Poche volte Scornavacchia vi aveva fatto ricorso, eppure Malebranco era stato sempre affascinato dal piccolo blocco di allume che il barbiere teneva sempre vicino ai suoi attrezzi. Non era questo, comunque, l'unico oggetto che puntualmente attirava la sua attenzione. In una piccola teca, posta sull'unico angolo libero della sala, erano infatti stati riposti alcuni cimeli ereditati che spesso il detectus aveva richiesto di maneggiare e osservare. Un portasapone, vari porta rasoi, uno strano contenitore taglia magnesio utilizzato per disinfettare la pelle dei clienti, un'impolverata bottiglia d’acqua di colonia, il rasoio appartenuto ad una rimasta sconosciuta autorità regia di inizio secolo e, soprattutto, una preziosa concessione che permetteva ad un trisavolo dello Scornavacchia di estrarre i denti, praticare il salasso e operare le vescicazioni per mezzo della cantaride (quest'ultima buona, si sa, anche per stimolare altre più piacevoli attività).
"E allora, dove sono tutti?"
"Come!? Vossia non lo sa? Oggi arriva il cinema"
"Il cinema? Cosa significa arriva il cinema?"
"Sì. Quell'attrice famosa... Letizia, sì Letizia. Sono qua per girare le scene"
Malebranco era davvero sorpreso, strano gli fosse sfuggita questa notizia. Evidentemente era rimasto troppo a lungo distante dalle voci sugli avvenimenti della comunità, che poi il non parteciparvi era cosa a lui abituale come molto altro appartenente alla categoria dell'accadere.
"Sì, ma lasciare anche i negozi vuoti..." si lasciò sfuggire.
"Ma di cosa parla? Della farmacia? Non si preoccupi! Il dottore Treschin ha chiesto a me di dare un'occhiata. Lui è scappato di corsa che forse riusciva a salutarla a quell'attrice"
"Mmh, davvero? E tu? Tu perchè non sei andato?"
Scornavacchia sorrise poi si allontanò un momento per cercare qualcosa tra i cassetti posti sotto i lavabi e per tornare, quasi subito, con uno di quei piccoli calendarietti profumati che circolavano un tempo tra le botteghe di tanti barbieri.
Malebranco accettò volentieri l'omaggio. L'anno era il 1963 e una paffutta e bruna donzella aspettava solo un lieve soffio per mostrare le sue grazie.
"A me ormai mi bastano questi, dottore. Che la fantasia a un vecchio come me fa certo più bene di una minna che si può vedere solo da lontano"
"La poesia è scritta da qualcuno che non è lo scrittore a qualcuno che non è il lettore" - Paul Valéry -
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07/03/10
01/03/10
Lu Santu Currau - 14 -
La farmacia affacciava sull'antica piazza di San Crisostomo. Era questa una delle classiche piazze spagnole fatte e costruite ad uso e gloria degli aristocratici locali. Quattro corpi angolari porticati su tre livelli: i magazzini, il piano nobile, i mezzanini. Tutto era stato però rimaneggiato dal tempo e dall'avidità umana e così della geometrica grazia cercata dai costruttori ben poco era rimasto. Malebranco pensò di dirigersi verso l'angolo opposto del luogo in cui si trovava per raggiungere la bottega del vecchio barbiere. Qui avrebbe potuto attendere in pace il rientro del farmacista e magari anche cogliere alcune di quelle piccole discussioni filosofiche sul mondo che a volte tanto lo affascinavano.
"Oh che bella novità! Oh che bella cosa!"
Sorrise il detectus, conosceva bene il mellifluo agitarsi linguistico del vecchio Scornavacchia: la bocca d'oro che faceva concorrenza a quel buon santo a cui la piazza era dedicata. Maldido era stato, era, ottimo cliente sin dalla pubertà e molto aveva conosciuto del mondo tra quelle strane mura.
"Sì, in effetti è da parecchio che manco" rispose un po' sottovoce, quasi fosse tornato ragazzetto.
"Sempre a vostra disposizione! Sempre vostro servo! Si accomodi! Si accomodi!"
Anche tra le antiche poltrone non c'era anima viva. Che fossero tutti spariti? Che un evento catastrofico avesse lasciato solo loro due su quel lembo di terra? In effetti, poco prima, non aveva visto nessun'auto nell'attraversare la strada, nè scorto anima viva.
"Oh che bella novità! Oh che bella cosa!"
Sorrise il detectus, conosceva bene il mellifluo agitarsi linguistico del vecchio Scornavacchia: la bocca d'oro che faceva concorrenza a quel buon santo a cui la piazza era dedicata. Maldido era stato, era, ottimo cliente sin dalla pubertà e molto aveva conosciuto del mondo tra quelle strane mura.
"Sì, in effetti è da parecchio che manco" rispose un po' sottovoce, quasi fosse tornato ragazzetto.
"Sempre a vostra disposizione! Sempre vostro servo! Si accomodi! Si accomodi!"
Anche tra le antiche poltrone non c'era anima viva. Che fossero tutti spariti? Che un evento catastrofico avesse lasciato solo loro due su quel lembo di terra? In effetti, poco prima, non aveva visto nessun'auto nell'attraversare la strada, nè scorto anima viva.
21/12/08
Lu Santu Currau - 13 -
Alla fine si decise, cautamente poggiò la mano sulla maniglia e aprì la porta oltrepassando subito dopo la soglia. Si trovò di fronte ad una piccola stanza malamente illuminata da una finestrella, posta alla sua sinistra, che per posizione e dimensioni gli ricordò quelle raffigurate in numerosi santini seicenteschi. Questi ultimi per lo più descrivevano estasi mistiche illuminate dalla luce divina, orgasmi visivamente appena accennati ma potentemente erotici allo sguardo casto di ogni uomo pio del tempo.
Nulla comunque faceva pensare al favoleggiato boudoir. Sotto i suoi occhi lentamente presero forma una scrivania carica di carte e libri, due dozzinali seggiole in legno, un divano in pelle dalla strana tinta zafferano. Un rapido sguardo al resto della stanza e l'acclarata assenza di ogni segno di vita lo fecero presto desistere da quel suo inutile e poco gentile curiosare.
Richiudendo la porta alle sue spalle il detectus decise dunque di uscire dalla farmacia per farvi magari ritorno in un altro momento della giornata.
