sabato, febbraio 28, 2009

Giochi di ruolo

Come nebbia agli occhi sfuggono
parole
di cui non saprò dire.

In questo
l’esitante mio baciare
il tuo paziente intuire.

martedì, febbraio 24, 2009

[Condomini] Don Vito

Appena si arrusbigghiava Don Vito chiureva locchi e incominciava a dire:
"Sono vivo! Sono vivo! Sono vivo!"
Se lo ripeteva una trentina di volte, fino a quando non si convinceva che era come diceva lui. Poi si scordava di tutta questa cerimonia ed era allora, solo allora, che accuminciava veramente la giornata.
Era un gran lavoratore Don Vito. Lui li sapeva fare veramente gli interessi suoi e della sua famigghia. Che importava se qualcun altro per quello ogni tanto ci ieva sutta. Il mondo è per chi ciavi i cugghiuni! E' la legge! E non ci possono essere ni sta vita cento lupi e quattro picureddi.
Quel giorno ad esempio ciaveva un nuovo contratto da fare. Una cosuccia insomma, pecchè ni sti cosi era abituato in grande, ma però anche a fare una strada di cento metri cera guadagno e di muddicheddi è fattu u pani.
Resi na taliata dalla finestra e mussiau. Pioveva e a lui ciaveva dato sempre fastidio il tempo quando era allacqua. Comunque non era il momento di ciddiari, pigghiau limpermeabile e nisciu. Prima di andare al comune voleva vedere questo pezzo di campagna da asfaltare. Lautista ci misi tannicchia ad arrivari che il posto era lontano e scumutuleddu, ma nel frattempo u suli ava nisciuto tra le nuvole e Don Vito non potti fare a meno di pensare che lui era veramente fortunato.
La strada da fare doveva unire la provinciale con un capannone che lassessore sera comprato un anno prima. Quando arrivò lì però si ricordò preciso che anche quello era opera sua, che quel deposito laveva costruito lui. Una cosa vecchia. Un lavoro a gratisi. Un regalo per il cognato di un onorevole importante di Palermo. A lui da quella finta spesa cera venuto più del doppio del guadagno quando lanno dopo ci furono le gare per la costruzione dellospedale di Bonomo. Ah! Che bei ricordi! Che tempi!
Si fece lasciare vicino alla strada e si incamminò da solo verso la costruzione.
Ci venne in testa la sua nipotina. Il giorno prima quando era venuta a trovarlo con quello scansafatiche di suo figghio non laveva voluto salutare con un bacio. Poi però si era convinta. Si viri da quando su nichi comu su buttani cetti fimmini! Don Vito se lera comprata con due torroncini e la promessa di una Barbi nuova per lindomani. Sorrise a pensare a questa cosa che lui di fimmini se ne intendeva, qualcosa però, allimprovviso, gli sbarrò la strada. Un albero. Non se nera accorto prima. Rappuli di ciuri russi comu u sangu niscevano fora tra le foglie scure e il tronco massiccio pareva tutto chinu di rughe. Comè che non laveva visto? Eppure era alto una decina di metri. Si girò indietro per chiedere allautista informazioni su quella cosa, ma non si vedeva più la macchina e neanche la strada ci passi di vedere. Aveva camminato così tanto? Si furiau di novu e macari il capannone non cera più. Tutto attorno sulu terra sicca, e quellalbero sconosciuto anche. Ciaccuminciau a girare la testa. Si sedette sotto al tronco e chiuse locchi. Ci sembrò allora di sognare. Cera suo nonno che gli portava delle cose buonissime. "Pigghia Vito, assaggia sti carrubbi!" ci riceva, ma lui per quanto si sforzava non cià faceva a masticari.
Si svegliò che era notte. E non passau chiù.

mercoledì, febbraio 04, 2009

Le mirabolanti avventure del ragioniere Saladino

Solo due cose sono importanti: arrotolare bene tra le dita la sigaretta prima di accenderla, ricordare che il lavoro termina alle venti.

