lunedì, settembre 17, 2012

a te ti

a te ti vorrei dire che ti amo
che te tu mi inzuccheri il mattino
come una brioche calda, come un panino
come ogni buona cosa che mangiamo

a te ti vorrei dire che ti voglio
che te tu non sai nemmeno quanto
o forse sì, quando mi stai accanto,
che questo però non si scrive su di un foglio

a te ti vorrei dire che ti sogno
che te tu sei per me in ogni cosa
nella merda, nella terra, nella rosa
e di pensare questo, oh no, non mi vergogno.

mercoledì, settembre 12, 2012

[Condomini] Gianni e Cettina

Quannu accuminciai a scinniri le scale cera una confusione come alla villa nei giorni di festa.
Io non li conoscevo a tutti quelli che incontravo che era solo un misi che mero trasferito nel palazzo. Vireva sulu un viavai di gente e confusione. E chianti. Vuci. Bestemmie. Quaccuno tineva ancora addumata la televisioni che ogni tanto si sinteva forte un verso come a quello di furiaacavallodeluest e quaccunaltro ammuttava il carrello del supermercato avanti e dietro nel pianerottolo. Io ciavevo poche cose.
Ammia la dentro mi ci aveva mandato Turi u scarparo che glielo aveva detto un amico.
"Gianni ma tu si ancora senza casa?"
"Sì" ci avevo risposto e allora lui mi aveva spiegato che dovevo farmi trovare alle due di notte allingresso della "chianca" che cosi lo chiamavano quel mostro mai finito.Dovevo essere puntuale però. La famigghia che ci stava prima sinnieva che il marito aveva trovato lavoro ed era un attimo che me la fottevano quelloccasione. Ammia la casa mi sivveva. Cettina non ce la faceva più di stare insieme a tutta la mia generazione. Certo lei ciandava daccordo con me patri e me matri e i me soru e i nonni ma due stanze per otto persone erano veramenti picca e noi dovevamo andare nella machina a fare i nostri cosi come a quando eravamo ziti.
Lascensore non cera che il palazzo di otto piani non lavevano mai completato però lacqua e la luce funzionavano che Don Ciccio Busacca il capo del quartiere aveva collegato tutto ai cavi e alle tubature dellazienda meglio che nelle ville dei signori.
Io ci resi cento euri a Turi che quello li diede a chi di dovere e accussi finalmente pinsai di avere risolto i miei problemi. Certo sette piani a peri non erano picca e in più a ogni pianerottolo uno ci doveva stare attento che sulu a pungirisi non si sapeva che malatie potevano venire.
Il fatto è che i piani serano divisi nel tempo come a tanti paisi. Cera quello dei zingari e quello dei niuri. Quello dei drogati e quello delle fuitine. Quello dei morti di fame e quello dei ricercati... io stavo in quello di chi non si poteva permettere di pavari i soddi dellaffitto che quello che ciavevo ci bastava sulu a mangiari e per la binzina e per qualche sigaretta da spattiri con Cettina. E comunque insomma ce lavevo fatta e poi non cera mancu tanta confusione anche se di notte ogni tanto sentivamo supra alla testa rumori strani.
Quannu astamatina arrivò la polizia non ci potevo credere. Io ci avevo piantato anche qualche quadro di quelli che ci sono nei negozi dei mobili e con Cettina avevamo acchianato i materassi nuovi che serano accattati i nonni per cuccarici.
Davanti allingresso cera una piccola montagna. Era la robba che a partire dal primo piano quelli del comune avevano abbiato fuori dalle finestre. Per un attimo pinsai che forse avevano intenzione di darici fuoco alla fine come nei falò di carnevale ma non ci fu il tempo di vedere se era vera la mia pensata.
Allimprovviso sintii un grande silenzio e tutte le facce girate verso le scale. Non ci potevo credere. Era bellissimo.Tutto lucido e pulito e scintillante come a Vanda Osirisi stava scinnennu nellandrone un cavaddu niuru come il carbone.
"E' u cavaddu di Saru". "Talia scinniu macari iddu!". "Telavevo detto che cera e tu non mi crirevi!".  Erano tante le voci. Io non menero mai accorto e poi di sicuro u scinnevunu a matina presto quando io e Cettina eravamo troppo stanchi che cerano stati gli esercizi della nottata.

