martedì, dicembre 14, 2010

Natale



Fermo i talenti ai rami,
ma è già domani.

giovedì, dicembre 09, 2010

Joe Hill




Joe Hill come over from Sweden shores
Looking for some work to do
And the Statue of Liberty waved him by
As Joe come a sailing through, Joe Hill
As Joe come a sailing through.


Oh his clothes were coarse and his hopes were high
As he headed for the promised land
And it took a few weeks on the out-of-work streets
Before he began to understand
Before he began to understand


And Joe got hired by a Bowery bar
sweeping up the saloon
As his rag would sail over the baroom rail
Sounded like he whistled on a tune
You could almost hear him whistling on a tune


And Joe rolled on from job to job
From the docks to the railroad line
And no matter how hungry the hand that wrote
In his letters he was always doing fine
In his letters he was always doing fine


Oh, the years went by like the sun goin' down
slowly turn the page
And when Joe looked back at the sweat upon his tracks
He had nothing to show but his age
He had nothing to show but his age


So he headed out for the California shore
There things were just as bad
So he joined the Industrial Workers of the World
'Cause, The union was the only friend he had
'Cause, The union was the only friend he had


Now the strikes were bloody and the strikes were black
as hard as they were long
In the dark of night Joe would stay awake and write
In the morning he would raise them with a song
In the morning he would raise them with a song


And he wrote his words to the tunes of the day
To be passed along the union vine
And the strikes were led and the songs were spread
And Joe Hill was always on the line
Yes Joe Hill was always on the line


Now in Salt Lake City a murder was made
There was hardly a clue to find
Oh, the proof was poor, but the sheriff was sure
Joe was the killer of the crime
That Joe was the killer of the crime


Joe raised his hands but they shot him down
he had nothing but guilt to give
It's a doctor I need and they left him to bleed
He made it 'cause he had the will to live
Yes, He made it 'cause he had the will to live


Then the trial was held in a building of wood
And there the killer would be named
And the days weighed more than the cold copper ore
Cause he feared that he was being framed
Cause he found out that he was being framed


Oh, strange are the ways of western law
Strange are the ways of fate
For the government crawled to the mine owner's call
That the judge was appointed by the state
Yes, The judge was appointed by the state


Oh, Utah justice can be had
But not for a union man
And Joe was warned by summer early morn
That there'd be one less singer in the land
There'd be one less singer in the land


Now William Spry was Governor Spry
And a life was his to hold
On the last appeal, fell a governor's tear
May the lord have mercy on your soul
May the lord have mercy on your soul


Even President Wilson held up the day
But even he would fail
For nobody heard the soul searching words
Of the soul in the Salt Lake City jail
Of the soul in the Salt Lake City jail


For 36 years he lived out his days
And he more than played his part
For his songs that he made, he was carefully paid
With a rifle bullet buried in his heart
With a rifle bullet buried in his heart


Yes, they lined Joe Hill up against the wall
Blindfold over his eyes
It's the life of a rebel that he chose to live
It's the death of a rebel that he died
It's the death of a rebel that he died


Now some say Joe was guilty as charged
And some say he wasn't even there
And I guess nobody will ever know
'Cause the court records all disappeared
'Cause the court records all disappeared


Say wherever you go in this fair land
In every union hall
In the dusty dark these words are marked
In between all the cracks upon the wall
In between all the cracks upon the wall


It's the very last line that Joe Will wrote
When he knew that his days were through
"Boys, this is my last and final will
Good luck to all of you
Good luck to all of you"
Joe Hill arrivò dalla Svezia
Per cercare da lavorare
E la Statua della Libertà lo salutava
Mentre Joe arrivava per mare, Joe Hill,
Mentre Joe arrivava per mare.


Oh, aveva vestiti rozzi, ma sperava grandi cose
Mentre andava verso la terra promessa.
In due settimane per le strade dei senza lavoro
Cominciò a capire come andava
Cominciò a capire come andava


Joe fu assunto in un bar della Bowery
Per spazzare la sala,
Lo straccio che passava sulla barra del bancone
Sembrava quasi fischiettare un motivo,
Sembrava quasi fischiettare un motivo


E Joe passò via di lavoro in lavoro,
Fece lo scaricatore e l'operaio di ferrovia
Non importava quanta fame avesse la mano che scriveva,
Nelle sue lettere gli andava sempre bene
Nelle sue lettere gli andava sempre bene


Passarono gli anni come il sole che tramonta,
Gira la pagina lentamente.
E quando Joe si guardava il sudore colare ai suoi passi
Non aveva altro da mostrare che i suoi anni
Non aveva altro da mostrare che i suoi anni


E allora se ne andò in California,
E là le cose andavano pure male.
Entrò così negli Industrial Workers of the World
Perché il Sindacato era l'unico amico che aveva,
Perché il Sindacato era l'unico amico che aveva.


Allora gli scioperi erano tremendi e illegali
E tanto duri quant'erano lunghi.
Nel buio della notte Joe stava sveglio e scriveva,
E la mattina li faceva alzare con una canzone
E la mattina li faceva alzare con una canzone.


Scriveva le parole sui motivetti del giorno
Per innestarle sulla vite del Sindacato
E si facevan gli scioperi, e le canzoni si diffondevano,
E Joe Hill era sempre in prima linea,
E Joe Hill era sempre in prima linea.


Ora, a Salt Lake City fu commesso un omicidio,
E proprio non si trovava un indizio.
Le prove erano poche, ma lo sceriffo era sicuro
Che fosse Joe l'assassino in quel delitto,
Che fosse Joe l'assassino in quel delitto.


Joe si arrese, ma loro gli spararono,
Non aveva altro da dare che una colpevolezza.
“Ho bisogno di un dottore”, e lo lasciarono sanguinante,
Lo faceva perché aveva voglia di vivere,
Lo faceva perché aveva voglia di vivere.


Il processo si tenne in una costruzione in legno
Dove l'assassino avrebbe avuto un nome.
E i giorni pesavano più del freddo minerale di rame
Perché aveva paura che lo stessero incastrando,
Perché aveva paura che lo stessero incastrando.


Oh, strane sono le vie della legge là nell'Ovest,
E strane sono le vie del destino,
Perché il governo strisciò al volere del proprietario della miniera
Che il giudice fosse nominato dallo Stato,
Che il giudice fosse nominato dallo Stato


Oh, nell'Utah si può avere giustizia,
Ma non per un sindacalista
E Joe fu avvisato una mattina presto d'estate
Che ci sarebbe stato un cantante in meno nel Paese,
Che ci sarebbe stato un cantante in meno nel Paese.


Il governatore era William Spry
E lui poteva decidere su una vita.
All'ultimo appello versò una lacrima governatorale,
“Che il Signore abbia pietà della tua anima,
Che il Signore abbia pietà della tua anima.”


Persino il presidente Wilson cercò di fermare l'esecuzione
Ma neanche lui ce la fece
Perché nessuno udiva le parole strazianti
Di quell'anima in prigione a Salt Lake City,
Di quell'anima in prigione a Salt Lake City.


Visse i suoi giorni per trentasei anni,
E fece ben più che fare la sua parte.
Per le sue canzoni fu ben ricompensato
Con una pallottola piantata nel cuore,
Con una pallottola piantata nel cuore.


Sì, Joe Hill lo misero al muro
Dopo avergli bendato gli occhi.
Vita da ribelle lui scelse di vivere,
Morte da ribelle fu quella che morì,
Morte da ribelle fu quella che morì.


Qualcuno dice che Joe era colpevole,
Qualcun altro che nemmeno era là.
Scommetto che nessuno lo saprà mai,
Perché gli atti processuali sono tutti spariti,
Perché gli atti processuali sono tutti spariti


E dovunque andiate in questo bel Paese,
In ogni camera sindacale, si può dire
Che queste parole son segnate nel buio polveroso
Tra tutte le crepe del muro,
Tra tutte le crepe del muro


Sono l'ultimo verso scritto da Joe Hill
Quando seppe che i suoi giorni erano finiti:
“Ragazzi, queste sono le mie ultime volontà,
Buona fortuna a tutti voi,
Buona fortuna a tutti voi.”

Fonti:   http://www.iww.org/it         http://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=8042〈=it

mercoledì, dicembre 01, 2010

a margine

cosa è poesia?

sfogo, espressione, dolce, amara, liquame, magia

la poesia non si fa soltanto con le parole

la poesia metafora

costruire, creare, negare, rinunciare, smontare

può un soffio essere poesia?

Si può dare poesia senza gli umani?

mezzo espressivo, movimento,

finalità

tutto si fa poesia?

poesia-valore, poesia-dolore, poesia-respiro, poesia-necessità

ogni atto è  atto poetico

"non è tanto importante che ci sia un poeta, è importante che ciascuno lo sia"

venerdì, novembre 26, 2010

Chico César - Onde estará o meu amor?

Como esta noite findará

E o sol então rebrilhará

Estou pensando em você

Onde estará o meu amor?

Será que vela como eu?

Será que chama como eu?

Será que pergunta por mim?

Onde estará o meu amor?

Se a voz da noite responder

Onde estou eu, onde está você

Estamos cá dentro de nós

Sós...

Onde estará o meu amor?

Se a voz da noite silenciar

Raio de sol vai me levar

Raio de sol vai lhe trazer

Onde estará o meu amor?

sabato, novembre 20, 2010

sedimenti


Tutto si lacera,
frantuma,
si sbriciola
il deserto pensiero 
di te

giovedì, novembre 18, 2010

Sinestesia


Ieri mi hanno detto che ero morto,
avevo ancora il caldo della tazzina sul palmo della mano
- ricordo di averla stretta a cercarti -
e un piccolo tic all'occhio sinistro.
Oggi invece, fuori
i cachi lucidati dalla pioggia
annunciano il prossimo natale,
chissà se hai ancora paura della sperduta coccinella
o piuttosto fuggi ancora 
questi rari momenti di sole. 
Non dovresti, mi rispondo,
ma la memoria non riesce che a vederti bambina:
il volto, le mani un po' sporche di fango.
Ieri mi hanno detto che ero morto, 
dicevo.
Io non sono riuscito a far altro
che dare loro ragione.