"Insomma! Non c'è nessuno qui?"
"No, signore. No."
"E lei?"
"Io? Io immagino di sì"
"Ma non mi faccia incazzare. Non lavora qui lei? La vedo sa, ogni giorno con le sue sigarette! E i colleghi? Ci pensa, lei, ai suoi colleghi?
"Sono solo"
"Vabbè comunque, può essere così gentile da aiutarmi?"
"No"
"Guardi, è solo un attimo"
"Lei non fuma?"
"No... ogni tanto, dopo pranzo... a volte"
"Quando è notte, bisogna fare attenzione..."
"Lei è pazzo, mi faccia parlare con un suo superiore!"
"...perché di giorno è più semplice..."
"Mi ha sentito? Vuole rispondermi?"
"...ogni cosa ha il suo colore..."
"Basta! Ci rinuncio! Ma non finisce così... vedrà!"
"...e ride."

La settimana scorsa c'era una gran nebbia. Gli oggetti, le persone uscivano dal nulla e poi sparivano e la fermata dell'autobus era lì, ma se facevo un passo indietro iniziava a volare con le sue scritte rosse... o nere? Insomma volava, ma tutti facevano finta di niente: chi guardava l'orologio, chi sonnecchiava.
Siamo sempre gli stessi qui alla fermata, anche se non ci siamo mai salutati. Siamo sempre gli stessi in queste mattine, uguali.
Immaginavo che anche loro sapessero, ma Giorgio ha detto "Basta!" e mi son dimenticato di chiederlo per esserne sicuro, di urlare pieno di sorpresa:
"Ha visto? Volava via il cartello! Ha visto?".
Giorgio si è un po' spaventato. Non ha capito cosa fosse quella grande ombra che si avvicinava.
"Vieni! Saliamo" gli ho detto per rincuorarlo, ma lui mi è scappato dalle mani e così ci siamo rivisti solo la sera.
Aveva fame, e anch'io.

Vicino al fiume il puzzo cresce e ti entra nei vestiti che quasi sembra di essere lì, tra i morti che stanno a guardia dei vivi, dei loro ricordi. A Giorgio però piace, e io e lui passeggiamo come vecchi amici. A volte improvvisamente sparisce... lo so, lo so... amoreggia - hi, hi, hi - poi però torna da me e mi saluta come se non fossimo stati insieme sino a solo venti minuti prima. E' fatto così lui, e a me non resta che rispondere al suo saluto e dirgli ogni volta: "Ciao Giorgio! Come è andata oggi?".
E' bello ascoltare le sue storie. Sono sempre le stesse, lo so, ma a me ogni volta appaiono nuove come un gelato appena comprato, e io lecco le sue ferite e lui le mie, e si cammina, insieme.
Certi giorni capita, poi, che la luce dei lampioni si diverta a tagliare le nostre ombre, a farne casuali rivoli,  allora la mia mano destra cerca un punto, che non trova, e la sinistra anche, finché Giorgio, o i suoi baffi, mi indicano la strada.

"Ha finito?"
"Debbo solo completare le note finali"
"Bene Saladino, mi raccomando, so di poter contare su di lei"
"Certo, grazie"
"Quasi mi dimenticavo..."
"Dica."
"Ieri... il Dottor Graziosi... ha registrato un reclamo."
"Sì...?
"Un tale... ne sa niente lei?
"No, certo."
"Sa quel tipo... insomma... quello è il nipote del Dottor Guarino."
"Chi?"
"Guarino, sa... il proprietario del giornale."
"Quale?"
"Insomma ragioniere! Stia attento, mi raccomando... la vedo stanco ultimamente."
"Saranno le code"
"Cosa?"
"Le code. A volte perdono i peli e anche i lupi, dicono"
"...sì... ma..."
"Hi, hi, hi. Completerò il lavoro stasera dottore, non si preoccupi."
"Bene Saladino, bene."

