domenica, novembre 30, 2008

[Condomini] tivvù

Io ciò una televisione accussì nica che se vulissi viriri tutti i particolari facissi prima a immaginarmeli chiurennu locchi oppure a insistere putissi provare a appoggiare la faccia al vetro che poi però a farlo non virissi più niente lo stesso.
Di solito non ciarrivo a realizzarla questultima spittizza pecchè quando massetto a taliari non cinnaiu curiosità per le minchiate. In genere cambio canale in continuazione veloceveloce come quando ti corre dietro un cane arraggiato.
Questa cosa del cane mi capita a volte macari quando sogno oppure più spesso quando aspetto lautobbussu che ci sono tutte le macchine che passano e i cristiani che se ne vanno in giro. Forse per questo mi piace chiossai starmene infilato a casa.
Ecco però ora che ci penso mi piacissi avere tutti i giorni un telecomando a portata di mano.Per cangiare le cose che mi trovo davanti agli occhi. O macari per astutarle. Se capita.

mercoledì, novembre 26, 2008

[Condomini] Carnazza

Oggi incontrai a Carnazza ca ficiumu i scoli insieme e arristamu amici. U saccu ca parra sempri però non ci puteva non chiedere: "Comu va?"

"Totò. Totò... la mia vita è un inferno. Prendi oggi per esempio, chiuso in ufficio a non fare un cazzo che potevo, invece, benissimo andare a trovare a Margherita, che non c'era nemmeno suo marito a casa fino a tardi. Ma si sa uno che fa politica ogni tanto deve pure stare chiuso a fare finta di travagghiare perché allora dopo ci sono gli scassaminchia che parlono e uno serio come a me magari si ritrova a doversi giustificare senza avere nessuna colpa. Mah!
E che la gente non lo sa come ci si deve muovere in queste cose, che di uffici uno che ci sa fare non ne ha bisogno, e comunque vah... Accuminciai a vedere le  carte. E Chista no, chista mancu, guarda, guarda, maccapitau chidda con la firma per quel bastardo di Grosso. U canusci tu? Ora ci facemu un bello sghezzo addù pezzu di merda pinsai e ci chiamai.
"Pronto? Sono l'assessore Carnazza. C'è il ragioniere Grosso?" (Usapeva ca cera du  bastardo) "Pronto Grosso, come va? - ci rissi - Ciò qui la pratica tua... come? Certo, certo... però vedi c'è un problema...no, no, niente di importante e che così non la posso firmare. Come? No, non è possibile; sì, sì, ciavevo pensato anch'io... quando? Nooo, subito non può essere, qua ciò troppo lavoro... domani, sì domani, ni pigghiamu un cafè. Vabbene allora... ti saluto, a domani"
Mi voleva fottere u cunnutu, non lo sapeva che ciò fatto il segretario per vent'anni a Don Nino? Ora tuccava ammia! Ma comunque mi unchiau a minchia però e accussì ci chiamai alla fimmina "Margherita sì ancora libera? Aspettami carrivu"

Iu accalava la testa e ascutava e iddu si pigghiava tutta la scena ca pareva ca recitava. Accussì mi passi di viriri il film e immaginai tutto.

"Tu non mi racconti mai niente, non so nulla di te... scommetto che a to mugghieri invece ci dici ogni cosa...!"
"Macchidici Margherita. Veni. Venicca ca parramu. Aspetta però. Aspetta. Prima facci un regalo a stu mischinazzu di cassutta. Ah! Accussì. Accussì. Brava. Brava. Ora ti cuntu. Queste sono cose che sanno poche persone ma io non lo dovevo fare il politico. Mia madre mi voleva sacerdote e io per qualche anno lò pure ascoltata che già mi vedevo ca coppula russa. Però se non cè la passione prima o poi te ne accorgi che non va bene e la mia passione si chiamava Ciuzza e ciaveva quindici anni. Io la vedevo ogni volta che ritornavo a casa dal seminario e una volta ci siamo visti bene e conosciuti anche come dice la bibbia. Insomma per farla breve lei arristau incinta e io non ci potti andare più a cantari missa. Stavamo quasi per sposarci per questo quando una malatia si portò a idda e a me figghiu. Ah! Ah! Non ti distrarre però pi sti cosi brutti. Ah! Accussì. Piano. Piano. Per mia fortuna in quel periodo a Don Ninu u sinnacu ci serviva un uomo di fiducia che quello che ciaveva avevano deciso di mandarlo a visitare u pararisu e io che avevo fatto le scuole ero quello giusto per sostituirlo. Minsignau tutto quel galantuomo di stu misteri che figurati che quando ummazzano la sua famigghia mi disse di pigghiari tutti i suoi affari per concluderli e non dispiacere nessuno. Macchiffai! Ti fimmasti di novu? Ora non ti cuntu chiù nenti. Aaaah... allora sei curiosa... o ti piaci u viscottu? Dove ero rimasto? A mia me lanno proposto tante volte di diventare sindaco ma fino a quacche anno fa non si poteva più. Cerano troppi strani ricordi nellaria. U sai vero a cosa mi riferisco? Muta. No. Non marrispunniri. Continua! Continua! Ah! Ah! Santissima addolorata!"

