! Chiffà? Non vivi? La Brancitelli me la ricordo e anche laltro giorno vinni una signorina che la cercava, e io ciò detto che sono trentanni che non la vedo, e anche tanta altra gente è sparita, ma io sono qua! Pecchè lei torna. E' lei che celà insegnato, la mater. A canusci? Deve tornare, e quando tornerà i suoi tre figghi si sveglieranno, e cangeranno il mondo... è il destino!"
Con uno strappo secco riuscii a liberarmi e senza mancu girarimi niscii fuori nella piazza. Lui continuava a parlare e lo sentii gridare.
""Benedetta! Benedetta!"
Ma ormai mi sentivo più tranquillo.

Ero a cento metri dallo studio quando mi passi di vedere la signorina. Sì, era proprio lei. Non era stato un sogno allora, il giorno prima dico.Mi avvicinai senza farimi notare, che lei stava parlando con una cristiana, e ci tuppuliai nelle spalle. Quasi come se selaspettasse si furiò con un sorriso a bocca piena e lasciò perdere con un buongiorno quella povera cristianazza che ciaveva davanti.
"Signor Buonamico! Come sta? Si è ripreso?"
Saranno state quelle labbra, o la me minchia, ma io accuminciai a balbettare come a un carusiddu. Meno male che lei mi tirò fuori subito da quellimpiccio.
"Venga, le offro un caffè"
Ciandai dietro come a un cagnolino. Era più forte di me, quella femmina mi faceva fare quello che voleva.
"Volevo dirle..."
"Senta... allora ha pensato alla nostra proposta?"
"Ma io..."
"Secondo me, detto in confidenza... posso vero? Sì, si vede che lei è un uomo a modo... beh... secondo me lei dovrebbe accettare"
"Sì ma..."
"Lo so, può sembrare strana tutta questa storia, così, all'improvviso"
"Certo però..."
"Io lo prendo amaro, lei?"
"Molto zuccherato sa..."
"Sì certo, è per ieri, vero?"
"No, è che..."
"Ma la vedo in forma oggi"
"Insomma, dottoressa!"
"Che succede? Ho detto qualcosa che..."
"No, no, però... non so come dirlo..."
"Sono qui, non si faccia problemi"
"Sì, sì, ma..."
"E allora?"
"Senta, ma... cosa mi ha detto il notaio? Che minchia è questa proposta?"
Sera fatta una risata la Panozzi, come una che non ci crede a quello che ha sentito. Dopo che poi aveva pagato il caffè si girò verso di me.
"Allora cosa fa? Ha deciso? Viene con me a firmare dal notaio?"
Ci fici di sì con la testa e la seguii.

Davanti al portone che dava allo studio cera di nuovo la targhetta con il nome in bella mostra. Pinsai che forse con lo scuro non lavevo vista la sera prima e continuai a camminare; lofficina era chiusa e una saracinesca ammaccata nascondeva il tugurio del panzone. Feci le scale dubbioso di quello che dovevo dire, di quello che dovevo fare. Fu u suggi a presentarsi davanti alla porta per aprire, tutto gentile mi disse di aspettare di nuovo nella stanza del giorno prima e pregò lassistente, come la chiamava lui, di accompagnarmi, poi sparì davanti ai miei occhi, seguito, dopo tannicchia, dalla fimmina che con un sorriso maveva depositato al mio posto.
Io però non ciavevo voglia di affacciarmi, e neanche di stare fermo, a dire il vero.
Maddumai una sigaretta e feci la strada allindietro. Dallaltro lato della casa non si sentivano rumori a parte qualcosa come una seggia strisciata a terra e un sospiro lamintusu. Mi diressi in quella direzione ritrovandomi davanti a una stanza nica con una scalidda niura. Pianopiano, che mi scantavo di cascari a causa dei gradini stritti e del buio, scinnii verso il fondo, però a metà mi fermai che lo spettacolo non poteva essere disturbato.
La dottoressa mezza a nura e assittata nella seggia che maveva proibito di provare si stava misuranno la frevi, e per farlo sera messa il termometro na ucca e lo allimava con i denti. Chi fitusi! Non cinnavevano tempo piffari sti cosi? Non ci pinsavano ammia che aspettavo? Chimmalarucati! Utai bordo e acchianai alla luce.