Collegando con una linea il marciapiede alla basilica e questa al bar e poi tracciando una curva tra l'uscita a sinistra di quest'ultimo ed il negozio di giocattoli quasi alla fine del viale si ottiene un arco, e se poi mi ci metto in mezzo sono una freccia, e corro, e non riesco più a fermarmi, e uuuuurlo... uuuuurloooooo... e la mia scia sono decina di altri me, centinaia, migliaia, e mi seguono; ma io smetto di urlare, e la piazza è vuota. E' notte.

La casa è appena fuori città, non ci vuole molto ad arrivarci, venti,  trenta minuti: secondo il passo, la volontà.

Insomma Giorgio fammi dormire! Ho visto anch'io le luci, e tutte quelle parole, ma chissà se anche tu hai perso a volte, è così? Oggi cercavo la spilla, quella con le tre stelle sai? Quella del secondo anniversario. No! Tu non c'eri... dimenticavo. E allora Giorgio, ce la faremo a perdere? Oppure, anche oggi... senti? Una civetta, la senti? E il cigolio di una bici e le cicale anche, e i grilli, i tordi, i sordi, i morti.
Prima avevo imparato tante filastrocche; potevano servire, mi dicevo, e le ripetevo per strada, che la strada si accorciava e non mi accorgevo di essere arrivato e toh! Sono già qui, e "buongiorno direttore", e "buongiorno collega", "buongiorno!".

"Crede che dovremmo licenziarlo?
"Veda lei stesso..."
"I grafici dice? Ma analizzano solo gli ultimi sei mesi"
"Le sembrano pochi?"
"E' stato un ottimo elemento in passato"
"Già"
"Potremmo assegnarlo ad un altro incarico"
"Quale?"
"Non so... è ancora presto per..."
"Tre mesi"
"Cosa?"
"Le do tre mesi"
"Ma..."
"Dovrà risalire ad almeno settanta sul grafico"
"Proverò"
"Deve"

Ho aspettato di sentire cadere le prime gocce dai rami prima di decidermi ad aprire l'ombrello. Giorgio è rimasto a casa, "ti raggiungo dopo" mi ha detto, anche se è domenica, anche se.
Non ho molti luoghi da visitare: il necessario, che poi mi ci perdo; e così mi ritrovo ancora una volta al parco, e siamo soli io e lui. La pioggia a farci compagnia.
La panchina non è ancora inzuppata, il legno ha solchi profondi, ferite inferte da ragazzi e innamorati, medaglie al valore date dal tempo. Mi sono chinato a raccogliere della terra, luccicava, e improvvisamente anche le mie labbra avevano sete, ed era buona la terra come mai nessuna cosa prima. Poi mi sono seduto sul prato, accanto al grande cirmolo, e con le dita ho scavato, ma non c'era nulla sotto, nessun tesoro, ed i segni che avevo visto sparivano sotto le mie mani ecco... venti gradi ad est, quaranta ad ovest, tre passi prima della roccia con inciso il tuo nome.
All'improvviso ho sentito Giorgio accanto a me, l'ombrello piantato a bandiera ci proteggeva. "Cantiamo?" mi ha chiesto alle spalle, ma poi non mi ha dato il tempo di pensare a cosa mi sarebbe piaciuto ascoltare. "Oggi potrebbe essere festa, come ogni giorno, del resto" ha aggiunto ed è stato allora, solo allora, che ho pianto.

A tratti tutto accelera e la testa inizia a dondolare forte sempre più forte prima di fermarsi improvvisamente, come di fronte al mare. A tratti mi ritrovo in altri luoghi, e mi osservo, e mi spoglio, e mi rivesto, a tratti.
A tratti sono di nuovo immobile e mi sembra di sentirti muovere, sopra di me, ed allora tutto di nuovo procede velocemente, e noi, sì, noi, a tratti. Poi ogni cosa esplode e mi ritrovo di nuovo a fuggire, veloce, sempre più veloce, fino a.
A tratti mi manchi, a tratti.

