sabato, agosto 30, 2008

Sebastiano Vassalli - la lettura

Sebastiano Vassalli, Un infinito numero. Virgilio e Mecenate nel paese dei Rasna

La sera di quello stesso giorno incominciai a leggere il poema di Omero intitolato Odissea. Furono i primi versi di quell’opera, che ricordo ancora a memoria (Parlami, o Mu­sa, dell’uomo ingegnoso e scaltro che dovette vagare a lun­go, dopo avere distrutto la sacra roccaforte di Troia, ec­cetera), a introdurmi in un mondo meraviglioso e per me sconosciuto: quello della lettura! Mi buttai a leggere con la stessa dedizione che gli uomini, in genere, dedicano ad al­tri piaceri, per esempio al corteggiamento delle donne o ai giochi d’azzardo; e continuai per quattro anni, ininterrot­tamente, con le sole pause del riposo e del tempo che do­vevo dedicare al servizio del mio padrone. Imparai tutte, o quasi tutte, le cose più importanti che erano state pensate e scritte prima della mia nascita; mi abituai a guardare il mondo con cento occhi, anziché con i miei due soli, e a sen­tire nella mia testa cento pensieri diversi, anziché il mio so­lo pensiero. Diventai consapevole di me stesso e degli altri. Gli uomini, senza la lettura , non conoscono che una piccolissima parte delle cose che potrebbero conoscere. Credono di essere felici perché fottono, si riempiono le pance di ci­bo e di vino e addolciscono le loro vite con questi piaceri, assolutamente uguali per tutti; ma la lettura gli darebbe cen­to, mille vite, e una sapienza e un dominio sulle cose del mondo che appartengono solamente agli dei. Io, almeno, ne sono convinto.