Mero già fumato tre sigarette quanto spuntau la signorina. Mera cascata do cori cuddà sucata, ma idda non lo sapeva.
"Il notaio si scusa ma un improvviso impegno lo ha costretto ad allontanarsi. Mi ha pregato però di tenermi a sua completa disposizione per sua ogni eventuale richiesta."
Poi con sorrisetto aggiunse:
"Ha particolari richieste signor Buonamico?"
Ve lo lascio immaginare a voi chimmipassau nella testa in un paio di secondi che il camasutra in confronto addivintau un libro di preghiera dei devoti.
Però cava fari? Acchianarici incoddu? Dirici "veniccà e fa u tò doveri"? Come a un pacchiuttazzo ci risposi solo:
"Bene, non si preoccupi. Telefonerò per un appuntamento"
"Ah! Ma se è per quello anche ora se..."
"No. No... non si preoccupi, chiamerò io"
"Se è così! Come vuole lei Buonamico, la saluto allora"
"Sì, certo. Salve!"
"Mi raccomando, ci pensi! A presto"

Mi feci strada da solo e non ci resi nemmeno il tempo di rapirimi la porta, lo sapevo che se mi fermavo non cillavissa fatta a controllarimi. Avevo voglia di tornare a casa per scaricarimi u battagghiu, ma nosacciupicchì mi diressi di nuovo verso il palazzo della nicchia.
Il cancello era chiuso questa volta e di Garibaldi non cera traccia. Mi ricordai allimprovviso che lì vicino ci doveva essere una chiesa.
"I parrini sannu sempri tutto anche quando pari ca non sanu nenti", accussì ripeteva sempre me nonna e ogni tanto si devono seguire le parole dellantichi.
La chiesa era in mezzo a due palazzi ranni, di quelli costruiti quando tutti facevano case che bastava tannicchia di terra e due basole per acchianare i piani fino al cielo; ci stavano due finte colonne a custodire lingresso e tre gradini a fare immaginare la scala.
Ci doveva essere stato un funerale poco prima pecchè appena entrato lodore di incenso era forte e tracce di fiori macchiavano laltare bianco come una minna.
Ci doveva essere stata gente prima, e forse anche qualche lacrima, e schigghi macari, ma ora non cera nuddu e i miei passi erano come le mani dei niuri sopra i tamburi nelle foreste, e il mio ciato si confondeva con quellodore e stavo, forse, per sentirmi di nuovo male, e pensai che allora ero stato male davvero dal notaio, e chiusi gli occhi un momento, che la testa mi furiava.

"Buongiorno"
Manco mi girai che già lo sapevo chi poteva essere.
"Buongiorno" risposi.
"Tutto bene?"
Mi dovevo essere stracanciato nella faccia pecchè quando finalmente riuscii a riprendermi senza vomitare quello mi guardava tutto preoccupato.
"Venga, si appoggi a me"
Senza aspettare un sì o un no mi pigghiau sotto al braccio e mi tirò dentro alla sacrestia, poi, dopo avermi fatto sedere, sparì un momento per riapparire, poco dopo, con un bicchierino in mano.
"Tenga, è buono! Non si preoccupi"
E davvero mi rianimai con quel nettare che anche u parrinu accuminciau a starimi più simpatico, ma durò poco.
"E' rosolio -volle aggiungere- lo fa mia madre"
Ma cu cazzu tava rittu nenti pinsai, però non ce lo dissi che dopotutto era stato gentile.
Con un po' più di coscienza potei guardarlo meglio; non era giovane, questo no, però sotto alla tonaca uno se lo poteva immaginare il fisico asciutto di chi si mantiene bene, e mentre, poco prima, mi trascinava in quella stanza avevo capito che forse con quello non sarebbe stata una cosa buona spattirisi coppa.