"Conosci Ettore, Giorgio? Figlio di Priamo e marito di Andromaca. Padre di Astianatte e uccisore di Patroclo. Conosci Ettore, Giorgio? Ed i suoi giri attorno alla rocca, e le paure, ed il coraggio. Lo conosci? Dimmi! Dimmi!"

Con un pensiero cancello parole, intere frasi dalla mente. Con un pensiero sono simile a Dio e poco altro conta.

"Sì è pronta"
"Le va una birra dopo l'ufficio?"
"Non so"
"Impegni?"
"No, a parte Giorgio..."
"Il suo gatto, vero?"
"Sì!"
"Saprà aspettarla per una sera, non crede?"
"...ssssì... credo di sì"
"Bene, a più tardi allora"
"A più tardi"

"E allora, come va? Tu.. possiamo darci del tu, vero?... cosa prendi? Sì, va bene... due spine grandi e ... sì... un momento... per te va bene? Sì allora, anche quelli, mi raccomando però, non troppo piccanti... dunque, torniamo a noi, non mi hai risposto... come va? Lo so, lo so che non hai mai amato molto parlare... però, ogni tanto... ci conosciamo da così tanto tempo. Dimmi, quanti anni saranno? Tre... quattro? Insomma, anche io ho conosciuto la tua... beh... sai abbiamo sofferto tutti per te quando... ma ora è passato del tempo, sì, certo, lo so che non è solo questione di tempo, ma hai delle responsabilità... ecco, verso te stesso innanzitutto, non puoi permetterti di rinunciare anche a quelle, sì! Certo! Rinunciare! Perché se vai via è solo colpa tua"

E' solo colpa tua dice e intanto i bicchieri si fanno meno pesanti e la schiuma, quella sì, è andata via, tra i suoi baffi, un rivolo. E da lì che si affaccia un omino, e mi saluta anche. Simpatico però! Ha uno strano costume a righe, come... come quello che si usava al mare il secolo scorso ecco, azzurro e bianco. Ora è appeso all'ultimo pelo sul viso del mio superiore. Tranquillo svolazza nel vuoto poi si tuffa dentro il boccale eseguendo un doppio salto, carpiato. Riemerge contento, proprio bravo, non c'è che dire. Lo applaudirei se non fosse un po' sconveniente, e gli direi: "Ancora!", ma non so se l'altro capirebbe, e poi lui sta gia risalendo sul maglione bordeaux, sul colletto della camicia, e da lì con un balzo e di nuovo tra la barba del mio dirimpettaio. "Dove vai? Dove ti nascondi?" penso, "Stai attento!" mi scappa, ma Borghetti, il suo trampolino, mi guarda stupito, ed io, allora, non so più che dire.

Borghetti, lo so, è una brava persona. Lui, quando ci siamo conosciuti, indossava una camicia bianca ed aveva una cravatta anche, con delle piccole racchette da tennis in rilievo, rosse, ricordo... che la cravatta era blu, come il computer sul tavolo, come la sedia, come la cornice che custodiva la foto della sua famiglia. E' una brava persona Borghetti, anche se non lo ascolto stasera, che non ho voglia, e penso a Giorgio che mi aspetta, e poi, finalmente, ci lasciamo, e "Certo! Farò come tu dici" e "A domani", "A domani."

Giorgio aspetta in giardino, sembra triste anche se lo so che non lo ammetterebbe mai. Mi saluta come ogni giorno infatti, con quel suo annusare che ricorda la faccia di una vecchia zia fintamente scontrosa, e poi entriamo insieme per andare a casa a cenare.