Non si vuleva chiù firmari e iu ascutava e ascutava.

"Quannu niscii ero ancora appiccicato al cellulare quando una carusidda si avvicinò di faccia a mia. Robba frisca. Quindici, sedici anni appena.
"Ma io a lei lo vista alla televisione. Lei è lassessore Caddazza..."
"Carnazza, signorina, Carnazza!"
"Carnazza sì! Ma lei ma pò dari una mano?"
"Dipende... chicciaggiuva?"
"Vede... me frati è da un paru di misi al collegio e mia madre non sapi come affari picchè è sula"
"E tuo padre?"
"Ummazzanu mischinazzu. A iddu che mai niente a nessuno aveva fatto"
"Vabbene và... macchivvoi di mia?"
"Un travagghio... qualcosa"
Marrirenu locchi. A picciridda ciaveva tutte le cose a posto. Ma non si può rischiari na sti affari.
"U sapeva iu! Senti... tu lo sai comè difficile. Ma tu chissai fari? Cillai i scoli?"
"Chiddi vasci eccellenza"
"Boni semu allura!"
La nicuzza mi guardò come una iattaredda, poi accuminciau a chianciri. Io non cela faccio a resistere a queste cose. Mi fici dare tutti i suoi dati e telefonai a un mio amico giornalista. A chistu ci dissi di fare nesciri questa storia nel giornale per fare una colletta insomma. Ci cuntai pure che io ciavevo dato mille euri alla carusidda per fare tirare avanti quacche giorno alla famigghia.
Lei sera calmata ed era stata attenta a tutta la discussione. Forse saspettava veramente che io avissi nisciuto fora il portafoglio. Si viri che era nicuzza e inesperta. La taliai con dolcezza come se fosse stata na me iattaredda e ci feci una carizza per salutarla. Era ancora presto per farci altro. Poi mi vutai e minnii. Faceva troppo caldo e avevo vogghia di un gelato."

martedì, novembre 25, 2008

[Condomini] occhi

Cè in certi occhi come una amarizza che può fare paura. Una luce che ti proibisce quasi di taliari. Come una scoccia di nuci frisca che per toglierla ti devi alluddari le dita se vuoi arrivare al dolce. Come un muro che se tinteressa scoprire il giardino lo devi superari.
Altri invece cianno il ridolino addosso e pensi che ci facissi un viaggio volentieri con quelli che
li portano oppure una serata tranquilla. Una di quelle in cui il vino è compagno e amico e cè tanto tempo per scherzare e parrari.
Macari il sesso cunta e alcune fimmine cianno scritti i loro desideri addosso e uno ci fantastica sopra mentre come un mulo furia cieco la ruota del mulino. E questa cosa che cè nei loro occhi non è la stessa dei masculi pecchè macari casù i stissi pinseri questi nelle donne non cianno proprio cummogghiu. Sù sfacciati. Epperò mai volgari.
Per letà invece è diverso. Nei picciriddi è più difficile sapere. Il bene e il male e il desiderio e lodio e la vendetta e la noia passano velociveloci come treni alle stazioni di paese e non sai mai quello che si fermerà e per quale motivo. Nei vecchi invece sembra che per queste cose non ci sono confini. Forse pecchè loro ci passano ogni giorno in mezzo a quelle dogane anche se non te lo fanno immaginare.
Sù diversi locchi. E se li chiudi puoi moriri o macari sugnari.

accumuli

Il passare degli anni ci regala
gli esatti fotogrammi di ogni gesto
l'ironico affacciarsi di un sorriso
o a volte il mesto rinserrare le parole

a indovinare la scena
è nell'equilibrio di un abbraccio
che ritorna Amore.

