martedì, luglio 30, 2019

[Diario parmigiano] 3


I lavori proseguono veloci. I muratori hanno tutti accenti del sud Italia e si scambiano battute tra loro credendo, a torto, di non essere capiti. Sono parole salaci, sfottò divertiti.
All'ora di pausa arrivano pizze e birre. A portarle un ragazzo di colore, con la sua bici d’ordinanza. Nonostante il caldo non è affatto sudato. Consegna e scappa via, veloce. Non ho capito se avesse, con sé, altro da distribuire.
Qualcuno dei manovali rimane all'interno delle abitazioni in ristrutturazione, qualcun altro ne approfitta per spostarsi nella vicina piazza all'ombra striminzita di bassi palazzi, uno sceglie la piazzetta più isolata e assolata, quella accanto casa mia.
Lo sento parlare. Lui, immagino, seduto sulle lunghe panchine scrostate, io chino a scrivere accanto alla finestra.
Per qualche strano gioco di rimbalzi qui arrivano le voci delle persone che attraversano i dintorni, ma non i segnali delle compagnie telefoniche. Niente 2G, 3G, 4G... niente squilli inopportuni. Sarà un vendicarsi delle antiche mura o uno scherzo acustico dei vecchi costruttori.
L’uomo parla con la famiglia, mi pare. Racconta la giornata, quello che ha fatto, quello che gli rimane da fare. Credo siano le stesse parole di chiunque abbia dovuto abbandonare i propri affetti per poter lavorare. Quando finisce io sono già uscito per andare a prendere un caffè al bar. Lo vedo addentare con gusto un panino farcito con del crudo dal buon colore. Magari parlerà anche di questo quando tornerà a casa.

domenica, luglio 28, 2019

Azzappa all’acqua e simina o ventu


L’amuri non è futtiri. 
                       Non su i linzola vagnati di desiderio, i matirassi di cangiari.
Non è accalari a testa. 
                       Diri sempri sì senza mai abbaiari.
Non su i figghi.
                       Chiddu è u cori ca sarrinesci a tagghiari.
Non è mutismo. 
                       Che c'è silenzio e silenzio, l'arririri e u mazziari.
Non è scanto darristari suli. 
                       Ca bastunu i cani e i iatti, l’amanti da addivari.

L’amuri è poesia di farisi disidirari, di disidirari.
E' comu i vecchi na putia, menzu littru e sempri pronti a babbiari.
L’amuri è 'mparari, 'nsignari a dari.
Arristari diversi e incastrati: sali e acqua, pisci e mari.
L’amuri è u tempu, ca non si scanta di passari.

[Diario parmigiano] 2


Oggi è domenica. Piove. 
La vecchia continua a urlare contro i suoi invisibili nemici e io non so bene se decidermi a pulire un po’ casa. 
Oggi non è passata la coppia che fa compagnia alle mie colazioni. Forse la pioggia o i locali chiusi.
Lui strascina un po’ i piedi, fatica a muoversi, ma dal tono, seppur stanco, della voce credo fosse un uomo abituato a comandare, a imporsi. È curatissimo nelle sue giacche di buona fattura, nel volto rinsecchito appena sbarbato. 
Lei è una trottolina canuta, zampetta tra lunghe gonne svolazzanti e sorrisi che sembrano non potersi spegnere. Lo rincuora quando gli è a fianco. Lo precede spesso, ma poi si volta a controllare e allora lo attende paziente. E però anche in quegli attimi non sta ferma, parla, gli chiede dolcemente, ogni mattina, cosa desideri al bar, gli ricorda le cose ancora da fare, i luoghi da raggiungere e ripete tutto più volte quasi a voler essere sicura di aver capito bene, di non sbagliare. Non credo che questo le serva veramente, credo, piuttosto, che lo faccia per lui.
Durante il breve tratto in cui mi è possibile osservarli vedo questo loro costante andamento a elastico. Due anime abituate ad attrarsi e respingersi. Due tortore, forse.
A volte mi è capitato di vedere il loro sguardo, anche. E me ne sono innamorato.

sabato, luglio 27, 2019

[Diario parmigiano] 1


“L'amore ti rimane appiccicato addosso come fosse chewing gum sulla punta delle scarpe e diventa inutile che tu ti dia pena a sfregare che tanto qualcosa resta sempre, anche solo la macchia sulla pelle”
Era la quarta volta che il vecchio mi ripeteva questa frase e io non facevo altro che sorridere e muovere il capo ad acconsentire. Cosa altro potevo fare?
L'uomo mi raccontava la sua vita e, in quel momento, io ero lì per lui; del resto sono stato sempre un buon ascoltatore.
Forse è proprio vero che la gente si divide tra chi parla e chi ascolta e poi tra chi parla sbraitando e chi lo fa con calma e tra chi ascolta con attenzione e chi, invece, con sufficienza e ancora tra chi sbraita c’è chi lo fa per paura o per stupidità mentre tra quelli che parlano con calma di sicuro c'è chi lo fa pesando bene le parole, ponderandole, e chi invece esercita solo una professione e, ancora, tra chi ascolta con attenzione c'è il buono di cuore e chi, per interesse, ha imparato a fingere così come tra chi lo fa con sufficienza emergono l'uomo cortese e lo stupido. Insomma potremmo giocare e fare un po’ di ordine a questo mondo, trovare le giuste intersezioni. Consegnare, ad esempio, l'urlatore stupido al suo stolto pubblico o il pauroso all'interessato, ma sono così tante le variabili e i sottogruppi di queste poche voci che solo a immaginare mi passa la voglia. Allora rimango qui ad ascoltare il vecchio e a sorseggiare il mio pinot grigio.
Quando ritorno al mio borgo mi aspettano i pianti continui del bimbo dei vicini di casa e le urla serali della pazza in fondo alla via. Confesso che mi stanno entrambi simpatici.
Il primo per come viene rincuorato dai genitori, la seconda per quel suo urlare frasi sconnesse in perfetto italiano. Stasera, mentre sto per aprire il portone, mi sorprende con un “bricconcello” che mi ricorda l'infanzia. “Prendila nel culo” aggiunge.
Come non essergliene grato?

A iatta

Appena avi vogghia di iucari
a iatta
sattisa tutta e sallicca,
salliscia,
si intrufulia ammenzu a li iammi comu
fussi un desiderio,
na vogghia
ca ti veni a truvari.
Iu fazzu finta di nenti
che a darle attenzione poi
non ta scuddurii chiù,
su idda non voli.
Continuo a scrivere e a santificari.
Ad ammuttari u tempo, l'anni.
Continuo.