venerdì, settembre 07, 2012

Quella cosa in Lombardia di Franco Fortini

Sia ben chiaro che non penso alla casetta
due locali più i servizi, tante rate, pochi vizi,
che verrà quando verrà…
penso invece a questo nostro pomeriggio di domenica,
di famiglie cadenti come foglie,
di figlie senza voglie, di voglie senza sbagli;
di millecento ferme sulla via con i vetri appannati
di bugie e di fiati lungo i fossati della periferia…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Non ho detto a passeggiare
e nemmeno a scambiarsi qualche bacio.
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Dico proprio quella cosa che tu sai,
e che a te piace, credo, quanto a me.
Vanno a coppie, i nostri simili, quest’oggi
per le scale, nell’odore di penosi alberghi a ore,
ma chissà l'amore c'è,
vedi  “amore” anche la fretta tutta fibbie, lacci e brividi
nella nebbia gelata, sull’erbetta;
un occhio alla lambretta, l’orecchio a quei rintocchi
che suonano dal borgo, la novena e una radio lontana
che alle nostre due vite da i risultati delle ultime partite…
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Lo sai bene che io non sogno,
questo mondo di noi due non ha bisogno.
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Se volere bene è sempre più difficile, amore mio,
non dar la colpa a me.

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giovedì, settembre 06, 2012

[cahiers de doléances] Varagghi -7-

Da qualche anno sempre più botteghe hanno iniziato a organizzare grigliate con tavoli improvvisati sui marciapiedi delle vie attorno al centro storico, se non direttamente sulla strada. L'elemento primordiale, il nucleo popolare di questa usanza, era la vendita della carne di cavallo grigliata e inserita tra due buone fette di pane casereccio, ma da tempo i “putiara” hanno iniziato a diversificare l'offerta. Taccio sulla solita assenza di controlli di ogni tipo, non posso non notare però che attraversare Via Plebiscito, l'antica "tangenziale", è come immergersi in un girone dantesco: bracieri accesi, folla sparsa in attesa o ammucchiata ai tavoli, un fumo acre e densissimo che copre ogni cosa.
Naturalmente i piani superiori delle botteghe appaiono disabitati o in rovina, non sarebbe possibile vivere qui, come non pare possibile ribellarsi a questo stato di cose.
Sedute ai tavoli tre tardone in tiro discutono sulla Sardegna, la più anziana non smette di alzarsi per richieste di ogni tipo indirizzate alla padrona, non ci vuole molto a capire che è una sorta di défilé.
Fasciata da un abito attillatissimo cerca lo sguardo di qualche uomo sbavante, chissà magari sogna l'avventura estiva. Accanto a loro una decina di ragazzi: il capobranco, seduto a gambe aperte e con il gomito poggiato sulla spalliera della sedia, carezza la spalla della giovane turista a cui ha concesso il mafia-tour da raccontare al ritorno a casa. Alla sua sinistra i suoi amici e alla destra le amiche di lei: dagli sguardi che si incrociano credo che qualcosa stasera tra loro ci sarà. Al momento di pagare a tutti viene presentato un “pezzino” con l'importo totale. Provo a fare attenzione anche a quello che avviene negli altri locali e mi accorgo che il fornitore di bloc-notes deve fare lauti affari da queste parti. Provo a fare un rapido calcolo... da anni un incasso generale, tra le varie offerte, di almeno centomila euro serali esentasse: è una città generosa Catania.
Mi sono fatto convincere a venire qui, ma provo vergogna. Mi ero ripromesso di essere quanto più “fesso” possibile, di non cadere nel trucchetto delle complicità. Sembra quasi impossibile da spiegare questo mio pensare ma credo sia necessario vivere qui per capire.
Ad esempio ieri era la festa estiva di S.Agata patrona della città. Spostandomi in automobile per arrivare ad un appuntamento ho notato per la prima volta da due settimane due auto della polizia municipale, naturalmente non ho mai visto un vigile in attività in questo periodo tranne che all'ingresso del Cimitero, ebbene tutti e quattro i passeggeri delle due pattuglie non indossavano cinture di sicurezza e naturalmente non si sognavano nemmeno di fermarsi per cogliere le mille infrazioni che accompagnavano il loro tragitto. Discutevano, tra una sigaretta e l'altra, e ridacchiavano... probabilmente il loro era una sorta di lavoro straordinario in occasione della festa, un obolo in più versato dalla comunità sul loro stipendio.
Ecco tutto questo suona forse come esagerato moralismo da parte mia, ma credo che quello che poi avvenga, giorno dopo giorno, sia un processo per cui il diritto, le regole, vengono vissuti solo come vuoti proclami, un processo in cui diviene abitudine credere che tutto sia permesso a chi ha forza o potere.