"Sono il figghio della Brancitelli" ci rissi e non so pecchè mi aspettavo una reazione strana. Chinnisacciu... stupore, paura, ma quello invece mi guardò senza fare una smorfia.
"Di chi scusi?"
"Niente, niente... ero qui per..."
Non sapevo che dire. Era quella la verità, ma unu non le ammette mai queste cose. 
"E possibile vedere i libri dei battesimi?"
La soluzione era nisciuta fuori come un pirito non voluto.
"Certo, ma..."
"Vede padre è che io...  io sto per maritarimi. e mia nonna mi ha detto che sono stato battezzato in questa chiesa"
"Ah! Capisco! Io sono qui da poco, però... però...  un momento, qual è il suo nome, figliolo?"
Ci snocciolai la litania delle date e dei nomi e iddu spariu di nuovo, ma questa volta mancò di più e quando spuntò era strano in faccia e con un librazzo aperto nelle mani.
"Ecco, ho trovato però..."
"Mi dica... cè qualche problema?"
"No, no... è che..."
"E' che cosa? Padre"
"Insomma lei..."
"Io?"
"Ecco, guardi lei stesso..."
Andai con locchio dove cera il suo dito, e il mio nome anche, e quello di mia madre, ma il padre era ignoto e accanto, dove cerano le date, mancava anche qualche morta che si doveva essere persa.
"Lei è sicuro dei... insomma, dei dati che mi ha dato?"
"Sì! Certo! Se vuole le mostro..."
"No, no, non cè bisogno, ma, a proposito, sa dirmi niente di questa?"
Solo allora mi accorsi che sullaltro lato del foglio, in corrispondenza con i miei dati cera una strana scritta.
Mi sforzai un poco per leggerla bene ad alta voce e alla fine con laiuto del padre ce la fici: Mater semitam monstravit.
"Macchivvodiri?"
Come uno ca cerca acqua e trova rina, ecco comero e quella bestia di un parrino lo sapeva leggere il latino, ma a capirlo mi passi tannicchia in difficoltà.
"Ecco penso che.."
Come a un grande attore si fermò con la mano sotto il gargarozzo e locchi allaria.
"Allora?" feci io incazzuso.
"Certo.. quel mater è indubbiamente madre"
"Ma questo mellero immaginato padre"
"E anche l'ultima credo sia.. mostrava, ecco.. o dimostrava.. mah! Non capisco però quei semi, forse indica la progenie"
"Chi? A progi cosa?"
Me lo dovevo immaginare. Quello non sapeva nenti e mi vuleva pigghiari po culu con qualche parolona.
"I suoi figli intendo"
"Ah! Ho capito! Li mostrava! Come a quella degli sgracchi insomma!"
Mi sentivo più tranquillo, in fondo ero stato sempre bravo nella storia.
"Gracchi! Gracchi!-urlò lui.
"Sì. Ascusari. Gracchi. Avi raggiuni vossia. Ma perché ci misunu questa frase qui?" azzardai.
"E che ne so io" fece quello fermandosi nei suoi pensieri.
"Mi scusi padre ma lei è sicuro, insomma, della traduzione?"
"Sì, certo, ma quella è una lingua morta, deve capire, e poi..."
"Già" ci dissi fermandolo un momento.
"..e poi ogni autore aveva le sue preferenze"
"Ma sono tre parole, padre!"
"Sì.. ma la costruzione latina.."
"Ma non è che per caso lei ciavissi il libro delle parole.."
"Un vocabolario di latino? Beh sì.. ma non ora. Si sente meglio piuttosto?"
Feci di sì con il capo e allimprovviso decisi di salutarlo, volevo tornare in quella casa invece di continuare a perdere tempo. Prima però appuntai la frase sopra a un biglietto dellautobusso che avevo trovato nella sacchetta, che quel parrino, con la sua chiacchera a muzzicuni, non mi aveva tanto convinto della sua scienza.
"A presto" mi fece lui.
"Ave" ci risposi.