mercoledì, agosto 27, 2008

[Condomini] Belle

Cerano andati in tre a pigghiari la màchina per la rapina. Turi, u fìgghiu da Scassata, ne aveva puntato una in una strada vicino al centro. Una nica, che così non dava nellocchio e ci si poteva spostare tranquilli.
Aprirla e metterla in moto era stata questione di un attimo.
Quella sucaminchi della padrona, pecchè di sicuro quella era la machina di quacche fimmina, non ciaveva neppure messo lallarme. Il colore era già un programma, tutta niura fora e con l'interno rosa che pareva una cozza andata a male. Di dentro, manco a dirlo, era tutta ordinata e pulita. I pupazzetti (una scimmia con la banana e una miciuzza con la luna) attaccati nei finestrini di lato e le cassette di Baglioni e Gigi Dalessio a fare compagnia. Peccato che la radio non se lera dimenticato di salirla, che a Turi le canzoni di Dalessio ci piacevano assai e sera visto anche il concerto quell'estate.
Appena messo in moto Austinu Tigna accuminciau a ispezionare ogni puttuso mentre, assittato dietro, Franco U Sciancato ci dava cuzzate a Turi che guidava.
"E finiscila!" urlava lautista.
"E bravo a Turi" ci rispondeva Franco che nello stesso momento faceva partire la sua manazza verso il collo dellamico.
Ad un tratto i due compari furono zittiti dalla voce di Austinu.
"Minchia chi buttanazza!"
Aperta sopra alle gambe do tignusu ci stava la cassetta dei medicinali.
Turi abbiau una frenata che per poco non si ammazzavano.
"Minchiaaaa!" riuscì a dire.
La machina fu fermata velocemente sopra a un marciapiede libero quindi cominciò lispezione.
La cosa che aveva attirato la loro attenzione era quello che Franco aveva chiamato subito "un cazzo con due minchie", vicino a questo poi cerano anche un paio di manette e delle strane palline colorate attaccate a un filo. Nascoste da tutte queste cose, e a testa sutta, ci stavano infine delle foto con una bedda carusa tutta a nura. Erano tre in tutto, le foto intendo. Una per ogni puttusu.
"Camaffari?" Turi sembrava avere già preso la decisione.
"Aspittati..." cerco di dire Austinu ma la machina stava già ritornando dove era stata presa.
"Ma tu si sicuru co putemu fari?" La domanda di Franco era di quelle che non ci potevano essere errori nella risposta e Turi ci pensò un attimo prima di accalarari la testa e di raccontare come laveva trovata.
La machina gliela aveva segnalata un suo amico posteggiatore che ogni tanto si faceva quella zona quando cera la fera del venerdì.
"E' di una carusidda figghia di un dutturi che abita qua vicino -gli aveva detto- Io ci conservo sempre il posto pecchè lei mi da due euri quando mi vede. Però su ti sevvi... pimmia ta po puttari. Tanto di sicuru sinnaccatta unaltra senza problemi".
Siccome però a lui ci piacevano le cose sicure laveva tenuta sotto osservazione una simanata che per fare il colpo la cosa doveva essere veramente tranquilla e in effetti la carusidda pareva come a un orologgio svizzero.
Nisceva di casa alle otto di matina e sarrìtirava alle quattro di pomeriggio posteggiando sempre nello stesso posto. Poi faceva un centinaio di metri a peri fino a attraversare il viale per entrare nel portone di casa sua. Era impossibile che da qualsiasi balcone di quel palazzo si potesse vedere la viuzza del posteggio pecchè cera un muro alto davanti e la machina era proprio sotto a quello.
Lunica cosa che ci era paruta strana e che gli altri dei dintorni sembrava che lo sapevano che quello era il posto suo e nessuno lì ci metteva mai la propria carriola. Insomma comunque per farla breve che non si manciùnu i chiàcchiri... loro avevano ancora tutta la nottata per riportare la machina e conoscere la proprietaria.
"Ma comè?" Franco si stirava u cavaddu dei causi come se ciavevano ittatu di supra una tazzina di cafè appena fatta, ma non cenaveva vogghia di dire che quelle foto celavevano fatta attisari.
"A mia mi passi nangiova sicca... però era lontana. Nosacciu insomma. Ora viremu"
Turi era divertito da questa cosa, come a un carusiddu
"Sì, ora! Minimo minimo dobbiamo aspettare finu a dumani. E se a qualcuno ci veni la nostra stessa pinsata? E su ci cangiuno quacchecosa unni iemu a pigghiari?"
"Ca cettu. Ti pari ca banca scappa? Lorario sempre quello è!"
"Va bene basta! Turi lassaci o chioscu e posa a machina."
"Ma..."
"Pochi chiacchiri. Ni facemu na birra, ni o cuccamu, e poi domani si vede."
"Ma queste?"
"Strunzu! Quello che cè nella scatulidda ce lo portiamo noi. In cambio ci mettiamo un bel bigliettino e un indirizzo"
"E di cui?"
"Di to soru a monaca! Bestia! Ci diciamo che la vogliamo vedere che se no qualcuno che conosce e che ci vuole bene poi si pigghia un dispiacere..."
"Ma su ci facissimu una futtuta macari?"
"Può essiri! Poi dumani si viri!"
L'indomani erano tutti là. Cu' a peri e cu' supra a sò vespa.

martedì, agosto 26, 2008

démodé

No, non scrivere
amore,
non fiore, non cuore,
che questo dispiace al Poeta.

A Lui,
in cerca del nuovo,
appare scontato questo dire,
passato,
adolescenziale
(con gabbiani e tramonti e sirene intrappolate
nell'azzurro del mare).

Nuove frasi, nuove clip,
nuovo sangue allora,
invoca
il Sommo
per l'antico nome,
per quella sciocca sensazione
che questi scribacchini s'ostinano a chiamare
amore.

Amore? Ecco, ohibò, l'ho detto,
l'ho scritto!
Sì, mio Signore, ha ragione!
Non sarò mai un poeta,
nessuna gloria per queste parole.

venerdì, agosto 22, 2008

Woody Guthrie - Two Good Men: Sacco e Vanzetti

Dite, voi, avete sentito la notizia?
Sacco lavorava come tagliatore di scarpe,
Vanzetti era venditore ambulante,
spingeva il carretto del pesce.

Due bravi uomini scomparsi da tanto tempo
due bravi uomini scomparsi da tanto tenpo

(due bravi uomini, oh da tanto tempo scomparsi, scomparsi)

Sacco e Vanzetti, scomparsi da tanto tempo
mi hanno lasciato qui a cantare questa canzone.

Sacco era nato al di là del mare
e sbarcò nella baia di Boston;

Vanzetti percorse l'azzurro oceano
e anche lui sbarcò a Boston.