martedì, settembre 04, 2012

[cahiers de doléances] Varagghi -6-

Con le sue baie, simili a piscine naturali, Marza è stata, per molto tempo, la meta ideale per una giornata di mare vissuta in famiglia. Ombrellone, borsa frigo, panini e frutta, potevamo passare lì intere giornate con i bimbi perennemente in acqua, la madre a prendere il sole, il marito a provare le misteriose virtù dell'argilla locale. Pochissima gente a farci compagnia, anzi di solito eravamo i soli abitanti di quel luogo. Alcune volte capitava di imbattersi in una piccola canadese, non più di una normalmente, seminascosta tra le cavità naturali e ci si salutava, incontrandosi in quelle occasioni, così come avviene quasi sempre sui sentieri di montagna, credo fosse un po' l'appartenere a quei pochi che conoscevano il luogo o forse il desiderio di non vederne divulgato il segreto.
Naturalmente il posto è mutato. Frane sempre più consistenti hanno quasi completamente distrutto le caverne d'argilla, il sentiero si è sempre più rimpicciolito e una autostrada ormai in gran parte completata garantisce ormai spostamenti veloci da Catania verso Pachino e il litorale sud dell'isola. In cerca di pace ci si deve spostare verso le sporadiche riserve, sperare.
Comunque un giorno a Marza l'ho passato e c'è stato anche il tempo di litigare con un borioso emigrante e la muta consorte.
Il fatto è che la mia cagnetta, dopo il tratto in acqua per raggiungere la spiaggia, non aveva nessuna voglia di crogiolarsi immobile al sole, così ha iniziato a correre e annusare tra i bagnanti fermandosi accanto alle tende dei ragazzotti birra&canne, scodinzolando per le carezze del gruppo familiare pluriombrellato, abbaiando in cerca di gioco a tre bimbi dall'apparente età di tre, quattro e cinque anni. Ecco era questo che non avrebbe dovuto fare per la “civile” convivenza.
“Qui c'è l'ordinanza!”
“Quale ordinanza, scusi?”
“Qui c'è l'ordinanza! I cani non ci possono stare a mare!”
L'avere con me un cane ha acuito ancora più quest'anno la mia attenzione verso cartelli e divieti, sapevo benissimo, ne sono certo, che nessun segnale, nessun pubblico avviso era posto all'ingresso del litorale o in vista del luogo in cui siamo.
“Lo lasceremo sulla spiaggia” ho risposto.
Non avevo voglia di iniziare nessun litigio e potevo sempre condurre la cagnetta alla baietta successiva.
“Qui c'è l'ordinanza! Io ce l'ho anch'io il cane e l'ho lasciato a casa! Qui c'è l'ordinanza!”
Niente da fare, tattica diversa. Ho sorriso e “ci ho calato la testa”.
“Certo! Certo! Ha ragione!”
“Qui c'è l'ordinanza! Io ci devo stare attento ai miei figli che possono essere allergici! Qui c'è l'ordinanza! Va bene sulla spiaggia, ma in acqua può portare malattie”
Ultimo sorriso prima di girarmi a guardare l'orizzonte, poi sguardi di attenzione fin quando poco prima della sera un nuovo cane è arrivato tuffandosi ripetutamente da ogni scoglio su cui riesciva ad arrampicarsi. Ho visto il tipo schiumare tra le onde e poco dopo andare via. La mia cagnetta, invece, ha fatto amicizia con la nuova compagna di giochi e le due si sono annusate un po' prima di salutarsi.
Credo metterò anche Marza tra i ricordi.
Tornando verso casa ci siamo fermati a Noto, inutile dire che eravamo una sorta di tribù zingaresca immersa nel “ passio” del corso principale. Sono contento di aver visto molti turisti tra le vie, armati di macchine fotografiche cercavano lo scorcio da far vedere agli amici, il ricordo da conservare. Rapida sosta per un gelato (eravamo a caccia di quello al gelsomino) e poi siamo andati anche noi su e giù sulla via per un'occhiata da giapponesi in gita.
Ho captato discorsi, osservato la gente. Ogni tanto improbabili guide raccontavano storie che, nella mia ignoranza e armato solo di un po' di ricordi e di logica, mi sembravano vere bufale, ma forse andava bene anche così.