Era venuto il momento di farisi due cunti. Insomma da quello che avevo letto ciavevo una famigghia cumplicata assai, genti ca mancava, genti ca spuntava, ricordi che forse non avevano senso. Mi stava accuminciannu a furiari di nuovo la testa. Non cera nenti da fare dovevo ritornare da quel cazzo di nutaru e farimi dire tutto. Piffozza. Non potevo essere sicuro ma pimmia era là che potevo trovare cunottu.
Camminando non mero accorto però che ero rispuntato di nuovo sotto a quella casa. Furunu una mano e un ciato di fogna a farmelo capire.
"Ah! Turnasti allura!"
"Prego?"
"E finiscila! E' cà u to destinu. U sai!"
"Mascusari! Però.. macchivoli lei insomma?"
"Veni. Entra!"
Lo seguii come a un mammaluccu. Ero troppo curioso, e poi.. chi mi puteva fari?
Garibaldi accuminciau a salire le scale fino ad arrivare al tetto: una terrazza grandissima dominava la piazza.
"A viristi quella?" E mi indicò il posto dove avrebbe dovuto esserci la nicchia.
"No! Chi è?"
Mi taliu con mezzo sorriso comu a dire: "u sacciu", ma poi si girò dallaltra parte. U visti pigghiri un pezzo di gesso dalla tasca e abbiarisi in terra.
"Chiffai?"
Non mi rispondeva chiù. Immaginavo la sua mano muoversi, ma non capivo quello che stava facendo.
U lassai perdere e maffacciai per vedere il panorama. Catania vista da lì era unaltra città: case basse, mattoni di lava, tegole rosa. Ci mancava u sceccareddu e a lavavannara per fare un bel quadro, uno di quelli con la cornice dorata da mettere nel salotto buono con i mobili antichi di truciolato accattati sotto casa che costano meno.
Quando mi vutai maccorsi che ero rimasto solo. A terra cera il ritratto di una fimmina e un nome: Benedetta. Io non canuscevu a nuddu che si chiamava così però quella sopra a quel disegno era mia madre. Lavevo vista tante volte nelle foto che la zia nascondeva dentro larmadio.

Quandero nico aspettavo che lei usciva per fare la spesa e andavo subito là, nella sua stanza, a prendere quello che era mio. Ci parlavo con quelle macchie. E ci contavo i fatti miei a quel fantasma e se chiudevo locchi sentivo anche la sua mano che mi accarezzava i capelli.
Era bello. Mi sentivo più felice in quei momenti, che poi basta poco per esserlo a pensarci bene.
Ora però non lo sapevo più dove erano quelle foto. Quando menero andato a stare da solo non le avevo portate con me che mi seccava dirici a mia zia che io lo conoscevo quel suo segreto. Così quando lei mossi e non li trovai chiù non potei sapere dove erano finite.
Rapii locchi pulendoli dai ricordi.
Umbriacu era sparito di nuovo e io no sacciu chi mi pigghiau ma allinizio fu che passai per sbaglio sopra a quel gesso con i piedi facendo sparire qualche ciocca di capelli e che poi mi abbassai in ginocchio per guardare meglio il ritratto, per aggiustarlo forse, ma invece con le mani cominciai a carezzarlo e poi a strisciare sulla terra, forte, sempre più forte. Fino a quando non rimase solo che uno scarabocchio senza senso. Un fantasma nuovo, diverso da quello che ricordavo. Una macchia che non riconoscevo, che non ciaveva vita .
Solo allora fu che accuminciai a piangere. Le braccia a nascondere il viso, accartocciato come una pezza lodda, piangevo. Non lo sapevo preciso pecchè ma non aveva importanza.


"Senta! Unnè u nutaru?"
"Signor Buonamico, di nuovo qui?"
"Non mi ricissi nenti! Unnè?"
"Ma che succede? Sembra che lei..."
"E allura? Me lo vuole dire?"
"Si calmi, si calmi venga"
Dette queste parole mi pigghiau per la mano. Era chiù forti di mia. Mi stava passannu tutto! Ma se poi lei se ne accorgeva e non mi calmava più? Sarà per questo che continuai a vucitari, a fari tannicchia di resistenza fino a quando non ciaccuminciai a liccari i minni.
Ero vicino alla seggia che cera allingresso, quella privata, se vogliamo dire accussì. Lei sera sbottonata la camicetta e la gonna se nera acchianata in un momento. Che ben di dio ca tineva a carusa!
Le mani non sapevanu chiu che cosa pigghiare, la mia bocca furiava come a un tuppetturu sopra a quella pelle liscia, bianca, profumata come a un giardino di gelsomini. Ero veramente così fortunatu?
Mentre pensavo a questa cosa lei ne approfittò per inginocchiarsi davanti a mia e farimi assittari nella seggia. Evidentemente celaveva nel sangue questa specialità pecchè in un attimo piscau u pisci e accuminciau a cucinarlo, ma io feci finta di non sapere niente di quello che avevo visto e poi non ciavevo nemmeno la forza di parlare che dalla mia bocca niscevano solo versi strani e incomprensibili.
Mancava ormai picca, non ci volevo moriri accussì come a un pupazzeddu senza anima.
Ci pigghiai con tutte e due la mani la testa e mi susii spingendola contro al muro. Poi accuminciai a fari avanti e arretu.
Ci trovò così u nutaro. Lei con le spalle appoggiate, a ucca china, e il culo nudo nterra. Io con le gambe larghe a raggiungere laltezza giusta e le mani sul muro. Parevu uno che, cuntento, si è arreso.