La moglie di Sacco aveva tre figli,
Sacco era un buon padre di famiglia;

Vanzetti era un sognatore,
aveva sempre un libro in mano.
Sacco si guadagnava da vivere
facendo il tagliatore in una fabbrica di scarpe;

Vanzetti parlava giorno e notte
insegnando ai lavoratori come lottare.

Se me lo chiedete, vi racconterò
della rapina delle paghe;

due impiegati vennero uccisi presso il calzaturificio
in una via a South Braintree.

Il giudice Thayer andava dicendo agli amici
che avrebbe tolto di mezzo i radicali,

"Anarchici bastardi" era il nome che usava
il giudice Thayer per definire quei due bravi uomini.

Vi dirò i nomi degli accusatori:

Katsmann,

Adams,

Williams,

Kane;

il giudice e gli avvocati procedevano impettiti
facendo più numeri dei pagliacci di un circo.

Vanzetti sbarcò qui nel 1908,
dormì nella sporcizia delle strade,
disse ai lavoratori di organizzarsi
e muore sulla sedia elettrica.

Tutti voi dovreste essere come me
e lavorare come Sacco e Vanzetti;

e ogni giorno trovare qualche mezzo di lotta
con i sindacati per i diritti dei lavoratori.

Non ho tempo per raccontare questa storia,
guardie e sbirri sono sulle mie tracce,
ma ricorderò questi due bravi uomini
che morirono per mostrami come vivere.

Tutti voi che abitate in Vicolo Suasso,
cantate questa canzone e cantatela ben chiara,
e tutti voi che state arrivando,
unitevi a me e cantate questa canzone.


Woody Guthrie: Questa terra è la tua terra - Two Good Men: Sacco e Vanzetti

Capitombolando


Straniero si struscia.

Un eudemonico pensiero
pitta all'amo dei corpi riflessi.

Sbreccia ricordi
falsati, confusi, dispersi.

giovedì, agosto 21, 2008

Stereoma

Piogge notturne
illuminano visi.
Ombre di stelle.

mercoledì, agosto 20, 2008

Innocent Voices


giovani foglie scivolano sull'erba
tracciando, ai margini,
il sentiero

un'esile luce
al confine del bosco
annuncia la notte

martedì, agosto 19, 2008

Come un treno lontano


Così mi rigiro ad aspettare il giorno
e te

che non vivi
e ti domandi

che non chiedi
e ti rispondi

che mi baci
ma non sei.

Fuori,
tra la notte e l'alba,
corrono sconosciuti pensieri.

Qui, con me,
nel sogno
i colori.

29 Ottobre 1999

sabato, agosto 16, 2008

[Condomini] Alfonsina Carrubba

Io le minchie le ho viste appena nata che a casa mia ero lunica figghia fimmina e poi cerano ottu frati e me o pà. Mia madre santa cristiana ci stirava i causi e i cammisi a tutti poi arrivata alla notte si mitteva a culu a ponte e aspittava muta e sora che mio padre avesse finito. Noi ogni tanto sentivamo quacche cosa di quei movimenti. Niente di speciale ma insomma labbiamo capito presto che la cicogna era una pigghiata po' culu.
Quando ciavevo otto anni che i minni accuminciavano a viririsi addivintai il libro di scienze di un pezzo della famigghia però nessuno mi fici mai niente che tutti ciavevano rispetto. Io do me versu facevo finta di sapere ogni cosa ma era tutta una farsa. Cioè almeno fino a quando Alfio il nostro vicino di casa non mi fici assittari dentro alla macchina che era posteggiata nel garage di suo padre e ma misi di botto na ucca. Io ciavevo dodici anni e lui diciotto.
Poi però forse u carusu sa cantau troppo quella sua spittizza pecchè a lui ci capitò di pigghiari una bella sugghiata di coppa e a me invece di finire dalla zia Sara a vitua. Io ci dovevo dare una mano a quella vecchia senza figghi e lei in cambio mi avrebbe dato a mangiare.
So maritu bonanima era morto cinque anni prima ma il cane che lui ciaveva lasciato invece era ancora vispo vispo come a un cucciolotto. Abituato comera con la padrona la prima vota ca mi visti in ginocchio a puliziari il pavimento ci passi un giorno di festa e macari ammia in verità.
Sono stati anni difficili che la vecchia era peggio di una strega e mi mancava la mia famigghia e i me frati anche. E poi per cinque anni non lo saputo più comera fatto un masculu. Anche se.
Per questo ora che ciò diciassette anni quasi diciotto per lesattezza ogni tanto mi veni vogghia di una minchia vera. Però staiu tranquilla che ci porto rispetto a Bobby che ciò giurato che prima ammoriri iddu.