domenica, settembre 02, 2012

[cahiers de doléances] Varagghi -5-

Lo scorso anno ero arrivato ad osservare l'intera Valle del Bove, ci eravamo inerpicati tra paesaggi bellissimi e sempre diversi fino ad affacciarsi sul lago di roccia, sul quel foglio perennemente vergato dal dio del fuoco. L'Etna e il suo territorio sono un romanzo mai concluso, un work in progress che muta paesaggi e personaggi incessantemente. Quest'anno, alla fine della stessa valle, sono andato a trovare l'ilice di Carrinu, o di Pantano, un leccio che ha superato il mezzo millennio e che protegge da secoli un vecchio ricovero dei pastori. E' rimasto ben poco dell'antica costruzione, certo si intravedono le mura e si ricostruisce facilmente l'area destinata alle greggi così come si intuisce il sistema che permetteva all'acqua di incanalarsi verso una grande cisterna ancora presente. Fino a non molti anni fa due giganteschi abbeveratoi scavati su blocchi unici di lava permettevano di capire come non fosse esiguo il numero degli animali condotti fino a quelle quote, oggi i massi son scomparsi e non si sa bene chi ringraziare per questa assenza.
L'albero ha rami massicci che si torcono nel vuoto quasi fossero gigantesche viti e garantisce luce e ombra in questo infuocato Agosto. Tutto attorno muretti e terrazzamenti non più curati e quasi riassorbiti dalla natura raccontano di altri mestieri, di altre epoche. Terra di carbonai questa e di pastori e di “massari” e di “fungiaioli”, per secoli, per millenni.
Si raccoglieva la ginestra e si curavano, disboscandoli, i noccioleti a garantire per essi la stirpe più giovane e forte, poi, con pazienza e artigiana esperienza, riposando la notte in un “pagliaro” se ne ricavava l'oro nero da vendere giù alla “chiana”.
Si portavano le bestie a cibarsi dei ricchi doni del vulcano per produrre ricotta deliziosa, latte per gli infanti, formaggio.
Si curavano i ciliegi, i castagni, si “addomesticavano” i peri e i meli della montagna.
Si riusciva a trovare senza che fosse visibile agli occhi degli altri il luogo dove piccoli sollevamenti nascondevano i porcini facendo attenzione a non “zappare” il terreno e lasciando in questo modo la possibilità di ritrovarne altri in successivi passaggi.
L'uomo non era elemento estraneo, nemico, ma natura egli stesso, animale tra animali, vivente tra viventi e su tutto questo c'era la lava, quelle colate che premiavano i buoni e punivano gli atei, quelle colate che distruggeva intere vallate, città, che giungevano al mare.
Era il 1928 quando la folla, in un freddo e piovoso autunno, si radunò per andare in preghiera verso la lava  che avanzava rischiando di coprire Sant'Alfio, c'erano tutti: le autorità, il prete, i nobili e il popolino. Non si sapeva più che fare, la preghiera era l'ultima speranza. Annunciato da un boato e da una scossa qualcosa successe, i tre santi miracolosi erano intervenuti, la lava si fermò. Su quel luogo oggi una chiesetta, un tempo sempre aperta, ricorda l'avvenimento. Peccato che la lapide commemorativa posta su un fianco delle mura esterne taccia su quello che la tradizione contadina si tramanda da allora: i miscredenti mascalesi, che avevano continuato a gozzovigliare in quei giorni difficili, furono colpiti dalla collera divina. Pochi giorni dopo il miracolo, infatti, una nuova bocca, più bassa e potente, fece arrivare la lava fino al mare punendo con la distruzione dell'abitato di Mascali quell'oltraggioso atteggiamento dei suoi abitanti.