Nulla comunque faceva pensare al favoleggiato boudoir. Sotto i suoi occhi lentamente presero forma una scrivania carica di carte e libri, due dozzinali seggiole in legno, un divano in pelle dalla strana tinta zafferano. Un rapido sguardo al resto della stanza e l'acclarata assenza di ogni segno di vita lo fecero presto desistere da quel suo inutile e poco gentile curiosare.
Richiudendo la porta alle sue spalle il detectus decise dunque di uscire dalla farmacia per farvi magari ritorno in un altro momento della giornata.
02/11/08
Lu Santu Currau - 12 -
"Maldido... Maldido!"
Malebranco, seduto sulla comoda poltrona della sua scrivania, si risvegliò improvvisamente e subito le sue braccia corsero a rinserrare quelle carte, quelle vite, quei fantasmi che gli appartenevano, che erano suoi, solo suoi.
Nessuno. Nessuno, come sempre. Col tempo quella voce era sembrata divenire più reale, più vicina, quasi un amorevole richiamo alla vita, ma non avrebbe saputo dirci, il famoso detectus, se essa appartenesse ad un uomo o se di donna fosse e neanche rivelarci se il tono di quella chiamata lo affascinasse oppure lo impaurisse.
Quella voce, però, indubitabilmente era e Maldido ormai sembrava quasi attenderlo quel risveglio. Lo chiamava "il sospiro dei miei lunghi dormiveglia". Di esso non aveva fatto mai parola a nessuno poiché in ogni personale memoria, se mai esista una sua realtà collettiva, la menzogna di noi stessi si attorciglia stretta ad innocui brandelli di verità sfuggendo in tal modo ai suoi stretti confini, percorrendo non vista strade ogni volta diverse, consapevolezze cangianti, riempiendo di rumori e voci spazi che vuoti sarebbero altrimenti o vieppiù inesistenti, era l’aver coscienza di ciò che impediva a Malebranco di adagiarvisi felice o, quanto meno, da incolpevole naufrago.
La decisione era presa: avrebbe acquistato quel pezzo di legno per poi cercare di rivenderlo. Con sicurezza si avviò, dunque, verso la farmacia. In testa poche parole e la trattativa già ben disegnata.
Il suono metallico di una campanella annunciò il suo ingresso, con piccoli passi Maldido si avvicinò al grande bancone e lì rimase in attesa. Lo schermo acceso di un computer illuminava un po' più il locale ma Malebranco conosceva bene quell'ambiente e certo non si meravigliò per quel tocco di modernità all'interno di una struttura che pareva essere rimasta quella voluta, un secolo prima, dal nonno di Dionigi. Gli antichi scaffali di legno, quasi nudi nella loro semplicità, ornavano un accogliente semicerchio che aveva proprio nel bancone il suo altare; al di sopra di ciascuna anta una etichetta in metallo annunciava le specialità un tempo in vendita, epperò i vetri, seppur scuriti dal tempo, lasciavano intravedere il necessario e colorato cambio d'epoca.
Proprio dietro al massiccio tavolo centrale stavano, distanziate tra loro da uno scaffale un po' più alto e largo degli altri, due porte. La prima, varcata da Maldido più volte, portava al Magazzino. La seconda, invece, si diceva fosse l'accesso alla segreta garçonnière del farmacista.
Durante l'attesa Malebranco fu attratto dall'intarsio che sovrastava le due ante centrali. Fu sorpreso dalla consapevolezza di non essersene mai accorto prima. Cos'era quel ghirigoro orientaleggiante? Dalla sua fitta trama parevano emergere due lettere, la distanza, però, non ne permetteva l'assoluta certezza
"Le iniziali del nome del committente" - pensò Malebranco - "o forse un dissimulato gesto di narcisismo da parte dell'artigiano..."
Erano comunque già passati parecchi minuti: forzando la propria studiata ritrosia, Maldido oltrepassò il bancone e bussò. Alla porta del Magazzino non ottenne alcuna risposta. Si diresse quindi verso l'alcova del farmacista, poggiando, con più discrezione, le nocche sul legno. Nessun segno di vita.
Malebranco, seduto sulla comoda poltrona della sua scrivania, si risvegliò improvvisamente e subito le sue braccia corsero a rinserrare quelle carte, quelle vite, quei fantasmi che gli appartenevano, che erano suoi, solo suoi.
Nessuno. Nessuno, come sempre. Col tempo quella voce era sembrata divenire più reale, più vicina, quasi un amorevole richiamo alla vita, ma non avrebbe saputo dirci, il famoso detectus, se essa appartenesse ad un uomo o se di donna fosse e neanche rivelarci se il tono di quella chiamata lo affascinasse oppure lo impaurisse.
Quella voce, però, indubitabilmente era e Maldido ormai sembrava quasi attenderlo quel risveglio. Lo chiamava "il sospiro dei miei lunghi dormiveglia". Di esso non aveva fatto mai parola a nessuno poiché in ogni personale memoria, se mai esista una sua realtà collettiva, la menzogna di noi stessi si attorciglia stretta ad innocui brandelli di verità sfuggendo in tal modo ai suoi stretti confini, percorrendo non vista strade ogni volta diverse, consapevolezze cangianti, riempiendo di rumori e voci spazi che vuoti sarebbero altrimenti o vieppiù inesistenti, era l’aver coscienza di ciò che impediva a Malebranco di adagiarvisi felice o, quanto meno, da incolpevole naufrago.
La decisione era presa: avrebbe acquistato quel pezzo di legno per poi cercare di rivenderlo. Con sicurezza si avviò, dunque, verso la farmacia. In testa poche parole e la trattativa già ben disegnata.
Il suono metallico di una campanella annunciò il suo ingresso, con piccoli passi Maldido si avvicinò al grande bancone e lì rimase in attesa. Lo schermo acceso di un computer illuminava un po' più il locale ma Malebranco conosceva bene quell'ambiente e certo non si meravigliò per quel tocco di modernità all'interno di una struttura che pareva essere rimasta quella voluta, un secolo prima, dal nonno di Dionigi. Gli antichi scaffali di legno, quasi nudi nella loro semplicità, ornavano un accogliente semicerchio che aveva proprio nel bancone il suo altare; al di sopra di ciascuna anta una etichetta in metallo annunciava le specialità un tempo in vendita, epperò i vetri, seppur scuriti dal tempo, lasciavano intravedere il necessario e colorato cambio d'epoca.