mercoledì, agosto 13, 2008

caos

e lei mi disse stai male e io risposi no ma stavo male in verità e lei si allontanò perchè non stavo male ma non sapeva e la chiamai senti e lei si girò dimmi e niente io dissi ma stavo male e allora lei si voltò nuovamente senza parlare questa volta e si allontanò e io non potevo certo chiamarla di nuovo ma stavo male

ricordo anche che ero tutto sudato e puzzavo anche e i piedi erano neri e nera la faccia e ogni cosa che indossavo era nera e sporca e continuavo a sudare e mi scioglievo mi liquefacevo e sparivo ricordo

te lo farei arrivare fino in gola fino a sentire la gola te lo farei arrivare e con le dita ti tapperei il naso e le mani ti legherei e spingerei fino alle palle fino alle palle spingerei ma oggi è moscio mi hai fatto notare e non se ne fa niente sarà per un'altra volta e ti saluto mi hai detto e anch'io ti saluto

mi arrampicherò così sull'albero e griderò voglio qualcosa qualcosa voglio e non lo saprò sì ma lo dirò lo griderò

sabato, agosto 09, 2008

Theodor W. Adorno e l'alba


"[...] il sorgere del sole, anche quello a cui si può assistere in alta montagna, non ha nulla di pomposo, trionfale e sovrano, ma accade sempre, per così dire, in modo timido e esitante come la speranza che un giorno le cose potranno andare meglio per tutti, ed è proprio in questa inappariscenza della luce più possente che si cela ciò che ci commuove e che ci sopraffà."

Theodor W. Adorno, Minima Moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino, 1979, p.126.

venerdì, agosto 08, 2008

Strade catanesi

Via Balatelle

Parte delle abitazioni poggia su di una collinetta, si viene cosi a formare un lieve dislivello tra i vari ingressi ma tale scarto è superabile attraverso quelle che un tempo si sarebbero chiamate comode scale e che ora, con tutti i gradini sapientemente brecciati, appaiono alla fantasia come orli di antichi castelli. In onore alle leggi, poi, sono state aggiunti anche degli scivoli laterali, certo utili per i "carrioli a pallini" e per chi come me non ha nessuna intenzione di scendere dal motorino per raggiungere le entrate dei palazzi. Quasi inutile parlare di citofoni e targhette, la loro sporadica presenza è comunque vero segno di distinzione, di potere, tra una reggia e l'altra.
Abitano qui Iano e Tony. Da un paio di giorni, durante il mio giro, li vedo giocare con l'acqua. Bravi ragazzi. Credo siano agli arresti domiciliari, ma la polizia non è un problema. Solo una luce lampeggiante in possibile avvicinamento. Da controllare sulla strada lontana, se proprio necessita, se si sa che si deve firmare.
Giocano con l'acqua, dicevo. Hanno iniziato facendo uscire un grosso tubo dal balcone del primo piano per innaffiare, con quello, il cemento spaccato dal caldo. Oggi, invece, li ho sorpresi con tutta la famiglia. I bimbi sguazzavano quasi nudi sotto il getto offerto da Iano:
"Chiffà ti voi vagnari? Ta voi rari narifriscata?".
Sorrido, accetterei volentieri, ma sono in "servizio". Con il capo faccio segno di no e passo allo scivolo successivo, poi mi fermo. Una bimba mi sbarra la strada. Ha un costume carino, tutto rosso e giallo. Sorrido di nuovo ed incontro il suo sguardo. Ride, sdentata e contenta:
"Papà, ancora! -urla all'improvviso - papà!".
Fuggo un attimo prima che l'acqua mi colpisca. "Figghi di sucaminchi!" penso. Inutile voltarsi. Perderei solo tempo.