Immagine tratta da: Il settimo sigillo

mercoledì, novembre 17, 2010

Diospyros


Nudi ai rami
ingenui regali
consolano l'autunno

martedì, novembre 16, 2010

aule



Vagando tra i banchi 
ronza
la misteriosa zanzara
prima di sedersi

domenica, ottobre 24, 2010

formule


raccogliere sassi
destare roghi
scarnificare corpi
incidere cuori
fare pasto di inutili parole

 tornare a
scrivere

tornare a scrivere d'amore

sabato, ottobre 23, 2010

un fiore non sa far altro che morire



un fiore non sa far altro che morire 
                      ignorando la morte
un fiore non sa far altro che donare 
                 tacendo il dono
un fiore non sa


fonte immagine: BOO!

domenica, settembre 12, 2010

ANARCHICI di Giuliano

Gli anarchici sono quasi sempre persone tranquille e oneste. Quand’è stata l’ultima volta che un anarchico ha tirato una bomba? Forse cent’anni fa, e comunque i matti ci sono in ogni categoria, anche fra gli agenti d’assicurazione. Quanti morti e feriti hanno provocato gli anarchici negli ultimi cent’anni? Quasi niente, molti più danni hanno fatto le corse in moto e in automobile, per esempio la tanto mitizzata Mille Miglia (come tutti i rallies) ha un bilancio di morti spaventoso, quasi un centinaio tra morti e feriti. Eppure, gli anarchici continuano ad avere cattiva stampa (eufemismo).
Anarchici, o simpatizzanti anarchici, erano persone come Giorgio Gaber, come Fabrizio de André. Di Gaber, se fate un giro su youtube, troverete un bellissimo filmato dove canta “Addio Lugano bella” (quasi l’inno degli anarchici d’Italia) in ottima compagnia, Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Fausto Cigliano, e altri ancora. Gli anarchici sono spesso persone fuori dal comune, magari davvero un po’ matti (vivere senza capi né padroni, figuriamoci) ma innocui e perfino simpatici.
Io non sono anarchico, o magari – chissà - sono così anarchico che non voglio far parte di nessuna organizzazione; ma so che anarchico era anche Luigi Veronelli, enologo e giornalista, che fu molto famoso negli anni passati per una sua rubrica televisiva di vini e gastronomia che conduceva con Ave Ninchi, attrice fiorentina allora famosissima e donna pacifica come poche altre. Insieme facevano un bel duo, ma io oggi vorrei ricordare Veronelli con una piccola raccolta dei versi (non suoi) che pubblicava nella sua rubrica settimanale su L’Espresso, negli anni ’90. La sua era una rubrica di vini e gastronomia, ma ovviamente uno come Veronelli non poteva fermarsi a questo. Buona lettura, con l’avvertenza che i primi versi citati sono un tantino – come dire? – beh, diciamo spinti.


Ma ti masnà, (ragazzo)
ch’it verde il cel
sercand le nivole
o ’n vol d’osej
podras diventé n’omo?
Walter S.Currel, poeta piemontese

Io brindo al sole,
che i grappoli indora;
io brindo al fico,
e alla sua signora.
anonimo, cit. da L. Veronelli

Deh, parliam de’ mosconi
quanta grazia abbia il ciel donato loro
che, trascinando merda,
si fan d’oro.
Domenico Burchiello ( ‘400, fiorentino )

soz ciel n'a homme por quant sit barbue
qui ne la veult avoir en si braz nue...
(poeta provenzale anonimo, cit. da L.Veronelli )

va' mangia con gioia il tuo pane
bevi con cuore allegro il tuo vino

ecclesiaste (citato da Veronelli)

Non ci sono scheletri
nel mio armadio,
solo un angelo rosso
che mi offre da bere
e mi scuote il cuore
tra due dita.
Ma poi,
che razza d’angelo,
è piuttosto uno scherzo del cielo.
Si è venduto le ali,
o forse le ha perse,
in una partita a dadi,
e non può più volare.
E io gli dico,
e io gli chiedo,
e io lo prego,
di andare via, o almeno
di non far rumore quando
sono in compagnia.
Ma lui resta lì, immobile,
beffardo e silenzioso,
e mi innonda la bocca
di desiderio.
( da Vinerotìe, di Gianni Toti e Mariella De Santis, cit. da L.Veronelli )

Amico, so che Venere ti tiene
ora in balìa.
Felice te ! ti corre
il sangue nelle vene più gagliardo,
ti si chiude la gola a volte e sosta
per troppa gioia il battere del cuore.
Ma se tempo verrà - né venga mai -
che del fuoco la cenere sol resti,
e tu allora a cercar vieni l'amico.
Lo troverai nella taverna che ha
ai vetri stinte tendine rosse
e scritto per insegna: Al Goto Grosso.
Io non ti chiederò di te e di lei.
Spingerò verso te colmo il bicchiere
perché in silenzio con l'amico beva
l'oblìo.
(Camillo Sbarbaro, cit. Veronelli)

Stanotte vorrei parlare con l’angelo
che forse riconosce gli occhi miei.
Se lui brusco chiedesse vedi l’Eden?
e io dovrei dir: sì, vedo fiamme.
(R.M.Rilke, citato da me medesimo in attesa di rivedere “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders.)
Fonte: deladelmur di Giuliano

venerdì, settembre 10, 2010

Lawrence Ferlinghetti - Cosa è la poesia



Poesia è
notizie dalla frontiera
della coscienza

Poesia è
il grido che grideremmo
al risveglio in una selva oscura
nel mezzo del cammin
di nostra vita

Una poesia è uno specchio
che percorre una via alta
colma di delizie visive

Poesia è lamina luccicante
dell'immaginazione
deve risplendere
e quasi accecarti

Il sole che irraggia
nelle reti del mattino

È notti bianche e
bocche di desiderio

È fatta
di aloni in dissolvenza
in oceani di suoni

È battute di strada
di angeli e diavoli

È un divano ricolmo di cantanti ciechi
dimentichi dei loro bastoni

Una poesia deve levarsi all'estasi
in qualche punto tra parola e canto

Che canti una poesia
ti voli via
o è anatra morta
dall'anima di prosa

Poesia è anarchia dei sensi
che si fa senso

Poesia è tutto
quanto nato alato canta

Come un vaso di rose una poesia
non la si deve
spiegare

Poesia è una voce di dissenso
contro lo spreco di parole
e la pletora folle della stampa

È ciò che sta
fra le righe

È fatta
da sillabe di sogni

È grida lontane lontano
su una spiaggia al calar della notte

È un faro
che muove il suo megafono
al di sopra del mare

È una foto di Ma'
in reggiseno Woolworth
che guarda dal vetro
un giardino segreto

È un Arabo che trasporta
tappeti variopinti ed uccelliere
per le strade
in una grande metropoli

Una poesia la si può fare in casa
con ingredienti di tutti i giorni
Sta in una pagina sola
ma può riempire un mondo e
sta bene nella tasca di un cuore

Il poeta è un cantante di strada
che salva strade-gatte d'amore

Poesia è pensiero-cuscino
dopo un rapporto

È distillato di animali articolati
che si chiamano l'un l'altro
traverso un golfo immenso

È frammento pulsante
di vita interiore
musica senza collare

È dialogo
di statue nude

È suono d'estate nella pioggia
e di gente che ride
dietro persiane chiuse
al fondo di un vicolo di notte

È lampadina spoglia
di un hotel di vagabondi
che illumina nudità
della mente e del cuore

Lasciate che il poeta sia animale da canto
fattosi lenone
per un re d'anarchia

Poesia è
lirica intelligenza incomparabile
volta a significare
varietà cinquantasette di esperienza

Poesia è una casa alta di echi
di ogni voce che abbia detto mai
qualcosa di folle
o meraviglia

Poesia è un'incursione sovversiva
sull'obliata lingua
dell'inconscio collettivo

Poesia è vero canarino in una miniera di carbone
e noi sappiamo perchè l'uccello in gabbia canti

Poesia è l'ombra gettata dalle nostre
immaginazioni-lampione

È voce
della Quarta Persona Singolare

È voce
entro la voce della tartaruga

È faccia
dietro la la faccia della razza

Poesia è fatta di pensieri-notte
Se può strapparsi via dall'illusione
non sarà rinnegata
prima d'alba

Poesia si fa evaporando
la risata liquida della gioventù

Poesia è libro di luce nella notte
che disperde nuvole di inconsapevolezza

Ode il bisbiglio
di elefanti e vede
quanti angeli danzano
su una punta di spillo

È un ronzare un lamentarsi estatico
ridendo un sospirare all'alba
una risata soffice selvaggia

È Gestalt finale
dell'immaginazione

Sia poesia emozione
ritrovata in emozione

Le parole sono fossili viventi
Ricomponga il poeta la
fera feroce
e la faccia cantare

Grande è un poeta solo quanto il suo orecchio
peccato se di latta

Poesia è lotta continua
contro silenzio, esilio inganno

Il poeta è un baluardo sovversivo
alle soglie della città
che sfida costantemente
il nostro status quo

È maestro d'ontologia
che interroga costantemente la realtà
e la reinventa

Prepara drink
dai liquori insani
dell'immaginazione
e perpetuamente si stupisce
che nessuno barcolli

Dovrebbe essere oscuro imbonitore
alle tende dell'esistenza

Poesia è quanto si ode dai tombini
echi di fuga del fuoco di Dante

Poesia è religione
religione poesia

È il ronzio di falene
cerchio intorno alla fiamma

È una barca di legno ormeggiata nell'ombra
sotto un salice in lacrime
entro l'ansa di un fiume

Il poeta deve avere un grandangolo
sguarda un mondo ogni sguardo
e il concreto è più poetico

Poesia
non è tutta eroina cavalli e Rimbaud
È anche preghiere impotenti
di passeggeri d'aereo
cinture allacciate
per la discesa finale

Poesia è vero oggetto
di grande prosa

Dice l'indicibile
Pronuncia l'impronunciabile
sospiro del cuore

Ogni poesia una temporanea follia
e l'irreale è il più realistico

Sia poesia ancora
tocco ribelle
alle porte dell'ignoto

Una poesia è sua stessa Coney Island
della mente
proprio circo dell'anima
Far Rockaway del cuore

Lasciate che un nuovo lirismo
salvi il mondo da sé!


