Una Trinità un po' plebea svolazzava in alto sul fondale di un intenso azzurro. Il tondo arancione del sole ed i raggi che da esso dipartivano, così come le forme arrotondate e le piatte tinte dei monti, davano all'insieme un tocco di fanciullesca falsità che contrastava con la ricchezza e la complessità degli abiti delle marionette. Trentasei santi, e sante, a riempire la scena.
Ben si sarebbe potuto pensare, a guardare da lontano, ad uno di quei turpi racconti della schiava Faecenia, giacché l'ammassarsi di quelle spoglie nulla rendeva al sacro, ma solo all'immondo vizio. Ciò che nel quadro era esplosione di forme e grazia lì era divenuta morbosa messinscena. E quel luogo non ad altro serviva. Il Barone vi conduceva le sue amanti, godendo particolarmente nel privilegiare quelle che egli più riteneva vicine alla fede cristiana, quindi iniziava il rituale.
Scelto il nome della santa, egli illustrava alla vittima prescelta l’azione che di lì a poco avrebbero compiuto servendosi dell'aiuto di quei feticci e fornendo poi alla o alle partecipanti le vesti adatte. A volte arrivava a chiedere, anzi pretendeva, con minacce e violenze se necessario, che fosse la stessa vittima finito il primo amplesso ad indicare e sistemare le marionette ad imitazione dell’azione successiva; e ciò si ripeteva fin quando le forze o la fantasia non lo abbandonavano.
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