sabato, settembre 01, 2012

[cahiers de doléances] Varagghi -4-

Lo Ionio visto da Puntalazzo è magnifico. L'aria fresca della sera rimette in pace con se stessi e la luna regala visioni  da colossal americano. Mi chiedo quanto ancora resisterà questa zona all'esercito di cavallette che avanza dalla pianura, fino a quando sarà possibile osservare le sciare, le vecchie masserie, gustare i poco redditizi ma meravigliosi frutti.
La sera prima ero andato a Zafferana ormai totalmente inglobata nel divertentificio di massa fatto di abusi edilizi (sponsorizzati dalla chiesa santuario che accoglie gli ospiti a Fleri, pochi chilometri prima della cittadina), di verde sparito, di soddisfatta esposizione di cattivo gusto negli edifici ristrutturati  o costruiti dopo il terremoto. E' la stessa fine palazzinara che ho visto arrivare in altri luoghi un tempo splendidi: Mascalucia, Pedara, Nicolosi... e ben prima Catania.
Seduti col naso in aria gli altri riescono a cogliere alcune stelle cadenti che a me sfuggono. La cagnetta annusa: è immersa in profumi per lei totalmente nuovi e anch'io vorrei condividere questa sua gioia, ma mi accorgo che i risultati dei miei sforzi sono proprio scarsi.
In realtà sono sempre meno i posti in cui mi piace andare, anche la riserva di Fiumefreddo ha esaurito, ai miei occhi, il suo fascino. Certo rimane divertente scoprire ogni anno la nuova direzione della foce del fiume che vi scorre, così come immergersi nelle sue acque gelide prima di provare il tepore del mare o subito dopo a togliersi il sale dalla pelle, magari dovrei provare ad essere qui in un altro mese: Maggio forse, quando il primo caldo toglie improvvisamente il respiro o Settembre quando il mondo ritorna al lavoro.
Mi ritorna in mente una fuga da ragazzo verso sud, verso la raccolta dell'uva a Pachino. Automobile carica anche in quel caso e disordinato vivere di un gruppo di ventenni. Il lavoro sfumò la prima sera su una spiaggia da sogno ed un mare caldissimo, poi fu solo una settimana di tenda e vino da bere.  

Ho mangiato la prima granita, non è stato un grande esordio ma spero di rifarmi in seguito. Nel frattempo ci sono state altre Ceres bevute al chiosco, amici e parenti da incontrare, improvvisi e sconosciuti  parchimetri da pagare, buon pesce da mangiare.
Sono anche arrivato, da passeggero, fino a Riposto sul Vespone (che poi non si chiama così questa moto ma non saprei proprio dire come) di mio fratello e da qui fino quasi a Nicolosi.
Certo sempre capita che il panorama muti con il variare del punto di vista, con l'attenzione prestata alla guida, con la voglia di sorprendersi...  e sono stati tutti questi fattori uniti alla impossibilità di sentire le parole che, ogni tanto, il pilota cercava di dirmi che mi hanno dato spazio per scrutare il territorio, per ricominciare il gioco del c'era, è nuovo.
La vecchia provinciale ci guidava in direzione di Giarre e, sul percorso,  naturalmente non mancavano le solite costruzioni e i mastodontici centri commerciali.
Superando Acireale ho notato improbabili megaville e un ridicolo castelletto azzurro a garantire nuovi panorami ai loro futuri possessori.
Non so proprio cosa potrà rimanere di questa costa.  La vecchia leggenda, ormai smentita, degli alberi totalmente abbattuti dagli abitanti dell'isola di Pasqua per costruire i loro idoli credo sia stata creata per noi “moderni”. Distruggere il territorio per gustarne il ricordo, un paradosso quasi tutto italiano.
E' stata la fortuna di una strada sbagliata e del fresco della sera a farmi riconciliare un po' con questi luoghi. Improvviso si è alzato dai margini della via buia il profumo dei vecchi agrumeti, dei giardini un tempo vanto e fonte di ricchezza di tutta la costa mentre dal mare arrivava a folate il fiato dei Malavoglia.
Sempre più, già vicino alla meta serale, ho pensato che parlare di casa in campagna da queste parti sia come sostenere che i miei vasi fioriti sul mini balcone parmigiano in realtà formino una sorta di giardino pensile.