Proprio dietro al massiccio tavolo centrale stavano, distanziate tra loro da uno scaffale un po' più alto e largo degli altri, due porte. La prima, varcata da Maldido più volte, portava al Magazzino. La seconda, invece, si diceva fosse l'accesso alla segreta garçonnière del farmacista.
Durante l'attesa Malebranco fu attratto dall'intarsio che sovrastava le due ante centrali. Fu sorpreso dalla consapevolezza di non essersene mai accorto prima. Cos'era quel ghirigoro orientaleggiante? Dalla sua fitta trama parevano emergere due lettere, la distanza, però, non ne permetteva l'assoluta certezza
"Le iniziali del nome del committente" - pensò Malebranco - "o forse un dissimulato gesto di narcisismo da parte dell'artigiano..."
Erano comunque già passati parecchi minuti: forzando la propria studiata ritrosia, Maldido oltrepassò il bancone e bussò. Alla porta del Magazzino non ottenne alcuna risposta. Si diresse quindi verso l'alcova del farmacista, poggiando, con più discrezione, le nocche sul legno. Nessun segno di vita.
29/10/08
Lu Santu Currau - 11 -
Il giorno Tredici Dicembre dell’anno millenovecentoquindici
Regnando S.M. Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e Volontà della Nazione Re d'Italia
Ad istanza della Sig.na Donna Scintilla Corsara, figlia del fu Don Quirino, domiciliata in questo Comune nel quartiere dei Benedettini, possidente, qui intervenendo nella qualità di Erede del fu Barone Carmelo Li Causi in virtù del testamento pubblico del suddetto Barone, rogato nello studio di me notaio il dì due Marzo 1912, da me notaro ben conosciuta la quale Donna Scintilla mentre non ha esercitato, come dichiara, atto nessuno proprio di erede volendo assumere la qualità del nome sudetto con il beneficio dell’inventario, e far procedere alla dovuta dichiarazione, pel suo effetto, il necessario inventario dei beni di essa eredità ai sensi degli articoli 717 e 711 Codice parte prima-Regnando S.M. Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e Volontà della Nazione Re d'Italia
Io Notaro Girbini Calogero, residente in questo Comune ho proceduto all’inventario dei mobili ed effetti mobiliari trovati nella masseria ove morì il cennato Barone, sito in questo Comune nel Feudo detto delle Vigne.
Da me Notaro detta Donna Scintilla comparente, alla presenza pure di Maestro Salvatore Incartato di arte falegname, domiciliato in questo comune e nel quartiere della Verza, alla presenza pure del Signor Alfio Alì di arte agrimensore, domiciliato in questo Comune nel quartiere della Verza, alla presenza del Capo Maestro Giuseppe Bisicchia, muratore, domiciliato in questo Comune nel quartiere della Verza, alla presenza di Maestro Gioacchino Percolla di arte caldararo, perito di rame, di ferro, di stagno ed argento, domiciliato in questo Comune nel quartiere della Verza, alla presenza di Tommaso Lucente qual perito di animali e di generi di vino, oglio e di frumento domiciliato in questo Comune nel quartiere dei Benedettini, alla presenza pure di Maestro Luciana Mezzasalma, sartore qual perito di robba, indumenti e biancheria domiciliato in questo Comune nel quartiere dell’Ospedale, alla presenza finalmente di proscritti testimoni all’uopo adibiti quali periti, estimatori e sono da me Notaro pure conosciuti.
Detti periti eletti d’accordo da detta Donna Scintilla per apprezzare a giusto valore gli oggetti seguenti di loro rispettiva perizia, dopo di aver prestato il loro giuramento innanzi questo Giudice del Circondario.
Nel presente atto vanno a decriversi gli oggetti, per come vanno trovandosi nelle stanze rispettive della masseria sudetta.
Segue la descrizione di quanto rinvenuto stanza per stanza, compresi i sottostanti magazzini, stanza del parmento del vino e dell’oglio, stanza della cavallerizza, del teatro e della pagliaia. Vengono rinvenuti :
Sedie di cuoio antiche, sedie di cordicella, arcinanco, buffetta, cantarani,cassa di noce contenente biancheria ( cultre, lenzuoli di tela di cotone, canne di mussolino, canne di damasco di cottone, lenzuola di seta, di marzulla,calzette di filo, bottiglie di cristallo,piatti, bicchieri, marionette in numero di 39 in legno, saliere, cicare di cafè, selle in cuoio, letti con trispiti in ferro, materassi, specchi indorati, padelle, pignate in ferro, cazzarole di rame, quartare di creta, caldare di rame, bacile di rame, candilieri di legno, cannate, farina, noci, tumoli due di mandorle, salme 12 di linosa, coffe per trappito, chianca di legno, biandoni atte per il palmento, scrofine per palmento, paglia per animali, cafisi di rame, una giarra piena di oglio e n° 11 giarre piene di oglio di lino pari a quintali 16 di oglio di lino, quintali 2 di oglio buono, arbitrio con vari anelli in rame, mola di pietra per ulive, legna da ardere, statia di ferro, vomeri, zapponi, accette, botti di vino, filatoio, bisacce da lana, da tela, selloni da lavoro e da passeggio, staffe, capezzoni, briglie, due mule una delle quali di pelo garofalo e l’altra di pelo scuro, una giumenta armentizia di pelo novello e una giumenta di sella di pelo novello.
Nello stipo a muro sito nell’anticamera vecchia, vicino la sala si è trovata una piccola cassettiera con dentro le seguenti cose d’argento:
cocchiaione da brodo, cocchiaione da zuppa, 6 posate di mezza libbra cadauna, cocchiaia alla napolitana, 3 coltelli, 2 fonti d’argento per capezzali, un paio di fioccaglie con diamanti, una spilletta con diamanti.
Inoltre sono stati rinvenuti libri di scuola di umanità e di lettere tutti vecchi.
Il tutto secondo la stima dei singoli periti per un valore di Lire 108.342.
Segue la stima della masseria per un valore di Lire 110.673.
Dichiarano pure detta comparente Donna Scintilla che nella detta eredità del fu Barone non vi sono debiti.