Lawrence Ferlinghetti, "Cos'è la poesia" (traduzione di Stefania Benini)

domenica, settembre 05, 2010

Anna Cascella, "Non mostrarmi troppo"

Non mostrarmi troppo
il tuo bacino bianco
perfetto come la seta
al filatore che un
giorno stanco io ti
dirò che è uguale a
tutti gli altri certo
mentendo per noia o
per stupore che an-
cora così perfetto
mi ricordi la tua
spalla girata verso
il sole
in Toscana si perderà
il ricordo e nei ci-
pressi di guardia alla
tua tana e tu salendo
per la scala interna su
alla torre arrivato agli
spalti del rifugio fin-
gendo la salute che non
hai, dirai: non era dunque
che questo. Poi ormai
immune dal contagio ma
internamente toccato dal-
la furia, l'insetto ti
starà, dovunque andrai

Anna Cascella da "Le donne in poesia"

sabato, settembre 04, 2010

Dylan Thomas, "Specialmente se il vento d'ottobre"

[...]

Chiuso dentro una torre di parole io stesso traccio
Forme verbose di donne sull'orizzonte che
Cammina come gli alberi, e nel parco
Le file dei fanciulli dai gesti stellari.
Lasciate che vi crei con vocali di faggi,
Alcune con voce di quercia, fino dalle radici vi dica
Di molte note una contea spinosa, lasciate
Che coi discorsi dell'acqua vi crei.
[...]

Dylan Thomas da "Poesie"

domenica, agosto 29, 2010

Italo Calvino e Sergio Liberovici, "Oltre il ponte"

O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d'aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all'eta` che tu hai ora.

Coprifuoco, la truppa tedesca
la citta` dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.

Avevamo vent'anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch'e` in mano nemica
vedevam l'altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent'anni la vita e` oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l'amore.

Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l'oscura montagna.

La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l'armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.

Avevamo vent'anni...

Non e` detto che fossimo santi
l'eroismo non e` sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non e` vano.

Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l'avvenire di un giorno piu' umano
e piu' giusto piu' libero e lieto.

Avevamo vent'anni...

Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c'eri.

E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell'aurora.

Avevamo vent'anni...

sabato, agosto 28, 2010

Dino Buzzati da -Poema a fumetti-

 CHI FA DONDOLARE

IL COSO APPESO LÀ IN CIMA?

                 IL VENTO SE PERMETTETE

MA CHE COS'È? UN COMM UN CAV

UN PROF UN ING UN DOTT UN AVV?

E PERCHÉ MAI SI È IMPICCATO?

                 SIAMO NOI SIAMO NOI, COLPA NOSTRA

CHE LO ABBIAMO UMILIATO

CHE LO ABBIAMO SCHIFATO

CHE LO ABBIAMO...

             FACENDOGLI 

             CAPIRE CHE

ERA UN UOMO ANCHE LUI

COME NOI

COME VOI

COME TE

COME ME!

MA COME HAI FATTO SIGNORE SIGNORE

AD ATTACCARTI

IN CIMA AL PENNONE?

CON UNA SCALA

O CON L'AMBIZIONE?

O A PORTARTI LASSÙ

È STATO IL FIDO BANCARIO?

NON È VERO. È STATO L'AMORE,

ANCHE I COMMENDA HANNO UN CUORE.


Dino Buzzati, da "Poema a fumetti"

venerdì, agosto 27, 2010

Leonardo Sinisgalli - "Bianchina"

Bianchina la slava
seminapulci, la zingara
ha figliato nella legnaia.
Porta i cuccioli appresso
raminga per amore
di libertà. Rifiuta
il latte, ruba
per non mendicare,
ringhia per non farsi
lisciare.



Leonardo Sinisgalli da "Mosche in bottiglia"

giovedì, agosto 26, 2010

Harold Norse, "Non raccomanderei l'Amore"

ho sentito la testa trafitta
da una corona di spine ma ho scherzato e ho pigliato la metro
mi sono sprofondato nei cessi della scuola a masturbarmi
scrivendo segretamente
d'inferno e adolescenza
perché ero "diverso"
il primo e l'ultimo della mia razza
soffocando sensazioni acute
nelle piscine e negli spogliatoi
drogato di labbra e genitali
ammattito per le chiappe
ammirate da Whitman e Lorca
da Catullo da Marlowe
e Michelangelo
e Socrate


e ho scritto: Amici,
se ci tenete a sopravvivere
non vi raccomanderei
l'Amore


Harold Norse da "Beat Generation"

mercoledì, agosto 25, 2010

Giorgio Caproni - Per lei -

Per lei voglio rime chiare,
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.

Giorgio Caproni da "Il seme del piangere"

martedì, agosto 24, 2010

Mario Luzi - "La notte lava la mente"

La notte lava la mente.

Poco dopo si è qui come sai bene,
fila d'anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.


Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.


Mario Luzi da "Onore del vero" 

domenica, agosto 15, 2010

Don Tano

Sono trentanni che Don Tano passa sutta a me casa con la lapa per vendere la frutta e la verdura. Si può dire che lui mi ha visto crescere e io invece lho studiato invecchiare.
Certo non è che lui ha mai fatto grandi affari qua nella zona. U giustu per vivere che le signore ci calavunu u panaru dalla finestra solo quando mancava di corsa qualcosa di importante per la giornata o per un capriccio di quelli di quando una è incinta. Chinnisacciu una cipudda per linsalata o a mulinciana pa sassa o na zucchina se era tempo di farla fritta con la ricotta salata e a pasta frisca o a bananuzza e u muluni di ciauru pi passarisi a ucca.
Insomma Don Tano è sempre stato come uno della famigghia nel quartiere. U caruso che ti aiuta e non ti fa nesciri di casa se ti manca qualcosa. Lamico ca ti porta a spisa fino alla porta.
I primi tempi arrivava con la sua voce potente a vanniari la mercanzia e pareva un cantante della radio quannu simpegnava e babbiava con le fimmine. Poi saccattau un microfono che rimbombava e fiscava a ogni curva e con quello avvisava via per via ca stava arrivannu che uno ciaveva tutto il tempo per pinsari a quello che si doveva cucinare nella giornata e a cosa sivveva e a quello che mancava macari.
Altri cambiamenti importanti non ce nerano stati a parte che sera fatto sempri chiù rossu che tutti lo sapevano ca so mugghieri ci faceva i conna e che però lo trattava bene in cucina e il vino non ciu faceva mancari mai. Era per questo che girava sempre solo che nella lapa per quanto sera fatto spazio non ce nera e figghi poi non ne erano arrivati.
Laltro giorno ciaccapitau un incidente che io fici in tempo solo adaffacciarimi e a viriri la lapa accapputtata. Una machina era spuntata allimprovviso e per evitarla lui sava abbiato a destra cu tutta a so panza. Misa di latu da machinuzza azzurra pareva una bestia ferita. A terra cera di tutto che le cassette serano tutte sparpagliate e le pesche e i puma rotolavano lenti che strada era tannicchia in discesa. Io ero tannicchia preoccupato per lui a dire il vero ma poi mi passau ogni cosa che una vuciuzza nisciu dallaltoparlante:
"Aiuto! Aiuto! Aiutatemi! Susitimi!" e non si firmau chiù.

martedì, giugno 29, 2010

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino (prima stesura)

Solo due cose sono importanti: arrotolare bene tra le dita la sigaretta prima di accenderla, ricordare che il lavoro termina, i m p r o r o g a b i l m e n t e, alle venti.

"Insomma! Non c'è nessuno qui?"
"No, signore. No."
"E lei?"
"Io? Io immagino di sì"
"Ma non mi faccia incazzare. Non lavora qui lei? La vedo sa, ogni giorno con le sue sigarette! E i colleghi? Ci pensa, lei, ai suoi colleghi?
"Sono solo"
"Vabbe' comunque, può essere così gentile da aiutarmi?"
"No"
"Guardi, è solo un attimo"
"Lei non fuma?"
"No... ogni tanto, dopo pranzo... a volte"
"E' utile sa? La notte. Soprattutto la notte. Quando è notte, bisogna fare attenzione..."
"Lei è pazzo, mi faccia parlare con un suo superiore!"
"...perché di giorno è più semplice..."
"Mi ha sentito? Vuole rispondermi?"
"...ogni cosa ha il suo colore..."
"Basta! Ci rinuncio! Ma non finisce così... vedrà!"
"...e ride."