"Com'è andata? Vi ho visto parlare"
"Mi sembra bene..."
"Ricordi Borghetti i tempi che le ho dato"
"Certo, anche se..."
"Non intendo ritornare più su questo"
"Sì, sì, mi scusi... va bene"

Quando l'hanno operata non sapevo bene cosa volessero fare, avevo chiesto a qualcuno, fatto supposizioni, ma i medici mi avevano detto che era indispensabile intervenire tempestivamente, proprio quelle erano state le parole, ed io avevo accettato, non potevo negare quel sì. No, non potevo.

Poi improvvisamente arriva l'estate e molti però si ritrovano imprepararati. Come se non sapessero, come se.

Giorgio sparisce per ore, per giornate a volte. Quando rientra ha sempre una cicatrice in più, un sorriso soddisfatto e una dolce assenza negli occhi. Si dirige verso la cucina e raccoglie quello che gli ho preparato. Non ha mai voglia di raccontare quando arriva la stagione e sospetto che sarebbe felice se potesse rimanere solo, almeno un po'. Gli sono grato per il suo ragionevole silenzio e spesso cerco di trovare delle scuse per uscire. "Vado a comprare il latte" sussurro, e poi sparisco mentre lui finge di seguirmi con lo sguardo.

Borghetti è sempre più gentile. A volte, quando arriva un nuovo cliente, appare misteriosamente accanto a me e prende in mano la situazione come se fosse casuale quel suo intervenire, quel suo tecnico cicalare.

"Hai mai provato a passeggiare sulle nuvole?"
"Cosa?"
"Sulle nuvole, dico"
"Non credo sia possibile!"
"Dovresti, dovrò farti vedere un giorno. A volte è dura. Sono salite ripidissime o funi che si avvolgono quasi fossero liane, trecce di principesse. Io preferisco quelle un po' solitarie, le nuvole dico. Pensose si direbbe, ma per me solo distratte dal sole, svagate come giovani adolescenti, innamorate"
"Credo sia meglio se ora torniamo a lavorare!"
"Sì, dovresti"

"Allora Borghetti, sembrerebbe che lei ci sia riuscito..."
"Sembrerebbe, sì"
"Che fa Borghetti mi si mette a rispondere anche lei come quello?"
"No, no dottore... ci mancherebbe"
"Bene, perchè non voglio avere altre grane qui. Sa cosa mi è costato calmare il Dottor Guarino? No che non lo sa. Cosa mai potete sapere voi?"
"Certo, le assicuro..."
"Lei non mi deve assicurare un bel niente Borghetti. Vigili, vigili!"

Borghetti non può capire, lui non sa del mio posto segreto, della arrendevolezza delle nuvole. Quando arriva la bella stagione con Giorgio arriviamo fino dentro la pineta, vicino al mare. C'è un punto lì. Un luogo in cui gli alberi lasciano libero un triangolo. Un segreto protetto da della sterpaglia che sembra impedirne l'accesso. E' stato Giorgio a scoprirlo. Mi chiamava, ma a me sembrava si fosse perso e non riuscivo a trovarlo, non riuscivo a vederlo. Fintanto che.
Ora quando ci andiamo lui attende che io entri e mi distenda su una piccola stuoia che conservo lì, poi sparisce. Non mi preoccupo più ormai, so che non si perderà.
A me piace sentire quel contatto con la terra, la fresca gioia dell'ombra, ed allargare le braccia e le gambe anche, e l'essere pupilla nell'occhio di Dio.
E' lì che quando passa una nuvola le mie dita si inerpicano a conquistarne il segreto. Indice e medio, indice e medio fin quando quella scompare.

Continua a far caldo, la gente si muove lentamente ma non riesce ancora a guardarsi attorno, a vedere. Ieri, ad esempio, un piccolo sbuffo azzurro accarezzava il cielo. Veniva fuori da un vecchio palazzo del centro, uno di quelli non ancora recuperati ed uccisi per farne piccole cellette di clausura. Mi ricordava il timido uscire di un gattino alla sua prima passeggiata, il soffio di un sogno. Mi sono fermato a guardare e poi Giorgio mi ha indicato una panchina poco lontano. Siamo rimasti cosí, in silenzio, ad osservare quel piccolo miracolo.