Finalmente la detta Signorina Donna Scintilla dichiara nel presente che non intende pregiudicarsi in quei diritti che gode sopra a detta eredità per effetto del sudetto testamento e per la disposizione della legge.
Ricevutasi la sudetta dichiarazione che la parte ha voluto fare e descrivere nel modo di sopra nel presente atto, si è chiuso il presente atto oggi il giorno sudetto alle ore tre della notte.
Seguono le firme di tutti i presenti e del Notaio Don Calogero Girbini del fu Don Michele
18/10/08
Lu Santu Currau - 10 -
I giornali, anche quelli locali, non avevano fatto tanto baccano attorno alla notizia, c'erano temi ben più importanti: la guerra, l’undicesimo reggimento bersaglieri e Sciara Sciat, le orde nemiche, le reazioni internazionali... eppure in paese non si parlò, per lungo tempo, d'altro.
Il barone era stato trovato nella sua masseria sul palco di uno strano e sconosciuto teatro; vicino al corpo tanti manichini spogli d’ogni indumento erano stati posizionati a guisa di spettatori e tre lunghi ferri, come fulmini retti dall'alto da altrettante marionette, gli erano stati conficcati in corpo. Ognuno di essi aveva mirato ad un ben preciso obiettivo: il cuore, la bocca, le natiche.
Durante le prime indagini furono controllate le informative riguardanti, da un lato, il passato politico della vittima, fiero difensore della legge e dell’ordine contro l’anarchia portata avanti dai Fasci e dal Socialismo e, dall’altro, la sua fama di tombeur de femmes. Più tardi, grazie all’impulso organizzativo dato da alcuni investigatori provenienti dalla città, si passò all’ipotesi di un omicidio compiuto da qualcheduna delle bande che ancora infestavano la zona, infine il caso fu archiviato.
La divisione dell'eredità non fu, invece, impresa difficile avendo, il Signor Barone, già preventivato la propria fine.
Su una parte dei beni, comunque, giunsero, alle orecchie e agli occhi del paese tutto, alcune curiose sorprese; esse, forse, erano il frutto di antiche ed eccessive libagioni del fu Li Causi.
Il barone era stato trovato nella sua masseria sul palco di uno strano e sconosciuto teatro; vicino al corpo tanti manichini spogli d’ogni indumento erano stati posizionati a guisa di spettatori e tre lunghi ferri, come fulmini retti dall'alto da altrettante marionette, gli erano stati conficcati in corpo. Ognuno di essi aveva mirato ad un ben preciso obiettivo: il cuore, la bocca, le natiche.
Durante le prime indagini furono controllate le informative riguardanti, da un lato, il passato politico della vittima, fiero difensore della legge e dell’ordine contro l’anarchia portata avanti dai Fasci e dal Socialismo e, dall’altro, la sua fama di tombeur de femmes. Più tardi, grazie all’impulso organizzativo dato da alcuni investigatori provenienti dalla città, si passò all’ipotesi di un omicidio compiuto da qualcheduna delle bande che ancora infestavano la zona, infine il caso fu archiviato.
La divisione dell'eredità non fu, invece, impresa difficile avendo, il Signor Barone, già preventivato la propria fine.
Su una parte dei beni, comunque, giunsero, alle orecchie e agli occhi del paese tutto, alcune curiose sorprese; esse, forse, erano il frutto di antiche ed eccessive libagioni del fu Li Causi.
14/10/08
Lu Santu Currau - 9 -
Una Trinità un po' plebea svolazzava in alto sul fondale di un intenso azzurro. Il tondo arancione del sole ed i raggi che da esso dipartivano, così come le forme arrotondate e le piatte tinte dei monti, davano all'insieme un tocco di fanciullesca falsità che contrastava con la ricchezza e la complessità degli abiti delle marionette. Trentasei santi, e sante, a riempire la scena.
Ben si sarebbe potuto pensare, a guardare da lontano, ad uno di quei turpi racconti della schiava Faecenia, giacché l'ammassarsi di quelle spoglie nulla rendeva al sacro, ma solo all'immondo vizio. Ciò che nel quadro era esplosione di forme e grazia lì era divenuta morbosa messinscena. E quel luogo non ad altro serviva. Il Barone vi conduceva le sue amanti, godendo particolarmente nel privilegiare quelle che egli più riteneva vicine alla fede cristiana, quindi iniziava il rituale.
Scelto il nome della santa, egli illustrava alla vittima prescelta l’azione che di lì a poco avrebbero compiuto servendosi dell'aiuto di quei feticci e fornendo poi alla o alle partecipanti le vesti adatte. A volte arrivava a chiedere, anzi pretendeva, con minacce e violenze se necessario, che fosse la stessa vittima finito il primo amplesso ad indicare e sistemare le marionette ad imitazione dell’azione successiva; e ciò si ripeteva fin quando le forze o la fantasia non lo abbandonavano.
Ben si sarebbe potuto pensare, a guardare da lontano, ad uno di quei turpi racconti della schiava Faecenia, giacché l'ammassarsi di quelle spoglie nulla rendeva al sacro, ma solo all'immondo vizio. Ciò che nel quadro era esplosione di forme e grazia lì era divenuta morbosa messinscena. E quel luogo non ad altro serviva. Il Barone vi conduceva le sue amanti, godendo particolarmente nel privilegiare quelle che egli più riteneva vicine alla fede cristiana, quindi iniziava il rituale.
Scelto il nome della santa, egli illustrava alla vittima prescelta l’azione che di lì a poco avrebbero compiuto servendosi dell'aiuto di quei feticci e fornendo poi alla o alle partecipanti le vesti adatte. A volte arrivava a chiedere, anzi pretendeva, con minacce e violenze se necessario, che fosse la stessa vittima finito il primo amplesso ad indicare e sistemare le marionette ad imitazione dell’azione successiva; e ciò si ripeteva fin quando le forze o la fantasia non lo abbandonavano.
10/10/08
Lu Santu Currau - 8 -
Seduto sulla comoda poltrona del suo studiolo il Barone Li Causi osservava compiaciuto la lunga teoria di marionette che adornava la parete posta di fronte allo scrittoio. Un solo spazio vuoto sul muro e su quello spazio una targhetta: "Lu Santu Currau".