Grotz non fece una piega, anzi per un momento mi passi che stava per buttarsi nella festa e un poco la cosa poteva essere anche fastidiosa, ma poi però tutto quello che successe fu solo che io mi sistemai i causi, che la Pagnozzi spariu,  e che accuminciamu a parrari io e lui nella sua stanza.

"Ora lei mi senti e mi spiega ogni cosa" ci rissi "io non lo so che cosa cercate e che cosa volete, ma lidea che quella del fratello mio è una minchiata io cè lho ben precisa"
"Ma veramente..."
"Ecco non si sforzi di dire chiossai e me lo dica una buona volta, chivvuliti lei e la signorina?"
"Insomma signor Buonamico... come dire... noi cercavamo solo il suo aiuto. Il nostro era un gioco innocente"
"Innocente? Un gioco? Ma chi minchia rici dutturi?! Cioè lei veni a me casa mi spara la cosa di quello lì sì del testamento, mi runa addirittura una mappa come nei filmi dei pirati e poi mi rici che stava scherzando? Ma lei è pazzu o cosa?"
Non ci vireva chiù dallocchi e lavissa pigghiato veramenti a cauci se non fossi stato così curioso di sapiri la verità. Lui dal canto suo continuava a essere nanim abbassamata.
"Allora... è vero. Lei non ha nessun fratello e quella lettera era un falso. Però..."
"Però cosa?"
"Le dicevo, però non tutto quello che le è capitato è un gioco o una truffa, credo se ne sia accorto lei stesso. Pensi al registro in chiesa o a quello strano personaggio che ha incontrato in questi giorni"
"Ma lei..."
"Come so queste cose? Semplice signor Buonamico, mi pare di averglielo già detto, noi cercavamo il suo aiuto e naturalmente non potevamo, diciamo così, abbandonarla a se stesso"
U nutaru chiuriu la frase con una specie di sorrisetto ca mi fici incazzari ancora chiossai. Mi sinteva pigghiatu po culu e per giunta continuavo a non capirici nenti.Non ci volevo però dari sazio.
"Va bene, va bene, mi arrendo.- ci confessai -  Mi voli cuntari tutta la storia dallinizio per favore?"
"Dunque, lei conosce Calogero Mastroscina?"
"Calogero come? No, non mi pari"
"Ma come? Non li legge i giornali?"
"Sì i giurnali! A chi mi servono?"
" Comunque... Calogero Mastroscina...








mercoledì, dicembre 17, 2008

[Condomini] Catherine Spaak

Veni pi tutti u mumentu. Quello dove allimprovviso non ha più importanza cù sì e che cosa hai fatto. Quello dove non tabbasta chiù quello che hai. E possono essere tante le occasioni per fariti pensare accussì ma nei masculi però quasi sempre accade che questa cosa succede a una certa età. A un certo momento che incontri carni frisca come mai ti è sembrato di averla vista. E' diventa inutile allora provare a pinsari con la testa. Ci sono fimmineddi che ti votunu e ti furiunu come a una pezza lodda e ogni lotta è come a quella do pisci nella nassa. Io per fortuna ancora non ci sono arrivato ancora a queste cose che la vogghia mè sempre mancata e il travagghiu macari ma però ne ho visti tanti di uomini peddiri la raggione per una suttanedda e addivintari come a Orlando nellopera dei pupi.
Ci pensavo a questa cosa pecchè ho visto alla telivisioni una storia che cera Tognazzi e quella francese che ora certe volte fa i programmi. La Spacc. Lei in questo filmi è una carusidda ma anche ora ai giorni nostri che futtiri è diventato facili come a mangiarisi una angiova senza sali io non penso che ci sarebbe masculo capace di resisterle. Come si può combattere contro alla bellezza miscata alla malizia? Come si può lottare di fronte alla gioventù che ti mostra le sue primizie? La Spacc è il vento che in estate arriva friscu fridscu prima del temporale. E' il ricordo dei desideri di quando taccuminciava a crisciri u sfingiuni ne mutanni. E' la realtà che ti dice che sei vecchio e lei la realtà non te la vorrebbe neppure fare pesare questa cosa se non fosse che tu ti ostini a immaginarla diversamente.
La Spacc è la fottuta che hai sempre sognato. Il motivo che ti ha portato a travagghiare e poi a travagghiare e ancora a travagghiare fino a quando la fatica ti ha fatto dimenticare che era per lei che lo stavi facendo. Per la Spacc. Per lo sticchio.

lunedì, dicembre 15, 2008

Circolo Gaetano Bresci - La ballata del Pinelli

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo che caldo faceva
brigadiere apra un po' la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

Signor questore io gliel'ho già detto
lo ripeto che sono innocente
anarchia non vuol dire bombe
ma giustizia amor libertà.