sabato, novembre 22, 2008

stazione

Un frastuono d'anime
nell'infittirsi delle attese.
A tratti piccole piogge di baci
sui marciapiedi.

mercoledì, novembre 19, 2008

Nicola Fano - macchietta

La macchietta è una canzone comica che è costruita come un racconto breve [...] spesso nel mondo ci identificano proprio così, come delle macchiette, come dei tipi buffi che non hanno il senso del ridicolo e che mescolano buon gusto e cattivo gusto, persone che scherzano sempre anche sulle cose serie. Siamo delle macchiette in qualche modo, dei personaggi buffi, in cerca di una risata o di un applauso [...]
Nicola Fano

martedì, novembre 18, 2008

stop-motion

Un giorno
potrò pur scrivere qualcosa
per te
mia sposa
che di sabbia calda hai il cuore
non oggi però

oggi
vorrei solo tracciare
questa rabbia
descrivere
l'anticaglia razzista
in abiti di verità
stesa in bella mostra al sole
affinché per noi acquisti nuovo profumo
candore

ma esita
sfugge
si nasconde la forma-parola
come fosse stanca
di ogni consumato clamore.

Sul luminoso foglio
nessun tratto
solo
a cercarla
un' immagine d'amore.

domenica, novembre 16, 2008

[Condomini] facebook

Ora che ci sono i computere macari i pulici cianno la tosse che si sentono tutti informatici e moderni. Così può arisuttari che uno ci capita di ascutare questa discussione che poi mi è successo pecchè con questo cristiano abbiamo preso lascensore insieme solo che quando lui ha munciuto per il piano io gli ho fatto capire che dovevo andare allultimo. Certo fici la parte dellimpaccidderu però era che io non lavevo mai visto a quello ed ero curioso di saperne chiossai. Insomma questo cristiano era tutto ciauruso e con la faccia abbruciata come chi è stato al mare per un mese anche se ora ciavi una simana ca chiovi. Non era ranni. Sulla trentina. E portava un vestito abbastanza elegante tutto marrone insieme a una cravatta colore vinaccio e cullelefantini rosso e blu che di sicuro non poteva essiri ca catanisi ma macari nisceva fora che era assai zauddu.
Acchianau che già parlava al telefonino e non si firmau neanche quando scinniu al piano suo che poi non lho capito da chi è andato che non ho potuto vedere pecchè non potevo scinniri anchio e questo mi ha lasciato ancora più curiosità. Anche le cose che diceva non ciò capito assai però ancora me le ricordo:
"...insomma iddu mi rici mi può trovare qui e poi non si fici viriri che lho aspettato tutta la sirata come a un cannaruzzuni. E allora ciò chiesto allamici eppoi allamici degli amici insomma u capisti và a cui. E mi è arrivata la notizia che se io lo volevo trovare veramente a botta sicura mi conveniva cercare un compiutere e provare sopra a comu si chiama. A facchibuss ecco. Però tu u sai non è che io ci capisco tanto e invece non cè nenti di chiù facile mi disse u Zu Turi che a lui la guardia prima che ci finivani le ferie al collegio gli ha regalato un cellulare che cera macari stu programma là dentro e io allora ciò chiesto di trovarlo ma quello non cè riuscito e a mia macchianau u nivvusu che anche Turi mi disse di darmi una calmata. Poi però per fortuna marrivau la telefonata di Alfio quello che lavora alla bibblioteca che ci fa i pulizii e allora lui mi ha spiegato che non era accussì che funzionava che lui lo sapeva che lì dentro dove lavora ciavi il permesso a collegarsi e allora ci siamo visti e lui me lo ha fatto vedere meglio stu facchibuss che quello cera veramente cioè cera il suo nome e cognome e macari quello dei suoi amici che a qualcuno lo conoscevo ma io comunque a lui non lho visto e allora ciò lasciato un messaggio che mi ha aiutato Alfio e accussì..."