Quel pezzo era certamente costato molto più di quanto avesse previsto, ma non era quello a contrariarlo quanto piuttosto la paura di una delazione che sarebbe potuta costare cara al suo prestigio, tanto più in quei tempi di disordini e crisi di governo, ma la collezione era, finalmente, completa, e nessuno, nessuno, sarebbe riuscito a portargliela via.
Trentanove pezzi perfetti, recuperati in ogni modo sin da quando, semplice gabellota, girava di paese in paese a riscuotere e a punire. Il Barone li aveva fatti trasportare in una grande masseria, trasformata in una delle sue stanze a teatro, e lì aveva disposto le marionette così
come apparivano su di un quadro che da piccolo mirava estasiato e che era posto in una delle sale del Castellotto.
La collezione era stata un dono elargito, con magnificenza e grazia come si leggeva sul lungo nastro rosso posto alla base del dipinto, dal Re in persona ai suoi fedeli sudditi per festeggiare la nascita del piccolo Ippazio Alessandro Filippo Augusto Principe della Prugna e Cavaliere dell'Ordine della S. Castagnola di Vizzini. Li Causi ne conosceva ogni particolare, ogni crepa. Ne ignorava solo la storia, la lunga gestazione. Nessuna fonte l'aveva informato del fatto che quando il quadro era stato ultimato già da tempo il povero Ippazio aveva abbandonato questo mondo. Di lui era rimasta solo quella effige, e forse per un po', in qualcuno, il ricordo.
Quel pezzo era certamente costato molto più di quanto avesse previsto, ma non era quello a contrariarlo quanto piuttosto la paura di una delazione che sarebbe potuta costare cara al suo prestigio, tanto più in quei tempi di disordini e crisi di governo, ma la collezione era, finalmente, completa, e nessuno, nessuno, sarebbe riuscito a portargliela via.
Trentanove pezzi perfetti, recuperati in ogni modo sin da quando, semplice gabellota, girava di paese in paese a riscuotere e a punire. Il Barone li aveva fatti trasportare in una grande masseria, trasformata in una delle sue stanze a teatro, e lì aveva disposto le marionette così
come apparivano su di un quadro che da piccolo mirava estasiato e che era posto in una delle sale del Castellotto.
La collezione era stata un dono elargito, con magnificenza e grazia come si leggeva sul lungo nastro rosso posto alla base del dipinto, dal Re in persona ai suoi fedeli sudditi per festeggiare la nascita del piccolo Ippazio Alessandro Filippo Augusto Principe della Prugna e Cavaliere dell'Ordine della S. Castagnola di Vizzini. Li Causi ne conosceva ogni particolare, ogni crepa. Ne ignorava solo la storia, la lunga gestazione. Nessuna fonte l'aveva informato del fatto che quando il quadro era stato ultimato già da tempo il povero Ippazio aveva abbandonato questo mondo. Di lui era rimasta solo quella effige, e forse per un po', in qualcuno, il ricordo.
06/10/08
Lu Santu Currau - 7 -
In nome di S. M. Umberto Primo, per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d'Italia, il Tribunale Penale di Siracusa, sciogliendo le riserbe fatte circa la eccezione di competenza e della cosa giudicata, che rigetta, provvede come appresso:
1. Dichiara Vinciguerra Giuseppe colpevole di essersi impossessato nella notte del 12 dicembre 1889 in Pachino, per trarne profitto e con abuso di fiducia, di una marionetta in legno, di valore non bene determinato, ma oltre le lire Mille, togliendola alla chiesa di S.Corrado ove trovavansi, in pregiudizio e contro il volere dei rappresentanti della stessa, arrecandole danno rilevante.
2. Dichiara il detto Vinciguerra, colpevole di avere nella istessa notte, senza il fine di uccidere, e con due atti consecutivi della medesima intenzione criminosa, causato col revolver, lesioni sul
corpo, che han portato malattia oltre i 20 giorni, in offesa di Brutti Carmelo, contadino, e oltre i 10 giorni, in offesa di Tenebra Carmine, sacerdote.
In tutti i succennati reati, ammette la recidiva specifica.
Visti gli articoli di legge:
CONDANNA
Vinciguerra Giuseppe ad anni 12, mesi 8, e g. 5 di reclusione.
Condanna, inoltre lo istesso Vinciguerra, in relazione alle lesioni e in relazione ai furti, sui danni e nelle spese processuali.
1. Dichiara Vinciguerra Giuseppe colpevole di essersi impossessato nella notte del 12 dicembre 1889 in Pachino, per trarne profitto e con abuso di fiducia, di una marionetta in legno, di valore non bene determinato, ma oltre le lire Mille, togliendola alla chiesa di S.Corrado ove trovavansi, in pregiudizio e contro il volere dei rappresentanti della stessa, arrecandole danno rilevante.
2. Dichiara il detto Vinciguerra, colpevole di avere nella istessa notte, senza il fine di uccidere, e con due atti consecutivi della medesima intenzione criminosa, causato col revolver, lesioni sul
corpo, che han portato malattia oltre i 20 giorni, in offesa di Brutti Carmelo, contadino, e oltre i 10 giorni, in offesa di Tenebra Carmine, sacerdote.
In tutti i succennati reati, ammette la recidiva specifica.
Visti gli articoli di legge:
CONDANNA
Vinciguerra Giuseppe ad anni 12, mesi 8, e g. 5 di reclusione.
Condanna, inoltre lo istesso Vinciguerra, in relazione alle lesioni e in relazione ai furti, sui danni e nelle spese processuali.
28/09/08
Lu Santu Currau - 6 -
Tutta l'immagine viveva lungo un asse obliquo fatto di linee rette trafugate al mondo reale. Sullo sfondo la porta, ricamata a rettangoli, confessava di dimenticanze o furti, lì, proprio all'altezza della maniglia.
In primo piano Antonino pareva amabilmente confabulare con un invisibile interlocutore, ma le sue rughe, le spalle, lo stesso braccio destro, non ammorbidivano la rigorosa geometria di quell'attimo. Buffo, pensò Malebranco, che proprio lui, l'etnologo e poeta Uccello, posasse su quella sedia di plastica e metallo.
In alto, sulla parte sinistra della foto, appesa non si sa dove una marionetta vestita di stracci, se tali potevano essere definiti quegli indumenti, rievocava il mondo contadino tanto caro all'artista.