In ufficio tutti correvano, una strana fila di persone attendeva davanti al mio sportello.

"Finalmente! Le è successo qualcosa?"
"No, perché? Anzi sí..."
"Ragioniere ma si rende conto che è in ritardo di quasi venti minuti?"
"... il cielo era contento"
"Che dice?"
"Crede che tornerà a piovere?"
"No, non cosí presto, almeno. Ma cosa importa? Lei ha un ritardo spaventoso Saladino, ho come la sensazione che fatichi a rendersene conto!"
"Oh, no! Sa il perché di tutta questa gente?"
"Come? Non ha visto la tivvù? Ma dove vive lei ragioniere?!"
"Giorgio mi basta"
"Comunque, è crollata una palazzina stanotte..."
"Capisco..."

Non siamo mai preparati alla morte. Se anche dovessimo sapere con assoluta sicurezza il momento del suo arrivo non riusciremmo a farci trovare pronti, ad accettarla. Giorgio dice che tutto questo è molto umano; non posso dargli torto, credo.

Mi piace andare al cinema. Fuori ora è freddo e Giorgio viene con me. Lo nascondo, e lui non protesta, tira solo fuori la testa per guardare, per mangiare.
Ce ne sono tanti di cinema qui. Prima ancora di più. Penso fossero più belli, tanta gente, le poltrone logore, un po' sporche forse, l'unto delle patatine ed il loro rumore a fare da colonna sonora, le file ben ordinate. Ora è difficile trovarli, è difficile godere della rilassante malinconia del pubblico abbandono.
Ho tentato, poco tempo fa, ho provato in uno di questi nuovi. Mi guardavano tutti un po' strano. Per via di quell'evidente rigonfio del cappotto, penso.
"E'la mia borsa d'acqua calda" ho detto loro e quelli mi hanno sorriso che già avevo pagato il biglietto e il film stava per iniziare.
"E' la mia borsa d'acqua calda" ho ripetuto, mentre Giorgio iniziava a muoversi, a chiedermi di farla finita con quel gioco, a sussurrarmi di tornare a casa.

Con Borghetti ora andiamo spesso insieme a bere una birra dopo l'ufficio.
Lui, nello stesso tempo, poco alla volta ha abbandonato il mio sportello. Un po' mi dispiace. Mi piaceva quella sua presenza silenziosa, la gentilezza dei modi, il cauto intervenire di fronte alle proteste di certi clienti.
Quando siamo insieme seguo i suoi discorsi, ascolto le sue fantasie. Capita frequentemente che io percepisca il suo desiderio di parlare della famiglia, credo sia quella che lo osserva ogni giorno dalla cornice posta sul suo tavolo di lavoro, anche se non ne sono sicuro, anche se non si è mai sicuri in queste cose.
Quando è con me lo vedo allora faticare sulle parole, arrampicarsi sulle metafore, sulle disillusioni, virare veloce su premi, viaggi e diplomi, ridere di piccole bugie, delle proprie paure.
Credo che Borghetti abbia un'amante, anzi ne sono sicuro. L'ho intravista affacciarsi più volte da una piccola ruga che bacia le sue labbra. Lui sembra accorgersene e veloce la ricaccia sempre dentro, con gentilezza però, accarezzandola, massaggiandola dolcemente con l'interno del pollice della mano sinistra, ma forse è solo la compagna di quell'omino buffo che a volte continua a giocare tra i suoi baffi. Forse è solo un suo modo per distrarmi. Forse è solo il riflesso un po' amaro della schiuma.
Non so. Credo che gliene parlerò un giorno, quando anche lui potrà capire. Quando tornerà a ricordarsi di essere ancora vivo.
A volte mi spiace lasciarlo di fretta, il Borghetti, ma in questo inverno di neve Giorgio vuole rientrare presto a casa ed io non posso certo lasciarlo fuori. Così lo saluto, li saluto, e sparisco con un "puff!" da fumetto, che quello rimane sempre a bocca aperta quando succede, mentre i suoi ospiti ne approfittano per baciarsi.