La settimana scorsa c'era una gran nebbia. Gli oggetti, le persone, uscivano dal nulla e poi sparivano e la fermata dell'autobus era lì, ma se facevo un passo indietro iniziava a volare con le sue scritte rosse... o nere? Insomma volava, ma tutti facevano finta di niente: chi guardava l'orologio, chi sonnecchiava.
Siamo sempre gli stessi qui alla fermata, anche se non ci siamo mai salutati. Siamo sempre gli stessi in queste mattine, uguali.
Immaginavo che anche loro sapessero, ma Giorgio ha detto "Basta!" e mi son dimenticato di chiederlo per esserne sicuro, di urlare pieno di sorpresa:
"Ha visto? Volava via il cartello! Ha visto?".
Giorgio si è un po' spaventato. Non ha capito cosa fosse quella grande ombra che si avvicinava.
"Vieni! Saliamo" gli ho detto per rincuorarlo, ma lui mi è scappato dalle mani e così ci siamo rivisti solo la sera.
Aveva fame, e anch'io.

Vicino al fiume il puzzo cresce e ti entra nei vestiti che quasi sembra di essere lì, tra i morti che stanno a guardia dei vivi, dei loro ricordi. A Giorgio però piace e io e lui passeggiamo come vecchi amici. A volte improvvisamente sparisce... lo so, lo so... amoreggia - hi, hi, hi - poi però torna da me e mi saluta come se non fossimo stati insieme sino a solo venti minuti prima. E' fatto così lui, e a me non resta che rispondere al suo saluto e dirgli ogni volta: "Ciao Giorgio! Come è andata oggi?".
E' bello ascoltare le sue storie. Sono sempre le stesse, lo so, ma a me ogni volta appaiono nuove come un gelato appena comprato, e io lecco le sue ferite e lui le mie, e si cammina, insieme.
Certi giorni capita, poi, che la luce dei lampioni si diverta a tagliare le nostre ombre, a farne casuali rivoli, allora la mia mano destra cerca un punto, che non trova, e la sinistra anche, finché Giorgio, o i suoi baffi, mi indicano la strada.

"Ha finito?"
"Debbo solo completare le note finali"
"Bene Saladino, mi raccomando, so di poter contare su di lei"
"Certo, grazie"
"Quasi mi dimenticavo..."
"Dica."
"Ieri... il Dottor Graziosi... ha registrato un reclamo."
"Sì...?
"Un tale... ne sa niente lei?
"No, certo."
"Sa quel tipo... insomma... quello è il nipote del Dottor Guarino."
"Chi?"
"Guarino, sa... il proprietario del giornale."
"Quale?"
"Insomma ragioniere! Stia attento, mi raccomando... la vedo stanco ultimamente."
"Saranno le code"
"Cosa?"
"Le code. A volte perdono i peli e anche i lupi, dicono"
"...sì... ma..."
"Hi, hi, hi. Completerò il lavoro stasera dottore, non si preoccupi."
"Bene Saladino, bene."

Collegando con una linea il marciapiede alla basilica e questa al bar e poi tracciando una curva tra l'uscita a sinistra di quest'ultimo ed il negozio di giocattoli quasi alla fine del viale si ottiene un arco, e se poi mi ci metto in mezzo sono una freccia, e corro, e non riesco più a fermarmi, e uuuuurlo... uuuuurloooooo... e la mia scia sono decina di altri me, centinaia, migliaia, e mi seguono; ma io smetto di urlare, e la piazza è vuota, silenziosa.

La casa è appena fuori città, non ci vuole molto ad arrivarci, venti, trenta minuti: secondo il passo, la volontà.

Insomma Giorgio fammi dormire! Ho visto anch'io le luci, e tutte quelle parole, ma chissà se anche tu hai perso a volte, è così? Oggi cercavo la spilla, quella con le tre stelle sai? Quella del secondo anniversario. No! Tu non c'eri... dimenticavo. E allora Giorgio, ce la faremo a perdere? Oppure, anche oggi... senti? Una civetta, la senti? E il cigolio di una bici e le cicale anche, e i grilli, i tordi, i sordi, i morti.
Prima avevo imparato tante filastrocche; potevano servire, mi dicevo, e le ripetevo per strada, che la strada si accorciava e non mi accorgevo di essere arrivato e toh! Sono già qui, e "buongiorno direttore", e "buongiorno collega", "buongiorno!".

"Crede che dovremmo licenziarlo?
"Veda lei stesso..."
"I grafici dice? Ma analizzano solo gli ultimi sei mesi"
"Le sembrano pochi?"
"E' stato un ottimo elemento in passato"
"Già"
"Potremmo assegnarlo ad un altro incarico"
"Quale?"
"Non so... è ancora presto per..."
"Tre mesi"
"Cosa?"
"Le do tre mesi"
"Ma..."
"Dovrà risalire ad almeno settanta sul grafico"
"Proverò"
"Deve"
Ho aspettato di sentire cadere le prime gocce dai rami prima di decidermi ad aprire l'ombrello. Giorgio è rimasto a casa, "ti raggiungo dopo" mi ha detto, anche se è domenica, anche se.
Non ho molti luoghi da visitare: il necessario, che poi mi ci perdo; e così mi ritrovo ancora una volta al parco, e siamo soli io e lui. La pioggia a farci compagnia.
La panchina non è ancora inzuppata, il legno ha solchi profondi, ferite inferte da ragazzi e innamorati, medaglie al valore date dal tempo. Mi sono chinato a raccogliere della terra, luccicava, e improvvisamente anche le mie labbra avevano sete, ed era buona la terra come mai nessuna cosa prima. Poi mi sono seduto sul prato, accanto al grande cirmolo, e con le dita ho scavato, ma non c'era nulla sotto, nessun tesoro, ed i segni che avevo visto sparivano sotto le mie mani ecco... venti gradi ad est, quaranta ad ovest, tre passi prima della roccia con inciso il tuo nome.
All'improvviso ho sentito Giorgio accanto a me, l'ombrello piantato a bandiera ci proteggeva. "Cantiamo?" mi ha chiesto alle spalle, ma poi non mi ha dato il tempo di pensare a cosa mi sarebbe piaciuto ascoltare. "Oggi potrebbe essere festa, come ogni giorno, del resto" ha aggiunto ed è stato allora, solo allora, che ho pianto.

A tratti tutto accelera e la testa inizia a dondolare forte sempre più forte prima di fermarsi improvvisamente, come di fronte al mare. A tratti mi ritrovo in altri luoghi, e mi osservo, e mi spoglio, e mi rivesto, a tratti.
A tratti sono di nuovo immobile e mi sembra di sentirti muovere, sopra di me, ed allora tutto di nuovo procede velocemente, e noi, sì, noi, a tratti. Poi ogni cosa esplode e mi ritrovo di nuovo a fuggire, veloce, sempre più veloce, fino a.
A tratti mi manchi, a tratti.

"Conosci Ettore, Giorgio? Figlio di Priamo e marito di Andromaca. Padre di Astianatte e uccisore di Patroclo. Conosci Ettore, Giorgio? Ed i suoi giri attorno alla rocca, e le paure, ed il coraggio. Lo conosci? Dimmi! Dimmi!"

Con un pensiero cancello parole, intere frasi dalla mente. Con un pensiero sono simile a Dio e poco altro conta.

"Sì, è pronta"
"Le va una birra dopo l'ufficio?"
"Non so"
"Impegni?"
"No, a parte Giorgio..."
"Il suo gatto, vero?"
"Sì!"
"Saprà aspettarla per una sera, non crede?"
"...ssssì... credo di sì"
"Bene, a più tardi allora"
"A più tardi"

"E allora, come va? Tu.. possiamo darci del tu, vero?... cosa prendi? Sì, va bene... due spine grandi e ... sì... un momento... per te va bene? Sì allora, anche quelli, mi raccomando però, non troppo piccanti... dunque, torniamo a noi, non mi hai risposto... come va? Lo so, lo so che non hai mai amato molto parlare... però, ogni tanto... ci conosciamo da così tanto tempo. Dimmi, quanti anni saranno? Tre... quattro? Insomma, anche io ho conosciuto la tua... beh... sai abbiamo sofferto tutti per te quando... ma ora è passato del tempo, sì, certo, lo so che non è solo questione di tempo, ma hai delle responsabilità... ecco, verso te stesso innanzitutto, non puoi permetterti di rinunciare anche a quelle, sì! Certo! Rinunciare! Perché se vai via è solo colpa tua"

E' solo colpa tua dice e intanto i bicchieri si fanno meno pesanti e la schiuma, quella sì, è andata via, tra i suoi baffi, un rivolo. E da lì che si affaccia un omino, e mi saluta anche. Simpatico però! Ha uno strano costume a righe, come... come quello che si usava al mare il secolo scorso ecco, azzurro e bianco. Ora è appeso all'ultimo pelo sul viso del mio superiore. Tranquillo svolazza nel vuoto poi si tuffa dentro il boccale eseguendo un doppio salto, carpiato. Riemerge contento, proprio bravo, non c'è che dire. Lo applaudirei se non fosse un po' sconveniente, e gli direi: "Ancora!", ma non so se l'altro capirebbe, e poi lui sta gia risalendo sul maglione bordeaux, sul colletto della camicia, e da lì con un balzo e di nuovo tra la barba del mio dirimpettaio. "Dove vai? Dove ti nascondi?" penso, "Stai attento!" mi scappa, ma Borghetti, il suo trampolino, mi guarda stupito, ed io, allora, non so più che dire.

Borghetti, lo so, è una brava persona. Lui, quando ci siamo conosciuti, indossava una camicia bianca ed aveva una cravatta anche, con delle piccole racchette da tennis in rilievo, rosse, ricordo... che la cravatta era blu, come il computer sul tavolo, come la sedia, come la cornice che custodiva la foto della sua famiglia. E' una brava persona Borghetti, anche se non lo ascolto stasera, che non ho voglia, e penso a Giorgio che mi aspetta, e poi, finalmente, ci lasciamo, e "Certo! Farò come tu dici" e "A domani", "A domani."