Maldido aveva fatto ingrandire l'originale fin quasi a sfocarne le tracce, poi aveva ritagliato la marionetta ripassandone i margini e fissandoli su di un foglio di carta velina; ne aveva anche calcolato l'altezza approssimativa, quarantacinque centimetri, basandosi sulle proporzioni degli oggetti e del soggetto raffigurato. Solo a quel punto era iniziata una ricerca febbrile tra appunti e vecchi testi, quasi tutti già in suo possesso, che lo aveva condotto ad essere certo della primitiva ipotesi.
In primo piano Antonino pareva amabilmente confabulare con un invisibile interlocutore, ma le sue rughe, le spalle, lo stesso braccio destro, non ammorbidivano la rigorosa geometria di quell'attimo. Buffo, pensò Malebranco, che proprio lui, l'etnologo e poeta Uccello, posasse su quella sedia di plastica e metallo.
In alto, sulla parte sinistra della foto, appesa non si sa dove una marionetta vestita di stracci, se tali potevano essere definiti quegli indumenti, rievocava il mondo contadino tanto caro all'artista.
Maldido aveva fatto ingrandire l'originale fin quasi a sfocarne le tracce, poi aveva ritagliato la marionetta ripassandone i margini e fissandoli su di un foglio di carta velina; ne aveva anche calcolato l'altezza approssimativa, quarantacinque centimetri, basandosi sulle proporzioni degli oggetti e del soggetto raffigurato. Solo a quel punto era iniziata una ricerca febbrile tra appunti e vecchi testi, quasi tutti già in suo possesso, che lo aveva condotto ad essere certo della primitiva ipotesi.
Lu Santu Currau - 5 -
Percorrendo la strada, centocinquantadue metri con un piccolo avvallamento ad iniziare dal novantatreesimo metro e sino al centoventunesimo, che separava il locale dalla sua abitazione, una costruzione singola, cinque vani con giardinetto esterno, sita al civico 4 di Via Luna, Malebranco non poté fare a meno di sorridere. In questi casi egli, generalmente, era il solo ad accorgersene, giacché nessuna increspatura ammorbidiva la sottile striscia delle labbra.
"Sì, era proprio lui" confessò a se stesso.
Il detectus si fermò un attimo portando la mano destra alla tasca per estrarne un piccolo foglio, all'incirca dieci centimetri per quindici, e riguardarlo alla luce del lampione che illuminava l'ingresso della villa del Dottor Caremolli, un vecchio magistrato che abitava proprio a metà strada di quel quotidiano percorso. Quella carta celava un ingrandimento della foto che Maldido aveva portato con se da Brentano.
"Sì, è proprio lui" ripeté alla notte riprendendo, poi, a camminare.
"Sì, era proprio lui" confessò a se stesso.
Il detectus si fermò un attimo portando la mano destra alla tasca per estrarne un piccolo foglio, all'incirca dieci centimetri per quindici, e riguardarlo alla luce del lampione che illuminava l'ingresso della villa del Dottor Caremolli, un vecchio magistrato che abitava proprio a metà strada di quel quotidiano percorso. Quella carta celava un ingrandimento della foto che Maldido aveva portato con se da Brentano.
"Sì, è proprio lui" ripeté alla notte riprendendo, poi, a camminare.
24/09/08
Lu Santu Currau - 4 -
Il Soleras, era forse l'unico vero amore del Dottor Dionigi Treschin.
Invecchiato per venti lunghi anni nelle botti di una tenuta che quest'ultimo, non senza una buona dose di violenta furbizia, era riuscito ad acquistare, esso era il simbolo, sosteneva il farmacista, del mondo intero.
"E' la morte che genera vita- ripeteva spesso- E' l'affinarsi dei sensi con l'età, il crescere di generazione in generazione. Non vede? Pensi al valore simbolico di ogni botte. Una generazione che riversa le proprie conoscenze, le proprie forze, non già in chi verrà dopo di lei, ma verso chi la precede, un mondo in cui è la saggezza dell'anziano a dominare, il suo sacrificio a soddisfare gli dei".
E il suo Soleras, in verità, era davvero speciale. Gli aromi di caramello e di fico secco, d’albicocche e di nocciola, seguiti o inseguiti da quelli di mandorla e dattero, di scorza d'agrume e di cuoio riuscivano a stordire anche il palato meno attento, il bevitore più frettoloso.
Anche Maldido ne era stato affascinato, e, per lungo tempo, aveva cercato di carpirne il segreto, poi, per non dichiarare la propria sconfitta, aveva fatto sua l'ipotesi dell'amico.
"E' proprio vero - aveva pensato- è il gusto della morte", e con questo era riuscito ad archiviare la pratica.
Invecchiato per venti lunghi anni nelle botti di una tenuta che quest'ultimo, non senza una buona dose di violenta furbizia, era riuscito ad acquistare, esso era il simbolo, sosteneva il farmacista, del mondo intero.
"E' la morte che genera vita- ripeteva spesso- E' l'affinarsi dei sensi con l'età, il crescere di generazione in generazione. Non vede? Pensi al valore simbolico di ogni botte. Una generazione che riversa le proprie conoscenze, le proprie forze, non già in chi verrà dopo di lei, ma verso chi la precede, un mondo in cui è la saggezza dell'anziano a dominare, il suo sacrificio a soddisfare gli dei".
E il suo Soleras, in verità, era davvero speciale. Gli aromi di caramello e di fico secco, d’albicocche e di nocciola, seguiti o inseguiti da quelli di mandorla e dattero, di scorza d'agrume e di cuoio riuscivano a stordire anche il palato meno attento, il bevitore più frettoloso.
Anche Maldido ne era stato affascinato, e, per lungo tempo, aveva cercato di carpirne il segreto, poi, per non dichiarare la propria sconfitta, aveva fatto sua l'ipotesi dell'amico.
"E' proprio vero - aveva pensato- è il gusto della morte", e con questo era riuscito ad archiviare la pratica.
23/09/08
Lu Santu Currau - 3 -
Seduto al suo tavolo Maldido attendeva l'arrivo della prima portata.