"Bene, mi è stato detto che siete amici, ora"
"No, no... non proprio, prendiamo una birra insieme ogni tanto"
"Non ci sarebbe nulla di male, anche se..."
"Mi sembra sia salito sui grafici"
"Sì, sì. Solo pensavo che forse ci siamo lasciati sfuggire una buona occasione, sa la crisi... di certo non avremmo avuto problemi"
"Non è molto tempo che..., insomma poteva essere giustificato, e poi..."
"Sì lo so Borghetti! E' inutile che lei me lo ricordi, comunque... non è di questo che volevo parlarle ora, cioè non è per Saladino che l'ho chiamata qui. Ho intenzione di metterla a capo delle risorse umane, credo sia la persona adatta..."
"Non posso esserne che contento..."
"Mi faccia finire, e non mi guardi con quella faccia stupita, ho visto come si muove. Mi è piaciuto il suo impegno, il suo legarsi ai dipendenti, penso che farà molto bene nell'opera di svecchiamento dell'azienda"
"Svecchiamento?"
"Sì, svecchiamento Borghetti, svecchiamento. Dobbiamo tornare ad essere competitivi, abbiamo bisogno di potare, di tagliare i rami secchi. Via, via quelle vecchie comari ingrigite legate alla poltrona, dobbiamo essere dinamici, liberi..."
"Quanti?"
"Cento, ottanta per iniziare"
"Ma è quasi metà dell'azienda"
"Sì certo, non avrebbe senso allora, crede che io ne sia contento? Pensi agli altri Borghetti, pensi a quelli che salverà da un fallimento definitivo, pensi a quelle famiglie"
"E loro?"
"Faremo in modo che accettino, farà in modo che abbiano tutta la nostra solidarietà. Lei è bravo Borghetti, troverà la soluzione, ne sono sicuro"

E' tornato il sole. Le nuvole, ormai bianche, passano veloci e a volte lo coprono per lungo tempo, quasi a volerci lasciare sonnecchiare ancora un poco. Passano anche sulla mia testa quelle vecchie scapestrate, ed ognuna è un frammento. Un nuovo pensiero.
Giorgio è tornato a uscire e io mi ritrovo spesso in silenzio sul balcone, ad attenderlo. Sulla strada hanno fissato un piccolo specchio convesso, mi piacerebbe un giorno scorgervi un lampo, un raggio a illuminarni, ma forse non è possibile, non è probabile.
In ufficio Borghetti è sempre più silenzioso. Ha già avvisato una ventina di persone del loro licenziamento, ma credo saranno molti di più alla fine. Magari ci sarò anch'io. Magari no. Magari non ha importanza. Ecco, ieri invece, ieri, una signora mi ha sorriso. Le avevo restituito la pratica per una firma "non apposta" (sì, si dovrebbe dire così, penso) per una firma che mancava insomma,  spingendo con delicatezza il documento sotto il vetro l'ho vista sorridere. Odio le pieghe agli angoli del foglio, la carta stropicciata. Deve averlo capito e mi ha sorriso, di un sorriso spezzato.
Credo sia necessario segnalare quel graffio sul vetro in direzione: non va bene, non è opportuno.

martedì, febbraio 03, 2009

A1

Ai bordi dell'autostrada
fragili cristi neri
lottano con la pioggia.
Indecente chiodo
l'anima
sui tronchi arrugginiti.

lunedì, febbraio 02, 2009

Stormy Six - Stalingrado

Fame e macerie sotto i mortai
Come l'acciaio resiste la città
Strade di Stalingrado di sangue siete lastricate
Ride una donna di granito su mille barricate

Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa
D'ora in poi troverà Stalingrado in ogni città

L'orchestra fa ballare gli ufficiali nei caffè
l'inverno mette il gelo nelle ossa
ma dentro le prigioni l'aria brucia come se
cantasse il coro dell'armata rossa

La radio al buio e sette operai
sette bicchieri che brindano a Lenin
e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile
vola un berretto un uomo ride e prepara il suo fucile

Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa
D'ora in poi troverà Stalingrado in ogni città<

domenica, febbraio 01, 2009

25 note e una breve autobiografia

1- Quando ho scoperto Usenet ho pensato di non essere poi tanto folle.

2- Le prime cose che ho mandato erano poesie tirate fuori dai cassetti, groppi giovanili che, con mia sorpresa, piacevano a qualcuno.

3- La cosa strana che poteva - può?- capitarti su Usenet era quella di innamorarsi delle parole (non erano stati ancora pubblicati i bollettini ufficiali sui rischi della rete) e con esse dei personaggi immaginifici che le postavano. Non posso dire di esserne stato immune.

4- Avevo un nick "femminile" (in omaggio al mitico Ranxerox) è questo fu a volte causa di divertenti malintesi.

5- In ogni gruppo, con il tempo, si formava un grumo di nomi, la cricca.

6- Ho aspettato tanto tempo prima di conoscere molti dei miei virtuali interlocutori, credo sia stato uno dei vantaggi della rete quello di poter scegliere quando.

7- Ho letto cose bellissime e sciocchezze immani, non avrei potuto sprecare meglio il mio tempo.

8- Quando ho iniziato ero ufficialmente disoccupato, insomma facevo mille lavori ma quasi mai per lunghi periodi.

9- Quando ho finito ero postino, trasportavo lettere e lettere pensavo, su una vespa quasi sempre mal funzionante.

10- Su Usenet ho iniziato a vivere la scrittura come bisogno, ancora oggi sto male se non riesco a scrivere per molto tempo.

11- Ho "difeso" poche volte le mie cose, mi è sempre andato bene sia il "è una merda" che il "bravo" però alcune critiche mi hanno aiutato moltissimo a capire quello che andava tenuto e quello che andava eliminato.

12- A volte si scrive e solo grazie agli altri si capisce cosa.

13- Se potessi a volte lascerei solo una parola, generalmente la stessa da cui nasce ogni tentativo di scrittura.

14- Da piccolo il mio primo tentativo fu un disatro, avevo sette anni e amavo la classica bimba del primo banco. Sul bus che ci portava a casa riuscii a darle la mia prima lettera d'amore, lei con tutta la cattiveria di cui i bambini son dotati inizio a sghignazzare e a urlare quando lesse un "bela" non proprio ortodosso.

15- A scegliere una parola direi condivisione.

16- Quando arrivò la prima lettera della Sellerio raggiunsi livelli di felicità pericolosi.

17- Quando arrivò la seconda lettera della Sellerio volevo sprofondare.

18- Alcuni amici del gruppo non sono più rintracciabili, altri non saranno più.

19- Mi manca quel tipo di dialogo, anche se considero chiusa quell'esperienza.

20- Salame, formaggio, pane, vino, libri credo mancasse poco al primo incontro "editoriale" del gruppo it.arti.scrivere.

21- Spezz ettar e le parole, a l l u n g a r l e , storpdfdtyfdtfkiarle, usarle.

22- Non avevo mai partecipato ad un concorso letterario, pochi mesi fa ho ceduto. Alla premiazione mi son girato cercando qualcuno alle spalle quando un gentile signore mi ha chiesto: "Lei è un poeta?"

23- Credo si possano ancora usare parole considerate generalmente "usurate".

24- Non so se si scrive di se stessi, ma mi risulta difficile scrivere di ciò che non conosco, che non immagino.

25- Scrivere è scrivere.