Giorgio aspetta in giardino, sembra triste anche se lo so che non lo ammetterebbe mai. Mi saluta come ogni giorno infatti, con quel suo annusare che ricorda la faccia di una vecchia zia fintamente scontrosa, e poi entriamo insieme per andare a casa a cenare.

"Com'è andata? Vi ho visto parlare"
"Mi sembra bene..."
"Ricordi Borghetti i tempi che le ho dato"
"Certo, anche se..."
"Non intendo ritornare più su questo"
"Sì, sì, mi scusi... va bene"

Quando l'hanno operata non sapevo bene cosa volessero fare, avevo chiesto a qualcuno, fatto supposizioni, ma i medici mi avevano detto che era indispensabile intervenire tempestivamente, proprio quelle erano state le parole, ed io avevo accettato, non potevo negare quel sì. No, non potevo.

Poi improvvisamente arriva l'estate e molti però si ritrovano impreparati. Come se non sapessero, come se.

Giorgio sparisce per ore, per giornate a volte. Quando rientra ha sempre una cicatrice in più, un sorriso soddisfatto e una dolce assenza negli occhi. Si dirige verso la cucina e raccoglie quello che gli ho preparato. Non ha mai voglia di raccontare quando arriva la stagione e sospetto che sarebbe felice se potesse rimanere solo, almeno un po'. Gli sono grato per il suo ragionevole silenzio e spesso cerco di trovare delle scuse per uscire. "Vado a comprare il latte" sussurro, e poi sparisco mentre lui finge di seguirmi con lo sguardo.

Borghetti è sempre più gentile. A volte, quando arriva un nuovo cliente, appare misteriosamente accanto a me e prende in mano la situazione come se fosse casuale quel suo intervenire, quel suo tecnico cicalare.

"Hai mai provato a passeggiare sulle nuvole?"
"Cosa?"
"Sulle nuvole, dico"
"Non credo sia possibile!"
"Dovresti, dovrò farti vedere un giorno. A volte è dura. Sono salite ripidissime o funi che si avvolgono quasi fossero liane, trecce di principesse. Io preferisco quelle un po' solitarie, le nuvole dico. Pensose si direbbe, ma per me solo distratte dal sole, svagate come giovani adolescenti, innamorate"
"Credo sia meglio se ora torniamo a lavorare!"
"Sì, dovresti"


"Allora Borghetti, sembrerebbe che lei ci sia riuscito..."
"Sembrerebbe, sì"
"Che fa Borghetti mi si mette a rispondere anche lei come quello?"
"No, no dottore... ci mancherebbe"
"Bene, perché non voglio avere altre grane qui. Sa cosa mi è costato calmare il Dottor Guarino? No che non lo sa. Cosa mai potete sapere voi?"
"Certo, le assicuro..."
"Lei non mi deve assicurare un bel niente Borghetti. Vigili, vigili!"

Borghetti non può capire, lui non sa del mio posto segreto, della arrendevolezza delle nuvole. Quando arriva la bella stagione con Giorgio arriviamo fino dentro la pineta, vicino al mare. C'è un punto lì. Un luogo in cui gli alberi lasciano libero un triangolo. Un segreto protetto da della sterpaglia che sembra impedirne l'accesso. E' stato Giorgio a scoprirlo. Mi chiamava, ma a me sembrava si fosse perso e non riuscivo a trovarlo, non riuscivo a vederlo. Fintanto che.
Ora quando ci andiamo lui attende che io entri e mi distenda su una piccola stuoia che conservo lì, poi sparisce. Non mi preoccupo più ormai, so che non si perderà.
A me piace sentire quel contatto con la terra, la fresca gioia dell'ombra, ed allargare le braccia e le gambe anche, e l'essere pupilla nell'occhio di Dio.
E' lì che quando passa una nuvola le mie dita si inerpicano a conquistarne il segreto. Indice e medio, indice e medio fin quando quella scompare.

Continua a far caldo, la gente si muove lentamente ma non riesce ancora a guardarsi attorno, a vedere. Ieri, ad esempio, un piccolo sbuffo azzurro accarezzava il cielo. Veniva fuori da un vecchio palazzo del centro, uno di quelli non ancora recuperati ed uccisi per farne piccole cellette di clausura. Mi ricordava il timido uscire di un gattino alla sua prima passeggiata, il soffio di un sogno. Mi sono fermato a guardare e poi Giorgio mi ha indicato una panchina poco lontano. Siamo rimasti cosí, in silenzio, ad osservare quel piccolo miracolo.

In ufficio tutti correvano, una strana fila di persone attendeva davanti al mio sportello.

"Finalmente! Le è successo qualcosa?"
"No, perché? Anzi sí..."
"Ragioniere ma si rende conto che è in ritardo di quasi venti minuti?"
"... il cielo era contento"
"Che dice?"
"Crede che tornerà a piovere?"
"No, non cosí presto, almeno. Ma cosa importa? Lei ha un ritardo spaventoso Saladino, ho come la sensazione che fatichi a rendersene conto!"
"Oh, no! Sa il perché di tutta questa gente?"
"Come? Non ha visto la tivvù? Ma dove vive lei ragioniere?!"
"Giorgio mi basta"
"Comunque, è crollata una palazzina stanotte..."
"Capisco..."

Non siamo mai preparati alla morte. Se anche dovessimo sapere con assoluta sicurezza il momento del suo arrivo non riusciremmo a farci trovare pronti, ad accettarla. Giorgio dice che tutto questo è molto umano; non posso dargli torto, credo.

Mi piace andare al cinema. Fuori ora è freddo e Giorgio viene con me. Lo nascondo, e lui non protesta, tira solo fuori la testa per guardare, per mangiare.
Ce ne sono tanti di cinema qui. Prima ancora di più. Penso fossero più belli, tanta gente, le poltrone logore, un po' sporche forse, l'unto delle patatine ed il loro rumore a fare da colonna sonora, le file ben ordinate. Ora è difficile trovarli, è difficile godere della rilassante malinconia del pubblico abbandono.
Ho tentato, poco tempo fa, ho provato in uno di questi nuovi. Mi guardavano tutti un po' strano. Per via di quell'evidente rigonfio del cappotto, penso.
"E' la mia borsa d'acqua calda" ho detto loro e quelli mi hanno sorriso che già avevo pagato il biglietto e il film stava per iniziare.
"E' la mia borsa d'acqua calda" ho ripetuto, mentre Giorgio iniziava a muoversi, a chiedermi di farla finita con quel gioco, a sussurrarmi di tornare a casa.

Con Borghetti ora andiamo spesso insieme a bere una birra dopo l'ufficio.
Lui, nello stesso tempo, poco alla volta ha abbandonato il mio sportello. Un po' mi dispiace. Mi piaceva quella sua presenza silenziosa, la gentilezza dei modi, il cauto intervenire di fronte alle proteste di certi clienti.
Quando siamo insieme seguo i suoi discorsi, ascolto le sue fantasie. Capita frequentemente che io percepisca il suo desiderio di parlare della famiglia, credo sia quella che lo osserva ogni giorno dalla cornice posta sul suo tavolo di lavoro, anche se non ne sono sicuro, anche se non si è mai sicuri in queste cose.
Quando è con me lo vedo allora faticare sulle parole, arrampicarsi sulle metafore, sulle disillusioni, virare veloce su premi, viaggi e diplomi, ridere di piccole bugie, delle proprie paure.
Credo che Borghetti abbia un'amante, anzi ne sono sicuro. L'ho intravista affacciarsi più volte da una piccola ruga che bacia le sue labbra. Lui sembra accorgersene e veloce la ricaccia sempre dentro, con gentilezza però, accarezzandola, massaggiandola dolcemente con l'interno del pollice della mano sinistra, ma forse è solo la compagna di quell'omino buffo che a volte continua a giocare tra i suoi baffi. Forse è solo un suo modo per distrarmi. Forse è solo il riflesso un po' amaro della schiuma.
Non so. Credo che gliene parlerò un giorno, quando anche lui potrà capire. Quando tornerà a ricordarsi di essere ancora vivo.
A volte mi spiace lasciarlo di fretta, il Borghetti, ma in questo inverno di neve Giorgio vuole rientrare presto a casa ed io non posso certo lasciarlo fuori. Così lo saluto, li saluto, e sparisco con un "puff!" da fumetto, che quello rimane sempre a bocca aperta quando succede, mentre i suoi ospiti ne approfittano per baciarsi.