Poche storie confessa Pinelli
il tuo amico Valpreda ha parlato
è l'autore del vile attentato
e il suo socio sappiamo sei tu.

Impossibile grida Pinelli
un compagno non può averlo fatto
e l'autore di questo misfatto
tra i padroni bisogna cercar.

Stiamo attenti indiziato Pinelli
questa stanza è già piena di fumo
se tu insisti apriam la finestra
quattro piani son duri da far.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po' la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

L'hanno ucciso perché era un compagno
non importa se era innocente
"Era anarchico e questo ci basta"
disse Guida il feroce questor.

C'è un bara e tremila compagni
stringevamo le nere bandiere
in quel giorno l'abbiamo giurato
non finisce di certo così.

Calabresi e tu Guida assassini
che un compagno ci avete ammazzato
l'anarchia non avete fermato
ed il popolo alfin vincerà.

Quella sera a Milano era caldo
ma che caldo, che caldo faceva
brigadiere apra un po' la finestra
ad un tratto Pinelli cascò.

[E tu Guida e tu Calabresi
Se un compagno ci avete ammazzato
Per coprire una strage di stato
Questa lotta più dura sarà.]


domenica, dicembre 14, 2008

[Condomini] Pause

Cera un cielo di caffè macchiato stamatina.

Alla televisione parravano dei soliti morti. Facevano vedere le solite facce. Vendevano le solite cose.
Io invece non ciavevo niente cheffare. Avevo finito di darici lacqua alle piante. Uscito la carne dal frigo per il pranzo. Fumato la mia sigaretta.
Poi mi ricordai allimprovviso che la sera prima non avevo uscito le robbe dalla lavabiancheria. A questora erano tutte impagghiazzate. Addumai la macchina e ci fici fari unaltro giro. Quando però mi calai per vedere a che punto era maddunai di una cosa niura che abballiriava in mezzo a mutanni e magliette. Pareva un suggi morto. Massittai davanti allo sportello per vedere meglio la scena e maddumai unaltra sigaretta.
Non ci vosi assai.
Quando finiu la centrifuga pigghiai tutte le cose e le stesi al balcone.

Stava accuminciannu a chioviri.

giovedì, dicembre 11, 2008

Vulcani

Pioggia di ceneri
oggi,
su questa città, sul mio capo.
Nessun rimorso o lacrima
sul viso stanco. No, nessun pianto,
né suono a rubarne il dolore.
Estraneo mi aggiro
in questo fuggire
tra grigi lapilli,
tra lo stanco bisogno di dire e
un abitudinario tacere.
E' forse vana speranza l'attesa
di un fuoco che brilli.

lunedì, dicembre 08, 2008

[Condomini] Sirene

Era un periodo che verso le due di notte allimprovviso si sinteva forteforte una fimmina che cantava e che arrusbiggliava tutto il palazzo.
La prima volta caccapitau me lo ricordo ancora. Saddumano tutte le luci alle finestre e tutti niscienu fora a fari burdellu:
“E cuie?”
“E basta camaddommiri”
“E stiratici u coddu a sta iaddina”
Però la voce era bella e non durava assai. Cinque. Dieci minuti. Il tempo preciso per farici sugnari. E anche se le parole non si capivano assai capitava che ognuno ci sinteva quello che voleva in quella canzone e il bello è che per tutti quelle erano frasi di conforto e damuri. Forse fu per questo che con il passare del tempo si rapenu meno porte e si ficiunu meno vuci.
No sacciu. Non sugnu sicuro. Magari fu solo labitudine. O il sonno.
Però oggi in questa prima sira muta melimmaginai tutti i condomini arreri alle finestre. In silenzio. Ad aspettare.
Comammia.
Senza sirene per questa notte. Senza mari.

