Il Soleras, era forse l'unico vero amore del Dottor Dionigi Treschin.
Invecchiato per venti lunghi anni nelle botti di una tenuta che quest'ultimo, non senza una buona dose di violenta furbizia, era riuscito ad acquistare, esso era il simbolo, sosteneva il farmacista, del mondo intero.
"E' la morte che genera vita- ripeteva spesso- E' l'affinarsi dei sensi con l'età, il crescere di generazione in generazione. Non vede? Pensi al valore simbolico di ogni botte. Una generazione che riversa le proprie conoscenze, le proprie forze, non già in chi verrà dopo di lei, ma verso chi la precede, un mondo in cui è la saggezza dell'anziano a dominare, il suo sacrificio a soddisfare gli dei".
E il suo Soleras, in verità, era davvero speciale. Gli aromi di caramello e di fico secco, d’albicocche e di nocciola, seguiti o inseguiti da quelli di mandorla e dattero, di scorza d'agrume e di cuoio riuscivano a stordire anche il palato meno attento, il bevitore più frettoloso.
Anche Maldido ne era stato affascinato, e, per lungo tempo, aveva cercato di carpirne il segreto, poi, per non dichiarare la propria sconfitta, aveva fatto sua l'ipotesi dell'amico.
"E' proprio vero - aveva pensato- è il gusto della morte", e con questo era riuscito ad archiviare la pratica.
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