"Bene, mi è stato detto che siete amici, ora"
"No, no... non proprio, prendiamo una birra insieme ogni tanto"
"Non ci sarebbe nulla di male, anche se..."
"Mi sembra sia salito sui grafici"
"Sì, sì. Solo pensavo che forse ci siamo lasciati sfuggire una buona occasione, sa la crisi... di certo non avremmo avuto problemi"
"Non è molto tempo che..., insomma poteva essere giustificato, e poi..."
"Sì lo so Borghetti! E' inutile che lei me lo ricordi, comunque... non è di questo che volevo parlarle ora, cioè non è per Saladino che l'ho chiamata qui. Ho intenzione di metterla a capo delle risorse umane, credo sia la persona adatta..."
"Non posso esserne che contento..."
"Mi faccia finire, e non mi guardi con quella faccia stupita, ho visto come si muove. Mi è piaciuto il suo impegno, il suo legarsi ai dipendenti, penso che farà molto bene nell'opera di svecchiamento dell'azienda"
"Svecchiamento?"
"Sì, svecchiamento Borghetti, svecchiamento. Dobbiamo tornare ad essere competitivi, abbiamo bisogno di potare, di tagliare i rami secchi. Via, via quelle vecchie comari ingrigite legate alla poltrona, dobbiamo essere dinamici, liberi..."
"Quanti?"
"Cento, ottanta per iniziare"
"Ma è quasi metà dell'azienda"
"Sì certo, non avrebbe senso allora, crede che io ne sia contento? Pensi agli altri Borghetti, pensi a quelli che salverà da un fallimento definitivo, pensi a quelle famiglie"
"E loro?"
"Faremo in modo che accettino, farà in modo che abbiano tutta la nostra solidarietà. Lei è bravo Borghetti, troverà la soluzione, ne sono sicuro"


E' tornato il sole. Le nuvole, ormai bianche, passano veloci e a volte lo coprono per lungo tempo, quasi a volerci lasciare sonnecchiare ancora un poco. Passano anche sulla mia testa quelle vecchie scapestrate, ed ognuna è un frammento. Un nuovo pensiero.
Giorgio è tornato a uscire e io mi ritrovo spesso in silenzio sul balcone, ad attenderlo. Sulla strada hanno fissato un piccolo specchio convesso, mi piacerebbe un giorno scorgervi un lampo, un raggio a illuminarmi, ma forse non è possibile, non è probabile.
In ufficio Borghetti è sempre più silenzioso. Ha già avvisato una ventina di persone del loro licenziamento, ma credo saranno molti di più alla fine. Magari ci sarò anch'io. Magari no. Magari non ha importanza. Ecco, ieri invece, ieri, una signora mi ha sorriso. Le avevo restituito la pratica per una firma "non apposta" (sì, si dovrebbe dire così, penso) per una firma che mancava insomma, spingendo con delicatezza il documento sotto il vetro... e l'ho vista sorridere. Odio le pieghe agli angoli del foglio, la carta stropicciata. Deve averlo capito e mi ha sorriso, di un sorriso spezzato.
Credo sia necessario segnalare quel graffio sul vetro in direzione: non va bene, non è opportuno.

venerdì, giugno 18, 2010

José de Sousa Saramago (Azinhaga, 16 novembre 1922 – Tías, 18 giugno 2010)

"Impara il mio corpo, e ripeteva, ma in un altro modo, cambiando una parola, Impara il tuo corpo, e sopra di lui, nuda e stupenda, Maria di Magdala, che lo rassicurava, Non ti preoccupare, non ti muovere, lascia che sia io a occuparmi di te, allora sentì che una parte del suo corpo, quella, era scomparsa nel corpo di lei, che un anello di fuoco lo circondava, avanti e indietro, che un fremito lo scuoteva dentro, come un pesce che si agita e che, all'improvviso, gli sfuggiva gridando, impossibile, non può essere, i pesci non gridano, era lui, invece, che urlava, mentre Maria, gemendo, si abbandonava con il proprio corpo su quello di lui, bevendogli il grido dalla bocca, con un bacio avido e ansioso che scatenò nel corpo di Gesù un secondo e interminabile fremito.[...]
Dio aveva detto a Gesù, Da oggi appartieni a me, col sangue, e il Demonio, ammesso che lo fosse, lo aveva spregiato, Non hai imparato niente, vattene, e Maria di Magdala, coi seni imperlati di sudore, i capelli sciolti che paiono fumanti, la bocca turgida, occhi come acqua scura, Non ti legherai di certo a me per ciò che ti ho insegnato, ma resta qui stanotte. E Gesù, sopra di lei, rispose, Ciò che insegni non è prigione, ma libertà. Dormirono insieme, ma non soltanto quella notte. "


José Saramago, Il vangelo secondo Gesù Cristo, Einaudi

martedì, giugno 08, 2010

Diario, lividi sparsi

E' domenica mattina.

Indossi una gonna sdrucita, sandali indiani. Potresti passare per una hippie fuori tempo o per una zingara dai buffi e inadeguati tratti borghesi. Non posso fare a meno di osservarti mentre mi lanci quel solito tuo sguardo a indagare. E' il corpo la tua forza, il resto rimane solo un inutile orpello, buono per consentirti di confonderti tra la gente, per confondere se vuoi. E' il corpo, sono le spalle scolpite dal nuoto, i fianchi adolescenti, il ventre da baciare. Sono i tuoi denti, le pieghe morbide del collo, il lungo paradiso della schiena. La tua mano ora stringe la mia con preoccupazione. Ci abbracciamo ma restiamo in silenzio, chè a poco servono le parole.

Aprendo la busta sapevo già che avrei dovuto cercarmi un nuovo lavoro. Ci dispiace... A norma della legge... In data odierna... . Ho cercato di tornare a dormire. Ho bevuto un caffè. Ho urinato. Ho telefonato all'avvocato sindacalista. Ho guardato la tele. Ti ho evitato. Ho chiuso gli occhi, il mondo.

Anna mi guarda. Leggiamo insieme un libro di Doblin. A turno le nostre voci si confondono sulle pagine fitte di un disastro umano. Arrossisco quando, all'improvviso, inizia a cantare. La sua voce s'infrange sulle mie labbra mentre le sue mani mi cercano. La casa è vuota. Un grido a stento soffocato, un mordersi le labbra. Rimaniamo due estranei che si amano, corpi affamati che si cercano.

Il corpo mi duole. Due ore di pesi, una fatica incessante, beata assenza di pensieri "alti". Riconosco Francesca dall'odore della pelle, un profumo forte, ricco d'oriente e argenti. Il piccolo gioiello che le ho regalato luccica incastonato tra i seni, vezzeggiato da lucide perle di sudore. Vorrei possederla qui. Vorrei penetrare in lei allargando le sue gambe su una di queste macchine ridicole, fare di questo luogo uno di quei pessimi set di film porno a basso budget. Lo sfigato, l'attrice infoiata, il regista inutile.

L'impossibilità d'emozionarsi è divenuta il cruccio maggiore. Coltivi il nulla, speranzoso che cresca e t'ingoi.
Il tuo silenzio, il tuo agire con assoluta padronanza ignara di niente altro che non sia il tuo desiderio. Questo di te mi emoziona e mi impaurisce. Ascolto il concerto e mi chiedo quanto io sia pronto per la tua libertà. Tu applaudi, balli, mi sento quasi escluso ma ritengo sia giusto così. Poi ti volti e mi guardi, sono sicuro che riesci a leggere tutto di me e vorrei nascondermi un po' ma tu sorridi e m'arrendo.

Un giorno come un altro. Passeggio con spavalderia sulle ombre. Tante bottiglie, tanta gente. Mi racconti il tuo amore per lui e non mi eviti neanche la pena dei particolari. Vorrei fermarti. Continuo ad ascoltarti.
Sogno, ad occhi chiusi, d'accarezzare il tuo corpo aprendomi con le dita un varco tra le pieghe umide del tuo ventre, dentro il rosa hollywoodiano del tuo culo. Hai deciso di partire per la Francia. Non ci vedremo per tutta l'estate. Resisterò? Resisterai?

La caccia al lavoro procede senza sosta. Le prime ore della mattinata impiegate per le telefonate, l'invio dei curricula. A volte gli incontri con i potenziali padroni. "Ha già lavorato in questo settore?". "E' sposato?". "Avevamo pensato ad una donna, sa è una questione d'immagine". "Non possiamo offrirle di più, la crisi... ci dispiace". "Abbiamo già fatto la nostra scelta, non abbiamo avuto il tempo di avvertirla".

Chiamo Francesca. Cattivo e scortese la scopo in macchina a 100 metri da casa sua. I jeans appena abbassati, la sua gonna spinta sul ventre, gli slip scostati. Il suo passivo silenzio mi rende ancora più nervoso. Le urlo di muoversi. Vengo. Lei scosta decisa il mio corpo. Si asciuga lanciandomi poi addosso il fazzolettino appallottolato. Chiudo gli occhi. Lo scatto della portiera mi fa rendere conto che è già scesa dall'auto. Mi rannicchio sul sedile in cerca del suo odore, in cerca.

Tra corpi sconosciuti  t'osservo. Bevi un miscuglio rosso che dovrebbe ricordare una sangria (l'ho bevuto anch'io) poi inizi a muoverti al ritmo di un lento sudamericano. Ti chini per allacciare con indifferenza le scarpe (sai che ti guardo) poi riprendi a ballare scordando l'effetto che fai.

E' domenica mattina.

Ho ritrovato il tuo libro tra le lettere, dentro uno scatolone giallo. La copertina ocra rimanda a un sogno non fatto, a una frase mai detta. Non ho neanche provato a sfogliarlo, non è necessario.

Ho conservato di me, della mia storia, per lungo tempo quello che ho potuto, senza senso logico, senza partecipazione. Come spiegare a se stessi che ci si vuole "tramandare"? Poi ho distrutto ogni cosa. Con cura ho strappato fogli, tagliuzzato immagini. Tutto, poi, è stato bruciato. Tutto è tornato polvere.

Allora, quando me lo regalasti, finsi di non conoscere il tuo desiderarmi. Io cercavo solo di spingerti verso la "logica", la "scienza" esatta del materialismo, tu sorridevi e mi mostravi un mondo che non conoscevo, che non credevo potesse esistere. Innegabile il fatto che tu abbia vinto. Nelle tue parole, nei tuoi gesti ho assaporato la grazia della sconfitta, la dolce narcosi del perdente, e me ne sono innamorato. Come di te del resto.

Una bottiglia esplode in mille lucidi pezzi. Ho mancato la mira, eppure una fiammata illumina la via, traccia il nero acciottolato cittadino. Il "nemico" s'allontana di corsa fuori dalla portata del mio rancore, gli altri sono già scappati nel momento stesso in cui si sono accorti del nostro essere già pronti allo scontro. Il teatro è già pronto per la prossima recita.

I nomi di coloro che mancano a volte t'inseguono e scegli, impietoso, di farne bandiera od accarezzi, cieco, il loro ricordo. L'elenco degli uccisi divenne ogni giorno più lungo, ad esso subentrò, a poco a poco, quello di chi decideva d'andarsene con un buco, un lavoro lontano, la casuale morte. A chi rimaneva restava un liquido se stesso.