domenica, dicembre 07, 2008

Paul Eluard - Liberté

Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome

Su tutte le pagine lette
Su tutte le pagine bianche
Pietra sangue carta cenere
Io scrivo il tuo nome

Sulle dorate immagini
Sulle armi dei guerrieri
Sulla corona dei re
Io scrivo il tuo nome

Sulla giungla e sul deserto
Sui nidi sulle ginestre
Sull'eco della mia infanzia
Io scrivo il tuo nome

Sui prodigi della notte
Sul pane bianco dei giorni
Sulle stagioni promesse
Io scrivo il tuo nome

Su tutti i miei squarci d'azzurro
Sullo stagno sole disfatto
Sul lago luna viva
Io scrivo il tuo nome

Sui campi sull'orizzonte
Sulle ali degli uccelli
Sul mulino delle ombre
Io scrivo il tuo nome

Su ogni soffio d'aurora
Sul mare sulle barche
Sulla montagna demente
Io scrivo il tuo nome

Sulla schiuma delle nuvole
Sui sudori dell'uragano
Sulla pioggia fitta e smorta
Io scrivo il tuo nome

Sulle forme scintillanti
Sulle campane dei colori
Sulla verità fisica
Io scrivo il tuo nome

Sui sentieri ridestati
Sulle strade aperte
Sulle piazze dilaganti
Io scrivo il tuo nome

Sul lume che s'accende
Sul lume che si spegne
Sulle mie case raccolte
Io scrivo il tuo nome

Sul frutto spaccato in due
Dello specchio e della mia stanza
Sul mio letto conchiglia vuota
Io scrivo il tuo nome

Sul mio cane goloso e tenero
Sulle sue orecchie ritte
Sulla sua zampa maldestra
Io scrivo il tuo nome

Sul trampolino della mia porta
Sugli oggetti di famiglia
Sull'onda del fuoco benedetto
Io scrivo il tuo nome

Su ogni carne consentita
Sulla fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Io scrivo il tuo nome

Sui vetri degli stupori
Sulle labbra intente
Al di sopra del silenzio
Io scrivo il tuo nome

Su ogni mio infranto rifugio
Su ogni mio crollato faro
Sui muri della mia noia
Io scrivo il tuo nome

Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine
Sui sentieri della morte
Io scrivo il tuo nome

Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome

E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.


giovedì, dicembre 04, 2008

[Condomini] ricordi


Chissà chiffù. Oggi pensavo a quando mi pigghiau lamuri per Vera Alagna e addivintai geloso di Vincenzo. Mi ricordai che ciavevo anche scritto una poesia a dà fimmina. Era ancora nel cassetto delle medicine dentro a una lanna. Insieme alle fotografie della cresima. Ai confetti nellorganza. Alle muddichedde di pane. A una rosa sicca.
Pigghiai quel pezzo di carta e me lo misi in tasca per farcelo vedere a dù fissa di Amato.

Salutannu u jonnu
a voti massali
na strana amarizza
u me corpu peddi lali
e sulu marrittrovu
comu quannu vicinu a tia
cantando ricia:
Si no me cori
si na me menti
si na me vita
comu ‘nturrenti
turrenti d’amuri
turrenti infami
ca nudda cosa
intra iddu appari.

Iu cettu no sacciu
picchi non taia scuddari.
Su fussi disiu o carni
chiossai putissi fari,
ma contru sta fattura, no
non si po’ luttari.

Si no me cori
si na me menti
si na me vita
comu ‘nturrenti
jochi cu tutti
a tutti tu menti
e sulu mi lassi
no pittia non cuntu nenti.

Lui era tutto contento quando ce la mostrai. Credeva di avere trovato un complice alle sue cose e così mi voleva fare leggere le cose che scriveva. E qualche cosa me la recitò pure il mischinazzo. Così. Rapido rapido. Quasi con vergogna. Ma io non cinnaiu tempo per le minchiate. Per tutti questi svinimenti degli scrittori. Per queste cose che ti obbligano a pinsari. Accussì ci dissi solo che avevo lasciato sopra lacqua per la pasta e me ne sono andato. Poi nella scala scicai u fogghiu a fare coriandoli che il carnevale è sempre vicino.

