“E tu che ci fai qui?”
Cane si è ripreso, anche se è ancora un po’ dolorante. Ha una gran fame. Affaccia il muso dal pertugio in cui si è nascosto e lascia che Alfonso lo accarezzi. Stanno un po’ lì così, senza saper bene cosa fare dopo. Poi è l’uomo a parlare.
“Ti hanno ferito cane? Sai, è successo anche a me. All'inizio fa male, a me ha fatto male, ma poi passa se si riesce a sopravvivere. Rimane il segno. Memento mori, conosci? Rimane il pensiero che qualcosa non è stato completato, per te e per l’altro. Rimante la rabbia… e tu? Sopravvivrai?”
Cane mette fuori un po’ più la testa quasi a volerlo rassicurare. Poi inizia a leccargli la mano senza sosta.
“Sì, sì ho capito. Sopravvivrai. Hai fame?”
Alfonso non attende la risposta; ha già individuato, poco distante, le insegne di un bar. Sparisce per una decina di minuti, poi torna con una busta nella mano.
“Mi dispiace, avevano solo queste.”
Le apre in fretta, sedendosi, nel frattempo, sul cordolo in pietra del marciapiede. Patatine, scrocchiano in bocca a Cane e anche lui ne mangia qualcuna, mentre pensa per la prima volta da tanto tempo al futuro.
“Vuoi venire con me?” gli chiede.
Cane è accanto a lui, ormai fuori dal muro sbrecciato. Le patatine sono già finite e la notte profonda si avvicina. Forse quell'umano può essere quello giusto, pensa. Si avvia insieme a lui e non sa per quanto tempo o verso dove, ma queste sono solo sciocchezze che interessano quegli strani animali a due zampe.
Eccoli, allora, passare sotto i calzoni in pietra di Giuseppe. C’è ancora Achille seduto lì. Si è addormentato.
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