domenica, novembre 09, 2008

Hannah Arendt da Tra passato e futuro

[...] tutto è diventato mortale, tranne forse il cuore dell'uomo; l'immortalità non è più l'elemento in cui i mortali si muovono, anzi ha scelto il suo asilo vagabondo nel cuore stesso della mortalità. Le cose, le opere, i fatti, perfino le parole immortali (seppure gli uomini sappiano ancora eternare, quasi reificandolo, il ricordo custodito nel loro cuore), non hanno più una patria; perché il mondo e la natura sono mortali, e perché le cose fatte dall'uomo, una volta venute in essere, partecipano del destino di tutti gli esseri: fin dal momento in cui nascono cominciano a morire.
[pag.73]

venerdì, novembre 07, 2008

[Condomini] America Carlotta

Insomma sta cristiana non cenaveva svaghi. Pinsava sulu a travagghiari. Macari i so iatti stavano a taliarla comu fussi una pezza vecchia. E dire che era ancora finicchia. E dire cavissa potuto ancora fari furiari a più di uno a volerlo.
La signora Amalia che era so amica ci diceva spesso che aveva bisogno solo di un parrucchiere e di un masculu. E lei per prima per aiutarla ci dava lesempio pecchè in effetti Amalia ci andava spesso a farisi i capiddi. Poi quando sarritirava saffacciava al balcone a fumarisi una sigaretta. Con quelle sue minnazze ca niscevunu a pigghiari aria e quasi sempre menza a nura che io a taliarla ammucciuni ogni volta mancava picca che sbrugghiavo.
Era serena. E forse era questo il consiglio. Non tanto per i capelli che a volte nisceva fora con quacche tintura che pareva la fata turchina quanto invece pecchè Amalia secondo me si rilassava e si scurdava tutti i cosi in quelle due ore di paradiso e di cuttigghio con le amiche.
Per il masculo invece quella fimmina era più precisa nella sua predica.
"No uno di quelli boni sulu pi futtiri" ci ripeteva. "No. Unu che ti serve ci voli. Uno di quelli che ti ciacchiappi e hai vogghia di abbiarlo fuori della porta ma che poi a fare pace ti scordi tutto. Uno di quelli che tascuta e che tu ascuti a lui anche se poi non sai nemmeno di che cosa stavate parlando. Uno di quelli che quando cè è come se non ci fosse ma che se non cè ti manca".
Insomma mi passi di capire che suttasutta Amalia ciavissa ciccato volentieri un marito a quella e che macari aveva anche pensato a qualcuno che conosceva o di cui aveva sentito parlare. Ma a lei ad America Carlotta non ci interessavano molto queste pensate dellamica e anche se lascutava poi faceva sempre di testa sua.
"Sugnu in ferie co me cori " ciarispunneva. E tutto finiva lì.
Un giorno però lanno trovata assittata davanti allo specchio della stanza da letto di casa sò che si taliava e sazzannava i capiddi con una forfice vecchia. Erano giorni che non apriva a nessuno tanto che i vicini chiamanu i vigili e la polizia macari.
"Chiffai?" ci spianu.
Idda mancu i taliau a quegli estranei. Continuò a parlare sulu addù specchiu e a ripetere con un ciato di vuci:
"Cu sì? Maliritta! Cu sì?"

giovedì, novembre 06, 2008

Librino

Librino è un nome.
Un'idea giapponese di crescita esistenziale. 
Un naufragio d'anime, 
con vista mare.

lunedì, novembre 03, 2008

[Condomini] Amina

Alla Villa dei Varagghi ci sono tante persone che ci passano il tempo. Vecchi. Ognuno con la sua mania. Pochi con qualche storia. Eppure unu si può assittari e se sta attento e se non dà fastidio ci può passari macari una bella matinata in questo posto. Con il sole cauru ma non troppo. Con le voci dei pisciari e i colori della gente che passa. Con le confidenze di cu non si sapi nenti e che però ciavi vogghia di parrari:
"La vede a quella? Iu a canusciu. Bedda vero? Si chiama Amina. Ora voglio dire una che si chiama accussì che speranze poteva avere mai nella vita? Cioè per essere chiari và quali travagghiu putissi fari mai a Catania una con questo nome? Comu? Voli sapiri comu fazzu a canuscilla? Semplice. Sono io che lho fatta venire in Italia. Lavevo comprata allagenzia.
Melavevano fatta vedere nella fotografia e per farla arrivare ciavevo dato a quelli cinquemila euri anche. Quasi tutti i miei risparmi insomma. Ma ne valeva la pena. Altro che pulizie di casa. Appena la visti pinsai solo che melavissi maritata. Là. Allistante. Dove la potevo trovare più io una fimmina come a quella?
Poi però prima di farla veramente questa minchiata a poco a poco canciano le cose.
E pigghiami questo.
E fai questaltro.
E oggi non ciò voglia.
E ora voglio uscire.
Insomma per fortuna prima di perdere completamente la faccia fici una bellissima pinsata. Mela rivinnii a un conoscenti che mavevano presentato allo stesso prezzo che lavevo comprata. Ora ogni tanto in questo modo ciò pure la possibilità di andarla a trovare e di vederla e di sintirimi cinque minuti più felice macari. Summivà. Su ciaiu fantasia."

