La za Rosa ciaveva solo quarantanni ma uno ce ne avrebbe dato di più per come sera sfummata. Tutta abbuscicata e stanca.
A causa dei figghi: che Dio u sapi dove erano ora. Delle disgrazie: ca non mancavano mai. Per quella vita che faceva: che da sempre ci dava da vivere.
Però ciaveva ancora tanti amici Rosa. E di tutte le età macari. Che ormai sera fatta un nome per come la sucava e per quel lavoro di fino che solo lei sapeva fare. Così per i clienti non ciaveva sta grande importanza taliari il resto del personaggio. Ca non sivveva.
Quando lanno scorso prima di pattiri mi presentai per il mio solito appuntamento del venerdì lei ciaveva sotto a un carusittu di sirici diciassette anni.
Lo visti nesciri con locchi di fora e le gambe che non cià facevunu a caminari. Mi fici una risata ricordando che non era stata tanto diverso pimmia la prima volta a casa di questa santa donna dopo però entrai subito che i ricordi sono ricordi ma la minchia già mi tirava.
A za Rosa si stava pulizziannu i renti. Lo faceva sempre ogni vota. Lei ci tineva a fare bella figura.
La stanza di lavoro era pulita e ordinata anche se i mobili antichi erano tutti a pezzi e un lavandino era stato messo proprio vicino allingresso. Sopra a quello cera una mensola ianca ranni e spaziusa che serviva a tenere una bella collezione di tubetti di dentifricio di tutte le marche e sapori. Forse Rosa sceglieva il gusto a seconda di quello che il cliente ci lassava na ucca pecchè i tubetti erano tutti munciuti e accussì con la testa abbassata pinnevano tannicchia tristi da dentro i bicchieri di vetro.
"Picchi non vinisti a scorsa simana?" mi rissi con la bocca ancora insaponata.
"Avevo chiffari. Ma picchi? Ti mancai?"
Ci visti un sorriso sopra a quella faccia.
"No. E che mi mancavano i to soddi pi fari a spisa" marrispunniu.
Questa volta fui io a sorridere ma lei manco se ne accorse pecchè dopo avermi preso per mano maccumpagnau alla postazione sassittau sopra al letto e accuminciau a trafichiari con i bottoni dei causi.
A nisciu fora senza mancu accalarimi i muttanni e in un attimo sanficcò tutta na ucca come solo lei sapeva fare. Non lavevo mai capito comu ciarrinisciva in quei momenti a respirare.
Con la lingua arrivava a liccarimi i baddi mentre le mani ci servivano dappigghiu. Seguendo i suoi movimenti io accuminciavo a perdere ogni controllo e a ogni passata ci spingevo la testa sempri chiossai e sempri per più tempo. Nosacciu chi mi pigghiau ma ciu rissi in quel momento quello che avevo pensato in quelle ultime due simane.
"Senti Rosa... ma picchì non veni a stari cummia a Parma?"
Ittai una vuci. Forse per la sopresa che le avevo fatto o forse per un suo errore a me minchia stava addivintannu uno spiedino. Ci visti per un attimo la bocca tutta insanguinata e nello stesso tempo marrivau lontano na testa un: "Tu si pazzu!" detto con una voce duci duci come a quella dell'angeli.
Poi però marrusbigghiai o spitali.
forsi mavissi a vergognari, picchì sugnu una signora, ma cchi cci fa? iu tu dico o stissu :-)
RispondiEliminaBravo! Sei unico Dario, come riesci a rendere artistiche,tu, pure certe cose!:-)
Svergognata :-)
RispondiEliminaLa tua za Rosa mi assimigghia a Catania. Una parola sbagliata e la magia passa, una proposta un po' anomala e uno rischia di appizzarici a minchia :-)
RispondiEliminaciao
I.
Ma che ciavete tu e Camillo??
RispondiEliminaEcco, tannicchia per me è un altro mistero. 'sa voeur dì kusè, "tannicchia"?
RispondiElimina@ Isidoro credo però che la "mia" za Rosa sarebbe stata capace di gestire meglio il suo capitale
RispondiElimina@ Chiara carfagnite?
@ Giuliano sta per "un po'"