Largo Guastella

Come un arco pronto a colpirti, come un anfiteatro abbandonato, come un cuttigghio barocco su cui occhieggia un'immensa chiesa. Come un'epifania del rito malavitoso santapaoliano. Largo Guastella ha tutte le caratteristiche del luogo mitico, senza tempo.
Anni fa, durante il mio noviziato lavorativo, fui qui accolto festosamente da un signore che (per chiamarmi sostenne poi candidamente) mi lanciò sulla testa delle mollette da bucato e da un nugolo di fanciulli che, giocando anch'essi come il primo, quasi distrussero la mia borsa ed il suo contenuto. Il giorno dopo strategicamente mi ammalai e tutto divenne folcloristico ricordo, ma ora è diverso, ora tocca esserci per lungo tempo.

Arrivo molto presto. I colleghi mi hanno informato sui riti da officiare: scampanellata con la vespa, grida ripetute ("Posta! Posta!"), attesa.
Ecco, sul tempo dell'attesa le opinioni sono state contrastanti. C'è chi ha parlato di un minuto e chi, invece, è arrivato a suggerirne tre o cinque (ma sono stati i soliti estremisti) ad ogni modo tutti hanno evidenziato la necessità di attendere l'urlo di risposta. L'attimo in cui l'eletta rispettosamente esploderà un:
"Piccuiè?"
Quasi sempre ella sarà incazzata, con un bimbo in braccio e abbondanti minne poggiate sul balcone. L'officiante solo allora potrà iniziare a snocciolare i nomi dei prescelti sperando che qualcuno di essi raccolga per tutti ciò che egli ha portato, si passerà poi al condominio successivo per ripetere esattamente le stesse operazioni. Otto volte, prima di completare il percorso.

Fui fortunato quel giorno. Il primo nome, per uno strano scherzo del destino, fu quello di un tal Erbasecca.
"Erbasecca! Cerco Erbasecca" urlai ridendo, e mi sorrise il mondo.

mercoledì, agosto 06, 2008

Percorsi

Come cieco mi muovo
indagando sui volti,
sui corpi scordati
che trovo e combacio
in cerchi di note.

Edituo allora mi appaio,
di un tempio lontano.
Conducimi ad esso viandante:
Sii il mio cuore.
Conducimi ad esso viandante:

martedì, agosto 05, 2008

Nessuno tocchi la famiglia

A due secondi dall'ultima sigaretta, a duecentotrentasei minuti dall'omicidio, a sei ore dal pranzo a casa della madre, Goffredo Scacciapuoti guardava incuriosito i titoli dei film in programmazione. Il grande cartellone al centro della piazza deliziava i passanti con una mappa, ormai illeggibile, del paese e con le fresche locandine pubblicitarie delle sale cittadine.
Lo sguardo di Goffredo, dopo una rapida virata sugli avvisi di chiusura estiva, iniziò a pendere, soddisfatto, verso l'angolo sinistro inferiore di quel piccolo muro di metallo:"L'uccello insaziabile"; "Li voglio tutti"; "Buchi ingordi"... la foto minuscola, ma ben chiara, di una donna con le labbra aperte e la bocca piena reclamò, improvvisamente, la sua attenzione.
"Deborah!"
"Chi?" ribatté subito una voce bassa e nicotinica alle sue spalle.
"Deborah, la mia fidanzata!" si ritrovò a rispondere, quasi in trance, Goffredo.
Il titolo recitava:
"Amatoriali italiani: le meravigliose avventure di una vergine zoccola".

domenica, agosto 03, 2008

[Condomini] Falsi allarmi

Accuminciamo con il dire che io non ci pensavo affatto. Delle conseguenze dico.
No che non lo sapevo come succede o che la birra maveva fatto effetto. E' che ero sicuro. E se uno è sicuro tira rittu come a una cascata do ciumi. E futti.
Futtiri sì. Comu i cani. Comu i cunigghi. Comu i iatti della strada che parunu chianciri nella notte precisi a tanti picciriddi e che poi dopo invece li vedi felici e soddisfatti. Che per quello che hanno da fare non cè bisogno di paruluni dincoraggiamento o di munsignerie e nemmeno di una sigaretta amara quando uno ha finito.
Per loro esiste solo quel momento. Quello dove isi la testa e addiventi cieco e cerchi di trasiri chiossai che puoi. Fino a dove. Fino a quando.
No. Non ci pensavo affatto. E anche se ora lo so che ciavevo ragione lo posso dire sulu a mia che non mi sarebbe dispiacuto assai pinsarici.