sabato, novembre 01, 2008

Per Paolo Pasolini - A un ragazzo

Così nuovo alla luce di questi mesi nuovi
che tornano su Roma, e che a noi altrove

ancorati a una luce d’altri tempi,
sembrano portati da inutili venti,

tu, con fresco pudore, e ingenuamente senza
pietà, scopri per te, per noi, la tua presenza.

Col sorriso confuso di chi la timidezza
e l’acerbità sopporta con allegrezza,

vieni tra gli amici adulti e fieramente
umile, ardentemente muto, siedi attento

alle nostre ironie, alle nostre passioni.
Ad imitarci, e a esserci lontano, ti disponi,

vergognandoti quasi del tuo cuore festoso...
Ti piace, questo mondo! Non forse perché è nuovo,

ma perché esiste: per te, perché tu sia
nuovo testimone, dolce-contento al quia...

Rimani tra noi, discreto per pochi minuti
e, benché timido, parli, con i modi già acuti

dell’ilare, paterna e precoce saggezza.
Esponi, orgoglioso, la tua debolezza

di adolescente, leso appena al ridicolo
che ha la troppa umiltà in un mondo nemico...

Al giusto momento, ci lasci, ritorni
alla segreta luce dei tuoi primi giorni:

alla luce che certo tu non puoi dire
né, noi, ricordare, una luce d’aprile

in cui la coscienza con le sue gemme sfiora
solo la vita, non la storia ancora.

Tu vuoi SAPERE, da noi: anche se non chiedi
o chiedi tacendo, già appartato e in piedi,

o tenti qualche domanda, gli occhi vergognosi,
ben sentendo in cuore ch’è vano ciò che osi,

se di noi vuoi sapere ciò che noi ai tuoi occhi
ormai siamo, vuoi che le perdute notti

del nostro tempo siano come la tua fantasia
pretende, che eroica, com’è eroica essa, sia

la parte di vita che noi abbiamo spesa
disperati ragazzi in una patria offesa.

Vuoi sapere le mute paure e le immature azioni
- tra macerie, strade deserte e prigioni -

delle nostre figure per te ormai remote.
Vuoi sapere, e il viso infantile ti si infuoca,

tu, così puro, il male, così limpido l’odio,
ch’è nei riaccesi ricordi su cui inchiodi

l’occhio ferito, parteggiando intero
per chi lottava in nome del sentimento vero.

Vuoi sapere che cosa abbiamo ricavato
da quell’avventura, in che cosa è mutato

lo spirito di questa povera nazione
dove provi tra noi la tua prima passione;

sperando che ogni atto che ti preesiste, Chiesa
e Stato, Ricchezza e Povertà, intesa

trovino nel tuo dolce desiderio di vita...
Vuoi sapere l’origine della tua pudica

voglia di sapere, s’essa ha già dato prova
di tanta vita in noi, e adesso cova

già nuova vita in te, nei tuoi coetanei.
Vuoi sapere cos’è l’oscura libertà,

da noi scoperta e da te trovata,
grazia anch’essa, nella terra rinata.

Vuoi SAPERE. Non hai domanda su un oggetto
su cui non c’è risposta: che trema solo in petto.

La risposta, se c’è, è nella pura
aria del crepuscolo, accesa sulle mura

del Vascello, lungo le palazzine
assiepate nel cuore del sole che declina.

Le sere disperate per il troppo tepore
che nei freddi autunni, dimenticato muore,

o, dimenticato, in nuove primavere
torna improvviso - le disperate sere

in cui, tu, felice pei tuoi abiti freschi,
o il fresco appuntamento con giovani modesti

come te, e felici, esci svelto di casa,
mentre nel rione suona la sera invasa

dall’ultimo sole - penso a quel serio, candido
ragazzo, il cui silenzio è nella tua domanda.

Certo soltanto lui ti potrebbe rispondere,
se fu in lui, com’è in te, pura speranza il mondo.

Era un mattino in cui sognava ignara
nei rósi orizzonti una luce di mare:

ogni filo d’erba come cresciuto a stento
era un filo di quello splendore opaco e immenso.