Aveva con se la copia di un ritratto fotografico di Ferdinando Scianna e ora osservava quella immagine, l’etnologo e poeta Antonino Uccello, strizzando, a tratti, un po' gli occhi come in una inconsapevole profferta d'amore.
Malebranco non ordinava mai in quel luogo, né si dilungava in vaghi discorsi, voleva solo star tranquillo, e Brentano, da subito, aveva colto i gusti di quel silenzioso avventore; così, da vecchio oste avvezzo a coccolare la buona clientela, si limitava, quando proprio appariva indispensabile, a segnalare al suo ospite le eventuali mancanze nella dispensa.
Quel giorno aveva preparato dei tagliolini ai carciofi, champignon e vongole ed uno zuccotto di carciofi e carote. Come sempre aveva portato a tavola anche una buona bottiglia di vino, un San Severo bianco, ma, anche quello come sempre, neanche un goccio di quel nettare fu versato nel bicchiere di Maldido, semplicemente tutto venne pagato, e, il cibo, consumato.
"Buonasera Malebranco"
"Salve dottore"
Appena sbirciata la foto Treschin si sedette, senza nessun formale invito, accanto a Maldido, ed iniziò a fissarlo.
"E allora?" infine disse.
"Allora cosa?"
Maldido non sembrava gradire molto i modi del farmacista eppure nulla sembrava poterlo distogliere da quella foto, anche le poche parole che Dionigi era riuscito ad estorcergli, erano state pronunciate a capo basso, sulla tavola deserta e con quella immagine tra le mani.
"Non credete valga la pena acquistarlo?"
"Potrebbe"
"Ma se..."
"Oh! Mio buon dottore... ma credete davvero sia possibile che io"
"Insomma! Ditemi almeno qualcosa"
"Poi, vi dirò, poi. Lasciatemi adesso"
Le ultime parole di Malebranco, il loro tono, fecero desistere Dionigi da ogni ulteriore insistenza; si alzò dunque, congedandosi dall'amico per dirigersi verso il bancone. Ad attenderlo c'era un Soleras, anzi il suo Soleras.
"Ti ha detto niente?"
"Nulla"
Brentano guardava ora lui ora Maldido e, nel frattempo, picchettava a tempo sul vecchio legno.
Aveva con se la copia di un ritratto fotografico di Ferdinando Scianna e ora osservava quella immagine, l’etnologo e poeta Antonino Uccello, strizzando, a tratti, un po' gli occhi come in una inconsapevole profferta d'amore.
Malebranco non ordinava mai in quel luogo, né si dilungava in vaghi discorsi, voleva solo star tranquillo, e Brentano, da subito, aveva colto i gusti di quel silenzioso avventore; così, da vecchio oste avvezzo a coccolare la buona clientela, si limitava, quando proprio appariva indispensabile, a segnalare al suo ospite le eventuali mancanze nella dispensa.
Quel giorno aveva preparato dei tagliolini ai carciofi, champignon e vongole ed uno zuccotto di carciofi e carote. Come sempre aveva portato a tavola anche una buona bottiglia di vino, un San Severo bianco, ma, anche quello come sempre, neanche un goccio di quel nettare fu versato nel bicchiere di Maldido, semplicemente tutto venne pagato, e, il cibo, consumato.
"Buonasera Malebranco"
"Salve dottore"
Appena sbirciata la foto Treschin si sedette, senza nessun formale invito, accanto a Maldido, ed iniziò a fissarlo.
"E allora?" infine disse.
"Allora cosa?"
Maldido non sembrava gradire molto i modi del farmacista eppure nulla sembrava poterlo distogliere da quella foto, anche le poche parole che Dionigi era riuscito ad estorcergli, erano state pronunciate a capo basso, sulla tavola deserta e con quella immagine tra le mani.
"Non credete valga la pena acquistarlo?"
"Potrebbe"
"Ma se..."
"Oh! Mio buon dottore... ma credete davvero sia possibile che io"
"Insomma! Ditemi almeno qualcosa"
"Poi, vi dirò, poi. Lasciatemi adesso"
Le ultime parole di Malebranco, il loro tono, fecero desistere Dionigi da ogni ulteriore insistenza; si alzò dunque, congedandosi dall'amico per dirigersi verso il bancone. Ad attenderlo c'era un Soleras, anzi il suo Soleras.
"Ti ha detto niente?"
"Nulla"
Brentano guardava ora lui ora Maldido e, nel frattempo, picchettava a tempo sul vecchio legno.
22/09/08
Lu Santu Currau - 2 -
"Buongiorno Dottor Malebranco, ha scoperto qualcosa oggi?"
Brentano, con ampio gesto, lo invitò ad accomodarsi al tavolo che da sempre gli era riservato. Maldido ebbe, non visto, una lieve perplessità. Il fatto è che egli non si aspettava certo quella domanda, quanto, più opportunamente, un:
"Buongiorno Dottor Malebranco, il lavoro è stato proficuo oggi?"
o, al limite,
"Buongiorno Dottor Malebranco, spero abbia ben lavorato, oggi".
Invece quell’episodio, così poco importante agli occhi altrui, lo mise di malumore. O forse non fu la domanda bensì l'essere stato costretto a pensare per un istante a quell’angustioso problema della sua vita: denominare il proprio mestiere. Perché, di mestiere, Maldido Malebranco era un "detectus". Era stato lui stesso ad inserire la parola sul proprio curriculum vitae in un momento di grazia creativa, ed a farla, poi, propria nei rari momenti in cui era costretto a rivelare l'attività che gli permetteva di vivere. Certo ogni volta la sua risposta era seguita da una seconda immancabile domanda:
"Mi scusi se mi permetto, ma cos'è, cosa fa, un detectus?" ed era a quel punto che Maldido esitava. Come spiegare il suo sezionare immagini, il quotidiano reticolare la vita, immaginaria e reale, altrui?
Per togliersi d'impiccio egli aveva imparato a confessare che, semplicemente, il suo compito era quello di cercare errori storici nei film, eppure questa era solo una parte, forse quella più remunerativa, di ciò che era a lui chiesto.