"Sai penso che potremmo vederci oggi con gli amici... dobbiamo discutere del viaggio... potremmo anche uscire dopo... Luisa mi ha detto che viene... hai voglia d'andare al cinema?".
Scruti le mie pause a caccia del mio imbarazzo. Ti volti. Ti sposti richiamata da un miagolare tenero, per poi ritornare e sezionare il mio viso contrariato. Avrei voglia di darti della puttana, sorrido e cerco di baciarti. Forse lo penso soltanto. Ritrovo i tuoi occhi sopra i miei, ma sei già lontana.

Francesca sembra scomparsa. Vorrei farmi perdonare. Le vorrei chiedere scusa. Nessuno sembra più averla vista, sentita. Poi l'incontro vicino casa. Il suo seno pieno sembra sorridermi dalla camicia. Lei però mi supera ignorando il mio saluto. Non so se la riavrò. Mi fermo fino ad accompagnare il suo sparire. Ho tutto il tempo per pressare la sigaretta tra le dita, per cercare qualcosa con cui accendere la cicca, poi torno ad incamminarmi verso casa.

Luigi mi passa la canna. Lui ha un aspetto strano. I tratti plebei cozzano con i riccioli biondi, gli occhi azzurri. La prima volta che lo conobbi rimase in silenzio sino alla fine della serata, poi iniziò a parlare. Ricordo che tutti noi lo seguimmo sempre più attenti, sempre più stupiti. Forse per questo è riuscito a conquistare Anna... e me.

Ancora una sigaretta. Ancora senza lavoro. Cerco di sforzare la mente per avere l'Idea. Un'idea suprema che mi permetta di vivere con un mucchio di soldi. Novello Troisi mi accingo ad avvicinare a me, con il pensiero, "Il Capitale".

La tv è accesa. Dalla mia stanza individuo solo i jingle più noti. Nient'altro. Sono arrivate le prime giornate di sole, la camicia brucia sotto il maglione pulito. Forse solo perché debbo incontrarti. Forse solo perché non ne ho voglia.

Ho rivisto Anna. Seduta. Su un bus in attesa. Vetri sporchi e poca luce. Ho accelerato il passo.
In un triangolo ogni lato è sempre minore della somma degli altri due e maggiore della loro differenza. L'esattezza euclidea ha ucciso il suo ricordo.

Ersilia ha grandi occhi ed una moto nera. Le sue gonne nascondono poco al mondo, una vecchia cicatrice dietro i primi pizzi, il profumo della pelle rasata, la passione per la Cina. Ersilia mi ha scelto. Mi ha dato un collare e la libertà di giocare.

Spingi la mia testa fra le tue cosce. Chi serba serba al gatto, ripeti. Anche qui. Anche ora. Chi serba serba al gatto, e sospiri, e spingi. Solo quando inizi a tremare ti fermi.

Appena fuori città. La birra costa meno. Ci si può permettere una fantasia di supplementi sulla Margherita poco cotta. Anna taglia la pizza a fette sottili, alternando i passaggi fino a formare una stella. Luigi studia il punto d'attacco, in silenzio, poi mangia in fretta per paura che freddi. Francesca gioca col bordo. Per lei niente crosta, e tanti avanzi sul piatto, alla fine.

E' domenica mattina.

L'ufficio è ancora deserto. Il lungo corridoio ha solo pochi oblò di luce e un grande silenzio. Affiori come fossi stata lì da sempre ad aspettarmi. Come se avessi già saputo. Non avrei voluto incontrarti così. Non ora, ma sei qui e io non posso, non voglio, mostrarti ancora la mia resa.
"Anche tu poco sonno?"
"Sì, ciao. Funziona già il server? Puoi tirare fuori la lista dei fornitori?"
"Te l'ho già data ieri, ricordi?"
"Certo. Sì, sì, è vero, grazie! Io sono nella mia stanza, allora."
"Ok. Debbo passarti tutte le telefonate?"
Sai benissimo che non è così. Sai benissimo con chi non voglio parlare.
"Si. Grazie. A più tardi."
"Vuoi un caffè?"
Stronza.
"No."

Annuisco. Mi riprometto di parlartene stanotte. La chiave di casa cade morbida dentro la tasca. Sento lontano il tuo saluto. La porta è già chiusa. Stanotte.

Infreddolita mi guardi. Alla finestra i colori si fanno più vivi. Peccato sia tardi, peccato dover andar via, anche perchè la stanza è proprio carina  mi dico. Dovremo tornarci un giorno. Dovremo.
"Sognavo noi due. Tu che dormivi"
Ti stringo e non parlo, poi mi baci prima di tornare a essere uno.

Osservo Ersilia al lavoro. I suoi occhi corrono sul bordo del racconto. Il mio, suppongo.
Ogni tanto una sosta, una smorfia del viso.
"Un'accetta! Datemi un'accetta! No! Non si può così!"
Ride. Fissa lo sguardo sulla mia cravatta, poi riprende.
"Odio affogare tra lacrime e nuvole"
"Scartalo" le propongo.
"E' il tuo!" risponde.
Ridiamo.

I bimbi camminano volando. Lo vedi dalla fatica che fai, dal loro inventare, dal tuo iniziare a non capire. Ci sei anche tu e il prato ha guance rosse e vocine assordanti. Pianti, anche, e macchie di gelato sulla pelle verde. Ma non è più tempo di rincorrersi adesso. Lo spettacolo dei burattini inizia e finalmente non hai, non hanno, occhi che per quello.

Ogni tanto riaffiora un compleanno e, a turno, la ricerca del numero giusto.
"Cheffa' vieni?"
Ho detto tante di quelle volte no che forse mi convinco ad andare. Sì! Vado.
Caldo. Auguri. Abbracci.
"E tu come stai?" " E tu cosa fai?" "E tu come vivi?"
Baglioni impera tra quei brutti ricordi instillati che mai penseresti di possedere, che non ti interessa possedere.
Una voce, sconosciuta, alle spalle: "Lei non c'è! La cercavi, vero? ".
Non ci avevi pensato, ma sì, avrebbe potuto anche esserci. Epperò lei non c'è.
Meglio così, meglio così.

Guardiamo la partita. Ad un tratto arriva l'illuminazione, mi guardi cercando in anticipo la mia approvazione, poi parli:
"Papà, sono proprio bravi questi turchesi, non è vero?".
Sorridendo faccio di sì con il capo. Ho sempre amato il turchese, forse un po' più il rosso.

E' domenica mattina.

martedì, maggio 18, 2010

Edoardo Sanguineti - Somos todos animales políticos

Siamo tutti politici (e animali):
premesso questo, posso dirti che
odio i politici odiosi: (e ti risparmio anche soltanto un parco abbozzo di
catalogo
esemplificativo e ragionato): (puoi sceglierti da te cognomi e nomi, e sparare
nel mucchio): (e sceglierti i perché, caso per caso)
ma, per semplificare,
ti aggiungo che, se è vero che, per me (come dico e ridico) è politica tutto,
a questo mondo, non è poi tutto, invece, la politica: (e questo mi definisce,
sempre per me, i politici odiosi, e il mio perché:
amo, così, quella grande politica
che è viva nei gesti della vita quotidiana, nelle parole quotidiane (come ciao,
pane, fica, grazie mille): (come quelle che ti trovi graffite dentro i cessi,
spraiate sopra i muri, tra uno slogan e un altro, abbasso, viva):
(e poi,
lo so che non si dice, ma, alla fine, mi sono odiosi e uomini e animali)

- Edoardo Sanguineti, Glosse -

lunedì, maggio 17, 2010

Ottavia

Questo interstardirsi,
il voler a tutti i costi
precipitare,
alla fine mi rende il ragno quasi amico.

Attendo solo sia il quieto bozzolo
di me nei giorni grami a ricordarti,
il soffio leggero
di uno svagato misterioso
dondolare.

lunedì, maggio 03, 2010

semantica

ne ho sentite tante sulla felicità
che questa
forse grossolana
euforia
ora un po' mi spaventa
e mi dico a volte che lo stare tra le tue gambe
questo muovermi
non può essere parte di quella
che la felicità è altra.

Mi accade allora che
magari
rallento il ritmo
oppure penso a parole come
estasi
o gioia
o incanto
ma nessuna di queste mi porta
dove sono
ora
a come sono
ora.

E tu mi stringi
gli occhi chiedono di continuare
anche il mio corpo non chiede altro
che a lui forse non interessa granchè
l'esattezza della parola
spingo allora
e godiamo insieme, amore,
io e te
e "sono felice" dico
e "sono felice" dici.

venerdì, aprile 09, 2010

Antonino Uccello, un maestro terrone - un rubalavoro - in Brianza

Sa tacca a la corrent la perteghetta
la filovia la va
In d’on cantòn da la piazza Cavour
sott’a la lus al neon ona baldracca
la batt nervosa ol tacch.

(Poesie brianzole, 1962)

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E sbatti casa casa comu spola,
arredda e-ffrisca: n cuocciu ri crugnola
sì, na iurnata i gghiugnu quannu u vientu
arrimisca laura
e-ddo cielu cari u frummientu.