Venivamo in silenzio per il nascosto argine
lungo la ferrovia, leggeri e ancora caldi

del nostro ultimo sonno in comune nel nudo
granaio tra i campi ch’era il nostro rifugio.

In fondo Casarsa biancheggiava esanime
nel terrore dell’ultimo proclama di Graziani;

e, colpita dal sole contro l’ombra dei monti,
la stazione era vuota: oltre i radi tronchi

dei gelsi e gli sterpi, solo sopra l’erba
del binario, attendeva il treno di Spilimbergo...

L’ho visto allontanarsi con la sua valigetta,
dove dentro un libro di Montale era stretta

tra pochi panni, la sua rivoltella,
nel bianco colore dell’aria e della terra.

Le spalle un po’ strette dentro la giacchetta
ch’era stata mia, la nuca giovinetta...

Ritornai indietro per la strada ardente
sull’erba del marzo nel sole innocente;

la roggia tra il fango verde d’ortiche
taceva a una pace di primavere antiche,

e i rinati radicchi da cui vaporava
un odore spento e acuto di rugiada,

coprivano il dorso della vecchia scarpata
grande come la terra nell’aria riscaldata.

Poi svoltava il sentiero in cuore alla campagna:
liberi nell’umile ordine, folli nella cristiana

pace del lavoro, nel parlante amore muti,
tacevano gelseti, macchie d’alni e sambuchi,

vigne e casolari azzurri di solfato, -
nel vecchio mezzogiorno del vivido creato.

Chiedendo di sapere tu ci vuoi indietro,
legati a quel dolore che ancora oscura il petto.

Ci togli questa luce che a te splende intera,
ch’è della nuova gioventù ogni nuova sera...

Noi invecchiati ora nient’altro diamo
che doloroso amore alla tua lieta fame.

Anche la tua stessa pietà, che cosa dice
se non che la vita solo in te è felice?

Perché, per fortuna, quel nostro passato,
vero, ma come un sogno, è nel tuo cuore grato.

In realtà non esiste, ne sei libero e cerchi
di esso solo quanto può adesso valerti...

Nella tua nuova vita non è esistito mai
fascismo o antifascismo: nulla, di ciò che sai

perché vuoi sapere: esiste solamente
in te come un crudele dolce fiore il presente.

Che tutto sia davvero rinato - e finito –
sia tutto - è scritto nel tuo sorriso amico.

È vizio il ricordare, anche se è dovere;
a quei morti mattini, a quelle morte sere

di dodici anni or sono, non sai se più rancore
o nostalgia, leghi il nostro cuore...

L’ombra che ci invecchia fosse astratta coscienza,
voce che contraddice la vitale presenza!

Fosse, com’è in te, la spietata gioia
di sapere, non l’amarezza di sapere ch’è in noi!

Ciò che potevamo risponderti è perduto.
Può parlarti - se, tu ragazzo, sai il muto

suo nuovo linguaggio di ragazzo - soltanto
chi è rimasto laggiù, nella luce del pianto...

Era ormai quasi estate, e i più bei colori
ardevano nel mite, friulano sole.

Il grano già alto era una bandiera
stesa sulla terra, e il vento la muoveva

fra le tenere luci, riapparse a ricolmare
di festa antica l’aria tra i monti e il mare.

Tutti erano pieni di disperata gioia:
sulla tiepida polvere delle vie ballatoi

e balconi tremavano di fazzoletti rossi
e stracci tricolori; pei sentieri, pei fossi

bande di ragazzi andavano felici
da un paese all’altro, nel nuovo mondo usciti.

Mio fratello non c’era, e io non potevo
urlare di dolore, era troppo breve

la strada verso il granaio perso nei campi, dove
per un anno l’ingenua, eternamente giovane,

povera nostra mamma aveva atteso, e ora
era lì che attendeva, sotto il tiepido sole...

Ma ha ragione la vita che è in te: la morte,
ch’è nel tuo coetaneo e in noi, ha torto.

Noi dovremmo chiedere, come fai tu, dovremmo
voler sapere col tuo cuore che si ingemma.

Ma l’ombra che è ormai dentro di noi guadagna
sempre più tempo, allenta ogni legame

con la vita che, ancora, un’amara forza
a vivere e capire invano ci conforta...

Ah, ciò che tu vuoi sapere, giovinetto,
finirà non chiesto, si perderà non detto.