Già! Perché Maldido Malebranco era noto ad un gruppo ristretto di artisti per la sua capacità di riuscire ad inserire piccoli ma, al loro gusto, essenziali particolari all'interno di ben più dense scene, mentre dei suoi servigi usufruivano anche alcuni investigatori, in quei rari momenti in cui confessavano a se stessi di non aver capito nulla di ciò che i loro occhi vedevano, per non parlare, poi, delle case di produzione che, a torto, credevano di poter piegare la concorrenza disvelando al grande pubblico le "perle" dell'altrui creare. Si guadagnava bene con queste sciocchezze e Malebranco non disdegnava certo il denaro.
Eppure ciò che Maldido amava più d'ogni cosa era il non ricompensato stupore che lo coglieva ad ogni scoperta. Molte di quest'ultime rimanevano sue per sempre: perché non gli sarebbero state rimborsate, o perché troppo simili a quei sogni che difficilmente si riesce a raccontare, oppure solo perché nate in curiose e casuali circostanze.
"Ecco!" ripeteva, allora, più volte, a se stesso; per poi, subito dopo, distogliere lo sguardo da ciò che, fino a qualche attimo prima, lo aveva così tanto interessato. Lo prendeva, in quelle occasioni, una strana e stanca malinconia, e urgente si faceva il bisogno di non vedere, di non sentire, più nulla. A questa necessità era dovuto lo stretto rapporto che pareva unirlo a Dionigi Treschin, il farmacista.
Brentano, con ampio gesto, lo invitò ad accomodarsi al tavolo che da sempre gli era riservato. Maldido ebbe, non visto, una lieve perplessità. Il fatto è che egli non si aspettava certo quella domanda, quanto, più opportunamente, un:
"Buongiorno Dottor Malebranco, il lavoro è stato proficuo oggi?"
o, al limite,
"Buongiorno Dottor Malebranco, spero abbia ben lavorato, oggi".
Invece quell’episodio, così poco importante agli occhi altrui, lo mise di malumore. O forse non fu la domanda bensì l'essere stato costretto a pensare per un istante a quell’angustioso problema della sua vita: denominare il proprio mestiere. Perché, di mestiere, Maldido Malebranco era un "detectus". Era stato lui stesso ad inserire la parola sul proprio curriculum vitae in un momento di grazia creativa, ed a farla, poi, propria nei rari momenti in cui era costretto a rivelare l'attività che gli permetteva di vivere. Certo ogni volta la sua risposta era seguita da una seconda immancabile domanda:
"Mi scusi se mi permetto, ma cos'è, cosa fa, un detectus?" ed era a quel punto che Maldido esitava. Come spiegare il suo sezionare immagini, il quotidiano reticolare la vita, immaginaria e reale, altrui?
Per togliersi d'impiccio egli aveva imparato a confessare che, semplicemente, il suo compito era quello di cercare errori storici nei film, eppure questa era solo una parte, forse quella più remunerativa, di ciò che era a lui chiesto.
Già! Perché Maldido Malebranco era noto ad un gruppo ristretto di artisti per la sua capacità di riuscire ad inserire piccoli ma, al loro gusto, essenziali particolari all'interno di ben più dense scene, mentre dei suoi servigi usufruivano anche alcuni investigatori, in quei rari momenti in cui confessavano a se stessi di non aver capito nulla di ciò che i loro occhi vedevano, per non parlare, poi, delle case di produzione che, a torto, credevano di poter piegare la concorrenza disvelando al grande pubblico le "perle" dell'altrui creare. Si guadagnava bene con queste sciocchezze e Malebranco non disdegnava certo il denaro.
Eppure ciò che Maldido amava più d'ogni cosa era il non ricompensato stupore che lo coglieva ad ogni scoperta. Molte di quest'ultime rimanevano sue per sempre: perché non gli sarebbero state rimborsate, o perché troppo simili a quei sogni che difficilmente si riesce a raccontare, oppure solo perché nate in curiose e casuali circostanze.
"Ecco!" ripeteva, allora, più volte, a se stesso; per poi, subito dopo, distogliere lo sguardo da ciò che, fino a qualche attimo prima, lo aveva così tanto interessato. Lo prendeva, in quelle occasioni, una strana e stanca malinconia, e urgente si faceva il bisogno di non vedere, di non sentire, più nulla. A questa necessità era dovuto lo stretto rapporto che pareva unirlo a Dionigi Treschin, il farmacista.
19/09/08
Lu Santu Currau - 1 -
Il Signor Maldido Malebranco, anni cinquantadue e mesi cinque su di un fisico asciutto e ben tenuto, poggiò il tomo sul tavolo, un vecchio libro di psicologia pescato sulla bancarella antistante il civico 124 del Viale dei Corsi, non prima, però, di aver segnato con la matita, era quella trovata sul tavolo dell'architetto Cercaponzi e mai più restituita, il numero della pagina, settecentottantadue, a cui era, faticosamente ma con letizia, arrivato. Poi, dopo aver stirato con lentezza e gusto le corte gambe, chiuse gli occhi, marroni ma cangianti sino al verde in alcune fortunate occasioni, e subito si addormentò.
Quasi subito sognò, anche, ma dell'una e dell'altra occorrenza non serbò ricordo alcuno poiché, quando riaprì gli occhi, nulla, attorno a lui, era cambiato ed anche il vecchio orologio da parete, quel piatto bianco e verde regalo di un ristoratore piemontese con il disegno della mole e le lancette rosse, segnava uno stacco di un solo minuto dalla scena precedente.
Incurante, dunque, di quello che era successo, si alzò per indossare il cappotto, era ancora con la vestaglia da camera beige regalo della sua anziana genitrice, ed uscire. Le sette. Il suo amico cuoco, in realtà il padrone della locanda "Al buon gatto", tal Brentano Geronde, stava di certo già aspettandolo.
Quasi subito sognò, anche, ma dell'una e dell'altra occorrenza non serbò ricordo alcuno poiché, quando riaprì gli occhi, nulla, attorno a lui, era cambiato ed anche il vecchio orologio da parete, quel piatto bianco e verde regalo di un ristoratore piemontese con il disegno della mole e le lancette rosse, segnava uno stacco di un solo minuto dalla scena precedente.
Incurante, dunque, di quello che era successo, si alzò per indossare il cappotto, era ancora con la vestaglia da camera beige regalo della sua anziana genitrice, ed uscire. Le sette. Il suo amico cuoco, in realtà il padrone della locanda "Al buon gatto", tal Brentano Geronde, stava di certo già aspettandolo.
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