martedì, dicembre 02, 2008

[Condomini] Annunziato Allegra

Io mi chiamo Annunziato Allegra detto lamericanu pecchè mi piaciunu i canzuni dellinglisi. Quelle ivimetal. Con la musica naricchi che scippa la testa.
Io premetto che ciò diciannovanni e sugnu catanisi vero. Della Civita.
Io visto che me lo hai chiesto vulissi scrivere qualche cosa di me. Di quello che sono e che faccio. Ma non lo so se ci riuscirò bene ché ho finito le scuole alle medie quando già diciamo accussì i prufissuri erano stanchi di mia e di quello che combinavo. Eppoi può essere ca scrivennu allimprovviso mi veni a mancari la vogghia macari e allora di certo non ciarriniscerò a iri avanti.
Io sono del cleb rossazzurro che cè sotto a me casa. Semu tutti carusi che ci canusciemu da sempre. A stissa scola. A stissa chiesa. U stissu campu per giocare. E qualcuno macari u stissu patri anche se non si può dire.
Quà nel cleb semu tutti pò fasciu che il Catania è una fede ma anche Benito merita e nella stanza dove ni viremu i pattiti ci sono le foto della squadra e del Duce. A volte ci sono delle grandi soddisfazioni a essere del cleb. Che uno se la può spacchiare per un sacco di tempo. Il mese scorso ad esempio vinnuno tutti i giocatori a farici visita e noi glielabbiamo detto che ci preparavamo una bella sorpresa per la trasferta. Loro si misuru a ridere e tutto finiu a farsa con le paste fresche di ricotta e i botti nella strada per festeggiare.
Io la matina cerco di vendere qualche cosa alla fera. Al mercato insomma. No non cè lho il permesso. Ma non cè bisogno che tutti lo sanno che non è necessario per quelli come a mia e poi non è ca iu sugnu cinisi o niuru. A chimmi sevvi? I vigili ogni tanto ci tentano di scassarici la minchia ma è solo quando al comune qualcuno decide che deve farsi vedere che lavora. E se capita questa sfortuna io lo so a chi mi devo rivolgere per risolvere ogni cosa.
E' semplice il mio travagghio. Io e lamici partiamo presto per le campagne e scippiamo e prendiamo tutto quello che si può e poi dopo ci tiriamo la matinata a vendere. A poco prezzo però che così la gente accatta. No. I soldi non ciabbastano. Per i capricci cè bisogno di farisi arrialari qualche telefonino o qualche orologio di quelli buoni se capita. Ma senza fari dannu. Sulu accussì. Con tannicchia di paura che la gente si scanta e molla quello che ti deve.
La sira durante la settimana quasi sempre siamo solo tra noi. E qualcuno ciavi la carusa. Qualcunaltro tira fuori tannicchia devva o la polverina giusta se la giornata è andata bene. Qualchealtro ancora si occucca.
La domenica invece al cleb cè u chinu. E ci sono quelli importanti macari. Quelli con la machina a forma di camion e le femmine improfumate che li vedi che loro ci guardano come allanimali allo zoo. A mia non mi fanu tanta simpatia sti personaggi ma qualcuno dellamici mi ha detto che a parecchie di quelle visitatrici ci piaci farisi ntuppari i puttusa e allora macari iu cerco di essere più gentile. Ci sù i capi anche alla domenica. Che tutti stanno attenti e ci fanno mille salamallecchi. E sempre con loro ci nesciunu i soldi per la trasferta o qualche pezzo di cento non previsto in cambio di qualche minchiata da fare o di gente da votare e fare votare.
A noi catanisi veri comunque a noi fedeli cinteressa solo la squadra e arrivare davanti a tutti a fine campionato chè limportante è la guerra e non la battaglia. E cè nel manifesto del cleb questa cosa. E io ci credo.

lunedì, dicembre 01, 2008

Salvatore Niffoi da La sesta ora

A volte i semplici sono meno semplici di quanto pensano, e si fermano a guardare il mondo che rotola come una palla per tornare sempre al punto di partenza. I semplici lo sanno che si torna sempre lì, e risparmiano il carburante dell'esistenza per vivere più a lungo e soffrire di meno. Babbu Tidoru era uno di quei semplici complicati che riduceva tutto a poche cose: nascere, vivere, morire. La sua era la filosofia dell'indispensabile, del pane, formaggio e vino. Il resto, l'amore, il dolore, la gloria, la ricchezza, erano solo un contorno: il contorno al piatto della morte.
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