(Janiattini, 1968)
Antonino Uccello nasce a Canicattini l'11 Settembre 1922. Compie gli studi magistrali a Noto, dove pubblica i primi versi di poesia. Nel 1944 sposa Anna Caligiore e si stabilisce a Palazzolo. Emigra nel 1947 in Lombardia e insegna nelle scuole elementari della Brianza. Nelle fredde nebbie del Nord nasce e si precisa l’idea della Casa-museo. Nasce da profondi motivi e urgenze che lo incalzano già da anni: la perdita di un patrimonio culturale da parte di un popolo, quello siciliano, avviato in quegli anni verso un tragico e devastante esodo. Da qui nasce la voglia, la “missione” tutta laica di salvare gli oggetti di una cultura destinata alla scomparsa. In Brianza Uccello porta tanti oggetti della civiltà contadina e li presenta in mostre d’arte presso famose gallerie del Nord. Questi oggetti (cucchiai in legno, collari, presepi in legno d’arancio, chiavi di carretto, sculture in ferro “fiori” del carretto) facevano la spola fra Palazzolo e la Brianza. Pubblicò i primissimi versi a Noto: furono i suoi compagni di scuola a “sponsorizzare” le sue liriche giovanili. Ma fu in Lombardia che si formò come poeta di raffinata cultura: a Milano frequentò i cenacoli culturali che si stringevano attorno a Elio Vittorini e intrecciò amicizie con Ernesto Treccani, Piero Chiara, Luciano Budigna, Ugo Bernasconi, Tono Zancanaro. In questo periodo escono le prime raccolte di poesie: Sulla porta chiusa (1957), Triale (1957), La notte d'Ascensione (1958). Nel 1959 pubblica per i tipi di Vanni Scheiwiller Canti del Val di Noto, che segnano il suo progressivo orientarsi verso la ricerca etno-antropologica. Sotto la spinta dello studio della poesia popolare e di una serie di rilevamenti sul campo per conto dell’Accademia di Santa Cecilia e del Centro Nazionale Studi Musica Popolare di Roma, ma soprattutto con l’affinamento degli strumenti critici a seguito della lettura dei “Quaderni dal Carcere” di A. Gramsci, esce il primo vero studio di taglio antropologico, anche se ancora una volta orientato allo studio della letteratura popolare, Risorgimento e società nei canti popolari siciliani (1962, ristampato nel 1978): sorta di antistoria del Risorgimento italiano. Nel frattempo (1960) Uccello ha posto fine alla permanenza nel Nord Italia e ritorna nella sua Palazzolo, dove acquista un antico palazzo (Palazzo Ferla, sec. XVIII). Qui trasporta quegli oggetti raccolti nell’area iblea in attesa di una definitiva sistemazione. Nel 1965 pubblica un altro studio di poesia popolare Carcere e mafia nei canti popolari siciliani, libro che suscitò una ridda di polemiche per il tema trattato e in quanto si collocava fra quegli studi che presentavano un diverso volto del Risorgimento italiano: quello visto attraverso l’ottica dei vinti. Coerente agli allora prevalenti interessi negli studi demologici orientati verso la letteratura e l’arte popolare pubblica il volume Pitture su vetro del popolo siciliano (1968). Gli anni che seguono immediatamente sono impiegati da Uccello nella realizzazione del suo “capolavoro”: la Casa-museo di Palazzolo, inaugurata nel 1971. Da questo momento la ricerca di Uccello si precisa impegnandosi nello studio dei diversi aspetti della cultura popolare, soprattutto contadina: escono in rapida successione La casa museo di Palazzolo Acreide (1972), La civiltà del legno in Sicilia (1973), dedicato all’arte lignea dei pastori e alla cultura contadina iblea, Amore e matrimonio nella vita del popolo siciliano (1976), Tessitura popolare in Sicilia (1978), Pani e dolci di Sicilia (1978), Il presepe popolare in Sicilia (1979), Bovari pecorai e curatuli. Cultura casearia in Sicilia (uscito postumo nel 1980 e pubblicato dagli Amici). Uccello muore il 29 Ottobre 1979. E’ sepolto a Canicattini Bagni. 

Poesie e testi tratti da: La Casa-museo di Antonino Uccello

venerdì, aprile 02, 2010

Vinko Möderndorfer - Qualcosa resta

Qualcosa resta
alla fine resta sempre qualcosa
un filo del pullover
un foglio dal diario
con la data 22 settembre
una bottiglia vuota
l’impronta delle labbra sull’orlo di un bicchiere
un biglietto sulla maniglia
                               VENGO ALLE CINQUE
e rimangono
tante parole non espresse
                  e tanti silenzi
alla fine resta sempre qualcosa
per piccolo che sia
per silenzioso che sia
per marginale che sia

lunedì, marzo 29, 2010

Liana De Luca da Ragazze

La ragazza che fa la baby-sitter
per pagarsi gli studi di lettere
si è portata un volume di Euripide
che cerca di sfogliare inutilmente.
I due frugoli bene rimpinzati
ascoltano con il volume al massimo
la nuova fiaba del telegiornale.
Poi giocano tirandosi cuscini
e le strappano il foglio degli appunti.
Lei allora riempie due tazze di latte
tiepido e versa dentro - solo un poco -
di sonnifero. Quindi tranquilla
si stende sul divano con le scarpe
e finalmente legge la Medea.

Liana De Luca, Ragazze, Edizioni del Cenacolo

sabato, marzo 27, 2010

Noi siamo quella razza



Noi siamo quella razza che non sta troppo bene,
che 'l giorno salta ' fossi e la sera le cene.
Lo posso gridar forte, fino a diventar fioco:
noi siamo quella razza che tromba tanto poco.
Noi siamo quella razza che al cinema s'intasa
per veder donne ignude e farsi seghe a casa.
Eppure la natura ci insegna, sia sui monti sia a valle,
che si può nascer bruchi per diventar farfalle.
Ecco noi siamo quella razza che l'è tra le più strane,
che bruchi siamo nati e bruchi si rimane.
Quella razza siamo noi, è inutile far finta,
ci ha trombato la miseria e siamo rimasti incinta.

mercoledì, marzo 24, 2010

Le parole

Le parole campano. E crisciunu. Furiano. Cangiano.
Le parole non lo sai mai se per tutti significano la stessa cosa che il fuoco e laria non sono per tutti uguali.
Le parole se passa tempo diventano tutte diverse da quelle che erano e certune muoiono senza rimpianti che hanno fatto il loro dovere e altre invece diventano di nuovo giovani. E a loro ci spetta una nuova vita che spesso non se lo ricordano mai da dove vengono. Il loro passato.
Le parole sono vento e come a quello portano vita dove arrivano. E qua ci cresce un albero e là un cespuglio o un ciuri ogni tanto. Se cè poesia.
Le parole cummogghiano tutto con polvere e sabbia e non fanno vedere nenti o fanno sognare troppo invece che certe volte però è lo stesso.
Le parole sono quelle che non trovi mai e scappano e sammucciano quando vuoi dire la verità e che invece balbettano per le munsignarie o nesciunu fuori impertinenti per le minchiate.
Le parole sono quelle degli altri che noi io e te siamo silenzio.

venerdì, marzo 19, 2010

Gorgona

di queste poesie posso farne a meno
di questi versi prigione
di queste urla che fioccano dentro
di ogni cassetto
di ogni tasca in cui conservo un ricordo
di ogni mondo che non sia la tua pelle
di tutto questo posso farne a meno
di tutto questo

martedì, marzo 16, 2010

Carmine Acquaviva

Acchianava a stento le scale che cera preso di avere scanto dellascensore per via che una vota cera stato dentro una para di ore senza riuscire a uscire. Appresso ciaveva sempre le stesse cose. Un ombrello tannicchia storto nella punta. Una busta che dentro ciaveva tante altre buste. Il cappello stile americano ammaccato con precisione nei lati.
Carmine Acquaviva era stato un belluomo ai suoi tempi e chi lo aveva canusciutu da giovane si meravigghiava ogni volta a vedere quel cambiamento. Che poi non è che fosse vecchio. Sessanta. Sessantacinque. Che ancora a quelletà cè gente che ammutta i muntagni.
Forse è che ne aveva passate tante e selera goduta e tutti la conoscevano la prima parte della sua vita che sempre ci spiavano particolari e sempre lui i mannava affanculu. La vita di prima. Quella dove aveva fatto fortuna vinnennu di tutto allamericani della base. Quella dove ogni sira nisceva con una fimmina diversa e una volta era finito macari supra al giornale per via di unattrice famosa che sera voluta passare il capriccio proprio con lui.
Carmine sembrava averli dimenticati quei giorni. Ora ammuttava sulu i so anni che a stento pareva che ci putissi ancora arrinesciri.
Cerano tante voci sopra a questo fatto ma nessuna pareva quella vera o forse lo erano tutte che in genere è sempre accussì che ammatti. E dunque cera chi parlava di debiti di gioco e chi di donne. Chi di carcere e ammazzatine e chi di lutti in famigghia. Insomma.
Ogni occasione che lo incrociavo lui mi taliava con locchi assenti come se tutti quelli che incontrava fossero fantasmi o gente di poca importanza e una volta sola si fermò che aveva la spesa e io fui deciso nellaiutarlo a acchianare una busta. Fermi davanti alla porta della sua casa lui non sapeva che fare. Io stavo per andarmene che non volevo disturbare ma lui invece alla fine si decise a offrirmi un caffè. Dentro era tutto in ordine solo che mancavano quasi tutti i mobili. In compenso cerano tante foto di tutte le misure con lui che arrireva felice da tutte le città del mondo.  E in alcune era solo ma più spesso cerano fimmini bellissime a fargli compagnia oppure uomini eleganti e altolocati. Io continuavo a sentirmi tannicchia assai a disagio che lui non parlava e mi chiese soltanto se lo volevo zuccherato il caffè e poi chiù nenti.
Solo quando mi accompagnò alla porta vedendomi fermo davanti a una foto alta fino alla mia testa mi mise una mano sicca sicca supra alla spalla e pronunciò tutto serio:
" Ero giovane"
Io mi furia a taliarlo. E mi passi che quelle parole erano come una confessione. E quella sua faccia come una sconfitta.